Incontro con il Dalai Lama
“L’umanità non può seguire solo il dio soldo”. Incontro con Sua Santità il
Dalai Lama”
(di Luciano Villa)
IL SALUTO DEL DALAI LAMA
“Sono felice di incontrarvi. Sono qui convenute molte persone animate da una
sincera fede verso i valori spirituali. Molti, come voi, sono venuti da
paesi lontani e diversi tra loro, inclusi innumerevoli paesi europei. Tutto
ciò mi fa sentire felice.
Penso che questa partecipazione sia un fatto molto importante, proprio
perché avviene in quest’epoca caratterizzata da una grand’attrazione per le
cose materiali, in cui ci si dimentica spesso dei valori interiori.
Ritengo che, per poter essere una persona felice o una famiglia felice, i
valori interiori umani siano un qualcosa di veramente essenziale. Perciò
cerco sempre di promuovere i valori di base della persona, al di là del
fatto di credere o meno in una religione. Nonostante le difficoltà di
raggiungere questo luogo sperduto e di trovarvi una qualche precaria
sistemazione, molte persone si sono date qui appuntamento, il che significa
che desiderano rafforzare i valori umani. Per questo mi sento tanto felice.
Se mi rallegro dal lato spirituale, fisicamente, tuttavia, non mi sento
molto in forma: per certi malesseri d’alta quota, come il mal di testa (e di
ciò Sua Santità ride di gusto). Penso che anche voi (e Sua Santità si
rivolge direttamente a noi) abbiate avuto delle esperienze del genere. (E
Sua Santità riprende a ridere gioiosamente).
L’iniziazione del Kalachakra, al pari delle mie esperienze precedenti, ha
sempre significato un grande raduno di massa, mosso da motivi non economici,
né per voler fare un’escursione, ma è spinto da propositi spirituali.
Perciò, penso che, come minimo, la motivazione positiva, l’esperienza
spirituale vissuta positivamente, nello stesso luogo e nello stesso momento,
può risultare d’un certo apporto per la pace mentale delle persone ed anche
per un impatto positivo verso l’ambiente nel suo insieme.”
L’INCONTRO CON SUA SANTITA’ IL DALAI LAMA
– Potrebbe parlarmi del suo rapporto con l’India?
L’India, nella sua globalità, è il luogo storico del Buddhadharma, la terra
dei grandi apostoli del Dharma: Nagarjuna ed Aryasanga, che vedete
raffigurati ai due lati del Buddha Sakyamuni, in questa gran tela o tanka,
qui alle mie spalle. Tutti questi grandi maestri vengono dall’India, e,
partendo dall’India, il buddhismo ha raggiunto innumerevoli località
differenti tra di loro: il Sudest Asiatico, lo Sri Lanka, la Cina, il
Giappone, il Tibet, la Mongolia ed una parte della Siberia.
Quindi, ad un certo punto, il buddhismo in India declinò. Ovviamente il
Buddhismo e l’Induismo sono come fratelli gemelli, hanno tra loro molte
similitudini, come il Samadhi (il calmo dimorare) e il Vipassaana (la
speciale visione interiore), come pure parte degli insegnamenti del Tantra.
Anche l’Induismo è interessato in questo.
Una caratteristica davvero unica del buddismo è il concetto dell’origine
dipendente. Ora, nel 21° secolo, sta nascendo un crescente interesse per il
buddismo in India. Ovviamente nell’Himalaya settentrionale, in Ladakh,
Arunachal, Sikkim e qui nella Spiti Valley, ci troviamo in una popolazione
da sempre familiarizzata con i valori della cultura buddista, del Tibet e
del buddhismo. Negli ultimi 41 anni, da quando sono giunto in quest’area, ho
notato tra la popolazione di queste zone himalayane un continuo sviluppo del
proprio patrimonio culturale, incluso il Buddhadarma.
Si tratta di un processo di sviluppo culturale molto positivo. Ma non basta
il fatto che qui sorgono dei templi e dei monasteri. Tutto ciò è
insufficiente! Occorre studiare e apprendere il Buddhadarma. Occorre
dedicarsi al suo studio. Non è sufficiente pregare e recitare dei mantra.
