Introduzione alla musicoterapia – parte 4

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Introduzione alla musicoterapia – parte 4

di Mauro Scardovelli

A che cosa serve? a chi si rivolge?

Più sopra ho già accennato alle varie aree di applicazione della musicoterapia. Va aggiunto però che
la musicoterapia è più orientata al metodo che allo specifico problema da trattare. Essa cioè “si
distingue da altre terapie per il suo affidamento alla musica vista come metodo, o come modalità
principale di trattamento, piuttosto che per i problemi clinici che è preparata ad affrontare”
(Bruscia, 1989, p. 39). Di qui si spiega anche la molteplicità degli ambiti e dei destinatari cui si
rivolge. A causa di questa varietà, la musicoterapia può avere molti fini differenti: preventivi,
educativi, riabilitativi, medici e curativi, psicoterapeutici ecc.

Naturalmente questo implica molta flessibilità e capacità da parte dei musicoterapeuti di calibrare
e adattare il metodo a seconda dello specifico contesto. A titolo di esempio, fornirò adesso alcune
indicazioni più specifiche sul lavoro musicoterapico con alcune categorie di soggetti che sono tra
gli utenti più comuni degli interventi di musicoterapia anche nella situazione italiana.

Bambini ritardati mentali.

Ci sono diversi livelli di ritardo mentale, e quindi molto diverse sono le possibilità di utilizzo
della musicoterapia. Consideriamo in primo luogo i bambini con ritardo grave o gravissimo: non
dispongono del linguaggio, hanno una comprensione estremamente limitata, non sono autonomi, hanno
necessità di continua cura o sorveglianza da parte di persone qualificate o dei familiari. Al
ritardo mentale, cioè alle difficoltà di apprendimento e comunicazione, si aggiungono assai spesso
problemi motori e problemi sensoriali, oltre che, molto sovente, gravi problemi emozionali e
problemi di comportamento (Luria, 1960). E’ molto difficile un loro inserimento in qualunque
contesto scolastico, anche ben disposto e preparato a promuovere l’integrazione. Quindi finiscono
molto spesso per vivere in contesti che raccolgono altri bambini svantaggiati, come i centri ANFFAS
o istituti con personale specializzato.
Ho lavorato per sette anni come musicoterapeuta in un centro che ospitava una ventina di tali
bambini. Alla fine degli anni settanta e all’inizio degli anni ottanta si trattava allora per
l’Italia di un’esperienza pionieristica. Essenziale, ovviamente, fu la piena collaborazione
dell’équipe psico-medico-pedagogica e di tutti gli insegnanti coinvolti.

C’erano bambini down, bambini ipercinetici, bambini spastici, bambini con gravi deficit sensoriali.
In molti di questi casi il lavoro musicoterapico ha consentito la creazione di un canale di
comunicazione, l’allungamento dell’arco attenzionale, l’incremento della capacità espressiva, una
certa riduzione della contrazione cronica, lo sviluppo di capacità comunicative (Scardovelli, 1986,
1988).
Naturalmente occorreva di volta in volta adattare l’intervento alla specifica problematica del
bambino. In molti casi la musica, improvvisata e opportunamente calibrata, ha aperto un canale di
comunicazione privilegiato con il bambino, consentendo l’instaurarsi di una qualche forma di
interazione. In tal modo, come ho già accennato, si notava una maggiore apertura del bambino nei
confronti del mondo esterno, una sua maggiore presenza e risposta, una maggiore capacità di
mantenere l’attenzione rivolta all’altro, un incremento della capacità espressiva, una riduzione
delle stereotipie, una maggiore presenza di espressioni normalmente collegate ad emozioni positive
(gioia, curiosità, sorpresa…), una comparsa di nuovi comportamenti esplorativi, una riduzione dei
comportamenti aggressivi o autoaggressivi, una riequilibrazione del tono muscolare, una respirazione
più profonda.

