Istruzioni sulla pratica di vipassana
di Mahasi Sayadaw
sulla pratica di vipassana
(da Pian de’ Ciliegi)
La pratica della meditazione Vipassana consiste nello sforzo fatto dal meditatore per capire correttamente la natura dei fenomeni psicologici e fisici che avvengono nel proprio corpo. I fenomeni fisici, le cose o gli oggetti che uno percepisce chiaramente nell’intero corpo, costituiscono il gruppo di qualità materiali, chiamate Rupa. I fenomeni della mente o mentali si chiamano Nama. Si percepisce chiaramente che questi fenomeni di nama rupa o corpo-mente stanno accadendo ogni volta che c’è vista, odore, suono, gusto, contatto, o pensiero. Ne diventiamo consapevoli, osservandoli e annotandoli. Quando vediamo, annotiamo ‘vedere’, quando udiamo qualcosa annotiamo ‘udire, udire’, quando odoriamo ‘odorare, odorare’, quando gustiamo ‘gustare, gustare’, quando tocchiamo ‘toccare, toccare’, e quando pensiamo ‘pensare, pensare’.
Ogni volta che uno vede, ode, odora, gusta, tocca o pensa deve prendere nota dell’avvenimento, del fatto. Ma all’inizio della pratica uno non riesce a prendere nota di tutti gli avvenimenti che capitano. Deve però prendere nota per lo meno di quei fenomeni che sono facilmente e chiaramente percepibili. Ad ogni respiro l’addome si alza e si abbassa e il movimento è evidente. Questa è la qualità materiale conosciuta come vaiu dathu o elemento del movimento. Uno deve cominciare col notare questo movimento, cosa che avviene quando la mente è concentrata ad osservare l’addome. Troverete che l’addome sale quando inspirate e scende quando espirate. Il salire deve essere notato mentalmente come salire e lo scendere come scendere.. Se il movimento non è chiaro, pur continuando a notarlo, tenete il palmo della mano sull’addome. Non alterate il modo di respirare, non rendetelo più lento o più veloce, né rendetelo troppo vigoroso: alterare il respiro vi darà stanchezza. Respirate normalmente come al solito e notate il salire e scendere dell’addome così come avviene. Notatelo mentalmente e non verbalmente.
Nella meditazione Vipassana non è importante che nome date, ma è importante il fatto di notare e percepire. Notate il salire
dell’addome dal principio alla fine del movimento, come se lo seguiste con gli occhi. Fate lo stesso con il movimento di discesa. Notate in modo tale che la consapevolezza sia all’unisono con il movimento stesso. La stessa cosa con il movimento discendente. La mente può distrarsi mentre state notando il movimento addominale. Anche questo va notato, dicendo mentalmente ‘divagare, divagare’. Quando è stato notato una volta o due la mente smette di distrarsi e allora ritornate al salire e scendere dell’addome. Se immaginate di incontrare qualcuno, notate ‘incontrare incontrare’ e poi tornate al salire e scendere dell’addome, se immaginate di incontrare e parlare con qualcuno notate ‘parlare parlare’. Insomma ogni pensiero che sorge va notato. Se state immaginando, notate ‘immaginare’, se pensate annotate ‘pensare’, se progettate ‘progettare’, se percepite ‘percepire’, se riflettete ‘riflettere’, se siete contenti notate ‘contentezza’, se vi sentite annoiati notate ‘noia’, se siete sereni ‘serenità’, se vi sentite scoraggiati ‘scoraggiamento’; notare tutti questi oggetti di consapevolezza è chiamato in pali citta nupassana. Se non riusciamo a notare questi atti di coscienza, saremo portati a identificarli con una persona o un individuo. Pensiamo che ci sia un ‘io’ che immagina, pensa, pianifica, conosce o percepisce. Crediamo che ci sia una persona che, dall’infanzia in poi, sia vissuta e abbia pensato. Nella realtà una persona così non esiste. C’è invece una successione continua di atti della coscienza. Ecco perché dobbiamo conoscere questi atti di coscenza e conoscerli per quello che sono, conoscere ogni singolo atto di coscenza, man mano che sorge. Quando li si osserva, tendono a scomparire e se questo capita, allora torniamo a notare il salire e scendere dell’addome.
Dopo un po’ che meditate, sensazioni di rigidità e bruciore tendono a sorgere nel corpo. Anch’esse vanno annotate attentamente. Lo stesso con le sensazioni di stanchezza o dolore. Tutte queste sensazioni sono dukkha vedana o sensazioni di insoddisfazione e il notarle è vedana nupassana. Se mancate di notarle potreste arrivare a pensare: ‘Io sono rigido’, ‘io sento caldo’ oppure ‘io ho un dolore’… E’ sbagliato identificare queste sensazioni con l’ego. Non c’è un io coinvolto, ma solo una successione di sensazioni spiacevoli, una dopo l’altra. E’ solo una successione continua di impulsi elettrici, come in una lampadina.
Ogni volta che vi è un contatto spiacevole nel corpo, sorgono sensazioni spiacevoli, una dopo l’altra. Queste sensazioni vanno notate attentamente, sia che si senta rigidità, bruciore o dolore. All’inizio della pratica di meditazione queste sensazioni possono aumentare e portare al desiderio di cambiare posizione. Va notato anche questo desiderio e poi lo yogi deve ritornare a notare le sensazioni di rigidità, caldo, eccetera.
“La pazienza porta al Nibbana” è un detto che va tenuto presente. Bisogna essere pazienti nella meditazione. Se uno si muove o cambia postura troppo spesso perché non sa essere paziente con le sensazioni spiacevoli che sorgono, non può sviluppare la concentrazione o samadhi. Se samadhi non si sviluppa non può sorgere la visione profonda (insight) e non ci può essere la realizzazione del sentiero che conduce al Nibbana e del phala o frutto di questo sentiero, e quindi il Nibbana. Per questo c’è bisogno di pazienza nella
meditazione. C’è bisogno di pazienza soprattutto con le sensazioni spiacevoli del corpo, come rigidità, calore, dolore, ecc.. In altre parole, le sensazioni difficili da sopportare richiedono di stare con loro pazientemente e attentamente, e questo significa essere consapevoli, man mano che sorgono. Uno non deve abbandonare la sala di meditazione non appena sorgono queste sensazioni, ma anzi deve andare avanti, notando ‘rigidità’, ‘calore’, ecc. Le sensazioni deboli come queste spariranno se si continua ad annotarle pazientemente. Quando la concentrazione è forte, perfino le sensazioni più intense tendono a scomparire. Poi uno ritorna a notare il salire e scendere dell’addome. Naturalmente se dopo un lungo periodo di tempo e avendo continuato ad annotarla, la sensazione non sparisce o diventa insopportabile, allora si può cambiare posizione. Si comincerà a notare ‘desiderio di cambiare’ e se si alza il braccio notare ‘alzare’ e quando lo si muove notare ‘muovere, muovere’. Tutti i movimenti per cambiare posizione vanno fatti lentamente e annotati ‘alzarsi, muoversi, toccare, eccetera’. Se il corpo oscilla, notare ‘oscillare’, se il piede si alza notate ‘alzare’, se si muove notate ‘muovere, muovere’, se si abbassa ‘abbassare, abbassare’. Se invece non c’è cambiamento, ritornate a osservare il salire e scendere dell’addome.
