Introduzione alla musicoterapia – parte 1
di Mauro Scardovelli
Premessa
Nell’ultimo decennio si è assistito in Italia ad una relativa diffusione della pratica della
Musicoterapia. Nel nostro paese essa viene prevalentemente utilizzata nei confronti di bambini (o
adulti) handicappati, in conseguenza di deficit motori, sensoriali o psichici (bambini cerebrolesi,
spastici, bambini down, non udenti, non vedenti, ritardati mentali, bambini psicotici, autistici
ecc.). E’ abbastanza diffuso il suo utilizzo anche nei confronti degli anziani, nelle case di
riposo, e nei confronti di soggetti psichiatrici.
Esistono poi numerose esperienze isolate o pionieristiche di lavoro musicoterapico, ad esempio con
soggetti comatosi, con tossicodipendenti o con bambini prematuri.
Da questi brevi cenni, già risulta chiaro che la musicoterapia in Italia viene prevalentemente
impiegata nel trattamento di deficit o patologie gravi o gravissime. Non può quindi, in linea di
massima, considerarsi una forma di psicoterapia. Diversi sono i problemi trattati, diversa è la
metodologia. In altri paesi, invece, ad esempio in Francia o in Austria, è stato fatto molto lavoro
musicoterapico con soggetti nevrotici, soprattutto in gruppi di ascolto e verbalizzazione.
Anche in Italia non mancano esperienze con adulti “normali” o con lievi disturbi psichici, ma tali
esperienze da noi sono state condotte quasi esclusivamente in contesti di formazione, e non di
terapia (v. ad es. Scardovelli, 1994).
Fatta questa premessa sulla situazione italiana, per introdurre ad una prima conoscenza, si pongono
adesso alcune ovvie domande: che cosa è la musicoterapia? quale è la sua origine? come funziona? a
che cosa serve? a chi si rivolge? chi può praticarla? quale formazione occorre? quali sono le
prospettive future?
Che cosa è la musicoterapia?
Secondo una classica definizione (Alvin, 1965), la musicoterapia consiste nell’uso consapevole della
musica nel trattamento, riabilitazione, educazione e formazione di bambini e adulti con problemi
fisici, mentali o emozionali. La definizione mette in risalto la musica come mezzo o strumento del
trattamento, i cui effetti devono essere ben conosciuti e padroneggiati dal musicoterapeuta
(“terapia attraverso la musica”).
Altre definizioni sottolineano maggiormente il ruolo della musica come mezzo per facilitare la
relazione e la comunicazione interpersonale (“musica nella terapia”). Secondo Benenzon (1981), ad
esempio, l’utilizzo della musica ha come scopo quello di stabilire un rapporto terapeutico, o un
canale di comunicazione, oppure un’interazione.
In ogni caso, va precisato che ogni definizione di musicoterapia si scontra contro un grosso
problema, il fatto cioè che essa è transdisciplinare per sua natura, e quindi è molto difficile dar
conto sinteticamente delle sue differenti componenti e articolazioni. In altre parole, la
musicoterapia non è una disciplina singola con limiti ben definiti, come la fisioterapia o la
logopedia. Essa risulta piuttosto dalla dinamica combinazione di molte discipline attorno a due
grosse aree: la musica e la terapia. Tra le discipline collegate alla musica si possono richiamare,
ad esempio, la psicologia della musica, la biologia della musica, l’educazione musicale, l’acustica
e la psicoacustica ecc; tra le discipline collegate alla terapia si annoverano, ad esempio, la
psicologia, la psicoterapia, il counseling, la psichiatria, l’educazione speciale ecc.
La musicoterapia pertanto è una sorta di ibrido che nasce dall’interazione e integrazione di diverse
discipline. A ciò va aggiunto che sia la musica che la terapia hanno di per se stesse delimitazioni
non sempre ben definite: ci sono cioè diverse filosofie musicali e diverse teorie terapeutiche a
complicare il quadro. Così, ad esempio, l’uso della musica come strumento terapeutico sarà
considerato in modo molto diverso se ci si colloca in un’ottica psicoanalitica, o in una cornice
comportamentista o in una visione ispirata alla psicologia umanistica.
Originando dalla fusione di musica e terapia, la musicoterapia è ad un tempo un’arte, una scienza,
ed un processo interpersonale: “… in quanto arte, è legata alla soggettività, all’individualità,
alla creatività e alla bellezza; in quanto scienza, è legata all’obiettività, alla riproducibilità,
alla verità; come processo interpersonale, si collega all’empatia, all’intimità, alla comunicazione,
all’influenza reciproca e alla relazione di ruolo ” (Bruscia, 1989, p. 18).
La musicoterapia è incredibilmente varia e multiforme. In molti paesi essa viene usata nelle scuole,
nelle cliniche, negli ospedali, nelle case di cura, nelle case di riposo per anziani, nei centri
sociali, nelle comunità, negli ospizi, nelle prigioni. La popolazione dei clienti comprende ragazzi
autistici e con disturbi emotivi, ritardati mentali, adulti con problemi psichiatrici, individui con
handicap della vista, dell’udito, del linguaggio e motori, ragazzi con difficoltà di apprendimento,
ragazzi con disturbi comportamentali, detenuti, tossicomani, anziani, malati terminali ecc. La
musicoterapia è utilizzata anche nella cura dei disturbi della personalità, nella cura delle
nevrosi, nei disturbi psicosomatici, nella preparazione ed assistenza delle partorienti, come
coadiuvante di tecniche di biofeedback e di tecniche antidolorifiche, nonché di tecniche di
autorealizzazione.
E’ inutile dire che scopi e metodi di trattamento variano da un caso all’altro, da un paziente
all’altro, e, ovviamente, da un modello all’altro di musicoterapia. Gli scopi possono essere
educativi, ricreativi, riabilitativi, preventivi, oppure psicoterapeutici, e possono essere adattati
ai bisogni fisici, emotivi, intellettuali, sociali o esistenziali (Bruscia, 1989).
I metodi di trattamento possono basarsi prevalentemente sull’ascolto, il dialogo sonoro o
l’improvvisazione, possono essere individuali o di gruppo, e possono integrarsi con tecniche di
massaggio, movimento, danza, disegno, teatro, psicodramma ecc.
Si distingue pertanto tra musicoterapia recettiva (basata sull’ascolto, di brani preregistrati o
eseguiti dal vivo), e musicoterapia attiva (basata sul dialogo sonoro, sull’improvvisazione,
composizione ed esecuzione di musica), integrata o meno con altre tecniche.
Altra distinzione fondamentale, cui abbiamo più sopra accennato, è fondata sul diverso ruolo
assegnato alla musica: un ruolo centrale, come fondamentale strumento terapeutico (“musica come
terapia”) o un ruolo più marginale, come oggetto intermediaro, come facilitatore della relazione,
che è considerata il vero strumento terapeutico (“musica in terapia”). Ne deriva una diversa
importanza e attenzione rivolta alla musica o alla figura del terapista. A questo proposito, negli
Stati Uniti, dagli anni cinquanta ad oggi, si sono storicamente attraversate tre fasi: nella prima
si enfatizzava il ruolo della musica, trascurando quello del terapista; nella seconda fase si è
iniziato a dare più importanza al terapista rispetto alla musica; nella fase attuale si è giunti ad
una sintesi delle due posizioni. In ogni caso la discussione sulla diversa importanza dei due
aspetti continua ad essere viva a livello internazionale e, come vedremo, anche nella situazione
italiana (Bunt, 1994).
segue…
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