Introduzione alla Bhagavad-gita “cosí com’è” – 4

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Introduzione alla Bhagavad-gita “cosí com’è” – 4

di Sua Divina Grazia A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada

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parte 4

…segue

Nella Bhagavad-gita Krishna Si dichiara padre di tutti gli esseri (sarva-yonisu…aham bija-pradah
pita). Esiste una grande varietà di specie viventi, perchè ognuno ottiene un corpo differente
secondo il suo karma, ma Krishna è il padre comune e a tutti mostra una bontà infinita. Egli
discende in questo mondo per richiamare a Sé le anime cadute, le anime condizionate dalla materia, e
per ricondurle nella loro dimora eterna, sanatana, dove torneranno a vivere per sempre vivino a Lui.
Per salvare queste anime tavolta Krishna discende personalmente nella Sua forma originale o in altre
forme, oppure manda i Suoi intimi servitori, i Suoi figli, i Suoi compagni o i Suoi rappresentanti
qualificati, gli acarya.

Possiamo dunque concludere che il sanatana-dharma non indica una semplice pratica religiosa
riconducibile a certe “credenze”, ma è la funzione eterna di ogni anima eterna in relazione col
Signore eterno. Ramanujacarya, grande saggio ed erudito, definisce la parola sanatana come “ciò che
non comincia e non ha fine”. Ed è in questi termini che parleremo del sanatana-dharma, a cui la
parola “religione” corrisponde male perchè comporta l’idea, in un certo senso arbitraria, di una
professione di fede che si può cambiare. Infatti, si può seguire una confessione per poi
abbandonarla e provarne un’altra. Ma il sanatana-dharma è la funzione immutabile dell’essere, per
definizione. Non si può privare l’anima della sua funzione eterna, così come non si può togliere
all’acqua la sua liquidità e al fuoco il suo calore. Il sanatana-dharma non conosce frontiere.
Questo dharma eterno, che non ha nè inizio ne fine, può essere oggetto di settarismo come sostengono
alcuni che vi proiettano la propria tendenza al settarismo. La stessa scienza modrna permette di
verificare che il sanatana-dharma è la funzione essenziale di tutti gli uomini, anzi di tutti gli
esseri dell’universo.

E’ possibile risalire all’origine storica di tutte le religioni, ma non del sanatana-dharma, che
accompagna eternamente l’essere. Le Scritture rivelate (sastra) affermano che l’essere in sè, nella
sua natura originale, non è soggetto nè alla nascita nè alla morte: l’anima non nasce nè muore, dice
la Bhagavad-gita; eterna e imperitura, sopravive alla distruzione del corpo materiale che è
effimero. Le radici sanscrite del termine sanatana-dharma possono aiutarci a comprendere il concetto
di “vera religione”. Che cos’è il dharma, innanzitutto? Il dharma è costituito dalle qualità che
accompagnano necessariamente un certo oggetto. Il calore e la luce, per esempio, accompagnano sempre
il fuoco; senza di essi non esiste il fuoco. Dobbiamo dunque scoprire la qualità essenziale
dell’essere, qualità che lo accompagna sempre e costituisce la base della sua esistenza, la sua
“religione” eterna, il sanatana-dharma.

Quando Sanatana Gosvami chiese spiegazioni a Sri Caitanya Mahaprabhu sulla svarupa, la funzione
originale ed eterna dell’essere, Egli rispose che questa funzione eterna era quela di servire Dio,
la Persona Suprema. Si può facilmente comprendere da queste parole che l’essere si mette, per
natura, al servizio di un altro essere ed così che gode della vita. L’animale serve l’uomo come un
servitore il suo maestro. “A” si fa servitore di “B”, “B” di “C”, “C” di “D” e così via; l’amico
serve l’amico, la madre il figlio, la moglie serve il marito, e il marito la moglie. Così tutti,
senza eccezione, s’impegnano a servire qualcuno. Quando un politico presenta il suo programma, è per
convincere il pubblico che egli può servirlo meglio di qualsiasi altro, ed è per beneficiare dei
suoi “preziosi servizi” che gli elettori gli accorderanno i loro preziosi voti. Il negoziante serve
i suoi clienti, il lavoratore il capitalista, il capitalista la sua famiglia che, a sua volta, serve
lo Stato, In tutti c’è una tendenza naturale ed eterna a servire, in un modo o nell’altro Nessuno è
escluso. Possiamo dunque concludere che il servire accompagna sempre gli esseri ed è il loro
sanatana-dharma, la loro religione eterna.