Non ci deve essere nessuna soluzione di continuità, nessun intervallo tra un atto di notare e il successivo, tra uno stato di concentrazione e il seguente, tra un atto di coscienza e l’altro. Solo così si creeranno graduali e sempre più elevati gradi di comprensione nel meditatore. La conoscenza del sentiero e della sua fruizione sarà raggiunta solo quando c’è questo tipo di spinta in alto. Il processo meditativo è come sfregare insieme energicamente e senza sosta due bastoncini di legno per ottenere la giusta intensità di calore che faccia nascere la fiamma. Allo stesso modo l’annotazione nella meditazione Vipassana deve essere continua e senza soste, senza nessuna pausa tra i vari atti del notare ogni singolo fenomeno che sorge. Per esempio, se si prova una sensazione di prurito e lo yogi vuole grattarsi perché non riesce a sopportarla, va annotata sia la sensazione che il desiderio di liberarsene, senza però grattarsi immediatamente. Se uno continua e persevera a notare in questo modo il prurito generalmente sparisce, nel quale caso uno ritorna al salire e scendere dell’addome. Se il prurito non va via, invece, si deve naturalmente eliminarlo grattandosi, ma prima bisogna notare accuratamente il desiderio di farlo. Tutti i movimenti coinvolti nell’eliminazione della sensazione vanno annotati, come il toccare, spingere e grattare e infine ritornare al salire e scendere
dell’addome. Ogni volta che cambiate posizione, cominciate con il notare l’intenzione o il desiderio di fare il cambiamento e andate avanti notando attentamente ogni movimento, come alzarsi dal sedile, alzare il braccio, il movimento e la tensione del braccio. Dovete notare i cambiamenti nello stesso momento in cui li fate. Se il corpo oscilla in avanti notatelo. Quando vi alzate il corpo diventa leggero e si alza. Concentratevi la mente e annotate gentilmente ‘alzarsi alzarsi’.
I meditatori si devono comportare come se fossero degli invalidi. Generalmente le persone si alzano facilmente, velocemente e
improvvisamente, ma questo gli invalidi non lo possono fare e si alzano lentamente e con molta attenzione. Anche quelli che hanno mal di schiena si alzano con molta attenzione per evitare delle fitte dolorose. La stessa cosa con il meditatore. Deve iniziare a fare il cambiamento di postura con consapevolezza, gradualmente e lentamente, e nel contempo annotare “alzarsi, alzarsi”; solo allora, la
consapevolezza e la concentrazione faranno sviluppare e gradualmente maturare l’insight. E non solo questo: sebbene gli occhi funzionino il meditatore deve comportarsi come se non vedesse, e la stessa cosa con le orecchie che odono Quando medita lo yogi deve solo occuparsi di essere consapevole e annotare. Non lo riguarda ciò che ode o vede; deve comportarsi come se non vedesse e non sentisse. Ci deve essere solo una annotazione continua e accurata.
Quando durante la giornata, lo yogi si muove, lo fa gradualmente come se fosse debole; deve muovere le braccia e le gambe lentamente e sempre lentamente abbasserà o alzerà la testa. Tutti questi movimenti devono essere fatti gentilmente. Quando è seduto e si alza, lo deve fare gradualmente notando ‘alzarsi’, quando sta in piedi notando ‘in piedi’, quando si guarda qua e là notare ‘guardare’, ‘vedere’, quando cammina nota i passi, se sta camminando con la gamba destra o con la sinistra. Inoltre lo yogi deve essere consapevole di tutti i successivi movimenti dal momento che alza il piede fino a quando lo abbassa. Questo quando si cammina velocemente.
Quando si cammina lentamente o si fa la meditazione camminata bisogna notare tre movimenti in ogni passo: quando si alza il piede, quando lo si avanza, quando lo si posa. Cominciate col notare solo i movimenti di alzata e di abbassata. Uno deve essere consapevole quando alza il piedi e lo stesso quando lo abbassa. Deve notare ‘alzare’ e
‘abbassare’ ad ogni passo. Questo nominare diventerà facile dopo qualche giorno, e allora cominciate a nominare i tre movimenti di ‘alzare’, ‘avanzare’, e ‘abbassare’. Ricapitolando, all’inizio o quando si cammina veloce basta sapere che piede si muove e notare “sinistro, destro”. Quando si cammina un po’ più lentamente si notano i due movimenti di ‘alzare’ e ‘abbassare’. Quando si cammina lentamente si notano tre movimenti come spiegato sopra.. Mentre si sta camminando e viene voglia di sedersi notare ‘voglia di sedersi’. Quando vi sedete veramente osservate con concentrazione il cadere del corpo sulla sedia. Quando siete seduti notate i movimenti che si fate per sistemare le gambe e le braccia. Quando non ci sono movimenti e il corpo è fermo notate solo il salire e scendere dell’addome.
Se mentre state notando la rigidità del corpo o degli arti sorge una sensazione di calore, annotatela accuratamente. E poi ritornare al salire e scendere dell’addome. Se poi viene voglia di sdraiarsi notatelo e notate anche il movimento delle gambe e delle braccia mentre vi sdraiate. Il movimento del braccio, l’appoggiarsi del gomito che tocca il pavimento, l’oscillare del corpo, lo stendersi delle gambe, il graduale ripiegamento del corpo mentre si prepara a sdraiarsi. Tutti questi movimenti vanno notati. E’ importante annotare tutto questo processo, perché nel farlo potete avere una chiara conoscenza del sentiero e del suo frutto. Infatti, quando la concentrazione e l’insight sono forti e maturi, la conoscenza può venire ad ogni istante, può arrivare in un singolo piegamento o stiramento del braccio.