Questo è utile ma non basta! Occorre impegnarsi a studiare!
– Quale contributo offre il buddhismo al patrimonio dell’umanità?
E’ un dato di fatto che si sono avuti molti cambiamenti, intesi come
sviluppo materiale. L’umanità ha raggiunto un elevato sviluppo tecnologico e
scientifico. Tutto ciò è di gran beneficio. Ma allo stesso tempo l’umanità
ha bisogno d’un qualcosa d’altro che non siano solo i valori del denaro. Ciò
è molto chiaro. L’umanità non può seguire solo il dio soldo.
Possiamo osservare con i nostri occhi che esistono persone che hanno proprio
tutto, cui non manca proprio nulla. Sono tuttavia persone molto
insoddisfatte, molto infelici. Il che significa che, se il solo denaro è in
grado di risolvere tutti i problemi, inclusa l’insoddisfazione e
l’infelicità,
i ricchi non possono avere motivo alcuno per lamentarsi.
Questa è la prova che la sola disponibilità finanziaria non è in grado di
risolvere i problemi interiori, le insoddisfazioni e le infelicità, dando a
questi delle risposte accettabili. Ne deriva, invece, la necessità di
impegnarsi a promuovere sia i valori umani sia quelli spirituali. In altre
parole, i bisogni umani hanno necessità di trovare delle spiegazioni
spirituali profonde ed accettabili.
Esiste un livello di spiritualità non connesso a credenze religiose, esso si
manifesta, in generale, nella condotta retta e giusta degli esseri umani. La
natura umana di base è la gentilezza.
Nel nostro sangue c’è la radice del prendersi cura degli altri, perché
l’essere
umano è un animale sociale. E da tempo immemorabile nella nostra mente
esistono i semi della comunità. In accordo con quanto espresso dalle moderne
conoscenze della scienza medica, perfino il feto, quando è ancora nel ventre
della madre, è in grado di riconoscerne la voce.
Ciò deriva dal fatto che l’esistenza d’ognuno dipende dall’affetto della
propria madre. Il che sta a significare che, persino prima della nascita,
avvertiamo una sensazione di vicinanza, d’intimità perché la nostra
sopravvivenza dipende dal fatto che qualcuno, la madre appunto, si debba
prender cura di noi. Persino nelle prime settimane di vita, stando alle
dichiarazioni della scienza medica, le carezze della mamma rappresentano il
miglior stimolo per un buon sviluppo cerebrale del bambino. Il contatto
fisico con la madre è lo stimolo più importante per lo sviluppo delle
capacità intellettive del nuovo essere.
Questi sono i segni che ci comunicano che siamo esseri umani, questi sono
gli indicatori di quanto è importante l’affetto umano. Noi dipendiamo dagli
altri e non possiamo farne a meno. Sto parlando dell’istinto alla comunità,
del senso di prenderci cura degli altri, del dimostrare gli uni verso gli
altri le attitudini più compassionevoli: un cuore caldo. E questi sono i
valori umani di base, che, se osservati, sono in grado di rendere felici le
persone che li praticano. E, se questi valori sono vivi anche a livello
famigliare, ne deriverà una ricaduta positiva, un clima di felicità
nell’ambito
domestico.
Noi tutti vogliamo vivere una vita felice, perciò, fondamentalmente,
desideriamo star bene, non avere conflitti, ma vivere una vita improntata a
un benessere non tanto esteriore, ma che soprattutto ci faccia star bene
dentro. Vorremmo insomma, una vita felice. Al di là del fatto d’essere o
meno praticanti d’una religione, ognuno desidera vivere una vita felice.
La disponibilità economica è importante, ma rappresenta solo un fattore. Il
punto più importante è il raggiungimento della pace interiore, la pace della
mente. Questa giunge solo se si ha un cuore caldo. Questo valore umano
basilare è fondamentale! Ora viene la vera risposta alla tua domanda. Molte
tradizioni religiose, pur diverse tra loro, hanno grandi potenzialità per
contribuire allo sviluppo di questi valori umani, ed il buddismo è una di
queste.