Secondo il luogo, l’epoca e le circostanze gli uomini professano una fede differente (cristianesimo,
induismo, islamismo, buddismo e altre ancora), ma si tratta di semplici denominazioni che non hanno
niente in comune col sanatana-dharma, poichè l’indù può convertirsi all’islamismo, un musulmano
all’induismo, e lo stesso per il cristiano, senza che questi cambiamenti modifichino la sua tendenza
a servire gli altri. Il cristiano, l’indù, il musulmano, tutti sono sempre servitori di qualcuno,
Professare il sanatana-dharma non significa dunque seguire questa o quella fede religiosa, ma
semplicemente ed essenzialmente “servire”.

Ed è il servizio che ci unisce al Signore. Egli gode di tutto e noi siamo i Suoi servitori.
Esistiamo unicamente per il Suo piacere, e se partecipiamo alla Sua felicità eterna vi troviamo la
nostra propria felicità. E’ impossibile essere felici indipendentement, così com’è impossibile alle
parti del corpo essere soddisfatte se non sono disposte a servire il centro vitale, lo stomaco.
L’anima, dunque, non può essere soddisfatta se non serve il Signore con amore puro.

La Bhagavad-gita condanna il culto o il servizio reso agli esseri celesti. A questo proposito
leggiamo nel settimo capitolo:

kamais tais hrita-jñanah
prapadyante ‘nya-devatah
tam tam niyamam asthaya
prakritya niyatah svaya

“Coloro che hanno la mente distorta dai desideri materiali si sottomettono agli esseri celesti e
seguono, ciascuno secondo la propria natura, i diversi riti del loro culto.” (B.g. 7.20) Gli uomini
dominati dalla cupidigia preferiscono abbanndonarsi agli esseri celesti piuttosto che a Krishna, il
Signore Supremo. L’uso del nome “Krishna” non implica niente di settario. Krishna significa “la
gioia più grande”, e le Sritture lo confermano: il Signore Supremo è il ricettacolo di ogni piacere:
anandamayo ‘bhyast (Vedanta-sutra, 1.1.12). Come il Signore, l’essere individuale è pienamente
cosciente e cerca la felicità. Il Signore gode di una felicità eterna e se anche l’essere vuole
conoscere la felicità deve unirsi a Lui, collaborare con Lui e cercare la Sua compagnia.

Il Signore discende talvolta in questo mondo mortale per rivelare la gioia dei Suoi divertimenti.
Quando Egli appare sulla Terra 5000 anni fa, una felicità pura inondava ogni Suo atto in compagnia
dei pastorelli e delle gopi, delle mucche e degli altri abitanti di Vrindavana, e tutti non vivevano
che per Lui. A quei tempi Krishna stesso, allora bambino, dissuase Suo padre Nanda Maharaja dal
celebrare un culto a Indra per mostrare a tutti che non c’è bisogno di adorare gli esseri celesti.
Lui soltanto dev’essere adorato, perchè il fine ultimo dell’esistenza è tornare a Lui, nella Sua
dimora, che la Bhagavad-gita ci descrive così:

na tad bhasayate suryo
na sasanko na pavakah
yad gatva na nivartante
tad dhama paramam mama

