Intossicazioni da cibo: come il cervello le ricorda (e perché ci importa)

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Intossicazioni da cibo: come il cervello le ricorda (e perché ci importa)

Come fa un’esperienza negativa a tavola, anche lontana nel tempo, a creare ricordi duraturi nel
cervello? Saperlo è importante per la cura dei traumi.

6 aprile 2025 – Elisabetta Intini

Un boccone di sushi non freschissimo che ci ha fatto stare male può bastare a rovinare per sempre il
nostro rapporto con questo tipo di cibo. Come fa una singola intossicazione alimentare anche non
recentissima a lasciare tracce così indelebili nel cervello? Un gruppo di neuroscienziati
dell’Università di Princeton ha individuato il meccanismo cerebrale che permette di ricordare le
pietanze che ci hanno dato problemi, così da evitarle in futuro.

La ricerca, pubblicata su Nature, riguarda solo apparentemente un argomento “di nicchia”: chiarire
in che modo il cervello formi connessioni tra eventi distanti nel tempo potrebbe infatti informare
la ricerca, e la terapia, delle malattie legate a ricordi traumatici (non solo inerenti al cibo).

A SCOPPIO RITARDATO. Benché le intossicazioni alimentari riguardino un po’ tutti almeno una volta
nella vita, come il loro ricordo si cementi nel cervello è piuttosto misterioso. Questo tipo
esperienza è infatti molto diversa da altre forme di apprendimento del dolore fisico, per via della
distanza temporale tra quando mangiamo qualcosa di tossico e quando iniziamo ad avvertirne i
sintomi.

NON LA VOGLIO PIÙ VEDERE! Gli autori dello studio hanno simulato un’intossicazione alimentare nei
topi offrendo loro qualche sorso di una bevanda artificiale molto dolce al gusto d’uva seguita da
un’iniezione di una sostanza che provocava un temporaneo malessere, con i sintomi tipici di
un’intossicazione. Due giorni dopo, i topi esposti a quella stessa bevanda comprensibilmente la
evitavano, preferendole l’acqua.

IL CENTRO DI APPRENDIMENTO. Christopher Zimmerman, primo autore dello studio, ha osservato che in
ogni fase dell’esperienza dei topi, l’associazione tra bevanda e malessere attivava l’amigdala
centrale, dove risiedono neuroni coinvolti nell’apprendimento delle emozioni e della paura, ma anche
nell’analisi di stimoli ambientali, come sapori e odori. Queste cellule erano attive quando i topi
hanno bevuto e conosciuto il nuovo sapore, lo erano quando si sono sentiti male, e pure quando hanno
ricordato l’evento negativo evitando così di bere di nuovo quel succo.

COLPA DI QUELLO CHE HO MANGIATO! Il gruppo di scienziati ha inoltre ricostruito in che modo il
segnale del malessere viaggi dall’intestino al cervello. Secondo gli autori dello studio, i sapori
nuovi potrebbero indurre certe cellule cerebrali a rimare sensibili ai segnali di eventuali
malesseri per alcune ore dopo il pasto, permettendo così a queste stesse cellule di essere
riattivate nel caso si stia effettivamente male. In questo modo i neuroni riuscirebbero a connettere
la causa del disagio fisico con il suo effetto, nonostante sia passato del tempo da
quell’esperienza.

UN BUON ESEMPIO. «Spesso quando impariamo nel mondo reale, c’è un lungo ritardo tra una scelta che
abbiamo compiuto e il risultato. Ma questo non viene in genere studiato in laboratorio, quindi non
comprendiamo realmente i meccanismi neurali che supportano questo tipo di apprendimento su lunghe
distanze temporali» spiega Zimmerman. La scoperta potrebbe far luce su come si formano i ricordi
nelle persone che hanno sofferto traumi, come quelle ora affette da disturbo da stress
post-traumatico.

dx.doi.org/10.1038/s41586-025-08828-z

da focus.it

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