Si trattava in genere di cambiamenti apparentemente piccoli, ma di per sé significativi nella
direzione di una migliore qualità nella vita di questi bambini così gravemente colpiti.
Per documentare in modo attendibile questo lavoro, abbiamo svolto, insieme ad alcuni colleghi, una
ricerca controllata, utilizzando le videoregistrazioni delle sedute e sottoponendole ad una
microanalisi da parte di giudici indipendenti, per cogliere i pattern più significativi
nell’interazione musicoterapeuta-bambino. Il piano della ricerca prevedeva anche l’utilizzo di un
registratore scrivente multitracce, in modo da trascrivere le sedute videoregistrate in una sorta di
partitura che istante per istante rendeva conto dell’andamento di alcune variabili comportamentali,
del tipo: orientamento visivo, sorriso, stereotipie, vocalizzi ecc. Questo lavoro è servito non solo
per cogliere alcune invarianti interattive che ci erano sfuggite nell’osservazione diretta, ma anche
per approfondire la nostra formazione come musicoterapeuti, oltre che naturalmente per verificare i
risultati raggiunti in seduta.
Con bambini di questa gravità le modalità di intervento si collocano quasi esclusivamente nei primi
due livelli (della nutrizione/stimolazione e dello pseudodialogo), con rare incursioni nel terzo
livello (del dialogo), e praticamente mai nel quarto livello (educazione/socializzazione).

Diversa è la situazione con bambini con ritardo medio o lieve, in cui è possibile lavorare sul terzo
e quarto livello. In primo luogo va sottolineato che la musica fa appello alla vita emotiva del
bambino ritardato, ovvero al suo sentimento, il quale non soffre delle stesse limitazioni di cui
soffre il suo intelletto (Alvin, 1965). Il ritardato può provare infatti una grande quantità di
impressioni, sentimenti, emozioni, che egli non è capace di utilizzare perché manca della necessaria
organizzazione intellettuale. Benché non sappia esprimersi con le parole, la sua vita interiore è
spesso assai più ricca di quanto di possa supporre.

Ora, molte forme di attività musicale si adattano alla sua mente poco sviluppata o primitiva, in
quanto si svolgono sul filo di una logica concreta e non richiedono una memoria molto duratura.
Molto godimento derivante dalla musica, nella sua fase primitiva ed elementare, può non richiedere
l’uso di particolari doti intellettuali. Facendo leva sul piacere del suono, è possibile offrire ai
bambini esperienze musicali via via più alte, adatte al livello da essi via via raggiungibile.
Come scrive la Alvin (1965, p. 79), “per il bambino minorato la musica può voler dire felicità e
possibilità di esprimersi da solo o insieme ad altri. L’ascoltarla può offrirgli grandi
stimolazioni, il produrla può essere ancora più eccitante, poiché cantando, suonando o muovendosi a
tempo di musica si sente attore”.

In tal modo, il bambino ritardato, stimolato dal piacere di fare musica, può essere condotto a
suonare in modo consapevole e controllato alcuni strumenti musicali molto semplici, i quali però non
devono mai scendere a livello del puro e semplice giocattolo, se si vuole che con essi abbia luogo
una vera esperienza musicale.
L’apprendimento della musica, come è evidente, può essere utilizzata a vari scopi: sviluppo
dell’attenzione, sviluppo delle capacità percettive, sviluppo e affinamento delle capacità motorie,
sviluppo delle abilità sociali ecc. Nei bambini ritardati l’apprendimento necessita in genere di
molte ripetizioni: la musica consente di assecondare questa necessità senza tradursi in attività
meccanica e ripetitiva, ma mantenendo vivo interesse e curiosità attraverso le variazioni e la
creatività.

Bambini affetti da paralisi cerebrale.

