Interdipendenza, coerenza e natura della realtà 2f

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Interdipendenza, coerenza e natura della realtà 2f

del Dalai Lama

– Seconda parte e fine –

Non possiamo accettare il fatto che il “sé” come entità autonoma non
esista del tutto, perché se così fosse molti dei nostri progetti e
azioni non avrebbero senso.

Poiché il “sé” esiste, il nostro interesse nei riguardi del benessere
altrui diventa fondamentale, poiché ci sarà qualcuno o qualcosa che
soffrirà o trarrà beneficio dal nostro atteggiamento o dalle nostre
azioni.

Il problema è comprendere fino a che punto è errata, o corretta, la
nostra nozione di “sé”, il nostro senso di identità, la nostra
comprensione dell’individuo.

Tracciare una linea di demarcazione fra la visione corretta e quella
errata del “sé” e dell’individuo è estremamente difficile, ed è
proprio per questa difficoltà che in India sono emerse diverse scuole
di pensiero buddhista. Alcune di esse accettano esclusivamente la
“mancanza di identità” delle persone, ma non di avvenimenti o fenomeni
esterni; altre correnti accettano non solo la “mancanza di identità”
delle persone, ma dell’intera esistenza.

La distinzione è considerata di particolare importanza, poiché è
fondamentale per il nostro tentativo di liberarci dalla sofferenza e
dalle relative cause.

Quanto detto risponde in parte alla domanda: se il buddhismo accetta
la dottrina del “nonsé”, qual è l’entità soggetta a rinascita?

La dottrina del nonsé, comune a tutte le scuole di pensiero buddhista,
è intesa come rifiuto di un essere o di un’anima indipendente e
permanente.

Ma ciò di cui voglio parlare è la concezione di Nagarjuna.
Quest’ultimo, nella sua opera filosofica The Fundarnental Treatise on
the Middle Way (Il trattato fondamentale sulla strada intermedia),
afferma che è l’ignoranza, o l’interpretazione errata della natura
della realtà, a essere alla base della sofferenza umana.

Per liberarci dalla sofferenza dobbiamo sconfiggere l’ignoranza, la
concezione errata della nozione della realtà, sviluppando la
percezione della natura ultima della realtà.

Nagarjuna identifica due tipi di ignoranza: una è l’afferrarsi a una
realtà implicita o intrinseca del proprio essere; l’altra è
l’afferrarsi a un’esistenza implicita e indipendente di cose ed eventi
esterni.

Tale aggrapparsi al proprio “sé” deriva dall’afferrarsi ai nostri
aggregati: il corpo, la mente e le funzioni mentali.

Secondo Nagarjuna dobbiamo sconfiggere l’ignoranza, dobbiamo vedere
oltre la nostra concezione erronea e per farlo dobbiamo allontanarci
da quell’afferrarsi al proprio sé e renderci conto di quanto errata e
distruttiva sia una simile azione.

Soltanto andando oltre l’illusione di tale concezione e generando un
intuito che contraddica il modo in cui, attraverso l’ignoranza, noi
percepiamo normalmente la realtà riusciremo a eliminare l’ignoranza.

Come possiamo superare l’illusione di questa falsa nozione di sé?

Come possiamo sviluppare quell’intuito che contraddica tale forma di percezione?

Nagarjuna afferma che se il “sé”, l’ io” o la persona, esiste come noi
abitualmente riteniamo che esista, se esiste come noi erroneamente lo
vediamo, allora più lo cerchiamo, più ne cerchiamo l’essenza, e più
dovrebbe diventare chiaro.

Ma così non è.

Se cercassimo il “sé”, o la persona, come lo percepiamo abitualmente,
allora scomparirebbe, si disintegrerebbe, dimostrando quindi che tale
nozione di sé era un’illusione fin dall’inizio.

A causa di questa affermazione, uno degli studenti di Nagarjuna,
Aryadeva, nel suo Four Hundred Verses on the Middle Way (Quattrocento
versi sulla strada intermedia) sostiene che è la nostra concezione, o
coscienza ignorante, a essere l’origine del samsara (esistenza
ciclica) e che le cose e gli avvenimenti sono gli oggetti di
apprensione.

