La cosiddetta MORTE CEREBRALE

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La cosiddetta MORTE CEREBRALE

di Prof. Dott. Franco Rest

Il desiderio di morire è parimenti rispettato come quello di vivere? Nessuno si preoccupa della pace
di cui è in cerca il moribondo. L’atmosfera del trapianto è più frenetica che pacifica… Chi ha
ancora fame di vita dovrebbe aspettarsi di ricevere nutrimento vitale, ma non “a spese” di qualcun
altro.

In relazione alla tematica della “donazione di organi”, tutte le riflessioni si concentrano sempre e
solo sui soggetti in attesa di trapianto, perdendo quasi completamente di vista la vita dei
“donatori di organi”, individui che perlopiù hanno subito un incidente. Se si potesse chiedere ai
moribondi come desiderano morire, dalle loro risposte emergerebbero le seguenti caratteristiche: chi
sta per morire vorrebbe terminare la propria vita indisturbato, senza indugio, senza fretta, nel
rispetto della personalità, socialmente integrato, accompagnato spiritualmente, sotto terapia del
dolore, lasciato andare ma non solo, per conto proprio ma non abbandonato, assistito, in pace con se
stesso e con il proprio ambiente, sazio di vita; mentre ai suoi familiari e amici augurerebbe un
lutto durevole che lo accompagni e lo segua.

Se osserviamo queste parole chiave dobbiamo constatare che la medicina dei trapianti non ha quasi
più niente a che vedere con questo “desiderio di morte” delle persone. Il libro di Renate Greinert
ne è una conferma sotto tutti i punti di vista. Non essendo cadaveri, ma individui che, nonostante
sia possibile prevedere quando subentrerà la loro morte, non hanno ancora completato il processo di
abbandono della vita, i cosiddetti morti cerebrali necessitano di un particolare accompagnamento.
Mentre si muore si vive ancora intensamente. Quando una persona è in fin di vita, dovremmo smettere
di cercare di contrastare la morte, tanto la sua quanto quella di un individuo in attesa di
trapianto, ma consentire al moribondo di vivere fino in fondo la propria morte. Ma poiché il suo
interesse è concentrato sulla vita del ricevente, la medicina dei trapianti finisce per perdere di
vista la conclusione della vita del morente e dei suoi familiari. È per questo motivo che le voci
sopraelencate che descrivono la “morte ideale” sono diventate così importanti per noi.

Morte Cerebrale e Donazione degli Organi
Indisturbato: non ci intromettiamo nella morte poiché è qualcosa che appartiene solo al moribondo.
Ma nella maggior parte dei casi i prelievi di organi sono intromissioni di estrema brutalità. È la
persona morente che deve poter plasmare la propria morte, non i medici. Accompagnamento significa
non intromettersi, trattenersi dall’usare qualsiasi genere di misura che ritardi la morte, come ad
esempio quelle necessarie alla preparazione per un prelievo di organi.

Senza indugio: “l’accompagnamento relazionale” non prevede i rallentamenti della morte necessari per
il prelievo di un organo. Nei soggetti che stanno effettivamente morendo, le trasfusioni di sangue,
la ventilazione, gli analgesici e gli anestetici hanno senso solo se favoriscono il decorso della
morte. La procedura di diagnosi e verbalizzazione di morte cerebrale può protrarsi per svariati
giorni. In oltre il 30% dei casi il prelievo degli organi è avvenuto più di dodici ore dopo la
constatazione della morte cerebrale.

Senza fretta: questo si riferisce in primo luogo a tutte le forme di morte assistita attiva o di
eutanasia. La speranza che il prelievo di un organo abbrevi il decorso della morte è illusoria.