Si tratta di bambini con problemi motori, più o meno gravi. I loro arti sono spesso rigidi,
paralizzati o contratti da spasmi. Il loro senso dello spazio è difettoso, e spesso non sono
consapevoli di alcune parti del corpo. Molti hanno bisogno di assistenza per soddisfare i bisogni
più elementari. Sentendosi insicuri in un modo pieno di pericoli, spesso essi perdono lo stimolo
all’esplorazione attiva e all’indipendenza. Alcuni mancano di controllo emotivo, oltre che fisico, e
si lasciano facilmente trasportare dalla collera o dal capriccio. Inoltre la maggior parte di essi
presenta un ritardo mentale.
In che modo un’attività musicoterapica può aiutare questi bambini? La musica, come è noto, può
indurre variazioni nel tono muscolare, cioè può essere rilassante o stimolante, e può indurre il
movimento, facilitando la coordinazione e l’armonizzazione. Nell’utilizzare la musica con questi
bambini occorre essere ben consapevoli delle loro specifiche caratteristiche e bisogni. Ad esempio,
nei bambini affetti da atetosi, è più opportuno l’utilizzo di musica rilassante, che in questi casi
facilita l’esecuzione motoria. Negli spastici, al contrario, l’esecuzione può diventare più
controllata sotto l’influenza di una musica opportunamente stimolante (Alvin, 1965). Alcuni di essi
però non sopportano la musica stimolante, che accresce il loro senso di tensione e li sconvolge. Per
loro il tipo più adatto di musica è quello melodico, basato su un ritmo regolare e continuo, suonato
in modo non eccessivamente veloce, ma tuttavia gaio e vivace.

Alcuni risultati possono ottenersi anche con la scelta di opportune musiche registrate. Ma la musica
prodotta dal vivo, improvvisata ad esempio al pianoforte, può indurre nel bambino una graduale
trasformazione, facendolo passare da uno stato di rilassamento ad uno stato di attività, o
viceversa, quando sia necessario. Inoltre la musica improvvisata può essere calibrata esattamente
sul movimento che il bambino sta compiendo istante per istante, costituendo così un prezioso
feedback, una sorta di incoraggiamento, di rinforzo e di guida.
Appena è possibile, inoltre, è opportuno coinvolgere questi bambini nell’utilizzo di strumenti
musicali di volta in volta adatti a sviluppare determinati movimenti e la loro coordinazione. Per
esempio, è stato osservato che le note comprese nelle due estremità delle tastiere favoriscono il
movimento delle scapole e attivano i muscoli adduttori ed elevatori, e che l’uso delle campane
verticali è altrettanto benefico, in quanto induce il bambino a suonare delle note abbastanza lunghe
perché egli possa ogni volta far cadere le braccia lungo il corpo tra un colpo e l’altro (Alvin,
1965).
Inoltre, certi tamburi o altri strumenti a percussione possono essere suonati di lato, verso il
basso o addirittura con i piedi, offrendo così una svariata gamma di tecniche e dando al bambino
malato numerose opportunità di fare della musica.

Più in generale, il lavoro musicoterapico può essere molto utile in quanto consente di stimolare le
capacità espressive spontanee, riattivare la respirazione, sciogliere le tensioni croniche,
stimolare l’uso della voce, sbloccare la capacità di provare ed esprimere emozioni. In questi casi,
come è ben noto, gli esercizi motori che non si accompagnino ad una reale motivazione al movimento,
producono in genere un risultato piuttosto modesto. Non è attraverso il lavoro meccanico che il
corpo può riappropriarsi delle sue capacità. Al contrario, un lavoro musicoterapico, essendo molto
coinvolgente a livello emozionale, agisce in profondità, proprio alla radice del desiderio e del
piacere da cui scaturisce il movimento spontaneo o intenzionale (Alvin, 1965; Guerra Lisi et al.
1997). La musicoterapia non lavora in modo separato e meccanico, ma in modo globale ed olistico:
essa si dirige a riattivare la forza vitale che è presente in ogni organismo, per quanto comprovato
da deficit e malattie (Cremaschi, 1996).

Bambini autistici.

