Ipnotizzati dalla cultura globale

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Ipnotizzati dalla cultura globale

di Anticorpi

3/2/2018

Più passa il tempo e più ci lasciamo persuadere che la maturità sia un attributo in qualche modo
collegato alla rassegnazione e al cinismo, conseguibile all’interno dell’excursus di vita che
accomuna ogni individuo venuto al mondo all’interno della società mercantile.

Con il susseguirsi delle generazioni e la diffusione del pensiero unico, il modello si è così
fortemente radicato nell’immaginario collettivo da aver oscurato ogni altro approccio che non ruoti
intorno alla capacità economica. Ci hanno ipnotizzati ed ora fatichiamo a realizzare quanto la
nostra esperienza di vita sia sminuita dai recinti in cui dobbiamo agire per non essere esclusi dai
giochi. I pochi temerari che si avventurano oltre quei recinti si ritrovano dispersi in una sorta di
limbo desertico dal quale è estremamente semplice vedere i fili che muovono il Grande Teatrino.

Questo modello esistenziale castrato, ordinariamente ascritto ai ‘naturali’ effetti collaterali di
un regime economico sempre più invasivo e competitivo, è in realtà una sublime forma di dominio
politico. Controllano le masse intrappolando gli individui in un loop esistenziale di ripetitività,
debiti e omologazione. La quotidiana corsa al denaro ci rende cronicamente oberati e distratti,
dunque incapaci di trovare la volontà ed il tempo necessari al perseguimento di una reale
maturazione.

Falsa Maturità:

“La società non ha bisogno di individui, ma di efficienza. Pertanto, più una persona diventa umana,
meno è utile per la società, e più diventa pericolosa. L’intero schema della nostra civiltà comporta
la riduzione dell’essere umano a un automa”. (Osho)

Impedire la crescita interiore degli individui, è tra i più efficaci stratagemmi con cui il potere
riesce a manovrare sconfinati greggi di esseri umani, senza l’uso della forza. L’immaturità infatti
assoggetta gli individui all’autorità e alla cultura dominante, proprio come una pecora è
assoggettata al pastore, o un bambino ai propri educatori. L’immaturità è incapace di assumersi
responsabilità, perciò delega e spera.

La vera maturità invece è ingestibile dai maniaci del controllo, dato che chi ne è provvisto smette
di accettare le sovrastrutture in cui è nato, come qualcosa di naturale e indiscutibile. La vera
maturità non concede all’autorità la stessa fiducia nutrita da uno scolaretto verso il proprio
istitutore. Conscia dei principi che muovono il mondo, la vera maturità ha smesso di attribuire
buona fede di default; di lasciarsi irretire dalle parole piuttosto che guardare ai fatti; non
tollera dipendenze e intermediazioni.

Osserva criticamente, ha la memoria lunga e ha sviluppato la forza di vedere il contesto. La vera
maturità conosce la differenza che passa tra sapienza ed illusione, perciò è cosciente della propria
sostanziale, inevitabile ignoranza; sa che le uniche nozioni di cui possa fidarsi in misura
accettabile sono quelle verificabili in prima persona; sa che lasciarsi colonizzare l’immaginario,
indiscriminatamente, da infiniti flussi di informazioni filtrate (falsa cultura), denota una grave
assenza di comprensione della natura umana.

Parlo di vera maturità e falsa cultura, perché all’interno della nostra società si sono affermate
delle idee di maturità e cultura che – come tutti i luoghi comuni fabbricati per fini persuasivi –
sono estremamente fuorvianti per gli individui e funzionali agli interessi di sistema. Tramite il
solito lavoro certosino di manipolazione, ci hanno indotti a identificare il concetto di ‘crescita
personale’ con quello di ‘cultura’, e a confondere il significato della parola ‘maturità’ con il
senso del dovere e la disillusione; la ‘dignitosa’ rassegnazione nell’adattarsi (grazie, Darwin) a
vivere tra le storture di una società malata, abbracciandone malcostumi ed insani regimi di vita, in
virtù della loro ampia diffusione. La propaganda ha rimosso dal nostro immaginario il reale
significato di questi due concetti e li ha sostituiti con un’accozzaglia di luoghi comuni che ne
rappresentano la negazione.

