LA CONSAPEVOLEZZA NELLA QUARTA VIA

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LA CONSAPEVOLEZZA NELLA QUARTA VIA

Alessandro Staiti

INformazione Psicologia Psicoterapia Psichiatria,
n° 32-33, pagg.62-77, settembre 1997 – aprile1998, Roma

(estratto dell’articolo)

George I. Gurdjieff e la Quarta Via

“A coloro che si interessavano di queste cose, era noto da diversi anni che sarebbe arrivato in
Occidente un maestro straordinario nella persona di un uomo che si reputava avesse avuto accesso a
fonti di conoscenza negate ad ogni precedente esploratore occidentale”. Così scriveva John G.
Bennett, personaggio di molteplice ingegno (ingegnere, filosofo, matematico, linguista e a sua volta
ricercatore e insegnante di metodi per la conoscenza di se stessi, tra i quali quelli della Quarta
Via), nel 1949, quando il suo maestro George Ivanovitch Gurdjieff, ormai ottantatreenne, era
prossimo alla morte. “Che egli sia un uomo di grande conoscenza e anche di grandi poteri non può
esser messo in dubbio da chiunque vi sia entrato in contatto personalmente. La sua evidente
prontezza nel soccorrere i bisogni fisici e nondimeno quelli spirituali di coloro che si recano da
lui per essere aiutati è sufficientemente comprovato dall’amore nei confronti dei suoi seguaci. La
sua forza nelle più estreme sofferenze fisiche e la sua indifferenza verso le condizioni esterne
della vita – spesso dolorose sotto ogni punto di vista – sono indicazioni di una forza interiore che
comunque può essere percepita in ogni cosa che faccia. Più di questo non v’è bisogno di dire al
momento presente”.

Nato nel Caucaso intorno al 1866 (nell’odierna Russia) da un’antica famiglia greca emigrata più di
cento anni fa dalle colonie greche dell’Asia Minore, Gurdjieff ebbe l’opportunità di incontrare
uomini straordinari dai quali acquisì la convinzione che qualcosa di vitale importanza mancava nella
considerazione dell’uomo e del mondo nella letteratura e nella scienza europee. Era stato
indirizzato agli studi di medicina e di teologia, ma l’insoddisfazione che provava per i limiti di
quel tipo di educazione lo condusse a cercare altrove e per proprio conto. Con un gruppo di
“cercatori della verità” viaggiò per molti anni attraverso l’Africa, l’Asia e l’Estremo Oriente,
raggiungendo luoghi la cui esistenza è insospettabile anche per i più accurati esploratori. Dove
realmente riuscì a spingersi non è possibile dirlo, e anche quel che lui stesso rivela nel volume
“Incontri con Uomini Straordinari” è velato a tal punto da metafore che le vaghe coordinate
geografiche risultano impenetrabili. Nel 1922 fondò l’Istituto per lo Sviluppo Armonioso dell’Uomo
al Castello del Prieuré di Fontaineblau, nei pressi di Parigi. Qui il “lavoro su se stessi” da lui
proposto prese una pianta stabile attirando, tra gli altri, diversi intellettuali e artisti europei.

Organizzò una vera e propria comunità indipendente con coltivazioni, animali, svariate attività
lavorative e speciali classi di esercizi per la “trasformazione delle energie” che consistevano nei
famosi “movimenti” tratti da danze sacre e in conferenze sugli aspetti teorici del “lavoro”. Nel
1924 organizzò in America un’altra branca dell’Istituto, dando per l’occasione una dimostrazione dei
suoi “movimenti” accompagnati al pianoforte dalle musiche sacre elaborate assieme al musicista russo
Thomas De Hartmann. Qui divennero suoi seguaci scrittori come Margareth Anderson, filosofi come
Alfred Orage, che in quegli anni aveva fondato la rivista letteraria “The New Age”, architetti come
Frank Lloyd-Wright. Al ritorno rimase gravemente ferito (ma miracolosamente vivo) in un terribile
incidente d’auto che lo costrinse ad interrompere il lavoro pratico al Prieuré per intraprendere la
trasmissione scritta delle sue idee, che avrebbe preso poi la forma di opere come “I racconti di
Belzebù al suo piccolo nipote”, il già citato “Incontri con Uomini Straordinari” e “La Vita Reale”.
Durante la seconda guerra mondiale continuò ad insegnare con gravi difficoltà ricevendo gruppi di
allievi nel suo appartamento di Rue des Colonels Rénard; poi improvvisamente nel 1948 decise di
riprendere l’attività più estesa: purtroppo un anno dopo sarebbe stato fermato dalla morte.

In cosa consiste esattamente il lavoro della “Quarta Via” e perché questa scuola viene chiamata
così? Una spiegazione subito a portata di mano è quella che lo stesso Ouspensky riporta per bocca di
Gurdjieff nel suo “Frammenti di un insegnamento sconosciuto”. Secondo Gurdjieff le “vie”
tradizionalmente note per lo sviluppo spirituale erano inadatte alla vita dell’uomo occidentale,
soprattutto perché partivano tutte dal passo più difficile: il completo ritiro dal mondo esterno,
prevedendo inoltre molti altri tipi di rinuncia. La prima via è la “via del Fachiro” (la n.1), e si
esplicita sull’acquisizione della volontà e la trasformazione delle energie sulla base di intensi
sacrifici fisici. Nel famoso linguaggio obiettivo, cui spesso Gurdjieff fece riferimento, alla via
del Fachiro viene attribuito il numero 1 poiché tutto ciò che si basa su una realtà fisico è una
realtà incontrovertibile.

Una mano è una mano, non ha un opposto. Dualismo, invece, che caratterizza essenzialmente il
linguaggio delle emozioni: la “Via del Monaco”, la n. 2, è centrata sulle sofferenze emozionali, la
lotta tra il bene il male, tra peccato e santità, tipiche della vita di clausura. La “Via dello
Yogi” (n.3 – poiché nel pensiero si realizza la tripartizione tesi-antitesi-sintesi, da non
confondere con il ben noto indirizzo hegeliano), che ha il suo centro di gravità nello sviluppo di
una “supercoscienza” attraverso tecniche mentali. La Quarta Via si propone, invece, come un lavoro
integrato sulla totalità dell’essere umano. “La quarta via non richiede che ci si ritiri dal mondo,”
– dice Gurdjieff – “non esige la rinuncia a tutto ciò che formava la nostra vita. Essa comincia
molto più lontano che non la via dello yogi. Ciò significa che bisogna essere preparati per
impegnarsi nella quarta via e che questa preparazione deve essere acquisita nella vita ordinaria,
essere molto seria e abbracciare parecchi aspetti differenti.” Un lavoro, dunque, che permette al
comune cittadino occidentale di “vivere nel mondo ma non essere del mondo”, di continuare la normale
vita quotidiana servendosene come strumento per risvegliare la propria consapevolezza e lavorare su
se stesso. […]

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