Sono state sviluppate diverse modalità di lavoro con bambini autistici, basate su differenti quadri
teorici. Ad esempio Benenzon (1981), psichiatra con impostazione psicodinamica, nel suo lavoro
pionieristico con questi bambini, ha creato una tecnica musicoterapica che ha il compito di
agganciare il bambino sui suoi vissuti regressivi durante la vita prenatale: vengono utilizzati
suoni d’acqua, suoni filtrati ecc. Trovato un canale di comunicazione, il musicoterapeuta inizia a
ricalcare in qualche modo il vissuto attuale del bambino, attraverso l’improvvisazione con gli
strumenti e con il canto.
Nordoff utilizzava l’improvvisazione pianistica. Egli era un maestro in quest’arte ed era in grado,
osservando attentamente il bambino, di porsi al suo livello e di sviluppare con lui, dall’interno,
una comunicazione a carattere melodico o ritmico (Nordoff, Robbins, 1965).

Su questa linea si colloca anche il lavoro svolto in Italia da Giulia Cremaschi, anch’essa
eccellente pianista e improvvisatrice. In genere i bambini autistici rifuggono ogni contatto:
pertanto nel primo periodo di lavoro con loro, la Cremaschi, come Nordoff, prende spunto da
qualunque cosa faccia il bambino in seduta, e lo traduce in suono, ritmo, melodia, adattandosi
istante per istante alle variazioni del bambino. Anche nei casi più difficili questo crea un ponte
tra la musicoterapeuta e il bambino: in qualche modo essi si collegano attraverso il suono e la
musica. Questo prima o poi produce un forte impatto nel bambino: egli si sente accolto, e nello
stesso tempo non invaso, cosa da cui fuggirebbe (Timbergen, Timbergen, 1984). Pian piano comincia a
fidarsi e ad aprirsi. A questo punto può iniziare una seconda fase di lavoro: la Cremaschi invita il
bambino a sdraiarsi sul pianoforte, ove una sua collaboratrice inizia un delicato lavoro di
massaggio. Il bambino rilascia le sue tensioni e impara ad abbandonarsi e a trarre piacere dal
contatto e dalle vibrazioni sonore che riceve (Cremaschi, 1996).
Questa fase della terapia si svolge nel primo livello, della nutrizione/stimolazione sonora, con
puntate via via più frequenti sul secondo livello, dello pseudodialogo. Anche qui, come nella
tecnica di Benenzon, si lavora sulla regressione, ma con una differenza: qui in più si fa leva sulla
risonanza e sul massaggio.
Superata questa fase, acquisita la fiducia del bambino, si passa successivamente al livello del
dialogo, e quando è possibile il lavoro si trasforma in pedagogia musicale.

In breve, per concludere, voglio far cenno al lavoro musicoterapico con bambini non udenti e non
vedenti. Musicoterapia per bambini sordi? Non è un controsenso? No, ci sono delle bellissime
esperienze, in Italia e all’estero, di lavoro con bambini non udenti. Esse in genere mirano a
sviluppare le capacità residue del bambino ad ascoltare i suoni con tutto il corpo, utilizzando il
fenomeno della risonanza, e favorendo un training nella forma molto coinvolgente di gioco musicale
(Alvin, 1966; Cremaschi, 1996). Con i bambini non vedenti ci sono esperienze sistematiche dirette a
utilizzare la musica come stimolo diretto a focalizzare l’attenzione visiva del bambino, ad
amplificare la sua partecipazione, a collegare sinestesicamente i differenti canali e a utilizzarli
in modo sinergico.

Negli adulti, a parte il lavoro svolto negli ospedali psichiatrici e nelle case di riposo con
anziani (Delicati, 1996) – diretto a stimolare la socializzazione, la partecipazione, il
coinvolgimento emotivo e l’interesse per gli altri, a valorizzare le memorie del passato e a dare un
significato al vivere presente – cito qui le esperienze con i soggetti comatosi e con i pazienti
terminali ammalati di AIDS. In Italia abbiamo esperienze pilota in questi delicatissimi settori, che
ci confermano ancora una volta la validità dei principi generali del lavoro musicoterapico: attenta
calibrazione dei segnali, ascolto empatico, rispecchiamento, ricalco, capacità di esprimersi
musicalmente sintonizzandosi nell’hic et nunc.

segue…

Approfondimento sul sito www.sublimen.com

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