Uno dei punti fondamentali del buddhismo è il concetto di “interdipendenza”,
che si accorda molto bene col punto di vista scientifico. Sono ormai
innumerevoli gli scienziati che iniziano a mostrarsi interessati a questo
concetto buddhista. Tra questi, uno dei più autorevoli scienziati indiani,
chiamato anche il “Socrate dell’India”, esponendo i suoi scritti in una
conferenza considerava le parole di Nagarjuna sull’interdipendenza molto
simili a quelle delle teorie scientifiche più avanzate sulla natura e sulla
realtà.
In questo modo è emersa, ad esempio, una grande somiglianza tra le teorie
della fisica quantistica ed il concetto d’interdipendenza buddista. Se
approfondiamo la nostra ricerca, scopriremo che non v’è alcuna sostanza che
sia indipendente dalle altre. L’esistenza sorge a causa di molti fattori,
non da sé stessa; ha molte interconnessioni, dipende da innumerevoli cause
e, senza cause e condizioni, non può autogenerarsi.
La teoria quantistica è giunta a conclusioni analoghe. Questo è attualmente
un paradigma della scienza, in sostanza sovrapponibile ad una delle
affermazioni di base del buddhismo. Anche la teoria darviniana
dell’evoluzione
ha parecchi punti di connessione con la convinzione buddhista
dell’interdipendenza
dei fenomeni. Perciò accade che gli scienziati nutrono un interesse sempre
maggiore nel Dharma.
In base alla mia esperienza, da quando negli ultimi 10/15 anni mi sono
regolarmente ritrovato in seminari con degli studiosi, sono quattro le
discipline dove si ritrova un comune interesse tra le teorie scientifiche e
quelle buddhiste: cosmologia, fisica quantistica, neurobiologia e
psicologia. Queste quattro branchie della scienza mostrano molte analogie
col buddismo. L’incontro e la discussione con gli scienziati di queste
materie è molto importante.
Noi buddhisti, da questi incontri abbiamo tratto il gran vantaggio d’essere
aggiornati sulle ultime scoperte scientifiche. Ovviamente, la scienza si
addentra in spiegazioni ancora più profonde di quelle avanzate dal
buddhismo. Così, si è rivelato molto utile apprendere nuove conoscenze nel
corso degli incontri col mondo scientifico.
Di converso, il buddhismo offre agli scienziati un nuovo modo d’osservare i
loro campi d’interesse. Voglio farvi un esempio. In uno di questi seminari
stavo incontrando degli scienziati in California, e ve n’erano alcuni
totalmente digiuni delle teorie buddhiste. Alcuni di loro all’inizio non
nascondevano d’essere un poco annoiati.
La loro attitudine era quella che non avrebbero mai potuto apprendere nulla
di utile dal buddhismo. Tuttavia, una volta che il seminario era iniziato,
dopo una o due sessioni essi mostravano un grande entusiasmo ad apprendere
qualcosa di nuovo, si facevano sempre più interessati ad afferrare dei punti
specifici, ponendo incessanti domande.
Perciò, credo che il buddhismo può contribuire a rendere più vicina la
scienza al Dharma, e viceversa. Non succedeva la medesima cosa nel corso
dell’800 e del ‘900, quando si pensava che il Dharma, la religione, fosse
basata meramente sulla fede, senza nessuna base di razionalità, ma
semplicemente sulla condivisione di precetti.
Il metodo scientifico è basato su molte sperimentazioni e, fondamentalmente,
è più scettico, tende a porsi molte domande in modo da verificare le
argomentazioni. Anche nel buddhismo, in particolare in quello Mahayana,
viene posta enfasi nell’assumere un approccio scettico. Persino le parole
stesse di Buddha indicano che dobbiamo rimanere scettici ed investigare,
studiare, sperimentare. Il che risulta abbastanza simile all’approccio
scientifico. Non dobbiamo accettare ciecamente ciò che ci viene detto,
dobbiamo dimostrarci aperti, ma allo stesso tempo scettici, quindi provare
ed investigare.