Se ti sottometti all’autorità, fai il tuo dovere e accetti le regole per quanto ingiuste esse siano,
vuol dire che sei un uomo maturo. Se assorbi e poi veicoli orgogliosamente le nozioni che ti imbocca
la cultura dominante, sei un uomo ‘evoluto’. Nulla di più lontano dalla realtà. Piuttosto, sei un
infante che vive nel corpo di un adulto; ti hanno inculcato la percezione di un’autorità onnipotente
e onnisciente, e hanno soffocato la tua propensione alla crescita con una sfilza di sovrastrutture
così invasive da averti privato di ogni visione del mondo che non si intoni al Grande Spartito dello
status quo.

La vera maturità, la quale conduce alla libertà, scaturisce da due elementi acquisibili solo in
assenza di intermediazioni: l’esperienza e la coscienza. Proviamo a puntare i riflettori sul
concetto di ‘esperienza’.

Strategie Persuasive:

Avete mai sentito parlare della “Finta Alternativa”, e di “Poliziotto Buono, Poliziotto Cattivo”?
Sono due tecniche praticate dal sistema per mantenerci confinati nei già citati recinti. Con la
prima, si infonde nei sudditi l’illusione di avere esercitato il libero arbitrio all’interno di una
vera democrazia. Si allestisce un carosello di opzioni tra le quali ogni suddito è chiamato a
scegliere, con la convinzione di incidere sul proprio destino e quello della collettività. Tali
opzioni appaiono eterogenee ed esaustive ma in realtà sono tutte ugualmente accordate ai capisaldi
culturali dello status quo, concetti spacciati per strutture ‘archetipiche’, immutabili. Emblema di
questa strategia è il dualismo Destra-Sinistra vigente nella cosiddetta Politica. Schierandosi per
una delle due parti i sudditi si illudono di contribuire al miglioramento della società e di
ricavarne un beneficio, quando in realtà contribuiscono alla legittimazione della finta democrazia
rappresentativa in cui ha luogo la (finta) contrapposizione.

Con “Poliziotto Buono, Poliziotto Cattivo”, il sistema predispone una serie di modelli, organi e
personaggi che – benché sostanzialmente accomunati dalla loro innocuità e controllabilità – siano
percepiti dai sudditi come solidali rispetto alle loro ragioni o trasgressivi in rapporto allo
status quo. Tecnica molto proficua per intercettare il malcontento, suscitando negli oppressi
l’illusione di opporsi al sistema ed essere democraticamente tutelati da ‘organi competenti’, i
quali operano nei ‘modi previsti’ ed all’interno delle ‘sedi opportune.’ Il Capitale impersona il
poliziotto cattivo, il Sindacato impersona quello buono; gli industriali il cattivo, le associazioni
per il consumatore il buono; la politica corrotta il cattivo, l’eroico giornalista di denuncia il
buono. Dal di dentro appare tutto estremamente sensato e rassicurante, ma in realtà sono solo
illusioni finalizzate a sedare il malessere e l’inquietudine suscitati da un’invisibile, geniale
forma di tirannia.

Il Ruolo della Cultura:

“Non è vero che abbiamo poco tempo. La verità è che ne sprechiamo tanto”. (Seneca)

Ciò che definiamo ‘cultura’ si basa sugli stessi meccanismi persuasivi. Televisione, film e
videogiochi sono il poliziotto cattivo, mentre libri, lezioni e studio, quello buono. Alla prova dei
fatti, escludendo rare eccezioni di nicchia, tutte le strade conducono a Roma, nel senso che sia le
nozioni apprese per via ‘ludica’ che quelle contenute nei libri – veritiere o fasulle che siano –
seppure con linguaggi diversi, contribuiscono a fortificare un immaginario conforme ai capisaldi
sistemici. Nessuna di esse infatti supporterà mai modelli che sconfessino i luoghi comuni
finalizzati a conservare lo status quo, ad esempio: debito, centralismo, verticismo, autorità,
coazione forzata, violenza a fin di bene, pubblica istruzione, allopatia, progresso, darwinismo,
materialismo, ‘uguaglianza’ (omologazione)… Allo stesso modo nessuna di esse contribuirà mai a
diffondere concetti anti-sistemici quali: decentramento, insubordinazione, individualità,
autodidattica, autonomia, coscienza, spirito, tradizione, omeopatia, ‘disuguaglianza’
(eterogeneità)…

