Introduzione alla Bhagavad-gita “cosí com’è” – 3
di Sua Divina Grazia A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada
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parte 3
…segue
La coscienza è la percezione che si ha di sè stessi. “Io sono” pensiamo. Ma “che cosa sono?”. Questa
percezione di noi stessi varia secondo la nostra purezza. Sotto l’influsso della materia ci crediamo
i creatori e i proprietari di tutto quello che ci è intorno, o anche i beneficiari legittimi di
tutti i piaceri del mondo. Naturalmente si tratta di una concezione errata, che sta all’origine
dell’universo materiale. Questi sono i due aspetti della coscienza materiale: “Io sono il creatore e
il maestro” e “Io sono il padrone e il beneficiario di tutto”. In realtà è soltanto il Signore
Supremo a godere di questi “titoli”.
L’essere individuale è solo un frammento del Signore, creato per contribuire alla Sua gioia. Il
pezzo di un ingranaggio collabora al buon funzionamento di un meccanismo e un organo vitale coopera
al buon andamento del corpo intero, ma nè il pezzo dell’ingranaggio nè l’organo vitale possono
godere in modo autonomo. Così l’essere individuale ha preciso compito di essere unito al Signore in
uno spirito di “cooperazione”. Le mani portano il cibo alla bocca, i denti lo masticano, le gambe
trasportano il corpo e tutti agiscono per soddisfare lo stomaco, la “centrale d’energia” da cui
dipende l’organismo intero. Nessuna parte può godere indipendentemente. Si nutre un albero
annaffiando le radici, non i rami, e si nutre il corpo alimentando lo stomaco. Questo rapporto
esiste anche tra il Signore, creatore e beneficiario di tutto ciò che esiste, e gli esseri viventi,
Sue creature subordinate. Essendo parti del Tutto, parti di Dio, la Persona Suprema, gli esseri
devono contribuire alla Sua gioia; soltanto così troveranno la felicità, come le parti del corpo
soddisfano le loro esigenze solo attraverso lo stomaco. Ogni tentativo d’indipendenza può causare
solo delusione e frustrazione, come le dita della mano tentassero di gustare da sole il cibo invece
di darlo allo stomaco. L’essere vivente deve collaborare col Signore, creatore e beneficiario
supremo, se vuole conoscere la vera soddisfazione. Il rapporto che lega gli esseri individuali al
Signore è simile a quello che unisce il servitore al suo maestro perchè, come servitore, l’essere
vivente è felice quando ha soddisfatto il suo maestro, Dio. Dobbiamo dunque sforzarci di soddisfare
il Signore nonostante la nostra tendenza a sfruttare l’universo materiale indipendentemente da Lui e
a crederci creatori e maestri, tendenza che esiste in noi perchè in origine esiste in Dio, il vero
creatore dell’universo.
Il controllore supremo, gli esseri che Egli domina, la manifestazione cosmica, il tempo eterno e il
karma (l’azione) costituiscono dunque il Grande Tutto, completo in Sè stesso, detto Verità Suprema e
Assoluta, e descritto nella Bhagavad-gita. Sri Krishna è questo Tutto perfetto, questa Verità
Assoluta. Egli è Dio, la Persona Suprema, e ciò che esiste è la manifestazione delle Sue energie.
La Bhagavad-gita spiega che anche il Brahman impersonale è subordinato alla Persona Suprema
(brahmano hi pratisthaham). Il Brahma-sutra lo paragona ai raggi del sole perchè il Brahman è
costituito dalla luce irradiante della Persona Suprema. Conoscere il Brahman è dunque solo una
tappa, incompleta in sè stessa, sulla via della realizzazione della Verità Assoluta. Lo stesso si
può dire per la conoscenza del Paramatma, descritto nel quindicesimo capitolo di quest’opera, dove
si afferma inoltre che la realizzazione di purusottama, di Bhagavan, Dio la Persona Suprema, è
superiore a quella del Brahman impersonale e del Paramatma. La Persona Suprema è
sac-cid-ananda-vigraha, come spiegano le prime parole della Brahma-samhita:
isvarah paramah Krishnah sac-cid-ananda-vigrahah
andir adir govindah sarva-karana-karanam
“Krishna, Govinda, è la causa di tutte le cause. Egli è la causa originale e la forma stessa
dell’esistenza eterna, tutta di conoscenza e felicità.” Col Brahman impersonale si realizza la Sua
eternità (sat) e col Paramatma la Sua conoscenza eterna (sat-cit), ma con la coscienza di Krishna,
della Persona Suprema, si percepiscono contemporaneamente tutti i Suoi attributi trascendentali,
sat, cit e ananda (la felicità) nella loro forma perfetta (vigraha).