Questo accadde ai tempi del Buddha, subito dopo la sua morte, quando il venerabile Ananda, il suo attendente divenne un completo aharant. Il ven. Ananda tentò disperatamente di raggiungere lo stato di aharant nella notte precedente il primo grande concilio. Aveva praticato tutta la notte vipassana. Notava i passi destro sinistro, l’alzarsi, avanzare e scendere del piede, notando tutto ciò che man mano accadeva, come il desiderio fisico di camminare e il movimento coinvolto in ogni passo. Sebbene tutto questo andasse avanti fino quasi all’alba non aveva ottenuto la realizzazione. Capì che aveva fatto la meditazione camminata per troppo tempo, e che avrebbe dovuto equilibrare la concentrazione con lo sforzo. Decise perciò di continuare a fare meditazione nella posizione sdraiata. Entrò nella sua stanza, sedette sul giaciglio e poi cominciò a sdraiarsi. Mentre faceva ciò annotando accuratamente ‘sdraiarsi’, raggiunse il primo stadio verso lo stato di arahant in un istante.
Il Venerabile Ananda prima di quel momento, era stato solo un sotapanna, uno che era entrato nella corrente, cioè il primo stadio del sentiero verso il Nirvana. Dallo stato di sotapanna raggiunse il secondo stadio (cioè di colui che ritorna una volta sola), poi il terzo, quello del non ritorno, e raggiunse l’ultimo stadio nel cammino della illuminazione, divenendo un arahant. Passare attraverso questi tre eccelsi stadi del sentiero gli prese pochissimo tempo. Pensate a questo esempio del Ven. Ananda. Questo raggiungimento può arrivare da un momento all’altro. Ecco perché gli yogi devono notare tutto diligentemente e in continuazione. Non bisogna rilassarsi nel notare pensando: ‘questo non è poi così importante’. Tutti i movimenti che si fanno per sdraiarsi sono importanti e devono essere notati il meglio e il più accuratamente possibile. Se non ci sono movimenti e il corpo è fermo ritornate al salire e scendere dell’addome. Anche quando si fa tardi e arriva il tempo di andare a dormire lo yogi non va a dormire lasciando perdere la concentrazione. Un meditatore serio e impegnato cercherà di praticare la concentrazione anche mentre sta per addormentarsi. Andrà avanti a meditare fino al momento che il sonno verrà da solo.
Se la meditazione è buona e profonda, non si addormenterà; ma può capitare invece che il sopore abbia la meglio e lo yogi si addormenti. Se sente sonno deve notare ‘sonno, sonno’ o se le palpebre si chiudono, notare ‘chiudersi, chiudersi.’. Se diventano pesanti notare ‘pesanti’, se gli occhi bruciano notare ‘bruciare’. Notando in questa maniera può accadere che il sopore sparisca e gli occhi diventino chiari di nuovo. Allora notare ‘chiari’, e andare avanti, notando il salire e scendere dell’addome. Così si può continuare a meditare e se sorge un pesante torpore finalmente il meditatore si addormenterà per davvero. Se meditate nella posizione sdraiata, diventerete sempre più sonnolenti e infine vi addormenterete. Ecco perché i principianti non devono meditare nella posizione sdraiata. Ma quando poi si fa tardi e viene il tempo di dormire, meditate nella posizione sdraiata seguendo il salire e scendere dell’addome. E poi naturalmente ed
automaticamente vi addormenterete. Il tempo del sonno è il tempo di riposo del meditatore, ma uno yogi molto impegnato dovrebbe cercare di limitarlo a quattro ore. Quattro ore di solito sono sufficienti. Se il meditatore principiante pensa che quattro ore non siano sufficienti alla salute può dormire anche cinque o sei ore. Sei ore sono chiaramente abbastanza per la maggioranza della gente. Quando lo yogi si sveglia deve subito ricominciare a notare. Lo yogi che vuole raggiungere l’illuminazione sospende la meditazione solo quando dorme. Nel resto del tempo, deve notare continuamente e senza sosta, nominando il più accuratamente possibile, fin dal risveglio “sveglio, sveglio”e altri stati; se non ci riesce subito, osserva il salire e scendere dell’addome. Se intende uscire dal letto nota l’intenzione di uscire dal letto e poi tutti i movimenti delle gambe e delle braccia nel far ciò. Quando alza la testa nota ‘alzare’, quando siede ‘sedere’. E’ importante che ogni volta che cambia posizione, muove le braccia o le gambe prenda nota di tutti questi movimenti.
Se non ci sono movimenti e si sta seduti tranquillamente, allora si nota il salire e scendere dell’addome. Uno deve notare anche quando si lava la faccia, fa la doccia e siccome i movimenti in questo caso sono piuttosto rapidi si cerca di notarli il meglio possibile. Poi c’è il vestirsi, il sistemare il letto, aprire e chiudere la porta: tutto deve essere notato il più accuratamente possibile. Quando il meditatore pranza e si avvicina al tavolo nota ‘guardare’, quando allunga la mano, prende il cucchiaio, si serve del cibo, quando lo mette nel piatto, quando porta il cucchiaio alla bocca, quando la testa si china, mette in bocca, abbassa il braccio, lo alza per un altro boccone: tutti questi movimenti vanno notati il più
accuratamente e continuamente possibile. Quando il meditatore mastica noterà ‘masticare’ quando sente il sapore del cibo dirà ‘gustare’, va notato anche il movimento di masticare, rendere liquido e ingoiare il cibo e bisogna continuare a essere consapavoli di tutto ciò che sta capitando. Durante i pasti c’è talmente tanto da notare che il principiante spesso salta molte cose che andrebbero notate, ma comunque dovrebbe metterci la migliore buona volontà. Man mano che samadhi diventerà più intenso e continuo il meditatore riuscirà a seguire sempre più ciò che sta capitando.