Ma la funzione ipnotica della cosiddetta ‘cultura’ non si esaurisce qui. Oltre a contribuire alla
formazione di un sistema di valori consono ai capisaldi del sistema dominante, infatti, essa infonde
negli individui che se ne nutrono un pericoloso senso di appagamento, che di fatto ostacola lo
sviluppo delle loro facoltà critiche e la loro maturazione. Assorbendo passivamente subissi di
nozioni non sperimentabili, siano esse contenute in un libro, un giornale, un prodotto audiovisivo o
siano le lezioni di un professore, prestiamo un duplice servizio a chi ci domina: ci illudiamo di
elevare la nostra dignità di esseri umani e ci auto-segreghiamo in un ambiente mentale ideale per la
stabilità del sistema, ma deleterio per la nostra esperienza di vita; un ambiente fatto di aride
nozioni selezionate e divulgate con l’intento implicito di ‘normalizzare’ gli strumenti con cui ci
dominano.

Cos’è la Cultura?

“La manipolazione, come specifica forma di esercizio del potere, viene esercitata, per così dire per
via indiretta, dall’élite del potere attraverso l’apparato culturale”. (C. W. Mills)

Ricorrendo a numerosi espedienti, tra cui le finte contrapposizioni di cui sopra, i plagiatori hanno
oscurato l’unica concreta fonte di sapienza, cioè l’esperienza diretta, seppellendola sotto un
cumulo di nozioni di seconda mano in larga parte incomplete, reticenti, svianti, non verificabili e
non finalizzate alla maturazione dell’individuo. Ci si può formare un’idea di tale manipolazione
confrontando due distinte definizioni di ‘cultura’ reperibili in rete.

Secondo la definizione fornita da Google, cioè il motore di ricerca più usato al mondo, la cultura
è: “Quanto concorre alla formazione dell’individuo sul piano intellettuale e morale e
all’acquisizione della consapevolezza del ruolo che gli compete nella società; il patrimonio delle
cognizioni ed esperienze acquisite tramite lo studio ai fini di una specifica preparazione in uno o
più campi del sapere”.

Definizione collocabile in zona-marx; il concetto di acquisizione della consapevolezza del ruolo che
compete in società è la quintessenza del collettivismo; scambia la cultura con la formazione
specifica finalizzata all’espletamento di specifiche mansioni ‘socialmente utili’. Ma la parte più
contestabile è il capoverso finale, quando si asserisce che l’unico modo di sviluppare un patrimonio
di cognizioni ed esperienze sia ‘lo studio’. Nemmeno un accenno alla vita vissuta in prima persona.

Grande fratellloLa definizione della Treccani Online – al contrario – non dà l’idea di essere stata
coniata dal Grande Fratello: “L’insieme delle cognizioni intellettuali che, acquisite attraverso lo
studio, la lettura, l’esperienza, l’influenza dell’ambiente e rielaborate in modo soggettivo e
autonomo diventano elemento costitutivo della personalità, contribuendo ad arricchire lo spirito e
sviluppare le facoltà individuali, specie la capacità di giudizio”. Spirito, autonomia,
individualità, giudizio. E soprattutto: esperienza. Provate a confrontare le due definizioni e
saprete cosa sia una manipolazione culturale in corso d’opera.

