– BHAKTI YOGA –
(di Swami Nirvanananda)
– La compassione dell’Imperatore Ashoka –
Durante l’ultimo viaggio in India, abbiam visitato Dhauli Hill, un tempio su
una collina vicina a Bhubaneswar nell’Orissa. E’ un tempio Buddhista
costruito abbastanza recentemente, per ricordare un avvenimento che
influenzò per secoli la storia dell’India e forse anche del Cristianesimo.
Sulla cima di questa collina infatti nel III secolo a.C. (circa 264 a.C.),
l’Imperatore
Ashoka dell’Impero Maurya, alla fine di una battaglia furibonda, constatò
quante centinaia di migliaia di soldati si fossero ammazzati per conquistare
il regno dei Kalinga, l’odierna Orissa.
Tutta la piana era ricoperta di cadaveri, tanto che le acque del fiume che
scorreva lì vicino, si erano completamente tinte di rosso per il tanto
sangue versato. La piana era ancora ricoperta dalla bruma mattutina, mentre
il sole si alzava all’orizzonte. E quella prima luce rivelava la
sconvolgente brutalità con cui migliaia di esseri umani si erano sgozzati
reciprocamente.
La puzza greve dei cadaveri, i lamenti dei pochi sopravvissuti, rivelavano
uno spettacolo sconvolgente anche per un re-guerriero, un dolore immenso
anche per un vincitore.
Fu in quel momento probabilmente che il cuore dell’Imperatore Ashoka fu
toccato e turbato. Che valore poteva avere una tale vittoria se almeno da
questa carneficina non fosse sbocciata nel suo cuore la compassione? Ashoka
aveva studiato con i migliori maestri tutte le teorie della non-violenza
predicate dal Buddha, il Principe Siddharta che aveva abbandonato il suo
regno per intraprendere il cammino della ricerca spirituale.
Fu forse il quel momento, davanti a una scena raccapricciante, che nel suo
cuore sbocciò veramente il fiore della compassione. A che servivano tanti
nobili precetti se non venivano messi in pratica? E lui come imperatore
doveva essere il primo a dare l’esempio, come fece il Principe Siddharta.
Decise allora di abbracciare il Buddhismo e soprattutto di metterne in
pratica i nobili precetti.
Si narra che in un’incarnazione precedente Ashoka era un bambino di nome
Jaya che mentre giocava con il fango, vide passare il Buddha. Colto dal
desiderio di offrirgli del cibo, il bambino gettò
nella sua ciotola la polvere con cui stava giocando. Comprendendo l’animo
puro che aveva motivato il gesto, il Buddha predisse il suo destino dicendo
che la sua fama si sarebbe espansa su tutto il continente. Il suo dono
meritorio fu solo questo: “Jaya gettò una manciata di polvere nella ciotola
del Tathagata”.
Forse fu anche in quel momento che la storia dell’India cambiò per molti
secoli, perché il Buddhismo diventò la religione per milioni di indiani,
espandendosi in tutto il Nord – dall’Afghanistan al Bengala – e a Sud fino
al Tamil – sotto l’Impero dei Maurya.
Cosa fu a toccare il suo cuore? La paura? L’orrore? Lo sgomento? O l’Amore?
Si, fu certamente l’Amore nella sua forma più nobile: la Compassione.
Infatti la compassione è forse l’aspetto che più caratterizza il Buddhismo.
La stessa compassione che sotto forma di perdono, Gesù introdusse a
Gerusalemme tra i suoi discepoli, inserendolo come pilastro della Buona
Novella predicata poi in tutto il mondo.
“Quante volte devo perdonare?” gli chiedevano.
“70 volte 7” era la risposta del Maestro.
Praticamente sempre.
Visitando Puri e il tempio di Lord Jagannath – il Signore dell’Universo – mi
sono imbattuto in diversi Brahmini che asseriscono che ci sono ancora le
prove della presenza di Gesù conservate nel tempio.
Se ciò è vero, mi viene da pensare che probabilmente Gesù sia passato vicino
a questa collina ed abbia letto forse ciò che l’Imperatore Ashoka vi fece
iscrivere su una roccia come monito contro guerre future: un decalogo di
comportamento morale ed etico – il Dharma – che tutti i suoi sudditi
avrebbero dovuto seguire. E naturalmente la compassione per tutte le
creature ne è il monito principale. Leggiamolo assieme anche noi.
“Le leggi che Ashoka introdusse rappresentavano una vera rivoluzione
culturale; fu proibita la caccia e anche il ferimento di animali, si favorì
il vegetarianesimo, si ridusse la gravità delle pene (soprattutto corporee),
furono costruiti ospedali per uomini e animali, università, ostelli gratuiti
per i pellegrini, sistemi di irrigazione e traffico fluviale, e nuove
strade.
Le leggi non discriminavano i cittadini per casta, fede o schieramento
politico; i principi morali del Dharma che queste cercavano di attuare
erano: non-violenza, tolleranza di tutte le opinioni, obbedienza ai genitori
e rispetto per tutti i maestri religiosi, generosità verso gli amici,
trattamento umano dei servitori, e così via. In generale, le leggi
introducevano nuove restrizioni, ma non rinnegavano alcuno dei principi
morali preesistenti delle varie religioni che componevano l’impero”.
A rileggerli ora dopo tanti secoli ci si accorge ancora oggi come le società
umane siano ancora molto lontane da aver raggiunto una comune legge
etico-morale – il Dharma – accettata e condivisa da tutti.
In India il Sanathan Dharma viene chiamata ancora quella eterna religione
che si basa sulle verità rivelate dai Veda, ma che accoglie i principi
fondamentali di tutte le religioni e di tutte le civiltà.
Accettando il Dharma si comprende profondamente anche la legge del Karma, il
fatto cioè che ogni nostra azione produce un effetto. La consapevolezza di
questo principio potrebbe evitare tanta sofferenza inutile all’intera
umanità.
E l’unico modo per raggiungere questa coscienza è di mettere in pratica la
compassione che dimostrò il Buddha per tutte le creature e le parole di
perdono che Gesù pronunciò fino all’ultimo istante sulla croce: “Padre,
perdona loro, perché non sanno quello che fanno”.
L’antico Mantra Vedico lo esprime così: “Possano tutti gli esseri in tutti i
mondi essere felici”
Lokah Samastah Sukhino Bhavantu.
Solo l’anima che sa amare può essere felice.
swami nirvanananda
Uno scritto di swami Nirvanananda – tratto dalla rivista “Verità Spirituali”
n° 4 – www.kriyayogastella.org/
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