La Cosmogenesi della Dottrina Segreta

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La Cosmogenesi della Dottrina Segreta

di Guido Da Todi

Tratto da: “La Grande Sintesi”
Edizioni Marcovalerio – Torino

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– La Cosmogenesi della Dottrina Segreta –

Uno dei postulati fondamentali della Verità Esoterica è stato, da sempre, l’identificazione assoluta del microcosmo col macrocosmo. Tale fusione, naturalmente, ha cancellato ogni minuto frammento
antropomorfico e formale dallo specchio della vita, facendo sfumare i contorni dei ragionamenti e delle cose in un lago di pura essenza energetica, da cui proviene l’ondata della molteplicità universa. La cristallizzazione non ha luogo ad esistere nel palpito eterno della vita, ma è, invece, l’aspetto finito delle cose. Se noi vogliamo considerare dal giusto punto di vista la creazione dobbiamo, con uno scarto mentale innato, come fanno i cavalli selvatici nella brughiera, per togliere via dal collo qualunque briglia imposta, spazzare dallo specchio dei cieli la semenza d’oro degli universi, e realizzare, invece, lo spazio, su cui e con cui essi sono stati disegnati, quale unica cosa eterna. Lo spazio soltanto, a detta di tutti coloro che hanno toccato il fondo del problema universale, esiste, ed è la PRIMORDIALE SOSTANZA ENERGETICA, ETERNO, IN ETERNO MOVIMENTO; il vero dio degli occultisti, con le sue tre manifestazioni o persone. La vera tetrakis magica di Pitagora, la vera ed unica realtà .

Un dio ebreo, antropomorfico, che avesse creato ciò in cui egli stesso sarebbe stato contenuto, non è contemplato dalla Dottrina Segreta. Tale dio, come ogni cosa definita in qualità e in quantità, verrebbe, prima o poi, sradicato, nelle sue più intime radici, da quella legge di movimento assoluto, o il Soffio Perenne degli orientali, che agita brezze ondulanti sull’energia primordiale, estraendone gli archetipi eterni in essa contenuti. È una legge, codesta, del movimento innato di tutte le cose; movimento dinamico e scaturente da sè medesimo, qualità dell’essere, e che nessuno ha fatto nascere, costituente un postulato fisso per ogni filosofo degno di tal nome. Come, infatti, Helena Petrowna Blavatsky dice, si potrebbe, per delle ore discutere con chi non è pronto, ma solo la sua maturità gli farebbe accettare le verità occulte; e noi aggiungiamo che è scriteriato voler parlare sulla primogeneità dell’uovo, o della gallina, tenuto conto che tali due elementi sono le faccette di una stessa sostanza-base, fons et origo di ogni cosa. Quindi, un principio universale di vita che, nel suo aspetto astratto, rimane, rimarrà, per tutti e per sempre, eternamente inconoscibile, sui cui limiti non verranno mai conficcati i paletti del confino, sia pur di definizione; un principio che assume forma di sostanza primordiale onnipervadente e con cui ogni cosa viene plasmata, quando tale principio, mosso dall’unica qualità che possiede, il movimento cosmico, il Verbo (che, come sappiamo, è sinonimo di suono – fattore magico, sia in alto che in basso -), scende dallo scalino dell’eternità immacolata, e diviene universo, palese e tangibile. Parabrahaman è il principio astratto;
Mulaprakriti, la corrispondente concretezza energetica, che ne costituisce il rovescio. Due aspetti di un’unica realtà, non scissa da sè medesima, ma fluente in un triangolo sostanziale, che non vuole fessure in esso, o spaccature, quali sono i dualismi tra soggetto ed oggetto, creato e creatore, ecc..

Ci si perdoni un paragone che può sembrare celia, ma immaginiamo che lo Spazio-Padre sia un velo gigantesco, i cui confini si sperdano nell’immensità del per sempre ignoto; le vibrazioni, che scaturiscono, ovunque, creano delle pieghe, dei corruscamenti sul tessuto, dei vortici, delle linee. Ecco fatto! Così è, anche, per il nostro caso. I vortici, le linee, le forme, con le debite proporzioni, sono gli unici, palesi aspetti di vita, dal microbo, ai gas superiori. Chi ha dato, allora, l’impulso a tutto ciò ? Nel suo primordiale volto, nessuno. Il movimento innato è coevo con lo spazio, come dicemmo, e cicli, e cicli di quella energia che a noi appare come tempo occorsero a trasformare i gas scaturiti dalla proto-materia metafisica, in globi e materia infrastellare. Nè, d’altronde, l’armonia delle cose presuppone un “ens” che le abbia disposte così, poiché, come dice uno dei Guru della Fratellanza Bianca, ogni essere disarmonico ed ogni ebete presupporrebbero un dio ebete e disarmonico che li avesse creati. E, ancora, non esiste – come si può intuire – un’armonia, archetipo di per sé stessa, ma un fluire universo, che ha per base solo volontà prorompente di vita.

La natura del ragionamento limitato è corrosione; ciò è chiaro. L’uomo non sa ancora che la vita proviene dalla morte (e viceversa) e, come dice il Buddha, non appena un fiore nasce, già comincia a morire. Questo, il valore metafisico del termine Rosacroce. L’uomo non immagina che determinare i confini di una cosa significa averla già distrutta, per poter passare all’emanazione nata da tale sacrificio.

