Introduzione alla Bhagavad-gita “cosí com’è” – 5

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Introduzione alla Bhagavad-gita “cosí com’è” – 5

di Sua Divina Grazia A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada

© 2004 The Bhaktivedanta Book Trust International. All rights reserved.

parte 5

…segue

Da Krishnaloka, o Goloka Vrindavana, luogo supremo e originale, pianeta del Signore Supremo, emana
il brahmajyoti, l’abbagliante luce del mondo spirituale. In questa radiosità si bagnano i pianeti
ananda-cinmaya; chiunque li raggiunga, afferma il Signore, non tornerà mai più nell’universo
materiale (yad gatva na nivartante tad dhama paramam mama). Niente sofferenze, là, niente nascita,
malattia, vecchiaia o morte, che sono proprie di tutti i pianeti materiali -da Brahmaloka fino al
più piccolo pianeta-, e a cui nessuno può sfuggire. Il nostro universo si divide in tre sistemi
planetari, il superiore, il mediano e l’inferiore. Il sole, la luna e altri simili pianeti
appartengono al sistema superiore, mentre la Terra si trova nel mediano. Per raggiungere i pianeti
superiorri (svarga-loka o deva-loka) basta rendere culto all’essere che governa il pianeta che
desideriamo raggiungere, il sole, la luna o qualsiasi altro, com’è indicato nella Bhagavad-gita
(vrata devam). Ma Krishna dice ad Arjuna che andare sui pianeti materiali, anche se superiori, non è
di alcuna utilità. Anche se raggiungessimo il pianeta più alto, Brahmaloka -viaggio che con mezzi
meccanici richiederebbe circa 40 000 anni (e chi vive così a lungo?)- vi troveremmo sempre, come se
tutti gli altri pianeti di questo universo, la nascita, la vecchiaia, la malattia e la morte
(abrahma-bhuvanal lokah punar avartino ‘rjuna). Invece chi raggiunge Krishnaloka, o qualsiasi altro
pianeta del mondo spirituale, non conoscerà mai più queste sofferenze. La Bhagavad-gita, dunque,
c’insegna soprattutto a lasciare il mondo materiale per iniziare una vita completamente spirituale e
perfettamente felice.

Nel quindicesimo capitolo Krishna ci dà l’immagine vera del mondo materiale:

sri bhagavan uvaca
urdhva-mulam adhah-sakham
asvattham prahur avyayam
chandamsi yasya parnani
yas tam veda sa veda-vit

Il Signore Supremo disse:

“Esiste un albero baniano, le cui radici si dirigono verso l’alto e i rami verso il basso; le sue
foglie sono gli inni vedici. Chi lo conosce, conosce i Veda.” (B.g., 15.1.) Il mondo è paragonato
qui a un albero rovesciato, come un’immagine che si specchia in un fiume o nel mare: gli oggetti vi
si riflettono all’inverso. Riflesso del mondo spirituale, il mondo materiale è solo l’ombra della
realtà. Un’ombra non ha nè sostanza nè realtà, ma è la traccia di un oggetto reale e concreto che
esiste altrove. Se per un miraggio si vede dell’acqua in un deserto signifa che l’acqua esiste, ma
da un’altra parte. Così è per la felicità di cui siamo assetati: non la troviamo nel mondo materiale
più di quanto non troviamo nel mondo materiale più di quanto non troviamo l’acqua nel deserto, ma
esiste, pura e limpida, nel mondo spirituale.

Come raggiungere il mondo spirituale? Krishna stesso ce lo indica:

nirmna-moha jita-sanga-dosa
adhyatma-nitya vinivrtta-kamah
dvandvai vimuktah sukha-duhkha-samjñair
gacchanty amudhah padam avyayam tat