È soltanto superando l’illusione di tale concezione che potremo porre
fine al processo dell’esistenza.

Nagarjuna rifiuta la validità della nostra nozione di sé e nega
l’esistenza del sé o della persona come noi erroneamente la
percepiamo. Afferma che se il sé, o la persona, è uguale al corpo,
allora così come il corpo è transitorio e in continuo mutamento, il
sé, o la persona, dovrebbe essere soggetto alla stessa legge. Quando
cessa la vita del corpo, se il sé è identico al corpo, cessa anche il
suo continuum.

D’altro canto, se il “sé” fosse completamente indipendente dal corpo,
che senso avrebbe dire, quando una persona é fisicamente malata, che
la persona è malata?

Perciò, al di là delle interrelazioni fra i diversi fattori che
formano il nostro essere, non esiste “sé” indipendente.

Se estendiamo la stessa analisi alla realtà esterna, scopriamo che
ogni oggetto possiede parti direzionali, alcune delle quali rivolte
verso direzioni diverse.

Poiché sappiamo che un’entità é composta da parti e che esiste una
sorta di connessione fra il tutto e le sue parti, possiamo affermare
che, al di là dell’interrelazione fra le diverse parti e l’idea della
totalità, non esiste entità indipendente al di fuori di tale
interfaccia.

Possiamo applicare la stessa analisi alla coscienza o ai fenomeni mentali.

L’unica differenza é che le caratteristiche della coscienza o dei
fenomeni mentali non sono materiali o fisiche.

Comunque sia, possiamo osservare quanto detto in relazione ai vari
istanti o momenti che formano un continuum.

Ma se non troviamo l’essenza dietro l’etichetta, o se non troviamo il
referente dietro il termine, significa forse che non esiste niente?

È forse quest’assenza di fenomeni il vero significato della dottrina del Vuoto?

Nagarjuna previene la critica dei realisti, i quali sostengono che, se
i fenomeni non esistono come noi li percepiamo, se non é possibile
trovare la loro essenza, allora non esistono.

Perciò, una persona o un sé non esistono. E se non esiste una persona,
allora non ci sono né azione né karma, poiché l’idea stessa di karma
sottintende un essere coinvolto in un’azione; e se non esiste il karma
allora non può esserci sofferenza perché non c’è chi la sperimenta e
quindi non c’è causa.

E se così è, non esiste possibilità di liberarsi dalla sofferenza
perché non c’è niente da cui liberarsi e, inoltre, non esiste una via
che conduca a tale libertà e non può nemmeno esistere una comunità
spirituale o sangha che intraprenda il cammino verso la liberazione.

Se questa é la verità, allora non è possibile che esista un essere
perfetto o Buddha.

Insomma, i realisti affermano che se la tesi di Nagarjuna é esatta, se
non è possibile scoprire l’essenza delle cose, allora niente esiste,
samsara e nirvana compresi.

Nagarjuna risponde sostenendo che una simile critica indica una
mancata comprensione del significato della dottrina del Vuoto, che non
implica la nonesistenza delle cose.

Inoltre, la dottrina del Vuoto non è semplicemente la tesi secondo la
quale le cose non possono essere trovate se cercate per la loro
essenza. Il significato di tale dottrina è la natura interdipendente
della realtà.

Nagarjuna sostiene inoltre che il vero significato della dottrina del
Vuoto emerge dalla comprensione del principio dell’originazione
dipendente: poiché i fenomeni risultano da connessioni interdipendenti
di cause e condizioni, sono vuoti. Sono cioè privi di uno status
intrinseco e indipendente.

In altre parole, quando comprendiamo l’originazione dipendente, ci
rendiamo conto che non solo l’esistenza dei fenomeni, ma anche la loro
identità dipende da altri fattori.

L’originazione dipendente può quindi eliminare gli estremi
dell’assolutismo e del nichilismo, poiché l’idea di “dipendenza”
indica una forma di esistenza alla quale mancano status indipendenti o
assoluti, liberando così l’individuo dagli estremi dell’assolutismo.

