La bellezza come contemplazione

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La bellezza come contemplazione

(di Fabio Gabrielli)

Della bellezza, come, forse, dell’anima e dell’amore, non è possibile
fornire una trattazione sistematica, ci si deve accontentare di frammenti,
“scatti, balzi della mente”, evocazioni o ardite metafore.

La natura originaria della bellezza – la sua essenza più autentica –
probabilmente riposa nel cuore degli dei, custodi di ogni verità e di ogni
valore.
L’uomo, tuttavia, può goderne la magia, comunicarne la carica vitale,
creatrice, rasserenatrice; può, insomma, viverla pienamente in quella
straordinaria fusione tra interno ed esterno, soggetto e oggetto, per poi
fare partecipi gli altri dell’incantesimo che la bellezza stessa produce.

Tuttavia, nell’età della massificazione, dei “monologhi collettivi”, delle
recite a soggetto, sembra che l’uomo abbia smarrito il senso della forma,
dell’armonia, dell’ordine interiore, della meraviglia gioiosa.

Eppure la bellezza, quasi come un fiume carsico, non ci ha abbandonato,
proprio perché, sia pur mascherata, deviata, ammalata, ci abita come veste
naturale: l’amore per il bello è costitutivo dell’essenza umana.

Occorre, però, recuperare la contemplazione, riattivare la visione interiore
ed esteriore in contrapposizione al fare, all’agire esasperato ed
esasperante per le capacità di sopportazione della nostra anima sempre più
smarrita e dimentica delle proprie origini spirituali.

In una parola occorre tornare ai Greci, che della contemplazione,
dell’armonia, della “misura” e della virtù – in una parola della bellezza –
hanno fatto un vero e proprio modello d’esistenza.

Recuperare la bellezza vuol dire recuperare anche l’amore, che, come insegna
Platone, ad essa è strettamente connesso, ma vuol dire anche guardare con
maggior fiducia e ottimismo alla vita, proprio perché la bellezza rasserena.

Konrad Lorenz ha colto tutto questo in modo stupendo: “Un uomo capace di
vedere quanto è bello l’universo non potrà non assumere di fronte a esso un
atteggiamento ottimistico… Avendo educato e affinato la sua sensibilità
per le grandi armonie, egli sarà in grado di distinguere ciò che è sano da
ciò che è malato…”.
La contemplazione, però, diventa autentica solo se si riguadagna in
profondità il concetto di lentezza: travolti dai ritmi ossessionanti che la
vita c’impone, releghiamo la contemplazione della bellezza a qualche
sporadica o abitudinaria gita domenicale “fuori porta”, in modo spesso
svogliato, artificioso.

Di contro, si può cogliere il bello anche rubando qualche breve frammento di
tempo ai nostri impegni sociali o lavorativi. Perché non provare a
percorrere a piedi, anche solo per un breve tragitto, le vie della nostra
città o dei nostri luoghi lavorativi – senza “l’orologio alla mano” -,
ammirando qualche via particolare, un balcone fiorito, un antico palazzo?

Perché non soffermare il nostro sguardo sui tanti volti che ci circondano,
spogliati, finalmente, di quell’impersonalità che caratterizza solitamente
il nostro rapporto con loro, anonime “macchine” di un inesauribile circuito
produttivo, “tecnico”?

Forse in questo modo, per usare la plastica immagine platonica, sarà
possibile “rimettere le ali all’anima”!

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