Solo liberandoci dall’illusione materiale (nirmana-moha) raggiungeremo il regno eterno (padam
avyayam) B.g., 15.5.). Tutti desideriamo dei titoli, come “signore”, “presidente”, “re”,
“benestante”, e così via. Questi titoli sono la prova del nostro attaccamento al corpo perchè
possono applicarsi solo ad esso. E il primo passo verso la realizzazione spirituale consiste proprio
nel capire di essere distinti dal corpo. L’identificazione col corpo è dovuta alle tre influenze
della natura materiale (virtù, passione e ignoranza) e l’unico modo per sottrarci a queste influenze
è praticare il distacco adottando il servizio di devozione al Signore. Tutti i titoli a cui possiamo
ambire e tutti i nostri attaccamenti sono il frutto della cupidigia, del nostro desiderio sfrenato
di dominare la natura materiale. Senza abbandonare quest’ambizione non torneremo mai al regno
assoluto, il sanatana-dharma, che non conosce distruzione. Lo raggiungerà soltanto colui che non si
lascia sedurre dal fascino dei falsi piaceri e serve il Signore Supremo; lui lo raggiungerà
facilmente.

La Bhagavad-gita afferma anche:

avyakto ‘ksara ity uktas
tam ahuh paramam gatim
yam prapya na nivartante
tad dhama paramam mama

“Questa dimora suprema è detta non manifestata e infallibile ed è la destinazione suprema. Chi la
raggiunge non torna più indietro. Questa è la Mia dimora suprema.” (B.g., 8.21). Non tutto
l’universo materiale si manifesta ai nostri occhi; i sensi sono così imperfetti che ci è impossibile
vedere, per esempio, tutte le stelle del firmamento. Ma le Scritture vediche ci danno numerose
informazioni su questi pianeti, e noi siamo liberi di accettarle o rifiutarle. Lo Srimad-Bhagavatam,
in particolare, descrive tutti i pianeti più importanti dell’universo e conferma, come la
Bhagavad-gita in questo verso, che il mondo spirituale, situato oltre questo universo materiale, è
avyakta, non manifestato. Dovremmo tutti desiderare ardentemente di raggiungere questo regno
supremo, da dove non si è più costretti a ritornare.

L’ottavo capitolo ci dà altre indicazioni sul modo di raggiungere la dimora del Signore:

anta-kale ca mam eva
smaran muktva kalevaram
yah prayati sa mad-bhavam
yati nasty atra samsayah

“Chiunque, all’istante della morte, lascia il corpo ricordandosi di Me soltanto, raggiunge subito la
Mia dimora. Non dubitarne.” (B.g., 8.5) Colui che nell’istante preciso della morte pensa a Krishna
nella Sua forma originale andrà sicuramente nella Sua dimora, raggiungerà il mondo spirituale.
Mad-bhavam designa la natura assoluta dell’Essere Supremo, che è sac-ananda-vigraha, cioè eterno,
pieno di conoscenza e felicità infinite. Invece il nostro corpo attuale è asat “mortale”, acit
“pieno d’ignoranza” (perchè non solo non conosciamo il mondo spirituale, ma anche gran parte del
mondo materiale ci sfugge) e nirananda “sede di tutte le nostre sofferenze”. Tuttavia Krishna
promette in questo verso che al momento della morte pensiamo a Lui otteniamo subito un corpo
sat-cid-ananda e raggiungiamo il Suo regno. Infatti il passaggio da un corpo all’altro avviene
secondo regole ben precise. Quando moriamo il nostro prossimo corpo è già determinato, non da noi ma
da autorità superiori, secondo le azioni che abbiamo compiuto nella vita che sta per concludersi.
Secondo queste azioni saremo elevati o degradati; dunque, stiamo preparando oggi la nostra vita
futura. Perciò un’esistenza di preparazione spirituale ci garantisce dopo la morte il beneficio di
un corpo spirituale simile a quello del Signore e i ritorno al Suo regno.

Come si è già spiegato, esistono tre categorie di spiritualisti: i brahmavadi, i paramatma e i
bhakta (devoti). Nel brahmajyoti (“l’atmosfera” spirituale) si trovano innumerevoli pianeti,
infinitamente più numerosi di quelli dell’universo materiale. Quest’ultimo, che racchiude miliardi
di universi con altrettanti soli, lune e innumerevoli stelle e pianeti, rapprensenta circa un quarto
dell’intera creazione (ekamsena stito jagat). La maggior parte della creazione si trova
nell’atmosfera “spirituale”, nel brahmajyoti, che è la mèta dei brahmavadi desiderosi di fondersi
nell’esistenza del Brahman Supremo. Il bhakta, che è ansioso di vivere in compagnia del Signore,
raggiungerà invece uno degli innumerevoli pianeti Vaikuntha, dove potrà godere della compagnia del
Signore nella Sua forma di Narayana, emanazione plenaria dotata di quattro braccia e con diversi
nomi, come Pradyumna, Aniruddha e Govinda.