Inoltre, l’originazione dipendente libera l’individuo anche dagli
estremi del nichilismo, poiché l’originazione indica una comprensione
dell’esistenza del fatto che le cose esistono.

Ho già affermato che l’introvabilità dei fenomeni o delle entità,
quando cerchiamo la loro essenza, non costituisce il pieno significato
della dottrina del Vuoto, ma indica come ai fenomeni manchi una realtà
intrinseca, un’esistenza indipendente e implicita. La loro esistenza,
e quindi la loro identità, deriva da una semplice interazione di
diversi fattori.

Buddhapalita, discepolo di Nagarjuna, afferma che, poiché i fenomeni
avvengono a causa dell’interazione di svariati fattori, la loro
esistenza, e la loro identità, deriva da altri fattori. Diversamente,
se avessero un’esistenza indipendente, se possedessero una realtà
intrinseca, allora non avrebbero bisogno di dipendere da altri
fattori.

Il fatto che dipendano da altri fattori indica che sono privi di
status indipendente o assoluto.

È quindi possibile comprendere pienamente la dottrina del Vuoto solo
afferrando la sottigliezza del principio dell’originazione dipendente.

Nagarjuna afferma che se il principio o la dottrina del Vuoto non é
valida, se i fenomeni non sono privi di un’esistenza indipendente e
implicita e di una realtà intrinseca, allora sono assoluti; in tale
caso il principio dell’originazione dipendente e quello
interdipendente non potrebbero agire.

Se così fosse, i principi causali non potrebbero agire e anche la
percezione olistica della realtà diventerebbe una nozione errata.

A quel punto, il concetto delle Quattro Sante Verità sarebbe
insostenibile, poiché non ci sarebbe alcun principio causale in azione
e si giungerebbe quindi a negare gli insegnamenti del Buddha.

Ciò che fa Nagarjuna è rovesciare le critiche mosse nei confronti
delle sue tesi, affermando che nella posizione realista tutti gli
insegnamenti del Buddha dovrebbero essere negati. Riassume le sue
convinzioni sostenendo che nessun credo che neghi la dottrina del
Vuoto può spiegare qualcosa coerentemente, mentre qualsiasi fede che
accetta il principio dell’originazione dipendente, e quindi la
dottrina del Vuoto, può fornire una spiegazione coerente della realtà.

Ci troviamo quindi davanti a un’interessante correlazione
complementare fra i due livelli di comprensione dell’originazione
dipendente di cui ho parlato in precedenza. Il punto di vista del
primo livello spiega buona parte della nostra esperienza ed esistenza
quotidiana, dove le cause e le condizioni interagiscono e un principio
causale é in azione.

Il buddhismo definisce tale visione dell’originazione dipendente come
“visione corretta a livello terreno”. Più apprezzeremo tale visione e
più saremo vicini alla comprensione del livello più profondo
dell’originazione dipendente, poiché la nostra comprensione del
meccanismo causale a tale livello viene utilizzata per raggiungere una
comprensione della natura vuota di tutti i fenomeni.

Allo stesso modo, quando la nostra comprensione della natura vuota di
tutti i fenomeni sarà ben radicata, la nostra convinzione
sull’efficacia delle cause e degli effetti ne uscirà rafforzata e
proveremo maggiore rispetto perla realtà convenzionale e il mondo
relativo.

Man mano che la nostra comprensione della natura ultima della realtà e
della dottrina del Vuoto diventerà più profonda, svilupperemo una
visione della realtà per la quale giungeremo a percepire i fenomeni
come illusori e le nostre interazioni con la realtà saranno permeate
da tale percezione.

Conseguentemente, quando ci troveremo coinvolti in situazioni che
provocheranno in noi un sentimento di compassione, invece di staccarci
dall’oggetto di compassione, ci sentiremo coinvolti più profondamente.
Questo perché la compassione sfocia da una giusta disposizione mentale
e perché avremo sviluppato una più profonda comprensione della natura
della realtà.

