Intervista a Dean Radin. Bio-intreccio, ci sono novità all’orizzonte sulle interazioni mente materia

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Intervista a Dean Radin. Bio-intreccio, ci sono novità all’orizzonte sulle interazioni mente materia

A cura di Cate Montana

Il Fisico Dean Radin autore di un libro di grande successo negli USA– Entanglend minds (Menti
intrecciate, ndt) – ci spiega, nella seguente intervista, il fenomeno dell’entanglement e di come si
stia rendendo possibile dimostrare che tale fenomeno si applichi anche ai sistemi viventi.

Di seguito, alla mente, e ai suoi poteri; da quello di proiettare a quello di prevedere… Afferma
l’intervistato: «Capire improvvisamente che le cose apparentemente separate a un certo livello non
lo sono più, è uno shok, può dare le vertigini. Le cose sono connesse in senso concreto, non solo
astratto». Siete pronti a farvi shokkare? Intanto godetevi la prima parte dell’intreccio, appunto.
Per la seconda resistete fino al n°20.

WTB (What the Bleep): Per chi non conoscesse il fenomeno dell’entanglement quantico (l’intreccio
quantico, ndt), potresti per favore riassumere ciò che hai scritto nel tuo libro Entangled Minds sui
rapporti tra l’intreccio quantico e gli effetti psi (fenomeni paranormali)?

Dean Radin: L’intreccio era stato previsto dalla matematica della teoria quantica. La teoria
quantica considera la materia non solo sotto forma di particelle, ma anche sotto forma dì onde di
probabilità. La cosa interessante riguardo un’onda è che può combinarsi e interagire con altre onde.
In base a questa idea, due particelle interagenti possono essere viste, in termini di onda, come una
nuova e più complessa onda. Non due onde, ma una sola onda, che d’ora in poi considereremo un
sistema a parte. Per cui, è possibile ritenere che due particelle interagenti non siano più
separate. Questa idea non piaceva a Einstein, che la chiamava «un’azione spettrale a distanza». Ma
la matematica prevede che se hai una particella che si divide in due, o due particelle che
interagiscono, quando esse si separano, non sono davvero separate. Ognuna trasporta determinati
aspetti dell’altra. Per circa trenta, quaranta anni, questo intreccio è rimasto una possibilità
teorica. Poi negli anni Sessanta è stato sviluppato un modo per verificarne l’attendibilità, e negli
anni Ottanta si è avuta la prima conferma importante. Il metodo si basava su un teorema del fisico
irlandese John Bell.

Quindi, ora sappiamo non solo per supposizioni teoriche, ma per evidenza empirica, che le particelle
apparentemente separate in effetti possono essere collegate attraverso lo spazio e il tempo in modi
“spettrali”. La cosa importante è che questa non è solo un’idea teorica interessante, ma un fatto
osservabile che riguarda la trama della realtà. E le conoscenze su questi intrecci aumentano a ritmi
sempre più veloci. Da quando ho scritto il mio libro a oggi, sono state pubblicate una mezza dozzina
di nuove scoperte sulla natura dell’entanglement. Quando stavo scrivendo i capitoli sulla Fisica
dell’ entanglement, avveniva una nuova scoperta al mese. E questo trend continua senza dare segni di
sosta. Quello che chiedo nel mio libro è che dall’intreccio, che oggi nei laboratori di Fisica viene
considerato per lo più al livello delle particelle elementari, si passi a parlare di
bio-entanglement (bio-intreccio ndt), o intreccio dei sistemi viventi. Sono state avanzate ogni
genere di argomentazioni per dimostrare l’impossibilità del bio-intreccio. Ma i fatti stanno
cominciando a contraddire quelle argomentazioni, come avevo previsto in Entangled Minds. La mia
opinione è che il bio-intreccio esista e che la gente continuerà a trovare modi sempre più ingegnosi
per dimostrarne l’esistenza. Una volta accettato il bio-intreccio, la domanda successiva è: se esso
opera all’interno dei sistemi viventi, noi inclusi, a cosa assomiglierà visto da dentro? Questo è
l’argomento del mio libro.