All’ora del trapasso lo spiritualista penserà o al brahmajyoti o al Paramatma o alla Persona
Suprema, Sri Krishna. In ogni caso entrerà nell'”atmosfera” spirituale: “non dubitarne” dice
Krishna. E anche se le sue parole superano i limiti della nostra comprensione, dobbiamo darGli tutta
la nostra fiducia, come Arjuna, che dice al Signore: “Credo a tutto ciò che mi hai detto”. Le parole
di Krishna non possono essere messe in dubbio. Chiunque in punto di morte si ricordi di Lui come
Paramatma o come Bhagavan penetra nell'”atmosfera” spirituale; ma solo il bhakta, che ha stabilito
col Signore un contatto personale, raggiungerà i pianeti Vaikuntha o Goloka Vrindavana.

La natura materiale è la manifestazione di una delle molteplici energie del Signore Supremo,
descritte nel loro insieme nel Visnu Purana (visnu-saktih para prokta…). Queste energie sono
innumrevoli e inconcepiibili per noi, ma grandi eruditi, grandi saggi e anime liberate le studiarono
e le divisero in tre gruppi: l’energia marginale e quella inferiore, che costituiscono aspetti
diversi della Visnu-sakti, la potenza del Signore, Visnu. L’energia superiore è para, completamente
spirituale, e gli esseri individuali, come si è già spiegato, partecipano di questa energia.
L’energia inferiore, invece, costituisce la natura materiale. Noi, anime prigioniere della materia,
parti dell’energia marginale, possiamo scegliere al momento della morte di rimanere nell’universo
materiale, inferiore, o tornare nel mondo spirituale, superiore. La Bhagavad-gita ci spiega:

yam yam vapi smaram bhavam
tyajaty ante kalevaram
tam tam evaiti kaunteya
sada tad-bhava-bhavitah

“Senza dubbio sono i ricordi all’istante di lasciare il corpo che determinano la condizione futura
dell’essere.” (B.g., 8.6) Durante la vita la nostra mente si riempie di pensieri materiali e di
pensieri spirituali. Oggi, un nugolo di pubblicazioni come giornali, romanzi e riviste c’infesta la
mente con pensieri materiali. Dobbiamo allontanarcene per dirigere l’attenzione verso gli Scritti
vedici come i Purana e le Upanisad, che ci hanno trasmesso i grandi saggi e che costituiscono
documenti autentici, parole di verità, ben lontane dalla fantasia. Un verso del Caitanya-caritamrita
afferma:

maya mugda jivera nahi svatah Krishna-jñana
jivera krpaya kaila Krishna veda-purana

“Le anime condizionate hanno dimenticato il legame che le unisce al Signore Supremo e sono
sprofondate in pensieri materiali. Ma Krishna offrì loro l’immensità degli Scritti vedici affinchè
potessero volgere i pensieri al mondo spirituale.” (C.c. Madhya, 20.122). Il Signore divise il Veda
originale in quattro parti, che spiegò nei Purana, e per le intelligenze meno acute compose il
Mahabharata, che comprende la Bhagavad-gita. Riassunse quindi tutte le Scritture vediche nel
Vedanta-sutra e per guidare le generazioni future ne diede il commento naturale, lo
Srimad-Bhagavatam. Dovremo sempre immergere la mente nella lettura di queste opere compilate da Dio
stesso nella forma dell’avatara Vyasadeva, invece di appassionarci alla lettura di giornali, riviste
e altri scritti simili. Saremo capaci così di ricordare il Signore in punto di morte. Questa è la
sola via che Egli ci esorta a prendere, e ce ne garantisce l’efficacia nel verso seguente con le
parole “senza alcun dubbio”

tasmat sarvesu kalesu
mam anusmara yudhya ca
mayy arpita-mano buddhir
mam evaisyasy asamsayah