La Cultura Dominante:

“Il pericolo non proviene da quello che non conosciamo, ma da quello che crediamo vero, e invece
vero non è”. (M. Twain)

Naturalmente non tutta la cultura mediata è inutile ai fini dell’esistenza, specie se suffragata
dalle conferme che solo esperienza diretta e pensiero critico possono fornire. Va però detto che in
quest’ottica siano distinguibili almeno due diverse tipologie di cultura mediata. Il primo tipo, si
distingue per la sua verificabilità in completa autonomia, senza passare dal filtro della
discrezionalità umana; ad esempio le scienze formali o alcune discipline tecniche, le quali
includono la conferma della rispettiva sincerità. Al secondo tipo, invece, appartengono le materie
che richiedono di essere apprese in virtù di un atto di fede verso l’oggettività di chi le ha
prodotte e selezionate per la divulgazione. Filosofia, storia, letteratura, e ampi settori
dell’economia, della biologia, della medicina, perfino dell’arte ultimamente, appartengono a tale
insieme. Assorbiamo i rispettivi input senza poter verificare in modo certo la loro veridicità,
l’oggettività di chi le ha codificate, e la preferibilità dei modelli da esse veicolati, rispetto
agli altri modelli che per qualsiasi ragione siano stati esclusi dalla cultura dominante, quindi da
musei, biblioteche e aule di studio. Anche provandone la veridicità, non possiamo sapere intorno a
quali discriminanti abbiano preso forma.

Ciò che invece sappiamo, in quanto appurabile in piena autonomia grazie all’osservazione critica
della realtà, è che tutte le nozioni inglobate dalla cultura espressa da un determinato status quo,
tendono a supportare i suoi capisaldi, piuttosto che a screditarli. “La Storia è la versione dei
fatti di chi detiene il potere” asserì Hegel. Tuttavia non sviluppò il concetto (o almeno a noi è
giunto in questa forma embrionale), in quanto non aggiunse che la stessa tara è applicabile a
diverse altre discipline, che concorrono alla comune percezione della realtà e alla formazione
dell’immaginario collettivo. Discipline, che in fin dei conti, incarnano la versione dei fatti di
chi gode della facoltà di selezionare la ‘cultura’ da diffondere tramite istituzioni didattiche e
comunicazione di massa.

Ad esempio, tempo fa pubblicammo un post di Wes Penre dal titolo: “Cultura Manipolata, Religione ed
Illuminati”, in cui l’autore affermava che: “le società segrete hanno creato una finta esperienza
storica, una attualità illusoria, e potrebbero essersi serviti di personaggi minuziosamente
selezionati e poi celebrati dai loro media e dalla loro cultura, per educarci ad accettare
l’ideologia del nuovo ordine mondiale. Tutti gli altri, coraggiosi uomini e donne dalle menti
brillanti ma non funzionali al piano, furono esclusi dalla cultura dominante e spesso dipinti come i
cattivi”.

In quell’occasione facemmo una ricerca per verificare quanti dei personaggi proposti nei programmi
di studio italiani fossero collegabili alla massoneria. Il risultato della ricerca, che potete
verificare all’interno del post, confermò la tesi di Penre. Chi ha in mano le redini del sistema è
in grado di agire sulla cultura in molti modi: collocando uomini di fiducia all’interno delle
istituzioni e dei media; concedendo oppure negando risorse economiche a qualcosa o qualcuno in base
a discriminanti ideologiche; perfino producendo di sana pianta, come dei cineasti, fattispecie
capaci di indirizzare la cultura e l’inconscio collettivo nella direzione che gli è più utile.

Non è difficile prendere atto che qualsiasi sistema culturale tenda naturalmente a tutelare se
stesso. Come non accadrà mai che i principi sociali anarchici siano adottati all’interno di una
repubblica; che il legalismo autoritario sia adottato da una comunità anarchica; che in una setta
satanica si esalti lo spirito e in un eremo buddhista la materia, allo stesso modo nella cultura
espressa da uno specifico sistema sociale, non saranno mai divulgate nozioni potenzialmente in grado
di destabilizzarlo (a meno che non sia un obiettivo voluto, ma questo è un altro discorso).