Abbiamo parlato di molte cose che vanno notate, ma per riassumere basta menzionare poche cose che vanno assolutamente notate: quando si cammina velocemente notare passo sinistro e passo destro e quando si cammina piano l’alzarsi ed abbassarsi del piede e quando si cammina molto lentamente “alzarsi”, “avanzare” e “abbassarsi” del piede; quando si è sdraiati o seduti fermi notare l’alzarsi e l’abbassarsi dell’addome, se non c’è niente altro di particolare da notare Se la mente divaga, notate i vari atti di coscienza che sorgono e di nuovo poi tornare al salire e scendere dell’addome. Notate anche le sensazioni di rigidità, dolore e prurito man mano che vengono poi tornare all’alzarsi e abbassarsi dell’addome. Notate man mano che avvengono il sollevamento, lo stiramento e il movimento degli arti, il chinarsi e il movimento della testa, l’oscillare e il chinarsi del corpo, e poi ritornate all’alzarsi e abbassarsi dell’addome. Man mano che procedete, vedrete che ci sono sempre più cose da conoscere nei fenomeni che avvengono. All’inizio siccome la mente vaga qua e là, il meditatore non riesce a notare molte cose che accadono, ma non deve scoraggiarsi. Tutti i principianti incontrano le stesse difficoltà. Con la pratica il meditatore riuscirà ad accorgersi della mente che divaga fino a quando questa non divagherà più. La mente rimane fissa sull’oggetto e la consapevolezza è quasi simultanea con l’oggetto dell’attenzione come l’alzarsi ed abbassarsi dell’addome. In altre parole l’atto di alzarsi e abbassarsi dell’addome è simultaneo all’atto di notarlo. Gli oggetti fisici dell’attenzione e i contenuti mentali sono notati appaiati, insieme, e si capirà che non vi è nessuno coinvolto in questa azione: c’è solo l’oggetto fisico dell’attenzione e l’attività mentale del notare che avvengono simultaneamente. Il meditatore sperimenterà personalmente questi fenomeni. Mentre segue l’alzarsi dell’addome imparerà che vi è il fenomeno fisico dell’alzarsi e l’atto mentale del notare. Lo stesso con l’abbassarsi dell’addome. Lo yogi imparerà a vedere la
simultaneità di ciò che capita, vedendoli come fenomeni fisici e mentali appaiati. Quindi in ogni atto del notare lo yogi imparerà che c’è solo una qualità materiale come oggetto di attenzione e una qualità mentale che ne prende nota. Questa conoscenza è la prima dei vipassana nana ed è importante raggiungere tale conoscenza
correttamente. Poi il meditatore raggiungerà la seconda vipassana nana, distinguendo tra causa ed effetto.
Man mano che meditano gli yogi vedranno da loro che tutto ciò che sorge, dopo un po’ sparisce. La gente comune pensa che i fenomeni sia fisici che mentali durino tutta la vita nella stessa maniera dalla gioventù alla vecchiaia. Ma non è così. Non esiste fenomeno che duri per sempre, anzi ogni fenomeno avviene e sparisce continuamente, non dura più di un batter d’occhio. Lo sperimenterà lo yogi andando avanti nel notare. Si accorgerà
dell’impermanenza di tutti i fenomeni. A questa comprensione seguirà la consapevolezza di dukkha (dukkha nupassana nana), cioè la comprensione che tutto quello che non dura crea sofferenza. Il meditatore sperimenterà anche molti dolori nel corpo che non è altro che un aggregato di sofferenze. Anche questa è dukkha nupassana nana. Poi lo yogi si convincerà che tutti questi fenomeni psicofisici capitano senza la sua volontà e senza il suo controllo. Non fanno parte di una entità personale o egoica. Questa realizzazione è anatta nupassana nana. Quando, proseguendo nella meditazione, gli yogi arriveranno a capire chiaramente che tutti questi fenomeni sono anicca (impermanenti) dukkha (insoddisfacenti) e anatta (vuoti di un’entità egoica), otterranno il Nibbana. Tutti i buddha e gli aharant hanno raggiunto il nibbana seguento proprio questo sentiero. Tutti i meditatori dovrebbero sapere che sono sul sentiero del satipattana, verso il Nibbana. Dovrebbero essere contenti per questo e per la prospettiva di poter sperimentare questo nobile tipo di samadhi o tranquillità della mente dovuta alla concentrazione e ottenere la conoscenza ultramondana, sperimentata nel passato dai buddha, dagli aryia e che loro stessi ora potrebbero sperimentare. Questo può avvenire nello spazio di un mese o 20 o 15 giorni di pratica. Quelli che hanno paramita eccezionali possono arrivarci anche in soli 7 giorni. Lo yogi deve dunque essere contento nella certezza che raggiungerà questi traguardi presto. Deve proseguire nella pratica, fiducioso nella riuscita.
Che tutti possano praticare la meditazione e possano raggiungere l’illuminazione che buddha e aharant hanno sperimentato.
ISTRUZIONI E DIMOSTRAZIONI PRATICHE DI U VIVEKANANDA
Vorrei parlarvi, a livello pratico, della meditazione seduta, della meditazione camminata, di cui darò una breve dimostrazione e delle attività quotidiane.
Cominciamo con la meditazione seduta: quando vi sedete in meditazione scegliete una postura confortevole, che può essere o nella posizione del pieno loto o, se questo risultasse troppo difficile, nella posizione del mezzo loto o in quella che viene chiamata la postura birmana che consiste nel porre una gamba piegata di fronte all’altra senza sovrapporle: l’alluce della gamba che sta all’interno si posa tra la coscia e il polpaccio dell’altra gamba che sta all’esterno.
Chi non riesce a stare in queste posizioni, può usare due o più cuscini in modo che alzando le natiche si crei meno tensione nelle cosce. Forse più tardi, con la pratica, riuscirete a togliere il secondo e anche il primo cuscino e a sedervi direttamente sul tappeto di meditazione. Chi ha problemi di ginocchia può sedersi su piccoli sgabelli e chi ha seri problemi di schiena può sedersi su una sedia senza però appoggiare il dorso. La cosa importante è scegliere una posizione abbastanza confortevole in modo che possiate tenerla a lungo. Per quanto riguarda le mani, nella pratica di Vipassana non si attribuisce alcun significato alla posizione delle mani. Potete tenerle in grembo, o una sopra l’altra con i pollici che si toccano. I pollici in contatto possono servire a scoprire, quando si allentano, il sopraggiungere della sonnolenza. E allora, allertati, potete fare uno sforzo maggiore per vincere il torpore.
Per quanto riguarda la schiena, cercate di tenervi il più possibili diritti e per usare un esempio tecnico, formate un angolo di 90 gradi con il pavimento. Non è difficile capire il perché di questa raccomandazione. Se uno tiene la schiena incurvata e rilassata, sarà facile preda della sonnolenza e inoltre la curvatura creerà ostacoli alla respirazione, problemi al sistema gastrointestinale, alla digestione, al sistema urinario e alla circolazione sanguigna. Quindi, per evitare queste difficoltà, è bene meditare tenendosi il più diritti possibile.