“Così, o Arjuna, pensa sempre a Me, nella Mia forma di Krishna, e allo stesso tempo compi il tuo
dovere di combattere. Dedicando a me le tue azioni, fissando in Me la tua mente e a tua
intelligenza, senza alcun dubbio verrai a Me.” (B.g., 8.7) Krishna non consiglia ad Arjuna
d’immergersi nel Suo ricordo abbandonando ogni azione. Egli non propone mai qualcosa di
irrealizzabile. Infatti, per sopravivere in questo mondo è necessario agire. Perciò la società umana
fu divisa in quattro gruppi secondo le tendenze naturali di ognuno -i brahmana (saggi ed eruditi),
gli ksatriya (amministratori e uomini di guerra), i vaisya (agricoltori e commercianti)) e i sudra
(operai e artigiani). Operaio o mercante, amministratore o contadino, letterato, scienziato o
teologo, tutti per vivere, devono compieri i loro specifici doveri. Krishna non vuole che Arjuna
abbandoni i suoi doveri, vuole invece che li adempia, ma pensando a Lui. Colui che nella lotta per
l’esistenza non pensa al Signore, non potrà ricordarsi di Lui al momento della morte. Sri Caitanya
Mahaprabhu ci ha dato lo stesso consiglio: ricordarsi sempre di Krishna cantando o recitando
costantemente i Suoi nomi (kirtaniah sada harih). Tra Krishna e i Suoi nomi non c’è differenza
perchè sul piano assoluto l’oggetto e la parola che lo designa sono la stessa cosa. Anche il
consiglio di Krishna nel verso citato prima (“Pensa sempre a Me”) e quello di Caitanya Mahaprabhu
(“Cantate sempre i nomi di Krishna”) sono la stessa cosa. Dobbiamo dunque abituarci a ricordare
costantemente il Signore, in ogni ora del giorno e della notte, cantando e recitando i Suoi santi
nomi e modellando tutta la nostra vita in questa direzione.

Gli acarya, i perfetti maestri, illustrano con un semplice esempio questa unione mentale col
Signore. Se una donna sposata s’innamora di un altro uomo, o un uomo è attratto da una donna che non
è sua moglie, il sentimento che li unisce sarà certamente molto intenso. Sotto la forza di un simile
legame, quella persona penserà senza interruzione all’amato. Compiendo i doveri quotidiani,
l’innamorata volgerà continuamente i pensieri all’istante in cui potrà incontrare l’amante, e curerà
più che mai il suo lavoro perchè il marito non sospetti del legame. Così noi dobbiamo pensare in
ogni istante al supremo amato, a Sri Krishna, pur compiendo i nostri doveri materiali nel miglior
modo possibile. Questo richiede un intenso sentimento d’amore, che bisogna dapprima risvegliare in
noi. Arjuna provava un grande amore per Krishna, ma rimase pur sempre un guerriero. Il Signore non
gli consigliò di abbandonare il campo di battaglia e di ritirarsi nella foresta per darsi alla
meditazione solitaria. Arjuna stesso, anzi, dirà di essere inadatto a praticare quel tipo di yoga
quando Krishna glielo descriverà:

yo ‘yam yogas tvaya proktah
samyena madhusudana
etasyaham na pasyami
cañcalatva sthitim sthiram

O Madhusudana, non vedo come io possa mettere in pratica questo yoga che Tu hai brevemente
descritto, poichè la mente è agitata e instabile.” (B.g., 6.33). Ma il Signore gli dice:

yoginam api sarvesam
mad-gatenantaratmana
sraddhavan bhajate yo mam
sa me yuktatamo matah

“Di tutti gli yogi, colui che con grande fede dimora sempre in Me e Mi adora servendoMi con un amore
trascendentale è il più intimamente legato a Me ed è il più grande di tutti.” (B.g., 6.47) Colui che
pensa constantemente al Signore Supremo sarà dunque il più grande yogi, il più grande jñani e il più
grande devoto. Come ksatriya, Arjuna non può rinunciare al suo dovere di guerriero, ma gli basta
combattere pensando al Signore per ricordarsi di Lui al momento della morte.

