Interdipendenza, coerenza e natura della realtà 1

pubblicato in: AltroBlog 0
Interdipendenza, coerenza e natura della realtà 1

del Dalai Lama

Prima parte

Parlando di interdipendenza, coerenza e natura della realtà, sorge
spontanea la domanda su che cos’è il tempo.

Non è possibile identificare il tempo come una sorta di entità
indipendente. In termini generici, possiamo affermare che esistono
questioni esterne e sentimenti o esperienze interiori.

Se prendiamo in considerazione le questioni esterne, parliamo di
passato, presente e futuro. Eppure, se cerchiamo di osservare da
vicino il “presente”, scopriamo che non esiste. Un secondo prima del
presente è già passato e un secondo dopo è già nel futuro.

Il presente non c’è. E se non esiste il presente, allora non è
possibile parlare di passato e futuro, poiché entrambi dipendono dal
presente.

Perciò se consideriamo le questioni esterne, sembra che il passato sia
solo nella nostra memoria e il futuro nella nostra immaginazione.

Ma se esaminiamo le nostre esperienze interiori o stati di coscienza,
il passato non c’è più e il futuro deve ancora accadere: esiste
soltanto il presente. Questa è la natura dell’interdipendenza,
pratityasamutpada in sanscrito.

Esistono due livelli di interdipendenza: uno convenzionale e uno più
profondo. Cominciamo dal primo.

Quando parliamo del principio buddhista di interdipendenza, spesso
definito “originazione interdipendente”, non dobbiamo dimenticare che
esistono diversi livelli di comprensione di tale principio.
Il livello più superficiale è quello della natura interdipendente o
rapporto di causa ed effetto.

Il livello di comprensione più profondo è molto più permeante e,
infatti, abbraccia l’intero spettro della realtà.

Il principio dell’originazione interdipendente in relazione a causa ed
effetto afferma che niente può accadere senza le corrispondenti cause
e condizioni. Ogni cosa ha origine dalla concomitanza di cause e
condizioni.

Se consideriamo la legge naturale, ci rendiamo conto che non ha
origine dal karma o dal Buddha, ma semplicemente dalla natura. Se
diamo per scontato che lo stato di Buddha (buddhità) si è sviluppato
secondo la legge naturale, le nostre esperienze di dolore e
sofferenza, gioia e piacere dipendono al cento per cento dalle loro
cause e condizioni.

A causa di questo rapporto naturale fra causa ed effetto, il buddhismo
afferma che meno desideriamo vivere una determinata esperienza e
maggiore deve essere lo sforzo per evitare il verificarsi
contemporaneo delle relative cause e condizioni, così che tale
esperienza non trovi il terreno adatto per realizzarsi.

Al contrario, più desideriamo vivere una particolare esperienza e più
dobbiamo cercare che tali cause e condizioni si avverino.

Personalmente sono convinto che il rapporto fra causa ed effetto sia
anche una sorta di legge naturale. Non penso si possa giungere a dare
una spiegazione razionale sul perché gli effetti seguano
necessariamente cause e condizioni concordi.

Per esempio, si dice che stati emotivi afflittivi, quali l’ira e
l’odio, determinino sgradite conseguenze e, secondo le scritture
buddhiste, una di tali conseguenze è la bruttezza. Non esiste però una
spiegazione razionale sul perché la bruttezza sia una conseguenza di
quel particolare stato d’animo. Eppure capirlo non è difficile: quando
siamo in collera o consumati dall’odio, l’espressione del nostro viso
si modifica facendoci diventare “brutti”.

Allo stesso modo esistono stati emotivi che determinano immediati
cambiamenti “in positivo” nell’espressione del nostro viso e portano
con loro tranquillità e serenità. È quindi possibile vedere una sorta
di collegamento, sebbene non sia possibile fornire una spiegazione
totalmente razionale.

Esistono tuttavia alcuni stati emotivi, quali una profonda
compassione, che, seppur positivi, non portano una gioia immediata.
Per esempio, una persona totalmente pervasa da questo sentimento
condivide la sofferenza dell’oggetto della sua compassione; perciò,
rifacendosi a quanto affermato in precedenza, tale compassione non può
essere definita una causa positiva.

A questo riguardo voglio però sottolineare che se è vero che come
risultato della compassione subentra un certo dolore, in quanto si è
completamente assorbiti nella condivisione della sofferenza
dell’oggetto della compassione, si tratta di un dolore completamente
diverso da quello provato da un individuo depresso, disperato, privo
ormai di ogni speranza.

Nel caso di sofferenza compassionevole, sebbene si sperimenti una
sorta di dolore, non si perde mai il controllo poiché, in un certo
senso, ci si sta volontariamente sobbarcando la sofferenza di un altro
essere umano.