Nella meditazione vipassana seduta non vi è necessità di tenere gli occhi aperti, per cui chiudete gli occhi e apriteli soltanto se vi sentite presi da una forte sonnolenza. La luce del giorno o di una lampada può aiutarvi a superare il torpore.
Per quanto riguarda il respiro, mantenetelo naturale, non cercate di manipolarlo, controllarlo o forzarlo. Se il respiro è veloce, lasciatelo così com’è e se, a causa della profonda concentrazione il respiro si fa sottile e lento, accettatelo così com’è senza cercare di accelerarlo.
Il principale oggetto di osservazione nella meditazione seduta è il movimento dell’addome. Quindi quando vi sedete iniziate con
l’osservare l’alzarsi e l’abbassarsi dell’addome. Se all’inizio avete difficoltà a notare l’oggetto primario, cioè l’alzarsi e l’abbassarsi dell’addome, potete mettere i palmi delle mani sull’addome e seguirne i movimenti; vi sarà più facile sentire le sensazioni in quell’area. Quando, durante la pratica si presenteranno altri oggetti predominanti nel corpo e nella mente, come per esempio la mente che divaga e se questo divagare è l’oggetto predominante, lasciate perdere i movimenti dell’addome e prendete la mente divagante come oggetto di
osservazione, etichettatela ‘divagazione, divagazione’ o ‘pensiero, pensiero’ e quando finisce ritornate all’addome. Continuate ad osservare l’addome e quando si presenta, per esempio, un dolore in qualche parte del corpo, lasciate perdere l’addome e portate l’attenzione sul dolore, osservandolo ed etichettandolo.
Qualche indicazione su come osservare i dolori o altre sensazioni che sorgono nel corpo. Quando sorge un dolore o altra sensazione, per prima cosa osservatene la qualità. Ci sono diversi tipi di dolore: dolori lancinanti, punture, dolori acuti o brucianti, e pressione, rigidità, stiramento, tensione, ecc. Cercate di capire esattamente la natura del dolore che provate. Potete anche osservarne l’intensità, cioè come si comporta il dolore in termini di intensità, cresce o diminuisce? Inoltre potete osservare dove sorge un dolore. Il dolore sta fermo allo stesso posto o si muove da un posto all’altro, o si diffonde? Alcuni dolori sorgono in un posto e quando uno li osserva e li annota, presto o tardi scompaiono, sempre nello stesso posto. Altre sensazioni sorgono in un posto e mentre uno le osserva sembra che si spostino altrove. Talvolta sentite prurito, nasce in un posto, sparisce nello stesso posto e un prurito simile rinasce altrove. Osservate questo tipo di caratteristiche. Per quanto riguarda il tempo, alcune sensazioni sono molto brevi e non durano più di qualche secondo o minuto; altre durano cinque o dieci minuti e talvolta per tutta la durata della seduta. Vanno quindi osservate le seguenti caratteristiche: la qualità, l’intensità, il luogo e la durata dell’oggetto osservato e cercate di descriverlo in questi termini. E’ importante che quando uno osserva una sensazione di dolore nel corpo non tenti di liberarsene annotandola, e invece cerchi di conoscerne la natura e le caratteristiche.
Quando queste sensazioni diminuiscono e si dissolvono, tornate all’alzarsi e abbassarsi dell’addome, e continuate ad osservarlo fino a che non si presenti un altro oggetto predominante sia nel corpo che nella mente. Quindi se udite un suono forte, etichettate ‘sentire, sentire’, osservate brevemente il processo dell’udire e tornate all’addome. La stessa cosa va fatta per gli altri oggetti dei sensi. Quando vedete qualcosa, etichettate ‘vedere, vedere’ e quando sparisce, tornate all’addome. La cosa fondamentale è osservare sempre l’oggetto predominante in quel momento nel corpo o nella mente. Possono essere cose diverse per cui si comincia con l’alzarsi ed abbassarsi dell’addome e poi, se interviene un pensiero, passate al pensiero, nominatelo e osservatelo per un poco e quando sparisce tornate all’addome. Lo stesso quando sorge un dolore, un suono, ecc.
Può capitare facilmente che mentre sedete in meditazione sorga un dolore. Cercate di non cambiare posizione fino a che la seduta non sia finita, a meno che il dolore non sia insopportabile. In questo caso cambiate pure la posizione, ma fatelo lentamente e con consapevolezza, notando e osservando tutti i movimenti che si fanno per cambiare posizione. C’è un altro aspetto importante sia nella meditazione seduta e camminata che nelle attività quotidiane: il bersaglio. La mente deve essere portata e focalizzata sull’oggetto. E questo è un fattore mentale, vitaka. Un altro fattore mentale è lo sforzo, viriya, nel senso di spingere la mente verso l’oggetto. Con l’aiuto della mira e dello sforzo la mente “atterrerà” o raggiungerà l’oggetto e con ciò potrete stabilire la consapevolezza dell’oggetto, che porterà la mente a ‘cadere’ dentro all’oggetto e ad attaccarsi ad esso. Quindi questi fattori di vitaka (mira) e sforzo (viriya), consapevolezza (sati) e concentrazione (samadhi) sono estremamente importanti per sviluppare l’intuizione profonda, la saggezza. Se questi fattori sono presenti, riuscirete a capire correttamente la natura dell’oggetto osservato.
Un altro importante aspetto della pratica meditativa è la continuità della consapevolezza e ciò significa che l’osservazione cosciente deve procedere di minuto in minuto, di secondo in secondo, senza
interruzioni e questo non solo durante la meditazione formale, ma anche mentre si cammina o si fanno le attività quotidiane. In altre parole il meditatore deve sviluppare una continua consapevolezza dal momento che si sveglia al momento che si addormenta. Naturalmente questo non è facile all’inizio di un ritiro, ma praticando sempre più uno può avvicinarsi molto a questo ideale di una continua
consapevolezza.
Ora vi darò qualche indicazione sulla meditazione camminata.
Tenetevi ben ritti e tenete le mani davanti o dietro la schiena. Gli occhi vanno tenuti bassi e fissi a circa due o tre metri davanti a voi. Non si deve guardare a destra o a sinistra. Si scelga un percorso di una quindicina di metri e quando si arriva alla fine del percorso notare ‘stare in piedi’ e quando ci si gira per tornare indietro, notare ‘girarsi, girarsi’.