Credere che la Verità Assoluta sia impersonale significa averNe una comprensione limitata, perchè
Dio è senza dubbio una persona, la Persona Suprema e Assoluta, come confermano tutte le Scritture
vedich (nityo nityanam cetanas cetananam). Ciascuno di noi è un individuo dotato di una personalità
propria, così anche la Verità Assoluta è una persona, ed è questa la più alta realizzazione che si
possa raggiungere della Verità perchè include tutti i Suoi aspetti. Il tutto perfetto non può essere
privo di forma, altrimenti sarebbe incompleto, e quindi inferiore alle Sue creazioni. Per essere
veramente il Tutto, Esso deve includere sia ciò che è nella nostra esperienza sia ciò che la supera.
La Bhagavad-gita descrive inoltre come Krishna, Dio, agisce attraverso le Sue numerose e immense
potenze. Il mondo fenomenico, in cui viviamo, è un tutto completo in sè stesso. Secondo la filosofia
sankhya, i ventiquattro elementi di cui l’universo è una manifestazione transitoria sono combinati
in modo da produrre tutte le risorse indispensabili al suo mantenimento e alla sua sussistenza. Non
manca niente e niente è di troppo. Il cosmo si manifesta per un certo periodo di tempo, determinato
dal’energia del Tutto supremo, poi è distrutto sempre secondo il Suo piano perfetto. Gli esseri
individuali, infinitesimali unità del Tutto completo, sono anch’essi completi e hanno tutte le
possibilità di conoscere l’Assoluto, il Tutto perfetto. Se sentono una qualunque mancanza, essa non
può derivare che da una conoscenza imperfetta del Tutto perfetto; ma la Bhagavad-gita, che racchiude
l’essenza del sapere vedico, permette di colmare queste lacune.
La conoscenza vedica è completa e infallibile, e in India tutti la riconoscono come tale. Per
esempio, la smriti, o norma vedica, ingiunge a chiunque tocchi degli escrementi di purificarsi
subito con un bagno, ma queste stesse Scritture considerano lo sterco di mucca un purificatore molto
efficace. Noi accettiamo queste due affermazioni, apparentemente contradditorie, perchè provengono
entrambe dagli Scritti vedici, e così facendo siamo sicuri di non commettere alcun errore. A
conferma di questa certezza la scienza moderna ha scoperto che lo sterco di mucca possiede proprietà
antisettiche. La conoscenza vedica, di cui la Bhagavad-gita è l’essenza, è perfetta perchè trascende
l’errore e il dubbio; non è il frutto di una semplice ricerca empirica, sempre imperfetta perchè
basata sull’esperienza di sensi imperfetti. Fin dall’origine perfetta, la conoscenza vedica fu
trasmessa -come insegna la Bhagavad-gita- da una successione di maestri spirituali autentici
(parampara), da maestro autorrizzato, cominciando dal maestro originale, il Signore stesso. E in
questo modo noi dobbiamo riceverla, come fece Arjuna che accolse nella sua integrità l’insegnamento
di Sri Krishna. Non si può infatti accettare una parte della Bhagavad-gita e rifiutarne un’altra; si
deve riceverne il messaggio senza interpretarlo, senza togliere o aggiungere niente. Dobbiamo
avvicinarci a questo testo sacro come all’espressione più perfetta della conoscenza vedica, perchè
Dio stesso, l’Essere Assoluto, è all’origine di questa conoscenza e le prime parole fu Lui stesso a
pronunciarle.