Anche nel nostro approccio buddhista dobbiamo adottare il metodo di
verificare quanto ci viene proposto, di sottoporlo a critica e, a seconda
dei casi, accettarlo o rifiutarlo, utilizzando un metodo basato sulla
razionalità, vicino, molto vicino a quello scientifico: critico,
investigativo. Da tutto ciò ne deriva un contributo alla conoscenza umana,
l’approccio
scientifico è critico, non è per niente fideistico ed è affine a quello
buddhista.
La scienza fa i suoi esperimenti, studi, ricerche: vedo con questo metodo un
qualcosa d’affine. Credo che in ciò il buddhismo può offrire un contributo
allo sviluppo della conoscenza umana e, conseguentemente, rivelare la
propria potenzialità per instaurare e mantenere la pace interiore, la pace a
livello mentale che è il fondamento della pace nel mondo.
– A proposito dei valori umani fondamentali, nella società attuale in
occidente si assiste ad una crisi dei rapporti tra uomo e donna. Qual è
secondo lei la causa e quale è il modo migliore per risolverla?
Il matrimonio non è solo un’attrazione fisica. Il matrimonio dovrebbe
comunque contrarsi sulla base della comprensione reciproca delle qualità di
ciascuno dei coniugi, sviluppando un sincero rispetto, ed una certa
ammirazione delle reciproche qualità , non tanto – e solo – sulla base
dell’attrazione
fisica. Solo su questa base ci si dovrebbe sposare.
Il matrimonio su queste basi ha tutte le condizioni per durare a lungo. A
questo punto l’attrazione fisica è un elemento in più, che rende il legame
più saldo. Generalmente avviene il contrario. Vedo persone che si sposano
solo per una reciproca infatuazione immediata, che impedisce loro di vedere
nessun altro al mondo che loro stessi, senza rendersi conto d’essere
piombati in uno stato d’infatuazione che rasenta la follia. Allora, ci si
sposa. Ma, dopo pochi mesi, appena esaurito quel momento che sembrava
magico, tutto cade e svanisce: il matrimonio fallisce.
La libertà sessuale è un fatto positivo, ma, quando raggiunge situazioni
estreme, senza autodisciplina alcuna, spesso si rivela disastrosa. Vi
dovrebbe essere un senso di maggiore equilibrio nello stile di vita umano,
la disciplina non è tanto una necessità religiosa.
Vi sono sempre dei conflitti fra interessi a lungo termine e quelli a breve
termine. Per salvaguardare gli interessi di lunga durata dobbiamo talvolta
sacrificare quelli di breve durata, ed in tal modo beneficiare gli altri.
Perciò, è necessaria la disciplina. Vi sembra sensato tutto ciò?
– Cosa la rende sempre felice?
Faccio del mio meglio per affrontare le cose dal loro lato più semplice e
dolce. Un altro aspetto importante è il fatto che si dovrebbe essere sempre
sinceri, senza nascondere nulla, anzi dovremmo dimostrarci i più aperti
possibile. Così esprimo qualsiasi cosa che sento. Questo è un punto.
Inoltre, ogniqualvolta incontro qualcuno, lo considero sempre come un essere
umano, non c’è differenza alcuna tra le persone.
Dal punto di vista emotivo, mentale o fisico noi siamo tutti uguali. Abbiamo
tutti le medesime potenzialità: nel bene e nel male. Nessuno mi è estraneo:
siamo tutti fratelli e sorelle. Penso che questa sia la fonte della mia
felicità. Sono sempre felice d’incontrare qualcuno.
– Come sente la responsabilità verso il suo popolo?