In questo tipo di meditazione vipassana si fa un’ora di meditazione seduta seguita da un’ora di meditazione camminata e così per tutta la giornata. La meditazione camminata a sua volta va divisa in 3 parti di venti minuti l’una. Nei primi venti minuti si cammina abbastanza velocemente e si usa tutta la gamba come oggetto d’osservazione, etichettando ‘destra’, ‘sinistra’ a seconda che sia rispettivamente la gamba destra o la sinistra e poi si osservano le sensazioni
predominanti nella gamba nominata.
Gli altri 20 minuti si rallenta la camminata e si divide ogni passo in due parti, cioè l’alzarsi e abbassarsi del piede. L’oggetto di osservazione non sarà più l’intera gamba ma solo il piede che in quel momento si alza o si abbassa. Quando il piede si alza, notiamo ‘alzarsi, alzarsi’ e osserviamo tutto il movimento dell’alzarsi dall’inizio alla fine e cerchiamo di conoscere le sensazioni predominanti e i vari tipi di movimento nel processo di alzare il piede. La stessa cosa per l’abbassarsi del piede. Notiamo ‘abbassarsi, abbassarsi’ e cerchiamo di seguire tutto il processo dell’abbassarsi incluso il momento in cui il piede tocca terra, dall’inizio alla fine e cerchiamo di sentire le sensazioni che sorgono in questo processo e i diversi tipi di movimento.
Negli ultimi venti minuti cercate di andare il più lentamente possibile; più adagio andate meglio è. Di nuovo usate solo il piede come oggetto e dividetene il movimento in tre parti, cioè l’alzarsi, l’avanzare e l’abbassarsi del piede, incluso il momento in cui tocca terra. Quando alzate il piede notate una o due volte ‘alzarsi, alzarsi’, quindi tenete l’attenzione sull’intero processo del piede che si alza e sulle sensazioni che sorgono. Forse vi accorgerete di diverse sensazioni quali rigidità, pesantezza, leggerezza o il movimento vi parrà difficile, continuo o discontinuo, ecc. Ci sono quindi molte cose da osservare. Quando alzate il tallone, per esempio, che tipo di sensazioni sentite in quella parte del piede? Forse rilassamento o pressione. E poi quando alzate ancora più il tallone vi è un cambiamento nell’arco del piede e forse la tensione cresce e quando si solleva ancora di più questa tensione può arrivare alla punta del piede. Cercate di essere consapevoli di tutto questo e della rigidità sulla punta e poi quando si stacca completamente il piede dal suolo che sensazioni ci sono in quel punto? Quando alzate l’intero piede verso l’alto vi è pesantezza o rigidità? E’ difficile da muovere, c’è della resistenza che richiede una certa forza? Queste sono le cose che vanno osservate Quando avanzate il piede notate ‘avanzare, avanzare’ una o due volte e tenete l’attenzione su questo movimento dall’inizio alla fine. Scoprirete forse che vi è leggerezza nel piede, o che questo è caldo o freddo, o che vi sono vibrazioni, o sensazioni ovattate o che il piede avanza come se scivolasse; forse osserverete sensazioni piacevoli o spiacevoli e, muovendovi così lentamente avrete la sensazione di perdere l’equilibrio. Ma altre volte il movimento è continuo o discontinuo, talvolta sembra che ci sia una resistenza, talvolta è come se si camminasse tra le nuvole o talvolta ci si sente spingere da dietro o di fronte all’indietro.
Di nuovo lo stesso quando si abbassa il piede e lo si poggia a terra; all’inizio notate ‘abbassare, abbassare’ una o due volte e osservate l’intero processo; cercate di percepirne le sensazioni e i diversi tipi di movimento. Particolare attenzione va data al momento in cui il piede poggia per terra, quando il tallone tocca il suolo e poi quando l’intero piede si adagia sul terreno. Forse sentirete morbidezza o durezza, ruvidezza o omogeneità. Ci sono moltissime sensazioni da osservare. Per esempio, man mano che adagiate il piede a terra la tensione diminuisce, poi vi è il rilassamento di quella tensione e forse ci sarà una piacevole sensazione nel piede. E nel momento in cui tutto il peso va sul piede vi sarà forse pressione, irrigidimento e possiamo osservare come il peso del corpo prema sul piede e crei una sensazione spiacevole sulle dita del piede. L’attenzione va sempre tenuta sul piede che si alza, avanza e si abbassa e non su quello che sta fermo.
Nel corso della meditazione camminata può capitare che la mente divaghi e quando la mente distratta è molto forte diventa un impedimento: ciò che potete fare è fermarvi semplicemente e prendere la mente vagante come oggetto di osservazione, notando ‘divagare, divagare’ un paio di volte e, se la distrazione cessa, riprendete la camminata. La stessa cosa si può dire per forti sensazioni che sorgono nel corpo durante la meditazione camminata. Se vi capita di avere questo tipo di sensazioni, fermatevi e prendete queste sensazioni come oggetto di osservazione, notatele e quando cessano riprendete la camminata.
Sia per la meditazione camminata che per le attività quotidiane vale la massima: più lentamente vi muovete, più velocemente progredite nella pratica. Viene dato l’esempio di un ventilatore, di cui vi si chiede la descrizione. Se il ventilatore gira velocemente vi sarà difficile osservarne la forma, il tipo di pale, come sono state fissate, il materiale usato, ecc. Ma quando il ventilatore gira lentamente vi è tempo per osservarne le caratteristiche e potrete dire: le pale sono così e così, sono fissate con una angolazione così e così e il materiale usato è di quel certo tipo. La stessa cosa per la meditazione: più si va piano più la mente ha la possibilità di osservare ciò che sta accadendo e vi si aprirà davanti un mondo di nuove esperienze.
Un altro aspetto importante è il contenimento dei sensi, cioè, anche se avete occhi per vedere, non guardate in giro, anche se avete orecchie per udire, non indugiate ad ascoltare i suoni esterni e così via. Il contenimento degli input sensoriali è molto importante per approfondire l’osservazione e infatti la distrazione e l’interruzione della consapevolezza derivano dal prestare attenzione agli input esterni su cui la mente poi costruisce un’infinità di pensieri e fantasie. Quando i sensi sono contenuti si sviluppa una grande concentrazione e si evita che pensieri impuri contaminino la mente.