Logica ed esperienza ci dicono che chiunque sia autorizzato a produrre o selezionare le nozioni da
aggregare alla cultura dominante, lo faccia sempre in accordo ai capisaldi di quella cultura. Spesso
tale attitudine al conformismo non è nemmeno fraudolenta; laddove nulla possono egoismo e
ricattabilità entrano in gioco assuefazione e pregiudizi di conferma. Nascere in un determinato
contesto sociale e poi crescere assorbendone l’essenza culturale, significa sviluppare una
resistenza alla comprensione/accettazione dei concetti incompatibili con quella cultura. Resistenza
direttamente proporzionale alla quantità di ‘formazione’ assorbita. Quanti di noi sono realmente
capaci di concepire un mondo senza lo strumento del denaro, senza l’obbligo del lavoro, senza
gerarchie, senza pastori spirituali e insegnanti di mestiere, senza autorità costituite a cui fare
riferimento?

Oggi il mondo pullula di portatori sani di menzogna, la cui buona fede infonde credibilità alla
cultura, approvata da coloro i quali ci trattano alla stregua di bestie in un allevamento. In altre
parole, l’onestà è ben poca cosa, in assenza di maturità.

A Chi Giova la Cultura:

“Uno degli aspetti più micidiali dell’attuale cultura, è di far credere che sia l’unica cultura…
invece è semplicemente la peggiore”. (Silvano Agosti, Il Discorso Tipico dello Schiavo)

“La storia è un mucchio di bugie su eventi che non sono mai accaduti, raccontate da persone che non
erano lì per vederli”. (G. Santayana)

La nostra cultura (così come qualsiasi altra cultura di massa) non è L’Unica Possibile o la Migliore
Possibile, ma solo l’espressione delle contingenze casuali, dei compromessi politico-economici e
delle esigenze amministrative che caratterizzano il contesto in cui si è sviluppata. Se la
percepiamo come insostituibile e inarrivabile, è solo a causa del lavaggio del cervello con cui ci è
stata preclusa ogni altra visione del mondo.

Ogni struttura di dominio per sopravvivere necessita di stabilità, la quale tende ad essere
consolidata anche per mezzo di manipolazioni culturali. Da tutto ciò si desume che ogni cultura
massificata non possa essere considerata come l’espressione di verità oggettive, ma solo il frutto
di un compromesso strutturale finalizzato alla conservazione degli equilibri di potere.

Ecco dove il dolo è facilmente riscontrabile. Nell’opera di propaganda con cui si è indotta la
maggior parte della gente a ritenere che la cultura dominante veicoli nozioni eterogenee ed
oggettive, quindi non necessariamente nocive per la massa di fruitori. Paradossalmente, ciò che si
spaccia per ‘cultura’ al giorno d’oggi non esprime il livello di erudizione, ma quello di
alienazione; di propensione all’accettazione di paradigmi esistenziali che l’individuo non è in
grado di valutare pienamente, e che è stato indotto a considerare ‘casuali’ e ‘imparziali’. Oggi più
che mai, non è difficile intuire che ciò che chiamano ‘cultura’, essenzialmente non è che
propensione ad assorbire e veicolare dogmaticamente i capisaldi di un pensiero unico.

Sembra strano vedere sedicenti pensatori indipendenti, basare ogni certezza sulla improbabile
‘convezione’ delle ‘fonti’, come se la preesistenza, la longevità, la commerciabilità di una nozione
siano indici di oggettività e veridicità; come se identificandone l’autore, un concetto diventi
oggettivamente valido e ogni fonte verificata sia di per se immune dalle distorsioni del tempo e
dell’imperfezione umana. Anche in campo spirituale ed esoterico, sono in tanti quelli convinti che
il fatto di essere antico renda un concetto automaticamente credibile. A me sembra che i nostri
strumenti di verifica siano ben poca cosa. Per esperienza so che esiste una grande differenza tra
ciò che crediamo di conoscere e ciò che conosciamo realmente.