Certamente i tibetani nutrono molta devozione nei miei riguardi, hanno
fiducia in me, e, dal momento che ho assunto le responsabilità storiche
attribuite al Dalai Lama, me le sento tutte sulle mie spalle. Perciò, sia
che mi trovi a Dharamsala, in Europa, in America, in Giappone o in
Australia, mi sento sempre rivestito di questo fardello e lo avverto come un
sentimento molto, molto forte.
– Pensa che avremo la possibilità di rivederci un qualche giorno a Lhasa?
Penso che molto probabilmente ci sia una speranza reale. Le darò una
semplice risposta. Se guardiamo alla situazione del Tibet, e la consideriamo
solo localmente, non possiamo non trovarla molto difficile, con sentimenti
di sconforto e di disperazione. Ma, se osserviamo la situazione dei diritti
dei tibetani da una prospettiva più ampia, la valutazione cambia.
Lei stesso può rendersi conto di quanto stiano cambiando le cose, lo stesso
popolo cinese è in una situazione di mutamento. D’altra parte lo spirito del
popolo tibetano è molto forte. Penso che, partendo da questo punto di vista
più generale, si apra una prospettiva. Perciò questo è possibile.
– Perché gli occidentali sono tanto interessati al Kalachakra e quali sono i
suoi benefici?
Parlando dal punto di vista individuale, quando si parla dei benefici che si
ricevono dal Kalachakra, essi sono molto dipendenti, in ciascun individuo,
dal grado di conoscenza basilare del buddismo. Perciò se la persona in
questione possiede una comprensione di base del Buddhadharma ed ha fatto
alcune esperienze, soprattutto di bodhicitta (l’attitudine d’amore e
compassione caratterizzante il desiderio altruistico di raggiungere
l’illuminazione
per il beneficio di tutti gli esseri senzienti) e di suniata, o realtà
ultima – la vacuità – allora l’iniziazione del Kalachakra produrrà dei
progressi spirituali in quella persona, ne renderà la mente recettiva per
ulteriori sviluppi spirituali.
Solo a queste condizioni l’iniziazione del Kalachakra produce degli effetti
benefici, che favoriscono la comprensione universale. Se, viceversa, la
persona non possiede queste qualità di base, allora è difficile.
– Qual è la ragione che li spinge qui?
La curiosità.
– Buddhismo e cristianesimo hanno dei punti in comune?
La pratica dell’amore, della compassione, del perdono, della tolleranza,
della moderazione, queste sono tutte pratiche comuni. Tutte le maggiori
religioni hanno le stesse potenzialità e responsabilità, vale a dire di
promuovere la pace della mente, la protezione dell’ambiente.
– Crede che nei prossimi decenni sia possibile risolvere il gap fra i paesi
ricchi e quelli poveri?
Penso che il XX secolo sia stato uno dei più importanti della storia
dell’umanità.
Durante il secolo scorso, il genere umano ha intrapreso una gran quantità di
esperimenti in molti campi, sia di tipo ideologico, sia tecnologico, sia
scientifico. Sono avvenuti molti cambiamenti nell’arco di quel secolo, ad
esempio: anche il concetto d’uomo si è molto trasformato: il concetto di
persona umana alla fine del XX secolo è molto diverso da quello che vigeva
al suo inizio.
Credo che noi esseri umani, nel corso del XX secolo, abbiamo maturato molte
esperienze. Penso che il risultato sia che l’umanità s’è fatta più matura.
Un’indicazione di questo processo è riconducibile alla preoccupazione per
l’ambiente,
uno sviluppo molto positivo, come il concetto di non violenza e di pace.
Inoltre, un ulteriore passo innanzi s’è affermato a proposito del concetto
di pace e di non violenza.
Osserviamo il Sud Africa: sotto la guida di Nelson Mandela il concetto di
non violenza è diventato veramente molto forte. In molte altre nazioni il
concetto di pace e di non violenza s’è ulteriormente affermato, rendosi
molto più radicato tra la gente. Si possono osservare tutta una serie
d’avvenimenti
e tutta una serie di cambiamenti positivi in molti campi.