Le parole del Signore sono dette apauruseya, cioè sono differenti da quelle degli uomini che, sotto
l’influsso della materia, hanno quattro principali difetti che li rendono incapaci di formulare una
conoscenza perfetta e completa:1) sono limitati da sensi imperfetti, 2) sono soggetti all’illusione,
3) sono soggetti all’errore, 4) hanno la tendenza a ingannare gli altri. La conoscenza vedica, che
proviene dal Signore, è trasmessa da esseri anche loro perfetti. All’inizio Brahma, la prima
creatura, la ricevette nel cuore dal Signore stesso, poi la distribuì ai suoi figli e discepoli,
sempre mantenendo la purezza originale del messaggio, senza cambiarne il contenuto.
Essendo purna, “infinitamente perfetto”, il Signore non può cadere sotto le leggi della natura
materiale, perciò dobbiamo capire che Egli è il creatore originale e l’unico proprietario di tutto
ciò che esiste in questo universo. Nell’undicesimo capitolo della Bhagavad-gita, il Signore è
chiamato prapitamaha, creatore di Brahma, detto anche pitamaha, “l’antenato”. Nessuno ha dunque il
diritto di considerarsi proprietario di qualcosa; bisogna soltanto accettare con gratitudine la
parte che ci è assegnata dal Signore per far fronte alle nostre esigenze e usarla nel modo giusto,
così come c’insegna la Bhgavad-gita. Prima della battaglia, Arjuna aveva deciso di non combattere
perchè diceva che sarebbe stato incapace di godere di un regno conquistato uccidendo la sua
famiglia. Ma questa decisione si basa su una visione materiale della vita, infatti, identificandosi
col corpo, Arjuna dà troppa importanza ai vincoli del sangue e crede veramente che i combattenti
siano fratelli, nipoti, cognati e nonni; pura immaginazione, che nasce dal desiderio di soddisfare
le esigenze del corpo.
Per aiutarlo a correggere la sua visione materialistica, il Signore espone ad Arjuna la scienza
della Bhagavad-gita, così, alla fine, Arjuna decide di combattere seguendo le istruzioni del Signore
e dice: karisye vacanam tava, “Agirò secondo il Tuo desiderio.”
L’uomo non è fatto per lavorare come una bestia da soma. L’intelligenza deve servirgli soprattutto a
capire l’importanza della vita umana e rifiutare di agire come un animale qualsiasi. Il suo primo
dovere è quello di capire il vero significato della vita per raggiungere poi lo scopo con l’aiuto
delle Scritture vediche e della Bhagavad-gita in particolare. Queste Scritture sono destinate agli
uomini, non alle bestie. Quando un animale uccide un altro animale non commette alcun peccato, ma se
un uomo uccide un animale per ingordigia è responsabile per aver violato le leggi della natura. La
Bhagavad-gita spiega infatti che ciascuno agisce o si nutre in modo differente, secondo gli influssi
che subisce dalla natura, e descrive le azioni -e gli alimenti- che sono sotto il controllo della
virtù, della passione e dell’ignoranza. L’uomo che sa trarre profitto dagli insegnamenti vedici
purificherà la sua vita e potrà sperare di raggiungere la mèta ultima, situata ben oltre l’universo
materiale dove tutto è effimero, in un luogo detto sanatana-dharma, il regno spirituale. La legge
dell’universo materiale vuole che tutto nasca, sussista per qualche tempo, si riproduca, deperisca,
poi scompaia. E tutti i corpi -umani, animali e vegetali- obbediscano a questa legge. Ma al di là si
trova il mondo spirituale, di natura diversa, eterna (sanatana) e immutabile. Anche il Signore,
nell’undicesimo capitolo della Bhagavad-gita, è detto sanatana, come lo sono pure i jiva.
Un intimo legame unisce il Signore agli esseri viventi e lo scopo della Bhagavad–gita è quello di
ristabilirlo una volta perduto, affinchè gli esseri ritrovino la loro funzione eterna, il
sanatana-dharma. Se invece d’immergerci nelle occupazioni temporanee del mondo effimero seguiamo i
consigli del Signore Supremo potremo ritrovare un’esistenza pura, conforme alla nostra natura
spirituale. Il Signore, la Sua dimora assoluta e gli esseri viventi sono tutti sanatana, è il
ritorno dell’essere individuale al Signore, in questa dimora, rappresenta la perfezione della vita
umana.
continua…
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