Al contrario, quando ci troveremo in situazioni che normalmente
farebbero insorgere in noi emozioni e reazioni negative, riusciremo a
mantenere un certo distacco e non cadremo preda di simili emozioni e
reazioni negative.

Alla base di sentimenti negativi, quali l’odio, l’ira e il desiderio é
infatti presente un’errata nozione di realtà, che considera la
comprensione delle cose come assoluta, indipendente e unitaria.

Giungendo a una giusta comprensione della dottrina del Vuoto, la presa
di simili emozioni sulla nostra mente si allenterà.

Come ho già affermato in precedenza, il nostro concetto di tempo
presume l’esistenza di una sorta di entità indipendente chiamata
‘tempo’ presente, passato o futuro. Ma esaminando tale entità più
approfonditamente, scopriamo che si tratta di una semplice
convenzione.

Al di là dell’interfaccia fra i tre tempi (presente, futuro e
passato), non c’è traccia di un momento presente esistente in modo
indipendente, perciò generiamo una sorta di visione dinamica della
realtà.

Allo stesso modo, quando penso a me stesso, sebbene inizialmente possa
avere dato per scontata l’esistenza di un “sé” indipendente,
osservando più attentamente scopro che, a esclusione dell’interfaccia
di diversi fattori che costituiscono il mio essere e di diversi
momenti del continuum che formano il mio essere, non c’è traccia di
un’entità indipendente e assoluta.

Poiché è questo “sé” convenzionale che procede per raggiungere la
liberazione o trasformarsi infine in Buddha, persino Buddha non é
assoluto.

Lo stesso discorso vale per l’idea di Chiaroveggenza, che costituisce
il livello di coscienza più sottile.

Come già affermato, non bisogna pensare a tale idea come a un’entità
esistente indipendentemente. A esclusione del continuum di coscienza
che forma tale fenomeno denominato Chiaroveggenza, non é possibile
parlare di un’entità assoluta esistente in forma indipendente.

Similmente, scopriremo che molti dei nostri concetti indicano una
profonda e complessa interconnessione. Per esempio, quando parliamo di
noi stessi intesi come soggetti, la nostra affermazione ha senso solo
se in relazione a un oggetto (l’idea di un soggetto ha senso solo in
relazione a un oggetto).

Allo stesso modo, l’idea di un’azione ha senso in relazione a un
essere, a qualcuno che compie tale azione.

Se analizzassimo altri concetti simili, scopriremmo che non possiamo
separare l’entità o il fenomeno dal suo contesto.

E ancora, se andassimo al di là della concezione che le cose sono
semplici etichette e ci chiedessimo a chi appartengono i pensieri
concettuali che creano tali etichette, sia che si tratti della
concezione del passato o di quella del futuro, sia che si tratti della
concezione di un essere particolare odi una collettività, non
troveremmo un’esistenza indipendente.

Persnino il Vuoto, considerato la natura ultima della realtà, non è
assoluto e non esiste indipendentemente. Non possiamo concepire il
Vuoto come indipendente da una serie di fenomeni, perché osservando la
natura della realtà scopriamo che è priva di esistenza intrinseca.

Se considerassimo tale Vuoto come un oggetto e cercassimo la sua
essenza o status di esistenza, scopriremmo ancora una volta che é
privo di esistenza intrinseca.

Perciò Buddha ha insegnato il Vuoto del Vuoto.

Comunque, quando siamo alla ricerca della vera essenza di un fenomeno
o di un evento, ciò che troviamo è tale Vuoto.

Ciò non significa che il Vuoto in se stesso sia assoluto, poiché il
Vuoto come concetto o come entità non può sopportare una tale analisi.

Se considerassimo il Vuoto come un oggetto e lo esaminassimo, non lo troveremmo.

Ciononostante, in alcune scritture sono presenti riferimenti al Vuoto
inteso come ultima verità.

In questo caso è importante capire il significato del termine “ultimo”.

Non bisogna intendere il Vuoto come essere assoluto, bensì come un
oggetto della comprensione che è penetrata nella natura della realtà.

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