Il ‘Problema’ dell’Esperienza:

“La parola, la parola scritta, codificata nei libri, non vale un caffè con un amico”. (E. Olmi)

“L’istruzione è una cosa meravigliosa, a patto di ricordare sempre che niente che valga la pena
conoscere potrà mai essere insegnato”. (O. Wilde)

La vera cultura è necessaria alla maturazione di ogni essere umano. Tuttavia la vera cultura è cosa
estremamente diversa da ciò che ci hanno insegnato. La vera cultura infatti non può prescindere da
un solido bagaglio di esperienze dirette. Come abbiamo detto, ai padroni del sistema conviene che
gli individui non raggiungano la maturità, di conseguenza ci hanno persuasi che l’esperienza
lavorativa sia tutto ciò che serve; che qualsiasi altra esperienza diretta possa essere ‘assolta’
nel cosiddetto ‘tempo libero’; che per conoscere sia sufficiente studiare o immedesimarsi nel
personaggio di un film; che per diventare maturi basti fare il proprio dovere omologato e
ripetitivo; che in una società progredita, l’autonomia non serva in quanto è la ‘collettività’ a
provvedere ad ogni nostra necessità, in cambio dei pezzi di carta con cui giustificano la nostra
sottomissione; che per crescere umanamente basti assorbire passivamente le nozioni che qualcun altro
ha elaborato per noi.

Per facilitarsi il compito ci hanno sbattuti in una ruota per criceti dominata dal debito, in cui a
furia di correre si perde di vista il vero significato dell’esistenza. Avviliti dagli spauracchi con
cui ci plagiano abbiamo iniziato a convincerci che oltre le colonne d’Ercole ci sia la fine del
mondo; che l’incertezza sia la peggiore iattura che possa accaderci; che ogni vessazione sia
tollerabile in cambio di questa grigia esperienza che chiamano: ‘vita sicura’. È prevalso il luogo
comune secondo cui una nozione ‘ordinaria’ appresa lentamente tramite esperienza diretta, valga meno
di dieci nozioni ‘straordinarie’ assorbite in pochi minuti attraverso le modalità allestite dai
plagiatori. Azione in scatola. Flebo di vita vissuta. Nessuna esperienza, nessun reale
accrescimento.

Qualcuno obietterà che con quest’ordine di idee la conoscenza non si sarebbe sviluppata ed oggi
vigerebbe la totale ignoranza nella maggioranza delle discipline. Obiezione plausibile, la cui
rilevanza però dipende dalla valutazione della nostra cultura e della società che ne è espressione.
Infatti, se per caso ritenessimo che in larga parte le nozioni di cui sopra siano semplici verità
relative, espressioni di una serie di compromessi politici finalizzati alla tutela di uno status quo
profondamente immorale, allora forse minore cultura vorrebbe dire solo minore indottrinamento e più
maturità e dignità. Al di là delle favole utopistiche, non può esistere una società progredita
composta da individui maturi; o l’una, o gli altri. La maturità dei singoli individui non può che
essere inversamente proporzionale al grado di evoluzione di un sistema sociale.

Oggi ci vantiamo di conoscere la Storia, però non sappiamo chi fossero i nostri bisnonni; siamo
appassionati di scienza, ma basiamo i nostri schemi mentali sui paradigmi introdotti da Darwin con
la sua teoria mai comprovata; accumuliamo amicizie sui social network ma stiamo perdendo l’abitudine
al contatto diretto; ci alimentiamo con ciò che passa il convento perché a furia di delegare ci
siamo lasciati sottrarre la facoltà di procacciarci il cibo senza l’intermediazione del mercato; ci
inorgogliamo dei diritti conquistati dalle donne e dai gay, ma nel frattempo le agenzie di
riscossione ci sbattono fuori di peso dalle nostre case come se fossimo mobilio da mandare al
macero; reclamiamo l’autonomia spirituale ma corriamo ad ascoltare nuove ‘verità’ diffuse da
sedicenti ‘maestri’ convinti che le religioni convenzionali debbano essere sostituite da nuove
discipline spirituali, anch’esse di massa.