Parliamo ora delle attività quotidiane Oltre che alla meditazione camminata e seduta, la consapevolezza va estesa anche alle attività generali e quindi per mantenerla ininterrotta, questa si estende dal momento in cui ci svegliamo, ci alziamo dal letto, andiamo al bagno, ci laviamo la faccia, ci liberiamo gli intestini a tutte le attività della giornata come aprire e chiudere gli occhi, fare colazione, pranzo, prendere il té, lavare la biancheria, farsi la doccia e ogni altra attività. Tutte queste cose vanno fatte nel modo più consapevole possibile, sempre prendendo nota ed osservando ciò che capita, e muovendosi molto lentamente.
Non bisogna pensare che le attività quotidiane non siano importanti: lo sono quanto la meditazione seduta e camminata. Se riuscirete ad essere consapevoli senza interruzioni in queste tre attività, otterrete grandi risultati in poco tempo.
COLLOQUI INDIVIDUALI CON IL MAESTRO DI U PANDITA
Il seguente è un discorso di U Pandita che indica come riferire la propria esperienza nel colloquio con il maestro.
I colloqui sono una parte essenziale della pratica di vipassana e i praticanti devono essere in grado di riportare chiaramente ciò che hanno sperimentato durante la meditazione: devono riuscire a comunicare l’essenza della loro pratica in dieci minuti circa. Considerate che state riferendo su ciò che scoprite nella ricerca su voi stessi, cosa che è in pratica la vipassana. Cercate di aderire alle norme in uso nel mondo scientifico: brevità, accuratezza e precisione.
Cominciate il colloquio, riferendo subito sui movimenti di alzarsi ed abbassarsi dell’addome; infatti, seguendo la tradizione di Mahasi Sayadaw, l’oggetto primario di consapevolezza è il salire e scendere dell’addome durante la respirazione. Come spiegano le scritture, l’impatto con i sensi produce continui fenomeni mentali e fisici nel meditatore. Quando c’è un oggetto da vedere, gli occhi vedono. L’oggetto visto è un fenomeno fisico mentre la coscienza che vede è un fenomeno mentale . La stessa cosa per gli odori, i sapori, i suoni. Questi fenomeni sono fisici e quando la mente li conosce sono anche fenomeni mentali. Così per tutti i sensi e per i movimenti del corpo, come piegarsi, stendere il braccio, girare o chinarsi.
Riportate le vostre esperienze in tre fasi: primo, c’è il verificarsi dell’oggetto e quindi identificate l’accaduto, secondo, riferite come e se l’avete notato e terzo descrivete che cosa avete conosciuto circa la natura dell’oggetto. Prendiamo ad esempio l’oggetto principale, il sollevarsi ed abbassarsi dell’addome: primo, si verifica il movimento di sollevamento. Nel colloquio riportate quale è l’oggetto che si è presentato; in questo esempio è il movimento di sollevamento dell’addome, non l’abbassamento dell’addome o un dolore, ma solo il sollevamento. A questo punto non dovete fare niente, perché l’oggetto si verifica da sé. Il secondo punto riguarda l’annotazione
dell’oggetto: dite se l’avete fatto o no, e nel caso lo abbiate annotato, come avete etichettato l’oggetto. Per esempio, si è verificato il movimento dell’addome e l’ho etichettato “alzarsi”. La terza cosa da riportare nel colloquio è che cosa siete riusciti a conoscere circa l’oggetto e l’andamento delle sensazioni in quel momento. Proseguendo l’esempio dell’addome, riferite: “Nel
sollevamento ho notato della tensione e poi la tensione è cresciuta fino a diventare molto forte alla fine del movimento di sollevamento.”
Questo modo di riferire permette al maestro di vedere quanta consapevolezza riuscite ad applicare nella meditazione. E’ anche un incitamento per lo yogi: infatti il dover produrre un rapporto, spinge a mettere bene a fuoco le esperienze. Nella vipassana non è
sufficiente osservare l’oggetto in modo distratto o automatico. Dovete esercitare una consapevolezza piena, dirigendo l’attenzione
concentrata sull’oggetto con la massima accuratezza, e mantenerla su di esso in modo da penetrarne la vera natura Ogni fenomeno
psico-fisico ha tre segni: il primo è la caratteristica particolare e specifica di ogni fenomeno. Gli oggetti fisici hanno le
caratteristiche dei quattro elementi (aria, acqua, terra e fuoco) quindi movimento, coesione, durezza, temperatura, ecc. La particolare caratteristica della mente è la coscienza, quella di phassa è la percezione e il portare la mente a contatto con un altro fenomeno e quella di vedana (sensazioni) è la capacità di sentire ciò che capita come piacevole, spiacevole o neutro.
Il secondo segno dei fenomeni psico-fisici è la sua condizionalità, cioè il sorgere, perdurare e dissolversi; l’inizio, il mezzo e la fine.
Il terzo segno è formato dalle tre caratteristiche universali di ogni fenomeno psico-fisico: anicca o impermanenza, dukkha o sofferenza e anatta o impersonalità, mancanza di un sé individuale.
Il meditatore comincia con il comprendere le caratteristiche particolari dei fenomeni (i quattro elementi, la coscienza, il contatto e le sensazioni). E come si fa per capire la caratteristica o le proprietà del fenomeno in questione? Osservandolo e notandolo nello stesso istante in cui sorge. Solo così capiremo la sua specifica caratteristica e qualità e non altre. Mentre lo yogi inspira l’addome si alza. Prima dell’inalazione, non c’è sollevamento dell’addome. La mente deve seguire il movimento dell’addome dall’inizio alla fine. Solo allora potrà vedere la vera natura di questo movimento. Qual è la sua vera natura o la sua caratteristica? Inspirando l’aria entra nel corpo e com’ è l’elemento aria? Ha la caratteristica di tensione e movimento. Quindi il meditatore vedrà e riuscirà a conoscere la vera natura del movimento, ma ci riuscirà solo quando osserva e nota il movimento mentre e quando sorge, continua e finisce. Quando la concentrazione è matura l’attenzione avverrà simultaneamente con il sorgere dell’oggetto di meditazione, cioè il salire e scendere dell’addome.