E’ evidente dunque che dobbiamo abbandonarsi al Signore e servirLo con amore. Gli atti non sono
compiuti direttamente dal corpo, ma sono guidati dalla mente e dall’intelligenza. Perciò se siamo
assorti con la mente e l’intelligenza nel Signore, anche i sensi saranno impegnati al Suo servizio.
Così, la nostra coscienza cambierà, benchè i nostri atti rimangano in apparenza gli stessi. Il
segreto della Bhagavad-gita sta nell’arte di fissare perfettamente il pensiero e l’intelligenza nel
Signore, di volgere verso di Lui ogni pensiero. Questo è l’unico modo per entrare nel regno supremo.

L’uomo moderno ha speso molto tempo e denaro per raggiungere la luna, ma non mostra purtroppo molto
interesse per l’elevazione spirituale, per il viaggio verso la mèta ultima. Non avendo che
cinquant’anni da vivere il vero interesse dell’uomo sarà quello di impiegare questi anni nel
migliore dei modi, fissando i pensieri in Krishna con le attività di devozione elencate nelle
Scritture:

sravanam kirtanam visnoh
smaranam pada-sevanam
arcanam vandanam dasyam
sakhyam atma-nivedanam

(S.B.,7.5.23)

Queste nove attività di cui la più semplice (sravana) è l’ascolto del messaggio della Bhagavad-gita
da un’anima realizzata, faranno volgere tutti i nostri pensieri verso l’Essere Supremo permettendoci
di ricordarLo sempe e di vivere vicino a Lui dopo aver lasciato il nostro corpo materiale.

Sri Krishna dice inoltre:

abhyasa-yoga-yuktena
cetasa nanya-gamina
paramam purusam divyam
yati parthanucintayan

“Colui che medita su di Me, il Signore Supremo, e si ricorda sempre di Me senza mai deviare,
certamente viene a Me, o Partha.” (B.g., 8.8) Questa via non è difficile, ma è necessario
apprenderne l’arte seguendo gli insegnamenti di un maestro realizzato (tad vijñartham sa gurum
evabhigacchet). La mente vola senza posa da un oggetto all’altro e per controllarla bisogna imparare
a fissarla sulla forma e sul nome del Signore Supremo. Di natura instabile e febbrile, la mente
troverà riposo nella vibrazione sonora del nome di “Krishna”. E’ così che bisogna meditare sul
parama purusa, la Persona Suprema, se si desidera avvicinarLo. La Bhagavad-gita ci indica
chiaramente il metodo per ottenere la realizzazione suprema, il fine ultimo; e tutti, senza
eccezione, possono accedere a questa conoscenza. Tutti possono ascoltare ciò che riguarda il Signore
e fissare i pensieri sulla Sua Persona per tornare finalmente a Lui:

mam hi partha vyapasritya
ye ‘pi syuh papa-yonayah
striyo vaisyas tatha sudras
te ‘pi yanti param gatim

kim punar brahmanah punya
bhakta rajarsayas tatha
anityam asukham lokam
imam prapya bhajasva mam

“O figlio di Pritha, coloro che prendono rifugio in Me, anche se sono di bassa nascita -donne,
vaisya (mercanti) o sudra (operai)- possono raggiungere la destinazione suprema. Che dire allora dei
brahmana, dei giusti, dei devoti e dei re santi, che in questo mondo temporaneo e pieno di
sofferenze Mi servono con amore e devozione?” (B.g., 9.32-33). Tutti possono raggiungere il Signore
Supremo e il Suo regno eterno, anche le persone di condizione inferiore. Non è necessario avere
un’intelligenza superiore, basta soltanto adottare i princìpi del bhakti-yoga e fare del Signore lo
scopo della propria esistenza. L’uomo che applica gli insegnamenti della Bhagavad-gita saprà rendere
perfetta la sua vita e risolvere in modo definitivo i problemi che sorgono a causa del carattere
transitorio dell’esistenza materiale. Questo è il significato profondo della Bhagavad-gita. In
conclusione, la Bhagavad-gita è un Testo completamente spirituale che si dovrebbe leggere molto
attentamente. Gita-sastram idam punyam yat pathet prayatah puman: se seguiamo gli insegnamenti della
Bhagavad-gita ci liberiamo da tutte le sofferenze e le ansietà della vita. Bhaya-sokadi-vivarjitah.
Ci liberiamo da ogni paura, e la prossima vita sarà spirituale. C’è anche un altro vantaggio:

gitadhyayana-silasya
pranayam aparasya ca
naiva santi hi papani
purva-janma-krtani ca