Tu parli di nuovi studi sul bio-entanglement. Qual è uno studio corrente che ti ha molto
impressionato?

Uno studio dell’Università di Milano in cui sono stati sviluppati neuroni, ovvero cellule del
cervello umano, su una piastra per colture cellulari. Poi una parte di quel gruppo di cellule è
stata fatta crescere su un’altra piastra. L’idea era che se quei neuroni, venendo dalla stessa
sorgente, erano davvero connessi (anche se apparentemente si trovavano su piastre diverse),
stimolando gli uni avresti dovuto osservare una reazione negli altri. Questo è ciò che i ricercatori
hanno fatto. I neuroni sono stati fatti crescere su una piastra che aveva contatti elettrici sotto
di sé, in modo che se i neuroni cominciavano a eccitarsi, si poteva misurarne l’attività. Essi sono
stati stimolati tramite un laser. Si è usato un laser perché determinate frequenze di luce stimolano
i neuroni, e perché è facile fare in modo che la luce del laser non influenzi i neuroni della
piastra non stimolata. La piastra non stimolata è stata messa in un contenitore a prova di luce
lontana dalla piastra stimolata. Ci si è assicurati che nemmeno un singolo fotone del laser potesse
colpire la piastra non stimolata. Quindi è stato stimolato il primo gruppo di neuroni e si è
registrata una notevole reazione nel gruppo non stimolato. Negli ultimi due anni sono stati fatti
molti test simili a questo, usando tecniche sempre più raffinate, e le relazioni che ho letto al
riguardo sembrano convincenti.

Alla fine altre persone cercheranno di replicare questo esperimento, e se avranno successo, avremo
fatto una grande scoperta. Un recente studio su questa ricerca, opera di un ricercatore della Naval
Postgraduate School, è d’accordo con me nel sostenere che questi esperimenti sembrano convincenti, e
se saranno replicati, sono di estrema importanza. Devo ammettere di essere una di quelle persone di
cui parli nel libro, quelle che se non restano impressionate dalle implicazioni in campo psi del
teorema e della disuguaglianza di Bell, vuol dire che non le hanno capite. È possibile semplificare
la spiegazione? Capire tutto ciò è una grande sfida per la mente. Ci sono molti modi per darne una
spiegazione, incluso uno relativamente facile che espongo nel libro. Quando stavo scrivendo quel
capitolo del libro, improvvisamente il teorema di Bell mi è apparso in una luce nuova e per un
attimo ho avuto davvero le vertigini. Lo shock di capire improvvisamente che le cose apparentemente
separate a un certo livello non lo sono più, può dare le vertigini. Le cose sono connesse in senso
concreto, non solo astratto. È una comprensione basata sulla logica del teorema di Bell e su studi
di laboratorio che dimostrano come l’entanglement esista davvero. Le vertigini vengono perché il
senso comune è messo a dura prova. La maggior parte del tempo mi sento separato dagli altri e dalle
loro cose.

Quindi è arduo fare il salto di fede – e in questo caso il salto riguarda la realtà vera e propria –
che da un altro punto di vista io non sono isolato, come i sensi continuano a dirmi. L’altra ragione
per cui è difficile afferrare l’idea dell’intreccio è che non disponiamo delle parole giuste per
concetti così olistici… Il linguaggio si basa prevalentemente sul senso comune, e qui stiamo
parlando di cose più simili al non-senso comune. Il nostro modo di pensare, il modo in cui
esprimiamo e spieghiamo le cose, si basa fondamentalmente sull’assunto dell’isolamento e della
separazione. Invece qui stiamo cercando di descrivere un altro aspetto della realtà, che è
completamente olistico. E poiché non disponiamo ancora del linguaggio adatto per queste idee,
talvolta è difficile fare chiarezza su queste cose. Ogni tanto, anche i fisici vanno in confusione
per questo.

da Scienza e Conoscenza n. 19, in edicola e libreria.

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