Cultura dominante La realtà dei fatti, difficile da digerire, è che siamo immaturi. E in quanto tali
siamo ingenui, gregari, autolesionisti. Se ci tirassimo fuori dal nido di bambagia, che è la nostra
cieca fiducia verso la cultura dominante e l’essere umano in quanto tale, fatto di carne e
soggettività, scopriremmo di essere sostanzialmente imbottiti di nozioni intonate alla musica del
nostro asservimento: prigionieri di un immaginario scientificamente allestito allo scopo di avallare
e normalizzare gli strumenti con cui ci dominano.

Il Ruolo dell’Esperienza:

“Odio le citazioni; dimmi quello che sai”. (R.W. Emerson)

“Maturità è la capacità di sopportare l’incertezza”. (J. Finley)

Ricordate da giovani quanto fosse diversa la percezione del tempo? Giornate interminabili, stagioni
ed anni pieni, memorabili. Poi siamo cresciuti e la nostra percezione del tempo è andata
progressivamente accorciandosi. Il motivo è presto detto: da ragazzi godevamo di una quantità
adeguata di ‘tempo libero’ e delle condizioni ambientali ideali per vivere in prima persona, quindi
la nostra percezione del tempo era quotidianamente scandita da un vasto insieme di esperienze
sensoriali complete. Sebbene anche allora la vita avesse luogo all’interno di un recinto, lo spazio
a nostra disposizione era sufficiente a supportare la nostra crescita. A un certo punto, però, è
arrivato il momento della nostra allocazione all’interno del sistema (di asservimento sociale) del
debito, con la sua omogeneità e ripetitività, che in sostanza ci ha privati della facoltà di
proseguire in pace il nostro percorso di maturazione. In altre parole, quello vissuto nella
giovinezza è il tempo della vita, mentre il tempo degli adulti sintonizzati sulle frequenze della
paura e del debito, è il tempo piatto della non-vita, dei robot in cui vorrebbero trasformarci.

L’esperienza ci ha condotti dall’infanzia all’adolescenza e ci condurrebbe dall’adolescenza alla
maturità e all’autonomia, se il sistema lo consentisse. Ma il sistema ovviamente non lo consente;
una volta che abbiamo acquisito quel minimo di autonomia necessaria a ricoprire ‘il ruolo che ci
compete in società’, la nostra maturazione interiore viene cristallizzata in un cronico stato di
adolescenza. Basta guardarsi intorno, per realizzare come oggi la terza età sia composta in larga
misura da adolescenti rinchiusi in un corpo anziano.

E più il sistema intorno a noi si espande e si perfeziona, più si radicalizza l’opera di erosione
del nostro prezioso patrimonio esperienziale. Quando parlo di esperienze di vita non mi riferisco a
cose straordinarie come il giro del mondo in deltaplano, oppure sette anni in Tibet (per quanto roba
del genere sia pura vita). Parlo di quella che dovrebbe essere la ‘normalità’. Siamo certi che
oggigiorno ci sia concesso di vivere pienamente almeno le esperienze più comuni, quelle che
dovrebbero accomunarci ai nostri avi?

Ad esempio, siamo ancora in grado di restare da soli, in silenzio, senza far niente e senza cadere
addormentati come frigoriferi a cui è stata staccata la spina? Conosco persone che non prendono più
sonno senza la TV in sottofondo. C’è chi ottimizza il tempo trascorso sul WC, controllando le ultime
news sul cellulare. Il brusio è ovunque; ce lo siamo portato nella doccia con le radio impermeabili,
in auto con le autoradio, durante la pratica sportiva con i lettori mp3, nelle cucine e nelle camere
da letto con i televisori.

La solitudine è importante per la maturazione intellettuale e spirituale, tuttavia siamo stati
addestrati a non essere mai davvero soli, e mai davvero in compagnia. Il non plus ultra per chi ha
bisogno di impedire la nostra maturazione. L’opera di erosione del nostro patrimonio di esperienze,
è verificabile in ogni aspetto della società. Dalle giovani generazioni, dove i videogames online
hanno in larga misura sostituito i giochi di cortile, alla sottrazione del tempo necessario per
vivere una vita affettiva degna di questo nome, alla crescente difficoltà di instaurazione di
rapporti autentici in età adulta, ai muri di incomunicabilità che sono riusciti ad erigere –
complice la cultura pop – tra i sessi e le generazioni.