Sebbene a livello superficiale tali stati emotivi sembrino dare
origine a uno stesso risultato, in realtà sono profondamente diversi.
In un caso l’individuo è così sopraffatto dalla potenza della
sofferenza da perdere ogni controllo, mentre nel caso della
compassione l’individuo mantiene il pieno controllo della propria
mente.

Chi riesce a comprendere l’importanza del rapporto interdipendente di
causa ed effetto potrà capire e apprezzare gli insegnamenti relativi
alle Quattro Sante Verità, basati proprio sul principio di causalità.

Una volta compreso il principio causale sottinteso in tali
insegnamenti, si è pronti per conoscere la dottrina del Buddha sui
Dodici Anelli dell’Originazione Dipendente, secondo la quale una causa
è sempre seguita dal suo effetto; alla creazione di una causa segue il
relativo effetto e a seguito della presenza dell’ignoranza si è
verificata l’azione o karma.

Tre sono le affermazioni:

1- poiché esiste la causa, l’effetto segue immediatamente;

2- poiché è stata creata la causa, si è prodotto l’effetto;

3- poiché c’era ignoranza, quest’ultima ha portato all’azione.

La prima affermazione indica che, da un punto di vista positivo,
quando le cause sono concomitanti, gli effetti seguono naturalmente e
che la compresenza delle cause e delle condizioni ha dato origine agli
effetti.

Inoltre, a esclusione del processo causale, non esiste un potere o una
forza esterna, per esempio un Creatore, responsabile della
trasformazione in essere di ogni cosa.

La seconda affermazione – poiché è stata creata la causa, si è
prodotto l’effetto – sottolinea nuovamente un’altra importante
caratteristica dell’originazione dipendente, e cioè che la causa che
determina l’effetto deve avere a sua volta una causa.

Se la causa fosse un’entità assoluta eternamente esistente, tale
entità non potrebbe essere l’effetto di un altro elemento e non
avrebbe il potenziale per produrre alcun effetto.

Deve quindi esistere innanzitutto una causa, la quale deve avere a sua
volta una causa.

Anche la terza affermazione – poiché c’era ignoranza, quest’ultima ha
portato all’azione – evidenzia un’ulteriore e fondamentale
caratteristica del principio di originazione dipendente, e cioè che
l’effetto deve essere proporzionato alla causa; tra causa ed effetto
deve esistere una speciale correlazione.

L’insegnamento di Buddha contiene un esempio di ignoranza che conduce
all’azione. Il presupposto è: “Chi ha commesso quell’azione?” Un
essere umano che, agendo in un determinato modo a causa della sua
ignoranza, sta provocando la propria caduta. Poiché non esiste un uomo
che desideri l’infelicità o la sofferenza, l’ignoranza è la causa del
suo lasciarsi coinvolgere in azioni che producono conseguenze
sgradite.

I Dodici Anelli dell’Originazione Dipendente possono essere quindi
ordinati in tre classi di fenomeni:

1- i pensieri e le emozioni negative

2- l’azione karmica e i suoi segni

3- il suo effetto: la sofferenza.

Nessuno desidera la sofferenza, che è però una conseguenza o un
effetto dell’ignoranza.

Per Buddha la sofferenza non è un effetto della coscienza, poiché se
così fosse, il processo liberatorio, o di purificazione,
necessiterebbe la fine del continuum della coscienza.

La morale che si può trarre da tale insegnamento è che la sofferenza,
che ha le sue radici in emozioni e pensieri negativi, può essere
eliminata.

Lo stato di ignoranza mentale può essere distrutto sviluppando un
intuito che comprenda la natura della realtà.

Il principio di originazione dipendente mostra quindi come i Dodici
Anelli nella catena dell’Originazione dipendente, che determinano
l’entrata di un individuo nel ciclo dell’esistenza, siano
interconnessi.

Se applicassimo tale interconnessione alla nostra percezione della
realtà nel suo insieme, potremmo sviluppare un intuito strepitoso;
saremmo in grado di apprezzare la natura interdipendente dei nostri
interessi e di quelli altrui: per esempio, come il benessere degli
esseri umani dipenda dal benessere degli animali che vivono sullo
stesso pianeta.

Inoltre, se sviluppassimo una simile comprensione della natura della
realtà, saremmo in grado di apprezzare l’interconnessione esistente
fra il benessere degli esseri umani e quello dell’ambiente e, ancora,
potremmo esaminare il presente, il futuro e via dicendo.

A quel punto saremmo in grado di sviluppare una concezione olistica, e
non priva di significative implicazioni, della realtà.

Riassumendo, possiamo affermare che la felicità dell’individuo è
legata a svariati fattori e che per afferrarla è necessario tenere
presente ogni elemento collegato alla propria vita.