“La Mia Dimora non è illuminata nè dal sole nè dalla luna nè dall’elettricità. Chi la raggiunge non
torna mai più in questo mondo.” (B.g.,15.6.). Naturalment noi immaginiamo il mondo spirituale in
base all’universo che conosciamo, col sole, la luna e le stelle. Ma in questo verso Krishna precisa
che il mondo spirituale non ha bisogno per essere illuminato nè del sole nè della luna nè del fuoco
nè di altre sorgenti luminose, s’illumina di luce propria bagnandosi nel brahmajyoti, la luce
sfolgorante che irradia dal corpo del Signore. Al contrario dei pianeti materiali, la dimora del
Signore si raggiunge facilmente. Questo pianeta, chiamato Goloka, è descritto in modo meraviglioso
nella Brahma-samhita. Il Signore non lascia mai Goloka, il Suo regno (goloka eva nivasaty
akhilatma-bhutah); eppure noi possiamo avvicinarLo da dove siamo perchè Egli discende in questo
mondo per manifestarvi la Sua vera forma, sac-cid-ananda-vigraha. Per evitare che ci perdiamo in
congetture sulla Sua forma, Egli Si rivela a noi così com’è come Syamasundara. Purtroppo, quando
scende tra noi l’aspetto di un essere umano e Si diverte in nostra presenza, gli stolti Lo deridono
e Lo scambiano per un uomo comune, mentre è grazie alla Sua onnipotenza che Egli ci rivela la Sua
vera forma e ci mostra i Suoi divertimenti, che sono repliche di quelli che si svolgono nel Suo
regno.

Da Krishnaloka, o Goloka Vrindavana, luogo supremo e originale, pianeta del Signore Supremo, emana
il brahmajyoti, l’abbagliante luce del mondo spirituale. In questa radiosità si bagnano i pianeti
ananda-cinmaya; chiunque li raggiunga, afferma il Signore, non tornerà mai più nell’universo
materiale (yad gatva na nivartante tad dhama paramam mama). Niente sofferenze, là, niente nascita,
malattia, vecchiaia o morte, che sono proprie di tutti i pianeti materiali —da Brahmaloka fino al
più piccolo pianeta—, e a cui nessuno può sfuggire. Il nostro universo si divide in tre sistemi
planetari, il superiore, il mediano e l’inferiore. Il sole, la luna e altri simili pianeti
appartengono al sistema superiore, mentre la Terra si trova nel mediano. Per raggiungere i pianeti
superiorri (svarga-loka o deva-loka) basta rendere culto all’essere che governa il pianeta che
desideriamo raggiungere, il sole, la luna o qualsiasi altro, com’è indicato nella Bhagavad-gita
(vrata devam). Ma Krishna dice ad Arjuna che andare sui pianeti materiali, anche se superiori, non è
di alcuna utilità. Anche se raggiungessimo il pianeta più alto, Brahmaloka —viaggio che con mezzi
meccanici richiederebbe circa 40 000 anni (e chi vive così a lungo?)— vi troveremmo sempre, come se
tutti gli altri pianeti di questo universo, la nascita, la vecchiaia, la malattia e la morte
(abrahma-bhuvanal lokah punar avartino ‘rjuna). Invece chi raggiunge Krishnaloka, o qualsiasi altro
pianeta del mondo spirituale, non conoscerà mai più queste sofferenze. La Bhagavad-gita, dunque,
c’insegna soprattutto a lasciare il mondo materiale per iniziare una vita completamente spirituale e
perfettamente felice.

Nel quindicesimo capitolo Krishna ci dà l’immagine vera del mondo materiale:

sri bhagavan uvaca
urdhva-mulam adhah-sakham
asvattham prahur avyayam
chandamsi yasya parnani
yas tam veda sa veda-vit

Il Signore Supremo disse:

“Esiste un albero baniano, le cui radici si dirigono verso l’alto e i rami verso il basso; le sue
foglie sono gli inni vedici. Chi lo conosce, conosce i Veda.” (B.g., 15.1.) Il mondo è paragonato
qui a un albero rovesciato, come un’immagine che si specchia in un fiume o nel mare: gli oggetti vi
si riflettono all’inverso. Riflesso del mondo spirituale, il mondo materiale è solo l’ombra della
realtà. Un’ombra non ha nè sostanza nè realtà, ma è la traccia di un oggetto reale e concreto che
esiste altrove. Se per un miraggio si vede dell’acqua in un deserto signifa che l’acqua esiste, ma
da un’altra parte. Così è per la felicità di cui siamo assetati: non la troviamo nel mondo materiale
più di quanto non troviamo nel mondo materiale più di quanto non troviamo l’acqua nel deserto, ma
esiste, pura e limpida, nel mondo spirituale.