I nostri avi avevano un’idea confusa della storia, della letteratura, della scienza e delle arti; a
quei tempi l’unico strumento con cui il potere poteva ostacolare la loro maturazione era la
religione. Però i nostri avi potevano anche spostarsi senza passaporti, coltivare il cibo di cui si
nutrivano, costruire le loro case, curarsi con i loro medicamenti, educare i loro figli e – ove
necessario – prendere a calci in culo i loro oppressori. In altri termini: erano autonomi, e tale
autonomia faceva di loro degli uomini liberi. Il prezzo da pagare era l’incertezza, ma a quei tempi
erano gli individui a governare la paura, e non il contrario. Chi si fida della cultura dominante
potrebbe definirle vite ignoranti; io credo che i nostri avi conoscessero più cose utili e meno cose
dannose.

Concludendo:

“La libertà non è una cosa che si possa dare; la libertà uno se la prende, e ciascuno è libero
quanto vuole esserlo”. (J. M. Baldwin)

Fintanto che il debito e il materialismo proseguiranno a regnare, supportati dalla tecnologia, dalla
scienza e dalla ‘cultura’, non vi è possibilità che la massa ritorni a percorrere la strada che
conduce alla maturità individuale, quindi all’autonomia e alla libertà. Questo è un male per la
società, ma conta poco per il singolo individuo. Quindi, dobbiamo invertire il processo di erosione
della nostra esperienza diretta. Riordinare la nostra scala di valori. Ad iniziare dalle piccole
cose, tornare a prediligere la varietà rispetto alla routine; la vita reale alla vita vissuta
oniricamente tramite i prodotti di intrattenimento, siano essi libri o videogames. I recinti vanno
restringendosi, e se ci adegueremo all’andazzo saremo definitivamente trasformati in robot
riprogrammabili a piacimento, fabbricati in serie con l’unico scopo di servire l’apparato, quindi
privi di una coscienza individuale.

D’altro canto non è affatto semplice tagliare i ponti con il sistema, specie in un momento come
quello attuale, in cui purtroppo il debito regna praticamente ovunque. Scegliere la via
integralistica di Christopher McCandless, dalla cui esperienza fu tratto il bellissimo film: “Into
The Wild”, non è da tutti. Ciò nonostante esistono numerosi gradi intermedi. Potremmo iniziare a
riappropriarci della nostra dignità, anche solo imparando ad accogliere l’informazione e la cultura
dominanti per ciò che sono, cioè il punto di vista approvato da chi detiene il potere. E
soprattutto, educando i giovani ad adottare lo stesso tipo di approccio. Consapevoli che – per
quanto possano essere veritiere e mentalmente stimolanti – si tratta di nozioni filtrate tra
migliaia di altre, che in larga parte assumono come ‘normali’ i capisaldi di questo sistema che ha
industrializzato l’esistenza umana, obbligandoci a vivere a tappe forzate senza muovere un passo,
come polli su un nastro trasportatore. L’informazione e la cultura non spezzeranno mai alcuna
catena.

A mio modo di vedere, le nostre vite sono troppo brevi e i mezzi a nostra disposizione troppo
limitati per consentirci di acquisire una cultura generale che sia anche oggettiva, scevra cioè
dalle distorsioni con cui ci viene suggerita un’idea del mondo funzionale a chi ci domina. D’altro
canto il Creatore ci ha dato il tempo ed i mezzi necessari per conseguire i nostri reali obiettivi,
che invece sono alla portata e sono anche le uniche armi capaci di affrancarci dalla schiavitù; mi
riferisco all’esperienza, la quale conduce alla maturità e all’autonomia.

La maturità scaturisce solo da ciò che sperimentiamo direttamente. Ciò che assorbiamo per via
indiretta può esserci utile a titolo di moneta da spendere all’interno del recinto, ma non ci
aiuterà a perseguire il vero scopo della nostra esistenza, qualsiasi esso sia.

Fonte: anticorpi.info

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