“Chi legge con sincerità e serietà la Bhagavad-gita non dovrà più subire, per la grazia del Signore,
le conseguenze delle sue colpe passate.” Nell’ultima parte della Bhagavad-gita il Signore dichiara
con fermezza:

sarva-dharman parityajya
mam ekam saranam vraja
aham tvam sarva-papebhyo
moksayisyami ma sucah

“Lascia ogni forma di religione e abbandonati a Me. Io tilibererò da tutte le reazioni dei tuoi
peccati. Non temere.” (B.g., 18.66). Il Signore Si prende cura dell’essere che si abbandona a Lui e
lo libera dalle conseguenze dei suoi errori.

maline mocanam pumsam
jala-snanam dine dine
sakrd gitamrta-snanam
samsara-mala-nasanam

Ogni giorno purifichiamo il nostro corpo con un bagno, ma le onde della Bhagavad-gita, sacre come le
acque del Gange, hanno un effetto purificatore incomparabilmente più grande: se ci bagniamo in esse,
anche una sola volta, laviamo il cuore da tutto il fango materiale.

gita sugita kartavya
kim anyaih sastra-vistaraih
ya svayam padmanabhasya
mukha-padmad vinihsrta

Dio stesso ha dato la Bhagavad-gita per raggiungere il Signore non c’è alcun bisogno di leggere
altre Scritture vediche. La letteratura vedica è così vasta che per un uomo della nostra epoca,
preso dalle attività materiali, sarebbe impossibile anche solo sfogliarla tutta. Ma è sufficiente
leggere e ascoltare con attenzione e regolarmente la Bhagavad-gita, perchè quest’opera è l’essenza
di tutti questi Scritti e contiene le parole stesse di Dio, la Persona Suprema.

bharatamrta-sarvasvam
visnu-vaktrad vinihsrtam
gita-gangodakam pitva
punar janma na vidyate

“Bevendo l’acqua del Gange si ottiene sicuramente la liberazione; che dire allora di chi beve le
acque sacre della Bhagavad-gita, il nettare intimo del Mahabharata, che emana da Sri Krishna, il
Visnu originale?” La Bhagavad-gita scorre dalle labbra del Signore Supremo, mentre il Gange sgorga
dai Suoi piedi di loto. Non esiste naturalmente alcuna differenza tra la bocca e i piedi del
Signore, ma noi comprendiamo che la Bhagavad-gita è più importante del Gange.

sarvopanisado gavo
dogdha gopala-nandanah
partho vatsah sudhir bhokta
dugdham gitamrtam mahat

Si può paragonare la Bhagavad-gita a una mucca, che un giovane pastore, Krishna comincia a mungere.
Il suo latte è l’essenza dei Veda e Arjuna è come un giovane vitello. L’uomo intelligente, il saggio
e il puro devoto berranno il nettare della Bhagavad-gita a lunghi sorsi.

ekam sastram devakiputra-gitam
eko devo devakiputra eva
eko mantras tasya namani yani
karmapy ekam tasya devasya seva

L’uomo moderno aspira all’unione di tutti gli uomini sotto una sola Scrittura, un solo Dio, una sola
religione e un solo dovere. Che questa Scrittura sia dunque la Bhagavad-gita e questo Dio, Sri
Krishna. Che si canti un solo mantra: Hare Krishna, Hare Krishna, Krishna Krishna, Hare Hare / Hare
Rama, Hare Rama, Rama Rama, Hare Hare. E che un solo dovere unisca tutti gli esseri: il servizio a
Dio, la Persona Suprema.

fine

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