Ci sono tre componenti fisiche nell’alzarsi dell’addome: la prima è l’aspetto della forma (in questo caso la forma dell’addome), la seconda è l’aspetto del modo (l’addome è piatto, in stato di inspirazione o di espirazione?) e la terza è l’aspetto della caratteristica o qualità. All’inizio della meditazione si vedono i primi due aspetti, ma questo vedere non fa parte delle intuizioni di vipassana; solo con l’aumento della concentrazione, lo yogi andrà oltre la forma e il modo e vedrà l’aspetto essenziale o realtà ultima cioè la tensione e il movimento durante il reale alzarsi dell’addome. Il meditatore dovrà essere preparato a riferire brevemente e accuratamente tutte queste informazioni durante il colloquio, ma deve farlo su ciò che ha veramente intuito e sperimentato e non su ciò che pensa di aver visto.
Tutto questo vale anche per la meditazione camminata. Quando alza il piede lo yogi dovrebbe riuscire a seguire attentamente il movimento del piede dall’inizio alla fine; e mentre lo fa che cosa vede veramente? Vede la forma del piede e il modo in cui si alza? O sente il piede diventar leggero e sollevarsi o diventar teso e come se venisse spinto indietro? Lo yogi deve essere in grado di riportare con precisione tutti questi tre aspetti. Quando il piede avanza, la mente ne è consapevole e ne prende nota proprio mentre avviene l’avanzarsi del piede? E che cosa viene visto? Lo yogi vede il piede, il modo in cui il piede si muove o qualche caratteristica di questo movimento come, ad esempio, una spinta verso l’indietro o in avanti? La stessa cosa quando si posa il piede a terra. Si è in grado di seguirne il movimento progressivamente dall’inizio alla fine? Durante questo processo che cosa si conosce? La forma del piede, la maniera in cui si abbassa o la qualità di questo movimento come per esempio leggerezza o morbidezza? Tutto ciò è visto chiaramente o confusamente? La stessa cosa per quanto riguarda la consapevolezza e l’annotazione di altri oggetti dell’attenzione, come il girarsi, il flettere, il muoversi, l’inclinarsi o abbassarsi il corpo, la postura seduta o sdraiata. Anche riguardo a questi fenomeni è il meditatore in grado di osservare e annotare i fenomeni nello stesso momento in cui avviene la manifestazione? E’ importante che lo yogi limiti il rapporto a un particolare oggetto di attenzione, che è stato osservato sotto i tre aspetti sopra menzionati e non che riporti cose vaghe e imprecise. A dispetto dei vostri sforzi migliori, la mente non sempre è disposta a rimanere a lungo sull’addome. Può divagare. A questo punto si è manifestato un nuovo oggetto, la mente che divaga. Come ci si comporta? si diventa consapevoli del divagare e questa è la prima fase. La seconda è quella di etichettare “divagare, divagare”. Dopo quanto tempo ci siamo resi conto della divagazione? Un secondo, due minuti, mezz’ora? E che cosa succede dopo averlo etichettato? Il divagare della mente scompare all’istante? oppure la mente continua nel suo divagare? oppure i pensieri si riducono di intensità e infine svaniscono? Spunta un nuovo oggetto prima di vedere la sparizione del vecchio?. Se non siete in grado di osservare la mente che divaga, dovreste riferire anche questo all’insegnante.
Vorrei di nuovo sottolineare che nell’intervista col maestro, lo yogi deve riportare ciò che ha veramente visto o non ciò che pensa di aver visto.
Se la mente vagante scompare tornate all’alzarsi e abbassarsi dell’addome. Spesso i principianti non sono in grado di vedere i pensieri; per minimizzare questo inconveniente lo yogi deve mantenere l’attenzione focalizzata sull’oggetto primario.
Dopo 20 o 30 minuti di meditazione possono sorgere sensazioni fisiche molto intense con effetti corrispondenti nella mente. Anche queste sensazioni vanno accuratamente notate e durante l’intervista è bene spiegarle usando parole semplici come prurito, dolore, solletico. Bisogna inoltre notare se vanno intensificandosi, diminuendo, cambiando posto o se spariscono. Anche i fenomeni inerenti al vedere, udire, gustare, odorare e toccare devono essere notati, conosciuti e riportati. Quindi visioni, suoni e sapori, caldo e freddo, solidità, vibrazioni, formicolii, l’infinita processione degli oggetti della coscienza. Qualunque sia l’oggetto dovete osservarlo nelle sue tre fasi, come detto sopra.
Poi ci sono i fenomeni come piacere o avversione, torpore o pesantezza mentale, distrazione, dubbio o chiara comprensione, attenzione, soddisfazione, tranquillità, serenità, calma, meditazione facile, pazienza, ansietà, eccetera. Tutto ciò viene raggruppato sotto la voce “oggetti mentali”.
Supponiamo che sorga una sensazione di piacere nella mente, e che questo piacere, come spesso accade, sia seguito da attaccamento o desiderio. Il meditatore dovrà essere in grado di riportare questo avvenimento. Prendiamo un altro esempio: lo yogi sta sperimentando sonnolenza, torpore o apatia mentale; quando si hanno questi stati mentali, è facile che sorga la distrazione, spesso seguita da confusione e dubbio. Cosa succede quando questo viene notato o osservato? Quando un oggetto mentale sorge va osservato attentamente e notato. Per riassumere ci sono quattro oggetti di attenzione nella meditazione vipassana satipatthana, che è la meditazione di intuizione profonda attraverso la consapevolezza. Il primo oggetto è il corpo fisico; il secondo, le sensazioni; il terzo gli atti di coscienza e il quarto gli oggetti mentali. Inoltre durante la meditazione capitano tre eventi in ordine successivo: il sorgere del fenomeno,
l’osservazione o notazione del fenomeno, e infine che cosa lo yogi arriva a vedere e conoscere. Per ogni oggetto di attenzione, appartenente a una delle quattro categorie spiegate sopra, è importante che lo yogi ne osservi i tre stadi successivi, uno dopo l’altro. Il compito dello yogi è di osservare o notare ogni cosa che sorge.
Tutto questo processo avviene come un’indagine silenziosa, senza porsi domande o perdersi nei pensieri. L’insegnante deve riuscire a capire dal vostro rapporto se siete stati consci di ogni oggetto sorto, se avete avuto l’accuratezza mentale di essere attenti nei suoi confronti e la perseveranza di osservarlo profondamente. Siate onesti con il maestro, perché solo un rapporto chiaro e preciso gli consentirà di valutare la vostra pratica e di apportarvi eventuali correzioni o di darvi consigli per progredire meglio.
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