Penso che il nuovo XXI secolo sarà più pacifico. Su queste basi sono sicuro
che il nuovo XXI secolo, se farà tesoro delle esperienze precedenti e
gestirà i problemi che si troverà di fronte sulla base d’una maggiore
saggezza, maggior pazienza e tolleranza: sarà più pacifico, più armonioso.
Questo problema del nord-sud del mondo è un affare molto serio, è un grosso
gap, è una differenza troppo grave, e non solo a livello globale, tra paesi
diversi.
All’interno d’ogni nazione coesistono, infatti, delle gravi discrepanze tra
ricchi e poveri, persino nel paese più ricco al mondo, gli USA, la nazione
più consumistica. Se guardiamo agli USA, il gap tra ricchi e poveri è
veramente enorme. Il numero delle persone è in aumento, ma i poveri
continuano a rimanere poveri e, talvolta, ancor più poveri. Questa è una
realtà ben nota persino a Washington, la capitale della Grande Nazione, la
più ricca e la più potente, si può vedere tanta povera gente.
Questo gap non solo è moralmente sbagliato, ma in concreto è una fonte di
problemi. Perciò, dobbiamo misurarci con questa realtà. Penso che a livello
governativo vi siano grosse responsabilità. Ma, ugualmente, ritengo che
ciascuna persona, ciascuna famiglia, nell’ambito della comunità, ha la
propria dose di responsabilità di dover tentare di cambiare questa
situazione.
Anche in India vi sono grossi contrasti: a Bombay, ad esempio, vivono
famiglie molto ricche e, non lontano, coesistono famiglie poverissime,
davvero in miseria, che non hanno nulla di che sostentarsi, né un tetto da
ripararsi, nessuna istruzione né cibo per i loro figli: si trovano in una
situazione davvero disperata.. Potete vedere molti bimbi diseredati per le
strade.
Negli USA ed in molte altre nazioni, dove è espresso il più alto stile di
vita, mi capita spesso di vedere che i ricchi, che guadagnano molto e che
abitano nei quartieri alti, hanno uno stile di vita troppo dispendioso,
esageratamente costoso e privo d’utilità, è un illusione. Da parte loro, una
volta accumulato il denaro, dovrebbero spendere di più per aiutare i poveri.
Quindi, da parte dei poveri s’alimenta l’odio verso i ricchi. Non dovrebbero
fare così. Essi dovrebbero concentrare i loro sforzi sull’istruzione e
nell’avere
più fiducia in sé stessi. Potrebbero migliorare la loro condizione
impegnandosi nell’istruzione, nella scuola e nel lavoro. E le famiglie
ricche dovrebbero agevolare i loro sforzi.
Ho parlato di ciò anche in Sud Africa, dove i poveri, per il loro stato, si
sentono diseguali, inferiori ai ricchi. In un’occasione, a Soweto, ebbi
l’opportunità
di visitare una famiglia. Si trattava di una famiglia di neri africani a cui
piaceva molto la musica indiana, tanto da ascoltarla ad alto volume. Avevo
molta sete, ed essi mi invitarono a prendere un tè da loro, che trovai
ottimo, veramente delizioso. Trovai quindi un argomento di discussione.
Frattanto, un giovane pieno d’energie mi presentò il suo insegnante, a cui
dissi: “Lei ha la grande possibilità di essere di aiuto alla sua gente,
poiché può diffondere la convinzione che bianchi e neri sono uguali, non
solo perché ciò è sancito dalla costituzione, ma in quanto lo siamo
mentalmente e con i nostri sentimenti. E’ importante sentirsi uguali”.
Al che mi rispose: “Noi neri siamo inferiori, non possiamo competere coi
bianchi”. In quel momento mi sentii veramente rattristato ed aggiunsi che
era assolutamente sbagliato esprimersi in quel modo, perché sia
emozionalmente, sia mentalmente, sia fisicamente, bianchi e neri sono
uguali. Ed ora, la nuova costituzione sancisce le stessa opportunità per
tutti quanti.
