Inferno

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Inferno

di Satyayani

Quello che segue è un mio articolo risalente a qualche anno fa, da cui potrai forse trarre
indicazioni utili.

Nella tradizione biblica si riscontrano due filoni nel presentare il destino ultraterreno dell’uomo.
Il primo, rappresentato dal Libro della Sapienza, ricorre alla categoria dell’immortalità dellanima.
Vi leggiamo: ‘Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, e nessun tormento le toccherà… Anche se
agli occhi degli uomini sono dei castigati, la loro speranza è piena di immortalità’ (III 1-4 e 15,
16; XV 3,4 ). Il secondo filone parla di resurrezione dei morti. Ne abbiamo tracce in Daniele (XII
2) e nel secondo libro dei Maccabei (VII 9-14; XII 43). Le due concezioni hanno suscitato tra molti
teologi il problema se si dovesse parlare dei defunti in termini di immortalità dell’anima o di
resurrezione dei corpi.
La posizione della Chiesa è, tuttavia, chiara: la morte è la separazione dell’anima dal corpo. Il
corpo, morendo, perisce; l’anima di coloro che decedono in stato di grazia viene accolta nell’eterna
comunione con Dio (Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica nn. 997, 1005, 1021-1023, 1035).

Nella tradizione vaishnava si nota la stessa concezione di corpo fungente da mezzo per l’anima nella
realtà materiale. La sola ragione della sua esistenza va ricercata nella necessità di fornire
all’anima la possibilità di godere di esso e, soprattutto, di riscattarsene per fare ritorno a Dio
(Srimad-Bhagavatam II 10, com. al v.26).

In una lettera della Congregazione per la dottrina della fede risalente all’anno 1979 leggiamo: ‘La
Chiesa crede ad una risurrezione dei morti. La Chiesa intende tale risurrezione come riferentesi
all’uomo tutto intero; per gli eletti questa non è altro che l’estensione agli uomini della
resurrezione stessa di Cristo.

La Chiesa afferma la sopravvivenza e la sussistenza, dopo la morte, di un elemento spirituale, il
quale è dotato di coscienza e di volontà, in modo tale che l”io umano’; sussista, pur mancando nel
frattempo del complemento del suo corpo. Per designare un tale elemento, la Chiesa adopera la parola
‘anima’, consacrata dall’uso della Sacra Scrittura e della tradizione…’.

Oltre al corpo grossolano, la tradizione vaishnava parla chiaramente di un corpo sottile: il primo
e’ mera materia, destinato ad essere riassorbito nella prakriti nel momento in cui l’anima lo
abbandona alla fine di un’esistenza, il secondo è energia spirituale, costituente il supporto
trasmigrante e il principio di continuità attraverso le rinascite. La suddetta energia, venuta a
contatto con la materia si contamina ed assume peculiarità che non le sono proprie. Tale meccanismo
è messo in moto da un’ignoranza primordiale concernente una frapposizione tra ciò che appartiene al
jiva e ciò che invece è pertinente a maya.

Dunque, l’anima, libera dalle maculazioni materiali è provvista di un corpo sottile, anch’esso non
contaminato, che non abbandona mai.
Tale corpo spirituale è costituito di quattro sensi interni: coscienza, intelligenza, senso dell’io
e mente. La monade biblica, tuttavia, porta con sè, già quando nasce, il retaggio del peccato
originale. E’ figlia della colpa dei propri avi, colpa che sconta venendo in un luogo che le
‘produrrà triboli e spine’.

L’arrivo della monade vaishnava nell’universo materiale è, invece, da attribuirsi ad un atto di
volontà personale. In virtù dell’innata libertà di cui gode e del desiderio altrettanto innato di
gioire come Dio, può decidere di provare l’esperienza dei mondi materiali: in quelli spirituali mai
potrebbe recitare un ruolo che compete esclusivamente a Dio. Nei mondi di maya, al contrario,
l’anima ha la possibilità di imitarlo perché, essendo la sua coscienza originale coperta
dall’energia illusoria, può facilmente dimenticare l’esistenza del Supremo. Quando scende nei mondi
materiali, il jiva approda in situazioni molto evolute in cui prova intensi piaceri; intossicato dal
senso di potere e dalla capacità creativa che scopre di possedere, si illude di essere ormai
onnipotente. Ma per l’inesorabile legge del karma, le sue azioni in spirito egoistico, tese cioè a
soddisfare i propri sensi, provocano reazioni che lo costringono ad assumere in nuove reincarnazioni
altri corpi, nella maggior parte dei casi sempre più degradati.

La tradizione biblica non dà informazioni riguardo all’esistenza di altre vite in mondi all’infuori
della Terra; pertanto le anime, al termine del cammino esistenziale terreno raggiungono, a seconda
del proprio operato, le tre dimensioni ultraterrene di paradiso-purgatorio-inferno.
Per la tradizione vedica il discorso diviene più complesso. Nell’universo materiale 8.400.000 specie
viventi (Bhagavad-gita II 31, nota 1) coabitano nello Svarga-loka (i mondi qualitativamente
superiori), nel Bhuvar-loka (i mondi qualitativamente mediani) e nel Bhur-loka (gli inferiori per
qualità). Le anime si reincarnano in un numero variabile di queste forme, sottoponendosi a varie
esperienze: ciascuna in un corpo diverso, ciascuna con una differente identificazione. Svarga sono i
luoghi che le anime raggiungono all’inizio del loro approccio col materiale o dove si reincarnano in
seguito a innumerevoli austerità e attività pie. Leggere le descrizioni di tali luoghi riconduce la
mente, a mio avviso, alle
illustrazioni del paradiso cristiano, meta ultima di chi ha vissuto nel pieno rispetto dei crismi
della propria dottrina. Ma, per quanto la vita che si conduce su Svarga sia lunga e colma di gioia,
si tratta pur sempre di gioie materiali; e i tentacoli di kala (il tempo) avviluppano anche questo
sistema per cui, appena i meriti acquisiti nelle esistenze passate si esauriscono, le anime sono
obbligate a rinascere nei mondi mediani.