Fino a questo momento ho parlato del principio dell’originazione
dipendente dalla prospettiva del primo livello di comprensione, in
quanto le scritture buddhiste ne enfatizzano l’importanza.

Anche in uno dei testi del Mahayana, il Compendio delle azioni, nel
quale Shantideva si ispira spesso ai sutras di Buddha, viene
sottolineata la necessità di comprendere l’interconnessione che lega
ogni avvenimento e fenomeno: come, a causa del processo causale e
condizionale, si sviluppa ogni fenomeno e avvenimento; quanto sia
importante rispettare tale realtà convenzionale, poiché è proprio a
quel livello che possiamo capire come determinate esperienze conducano
a determinate sgradite conseguenze e come particolari cause, la
concomitanza di certe cause e condizioni possano condurre a
conseguenze positive e auspicabili; e, infine, come determinati
avvenimenti possano influenzare direttamente il nostro benessere.

A causa di questo genere di rapporto è fondamentale per ogni buddhista
comprendere innanzitutto il punto di vista del primo livello, oltre il
quale sarà necessario interrogarsi sulla natura ultima delle cose fra
loro interconnesse.

Da ciò si giunge all’insegnamento del Buddha sul Vuoto.

Riferendosi ai Dodici Anelli dell’Originazione Dipendente, il Buddha
afferma che, sebbene gli esseri umani non desiderino la sofferenza e
l’insoddisfazione, per colpa dell’ignoranza accumulano azioni karmiche
che generano conseguenze sgradite.

È quindi fondamentale scoprire qual è la natura di tale ignoranza e
qual è il meccanismo che spinge una persona ad agire contro ciò che
desidera.

Buddha chiama in causa le emozioni e i pensieri afflittivi, quali
l’ira, l’odio e l’attaccamento, che offuscano la facoltà di
comprensione della realtà da parte dell’individuo.

Se esaminassimo lo stato mentale di un individuo nel momento in cui è
in preda a intense emozioni negative, scopriremmo che c’è un momento
in cui l’uomo ha una nozione errata di se stesso: il “sé” viene
infatti percepito come entità indipendente.

In realtà non è completamente indipendente dal corpo o dalla mente, ma
non deve neppure essere identificato con il corpo o la mente; esiste
tuttavia qualcosa che viene in qualche modo identificato come il
nucleo dell’essere, del “sé”, al quale si tende ad aggrapparsi.

Per questo, noi tutti sperimentiamo forti emozioni, attaccamento nei
confronti delle persone amate e collera o odio nei riguardi di un
altro essere che riteniamo pericoloso.

Allo stesso modo, se esaminassimo la nostra effettiva percezione
dell’oggetto di desiderio o di rabbia, noteremmo che tendiamo a dare
per scontata l’esistenza di un’entità indipendente, qualcosa che vale
la pena desiderare o odiare.

Al di là della sottile prospettiva della dottrina del Vuoto, anche
nella vita di tutti i giorni scopriamo spesso una disparità fra come
noi percepiamo le cose e come queste ultime sono in realtà.

Se così non fosse, la sensazione di essere ingannati non avrebbe senso.

Spesso ci sentiamo delusi a causa della nostra percezione errata della
realtà. Una volta dissipata l’illusione, ci rendiamo conto di essere
stati ingannati.

Così, nella vita di tutti i giorni, ci troviamo spesso a constatare
come l’apparenza delle cose non corrisponda alla realtà della
situazione.

Anche dalla prospettiva della natura transitoria dei fenomeni si
evidenzia spesso una disparità fra il modo in cui percepiamo le cose e
come queste ultime sono in realtà.

Quando incontriamo nuovamente un amico dopo qualche giorno, o
rivediamo un oggetto, siamo convinti di trovarci davanti alla stessa
entità. In realtà ciò che noi percepiamo ha già subito delle
trasformazioni. L’oggetto, o l’entità, che abbiamo davanti è dinamico,
transitorio, momentaneo, non può perciò essere uguale a quello che
abbiamo percepito uno o due giorni prima.

Ma poiché noi tendiamo a fondere il concetto di tale oggetto e
l’oggetto effettivo, abbiamo l’impressione di percepire un’entità
immutata.

Si evidenzia quindi nuovamente una disparità fra il modo in cui le
cose ci appaiono e ciò che in realtà sono.

Allo stesso modo, se assumessimo la prospettiva della fisica moderna,
scopriremmo che esiste una disparità fra il punto di vista comune
della realtà e il modo in cui gli scienziati spiegano la natura di
tale realtà.

Da quanto affermato risulta chiaro che, nella nostra identificazione
di un essere umano come “sé”, persona o individuo, c’è un errore.

L’importante è capire dove sbagliamo.

Condividi:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *