Un picco di onde cerebrali dopo che il cuore ha cessato di battere potrebbe spiegare alcune
sensazioni legate alla morte, come l’andare verso la luce.
4 maggio 2023 – Elisabetta Intini
I racconti di chi è stato molto vicino alla morte si somigliano.
I ricordi di una vita che passano davanti agli occhi come in un film. Un ultimo tunnel buio da
percorrere verso una luce abbagliante sul fondo. La sensazione di vedere sé e i propri cari
dall’alto mentre si galleggia ormai fuori dal corpo. Sono alcuni dei racconti associati alla
dimensione misteriosa della morte grazie alle testimonianze di chi è stato molto vicino al trapasso
(ma poi si è salvato). Da che cosa dipendono queste esperienze?
Un piccolo studio appena pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences offre una
parziale, possibile risposta. Nel corso della ricerca che ha monitorato in ogni fase il cervello di
quattro persone morenti è stata individuata un’attività cerebrale che sembrerebbe specifica delle
ultime fasi di vita, e che potrebbe spiegare i tratti comuni delle esperienze pre-morte.
UNA LINEA SOTTILE. Anche se il senso comune associa la morte al momento in cui il cuore cessa
irreversibilmente di battere, dal punto di vista scientifico il confine tra vita e morte è più
complesso e sfumato, perché diversi studi su umani o animali hanno dimostrato che l’attività
cerebrale può continuare per diversi secondi o addirittura ore anche in seguito. Di questa attività
cerebrale in punto di morte sappiamo ancora pochissimo: ecco perché Jimo Borjigin, neurofisiologa
dell’Università del Michighan, ha deciso di seguire attentamente l’attività elettrica del cervello
di quattro pazienti in coma, connessi a sistemi di supporto vitale e senza possibilità di
sopravvivenza.
PICCO ANOMALO. Queste persone indossavano cuffie per elettroencefalografia che hanno registrato
l’attività elettrica negli strati superiori del cervello nel corso dell’intero processo del fine
vita: prima che i medici staccassero i respiratori, durante l’ultimo battito cardiaco e anche dopo,
fino a quando l’attività elettrica del cervello non è cessata del tutto. In due pazienti, qualche
secondo dopo la rimozione dei ventilatori è stata registrata un’impennata di onde cerebrali ad alta
frequenza chiamate onde gamma, che sono continuate per qualche minuto ad alta intensità mentre il
cuore smetteva di battere.
REPLAY DELLA VITA. Naturalmente non è possibile sapere se queste persone abbiano avuto esperienze
pre-morte durante il decesso, ma sappiamo che lo stesso pattern di onde gamma si può verificare
quando una persona rievoca attivamente un ricordo, un sogno o qualcosa che ha imparato, tanto che
alcuni neuroscienziati ritengono queste oscillazioni una sorta di firma della coscienza.
Come ha spiegato a Science il neurochirurgo Ajmal Zemmar, le onde gamma potrebbero segnalare che
diverse aree cerebrali lavorano all’unisono per mettere insieme diverse sensazioni che restituiscono
la consapevolezza di un oggetto – per esempio l’odore e il suono di un’auto.
Averle riscontrate in persone che stavano morendo potrebbe indicare una possibile spiegazione
biologica ai racconti del cervello che ripassa in rassegna i ricordi di una vita come in un film.
NON PER TUTTI. Il fatto che solo due persone su quattro abbiano manifestato questa scarica di onde
gamma non sorprende, dal momento che non tutte le persone che si avvicinano alla morte riportano le
visioni di cui abbiamo parlato. Inoltre i due pazienti avevano una storia di epilessia, che potrebbe
aver preparato il loro cervello a sperimentare attività elettriche anomale.
GUIZZO FINALE. Per Charlotte Martial, scienziata dell’Università di Liegi (Belgio) esperta di
esperienze pre-morte, l’attività cerebrale riscontrata sarebbe parte di una modalità di
sopravvivenza innescata dal cervello rimasto in deprivazione di ossigeno, che prova ad
autorisuscitarsi mentre esclude ogni segno esterno di coscienza: «Chiude la porta al mondo esterno e
si occupa delle faccende interne perché la sua casa va a fuoco», spiega la scienziata.
Ora si spera che la scoperta possa essere replicata su un più ampio numero di pazienti. Se così
avvenisse significherebbe aver capito qualche cosa in più dell’esperienza della morte.
www.pnas.org/doi/10.1073/pnas.2216268120
da focus.it
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