In virtù dell’elevato godimento sensuale che si raggiunge, riesce difficile praticare a Svarga le
discipline necessarie allo sviluppo di una coscienza superiore. La quantità e la qualità delle gioie
che si provano nel Bhuvar-loka sono invece di molto inferiori, accompagnate da altrettante
frustrazioni, durante il corso di una esistenza di media durata. Tutti questi elementi
contribuiscono a facilitare il riconoscimento della natura illusoria e temporanea della realtà
empirica e spronano verso una vita trascendente. L’intero universo materiale della tradizione
vaishnava rimanda all’immagine del Purgatorio biblico. In entrambi i casi la monade sconta il fio
dell’errore originale mediante un cammino che, seppur diverso nei modi, è di espiazione e
purificazione.

Ma è da sottolineare che la monade, nell’ambito della tradizione biblica, rischia durante una sola
esistenza la propria felicità eterna; la monade del vaishnavismo non ha via di scampo: il ritorno a
casa, back to Godhead, è obbligatorio. Potrà impiegarvi innumerevoli esistenze, catapultata nei
vortici del samsara, correndo il rischio di ‘cadere’ nei mondi infernali (naraka-loka) che, in
quanto a descrizione delle pene e delle scene raccapriccianti a cui è sottoposto il dannato non ha
nulla da invidiare a quella degli inferi biblici.

Il significato intrinseco della dimensione infernale è però diametralmente opposto nelle due
tradizioni: in opposizione alla connotazione di eternità che contraddistingue l’inferno biblico si
staglia quella di caducità peculiare, come ad ogni altro aspetto del materiale, all’inferno
vaishnava. La monade vaishnava ha la possibilità, avendo scontato gli atti peccaminosi, di
purificare gradualmente la coscienza ed iniziare un cammino di ritorno alla dimora celeste.

A colui il quale abbia dedicato la propria esistenza ad attività particolarmente peccaminose accade
che al momento del trapasso i messaggeri del Signore della morte, gli Yamaduta, si presentino al suo
capezzale, e ne trascinino il corpo sottile alla dimora di Yamaraja.
Durante il cammino verso il mondo in cui risiede il deva, si svolgono scene raccapriccianti: sotto
un sole bruciante, il jiva ha da percorrere strade ricoperte di sabbia bollente costeggiate da
foreste divorate da alte lingue di fuoco.
E’ continuamente frustato sulle spalle dagli Yamaduta per la sua incapacità a camminare, ed è
afflitto dalla fame e dalla sete, ma non c’è acqua, nè un riparo per riposarsi.
Deve percorrere novantanovemila yojana in pochi istanti (uno yojana equivale a circa otto miglia):
vi riesce grazie ad una copertura materiale fatta di elementi molto sottili fornita dai messaggeri
di Yama, che gli permetterà anche di tollerare le punizioni cui sarà sottoposto (Srimad-Bhagavatam
III 30, 20-24 e comm. ai versi).

I versi successivi descrivono con precisione le torture cui è sottoposta l’anima in tali frangenti.
A chi sia interessato all’argomento, consiglio di leggerli perchè sono molto particolareggiati.

Yamaraja, figlio del deva del sole, risiede nel Pitrloka con i propri assistenti, dove giudica tutti
i peccatori che gli Yamaduta portano al suo cospetto. A seconda delle specifiche attività
peccaminose, li invia poi nei molteplici mondi infernali perchè possano scontare le pene accordate
loro.

I mondi infernali sono ventotto (anche se alcune autorità nel campo sostengono che sono ventuno [SB
v 26 COMM. AL V. 7]) e sono spiegati in maniera dettagliata nel ventiseiesimo capitolo del quinto
canto dello Srimad-Bhagavatam.

A proposito del concetto di “eternità relativa” dei mondi infernali nella filosofia vaisnava, vedi
SB V 26, comm. al v. 6: “The intricacies of action are very hard to understand. Therefore one should
know properly what action is, what forbidden action is, and what inaction is. One should understand
the nature of karma, vikarma and akarma, and one must act accordingly. This is the law of the
Supreme Personality of Godhead. The conditioned souls, who have come to this material world for
sense gratification, are allowed to enjoy their senses under certain regulative principles. If they
violate these regulations, they are judged and punished by Yamaraja. He brings them to the hellish
planets and properly chastises them to bring them back to Krsna consciousness. By the influence of
maya, however, the conditioned souls remain infatuated with the mode of ignorance. Thus in spite of
repeated punishment by Yamaraja, they do not come to their senses, but continue to live within the
material condition, committing sinful activities again and again.”

Satyayani

da www.isvara.org/

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