A quel punto ricordai loro la mia stessa situazione, quella del Tibet,
appunto, dove la propaganda cinese diffondeva messaggi del tipo: “I cinesi
Han sono molto più progrediti dei tibetani”. I cinesi talvolta chiamano i
tibetani “barbari”, disprezzano la loro cultura ed il loro stile di vita.
Quando siamo venuti in India da rifugiati, spiegavo loro, abbiamo dovuto
affrontare una situazione molto difficile ed abbiamo dovuto ricostruire la
nostra comunità, dando vita a diverse attività per mantenere la nostra
cultura ed imparare nuove cose.
Così, vedete, la situazione crea certe impressioni, ma in realtà siamo tutti
uguali, noi tibetani con i nostri fratelli e sorelle cinesi. Abbiamo le
stesse potenzialità. Siamo uguali: qualsiasi cosa fanno i cinesi la possono
fare anche i tibetani. Quella stessa persona, dopo aver ascoltato le mie
parole, con le lacrime agli occhi ed un fil di voce mi disse : “Sì, lo
credo, siamo tutti uguali!”. In quel momento avvertii un gran sollievo.
Questo è il problema. La gente proveniente da zone povere spesso si sente
inferiore e questo sentimento, il senso d’inferiorità, è spesso alla base
dell’odio che, a sua volta, è causa d’autodistruzione. Perciò i poveri
dovrebbero avere più fiducia in sé stessi e dedicare più energie
all’istruzione.
Penso che questo sia il modo corretto ed a lungo termine l’unica strada per
diminuire il divario tra ricchi e poveri in modo amichevole e pacifico.
Questa stessa situazione la potete osservare anche in Brasile: da un lato le
famiglie ricche e dall’altro i bambini di strada. Non passa notte che non
sia ucciso un bambino di strada: essi vivono senza protezione alcuna. Ciò è
realmente triste.
– Potrebbe tornare sull’argomento India?
L’India è un gran paese, con una lunga storia ed una ricca cultura. Penso
che sia la nazione con le più durature, ricche e profonde tradizioni
filosofiche e religiose. Un fatto da sottolineare è la tolleranza religiosa,
ahimsa. Attraverso secoli si sono sviluppate le sue religioni originarie,
come l’induismo, il buddhismo, il giainismo, il sikhismo, e molte altre. Ed
accanto alle religioni autoctone ha accolto lo zoroastrismo, il
cristianesimo, l’islamismo ed altre fedi ancora. Questa è una gran cosa.
Nel mondo esterno la tolleranza religiosa, come in occidente, è un qualcosa
di strano. Perfino nell’ambito della cristianità ci sono delle notevoli
distanze tra cattolici e protestanti. Viceversa, in India, specialmente
nell’India
del Sud, potete osservare una famiglia indù vivere accanto ad una famiglia
musulmana e ad un’altra cristiana, senza il minimo problema fra loro. Questa
è la grandezza dell’India e queste sono le fondamenta della non violenza.
Col risultato di non ritrovarsi violenza sia a livello religioso sia a
livello sociale. Questa ricchezza dell’India deve mantenersi viva.
Nonostante qualche difficoltà, questa spiritualità deve essere mantenuta
viva.
Dico ora una battuta indirizzata ai miei amici indiani. Durante il 20°
secolo la non violenza è stata il maggiore prodotto d’esportazione
dell’India.
Quindi cos’è accaduto? Troppa esportazione di questo bene senza un’adeguata
produzione nel paese. Questo è stato un errore. Dovete continuare ad
esportare e, contemporaneamente, ad incrementare la produzione. Altrimenti
non resterà nulla di tutto ciò e questa sarà una grossa perdita.
Quindi, ovviamente, io sono un tibetano e sono un buddhista. La relazione
tra indiani e tibetani è paragonabile a quella esistente tra maestro e chela
(discepolo). Noi siamo i discepoli, i chela, voi siete i guru, i maestri.
Nagarjuna, Arya Asanga e gli altri, erano tutti maestri indiani. Senza la
loro saggezza la mente e gli occhi dei tibetani sarebbero ancora
ottenebrati. Perciò vi siamo grati.
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