Come raggiungere il mondo spirituale? Krishna stesso ce lo indica:

nirmna-moha jita-sanga-dosa
adhyatma-nitya vinivrtta-kamah
dvandvai vimuktah sukha-duhkha-samjñair
gacchanty amudhah padam avyayam tat

Solo liberandoci dall’illusione materiale (nirmana-moha) raggiungeremo il regno eterno (padam
avyayam) B.g., 15.5.). Tutti desideriamo dei titoli, come “signore”, “presidente”, “re”,
“benestante”, e così via. Questi titoli sono la prova del nostro attaccamento al corpo perchè
possono applicarsi solo ad esso. E il primo passo verso la realizzazione spirituale consiste proprio
nel capire di essere distinti dal corpo. L’identificazione col corpo è dovuta alle tre influenze
della natura materiale (virtù, passione e ignoranza) e l’unico modo per sottrarci a queste influenze
è praticare il distacco adottando il servizio di devozione al Signore. Tutti i titoli a cui possiamo
ambire e tutti i nostri attaccamenti sono il frutto della cupidigia, del nostro desiderio sfrenato
di dominare la natura materiale. Senza abbandonare quest’ambizione non torneremo mai al regno
assoluto, il sanatana-dharma, che non conosce distruzione. Lo raggiungerà soltanto colui che non si
lascia sedurre dal fascino dei falsi piaceri e serve il Signore Supremo; lui lo raggiungerà
facilmente.

La Bhagavad-gita afferma anche:

avyakto ‘ksara ity uktas
tam ahuh paramam gatim
yam prapya na nivartante
tad dhama paramam mama

“Questa dimora suprema è detta non manifestata e infallibile ed è la destinazione suprema. Chi la
raggiunge non torna più indietro. Questa è la Mia dimora suprema.” (B.g., 8.21). Non tutto
l’universo materiale si manifesta ai nostri occhi; i sensi sono così imperfetti che ci è impossibile
vedere, per esempio, tutte le stelle del firmamento. Ma le Scritture vediche ci danno numerose
informazioni su questi pianeti, e noi siamo liberi di accettarle o rifiutarle. Lo Srimad-Bhagavatam,
in particolare, descrive tutti i pianeti più importanti dell’universo e conferma, come la
Bhagavad-gita in questo verso, che il mondo spirituale, situato oltre questo universo materiale, è
avyakta, non manifestato. Dovremmo tutti desiderare ardentemente di raggiungere questo regno
supremo, da dove non si è più costretti a ritornare.

L’ottavo capitolo ci dà altre indicazioni sul modo di raggiungere la dimora del Signore:

anta-kale ca mam eva
smaran muktva kalevaram
yah prayati sa mad-bhavam
yati nasty atra samsayah

“Chiunque, all’istante della morte, lascia il corpo ricordandosi di Me soltanto, raggiunge subito la
Mia dimora. Non dubitarne.” (B.g., 8.5) Colui che nell’istante preciso della morte pensa a Krishna
nella Sua forma originale andrà sicuramente nella Sua dimora, raggiungerà il mondo spirituale.
Mad-bhavam designa la natura assoluta dell’Essere Supremo, che è sac-ananda-vigraha, cioè eterno,
pieno di conoscenza e felicità infinite. Invece il nostro corpo attuale è asat “mortale”, acit
“pieno d’ignoranza” (perchè non solo non conosciamo il mondo spirituale, ma anche gran parte del
mondo materiale ci sfugge) e nirananda “sede di tutte le nostre sofferenze”. Tuttavia Krishna
promette in questo verso che al momento della morte pensiamo a Lui otteniamo subito un corpo
sat-cid-ananda e raggiungiamo il Suo regno. Infatti il passaggio da un corpo all’altro avviene
secondo regole ben precise. Quando moriamo il nostro prossimo corpo è già determinato, non da noi ma
da autorità superiori, secondo le azioni che abbiamo compiuto nella vita che sta per concludersi.
Secondo queste azioni saremo elevati o degradati; dunque, stiamo preparando oggi la nostra vita
futura. Perciò un’esistenza di preparazione spirituale ci garantisce dopo la morte il beneficio di
un corpo spirituale simile a quello del Signore e i ritorno al Suo regno.

continua…

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