Nel rispetto della personalità: il moribondo che viene accompagnato non è “il polmone o il cuore o
il fegato della stanza X”. La sua morte è qualcosa di individuale e singolare. Sappiamo solo che
l’essere umano muore, ma ignoriamo il come, che è determinato solo dalla sua personalità e non dalle
apparecchiature, dalle équipe mediche, dalle costellazioni di interessi ecc. Nel prelievo di organi
si tende a dare per scontata la perdita della personalità da parte del morente.

Socialmente integrato: nessun moribondo dovrebbe essere strappato ai suoi legami e rapporti sociali
(famiglia, amicizie). Anche i parenti, a loro volta, non dovrebbero essere lasciati soli nello
svolgimento di questo compito. Invece, in caso di prelievo degli organi, i morenti vengono separati
da familiari e amici.

Accompagnato spiritualmente: nonostante la cosiddetta morte cerebrale, è probabile che in vista
della morte le persone continuino
ad avere immagini, visioni e desideri propri. Proprio lungo il percorso comune di morenti e
familiari si verificano molte cose che spesso vanno perdute nello svolgimento dei trapianti. Per
coloro che restano la morte si scompone, così che all’improvviso ci sono varie morti e anche vari
commiati: la morte diagnosticata in seguito alla diagnosi di morte cerebrale, la morte effettiva
dopo l’asportazione degli organi e poi la morte definitiva. Le immagini, le visioni e i desideri ad
essa connessi entrano in confusione.

Sotto terapia del dolore: l’accompagnamento alla morte è anche controllo del dolore mediante le cure
palliative e le relazioni; molti dolori si intensificano in mancanza di amore e attenzioni. Nel
trapianto viene a mancare il controllo di eventuali stati dolorifici nel morente; i parenti vengono
visti come fattore di disturbo. L’uso di anestetici in preparazione al prelievo degli organi non
attenua minimamente la gravità di questa constatazione.

Lasciato andare, ma non solo: è precisamente in quest’arco di tensione che Renate Greinert ha
cercato di sopravvivere mentre voleva lasciar andare suo figlio, senza però lasciarlo solo. E lui
non è morto per conto proprio, ma abbandonato; questo è lo strazio della morte descritta in questo
libro.

Assistito: nonostante le numerose persone da cui è circondato, l’assistenza al morente viene a
mancare quasi del tutto nel prelievo degli organi. L’assistenza è il dono che le persone vicine al
moribondo gli fanno “scortandolo” al bivio della morte.

In pace con se stesso e con il proprio ambiente: nessuno si preoccupa della pace di cui è in cerca
il moribondo. L’atmosfera del trapianto è più frenetica che pacifica, e non si muore “sazi di vita”,
anche se la morte più piacevole è proprio quella di chi ha potuto vivere appieno la propria
esistenza. L’assistenza alla morte dovrebbe contribuire a questa sazietà, e può morire sazio di vita
solo colui al quale è stato concesso di vivere fino in fondo. Chi ha ancora fame di vita dovrebbe
aspettarsi di ricevere nutrimento vitale, ma non “a spese” di qualcun altro. La fame di vita di una
persona in attesa di trapianto non può essere placata negando il nutrimento vitale a un morente. Chi
sta morendo in seguito a un incidente auspicherebbe inoltre per la sua famiglia e i suoi amici un
lutto che lo accompagni e lo segua. Il lutto che accompagna la persona cara nel suo viaggio verso la
morte è ampiamente ostacolato dalle condizioni vigenti nei centri di trapianto: mancanza di una vera
apertura nell’elaborazione della perdita, gestione opprimente del tempo a causa dei processi
stabiliti, assoggettamento alle esigenze del trapianto, allontanamento del morente dai congiunti,
mancanza di partecipazione agli ultimi attimi di vita e alla morte. E piangere un cadavere che ha
perso i propri organi è un lutto snaturato, crudele e insostenibile.

Fonte: Renate Greinert, Morte Cerebrale e Donazione degli Organi
per approfondire vedi anche: www.scienzaeconoscenza.it/articolo/morte-coscienza.php

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