Qui, il valore della parabola della Baghavad Gita (il Vangelo indù ): ” Offri sacrifici agli dei; soltanto attraverso la morte del precedente, ma assoluta, si passa al susseguente!…”. Definire una cosa significa essere già passati alla seconda. Non si può intingere due volte il dito nella stessa onda. Assioma antico, ma pur sempre nuovo agli occhi dell’arcana scuola esoterica. Definire, quindi, le radici dell’universo ( visto e considerato che non esiste il nulla, ma la stessa definizione è un tipo di energia impressa nelle fotografie astrali – il segreto occulto dell’eternità -), significherebbe strappare lo stesso universo dal solco cosmico. Definire il TUTTO, significherebbe distruggere il TUTTO, che, di per se stesso, è l’unica cosa che esiste. E preghiamo il lettore di non considerare tale ragionamento come il profumo di una dissertazione sofistica, ma come la reale forza che dà l’immortalità cosciente a tutti coloro che ne hanno scoperto il senso celato.

Se qualcheduno, mentre voi leggete questo brano , arrivasse a scoprire, per ipotesi assurda, l’origine del TUTTO, quale noi abbiamo considerato or ora, vi sarebbe immediatamente un’esplosione a catena di sistemi solari, che schioderebbe i Valori Universali dalla ruota eterna su cui poggiano. Nessuno lo ha fatto; neanche i più grandi Dei del nostro sistema solare, come, spesso, è ripetuto nella Dottrina Segreta, ne sanno, a proposito, più di un bimbo che gioca a palline, all’angolo del cortile. Lo stesso Logos Solare, mentre forma un sistema, vede Parabrahaman, o il Principio Universale, sotto forma di Mulaprakriti, o sostanza energetica primordiale. La vera nobiltà dell’uomo sta nel rendersi conto che, mai, si potrà arrivare in fondo alla creazione; ecco, la garanzia dell’eternità del TUTTO, e della vera libertà e sapienza e potenza metafisica! Ecco, ciò che vien detto, tra le righe, e fuori delle righe, dai Saggi dell’Umanità, e dalla Fratellanza Bianca.

Lo spazio primordiale, o il Padre-Etere degli antichi, è una arpa armonica – prosegue nell’affermare la Dottrina Segreta – e,
esattamente come, nelle sue più basse forme, esso serve da alveo alle sottili forze, all’elettricità, al suono, nelle più alte, esso contiene tutto ciò che esiste in archetipico aspetto. Sette, sono le orme di questo Proteo; sette, le corde di questa arpa; sette, le graduazioni di questo gas primordiale. Ed è, qui, nelle profonde e buie cavità del ventre cosmico, che il numero sette, magico elemento metafisico, fa la sua prima apparizione. La prima forma di etere, l’alfa della natura, già noi avemmo occasione di mostrarla; essa è la onnipervadente ed ineffabile sostanza prima, la pietra filosofale degli alchimisti, il vero, unico potere dei Maestri ed Iniziati della Fratellanza Bianca. Di esso, uno degli Adepti dice: “Tale forza esiste, e potrebbe distruggere, sino alle sue più profonde latebre, l’universo… (“I Primi Insegnamenti dei Maestri”, pubblicati da Jinarajadasa, Parigi, edizione Adyar – 1924).” È l’unico potere della natura. La mente, lo spirito, l’invisibile; è il polo negativo dell’elettricità dei mondi stellari. L’ultima forma dell’etere; è l’aspetto positivo, o l’omega cosmico. Tra i due poli passano le cinque rimanenti graduazioni, o ondulazioni, sul “lenzuolo
universale”.

A tal punto, l’innesto tra il macrocosmo e il microcosmo, in maniera tenace, si avvince a se stesso, ed inizia a baluginare alla coscienza umana il ponte che unisce le cose metafisiche alle manifeste. Il tempo e lo spazio sono apparsi; l’energia autogenerata si è trasformata, sotto il ringhio del caos primigenio, in gas. È già apparsa l’occulta forza tremenda che l’orientale chiama Fohat: cioè, l’effetto, in alto, della spinta dell’assoluto sul relativo (o la volontà cosmica, che accende le scintille di vita, nelle lande celesti); in basso, la semplice volontà dell’uomo, riflesso dall’innato principio di vita, latente in ogni cosa, ed essente ogni cosa.

Se la dottrina segreta rinuncia a priori all’idea di un dio
personalizzato, caricatura prepotente degli istinti dominatori dell’uomo, pur sempre essa non è atea, nel senso che si intende dare a questa parola. Essa afferma che la divinità è, per così dire, diluita nello spazio, e che non esiste angolo dell’universo che non possegga, radialmente e potenzialmente, il suo dio eterno. La Dottrina Segreta, nella dolce e riposante frescura della vera verità, toglie un dio-feticcio all’uomo, ma gliene rende infiniti, facendoglieli riconoscere al loro posto; potenzialmente perfetti, presi singoli; perfetti, nella loro totalità. Difatti, pur se il TUTTO, Parabrahaman, non può venire analizzato da mente umana, Esso si manifesta soltanto attraverso gli infiniti aspetti di se medesimo, ognuno eterno, (le divinità planetarie: le uniche a cui credono i Maestri di Saggezza, e, con Loro, i seguaci del verbo della Fratellanza Bianca). Il TUTTO è inconoscibile, ma in Esso esistono infiniti punti neutri, coscienti, perfetti quando si identificano con l’anima universale, con cui sono un tutt’uno (gli jiva, o termini fissi di eterno consiglio); ognuno dei quali è avvolto da uno strato di cristalli, in immortalizzazione, a loro volta (o prakriti, materiale in eterno cangiamento).

Guardiamo il cielo, durante una notte calma e placida. Quante stelle fisse! Quante galassie! Quanti pianeti! Ebbene, ogni stella, ogni pianeta, ogni corpuscolo di polvere interstellare è uno jiva eterno, circondato, appunto, da quel peso singolo di materia, che egli dovrà trascendere (lo spirito, che supera la materia; o, Purusha, che sale in groppa a Prakriti, secondo l’assioma esoterico orientale), per acquistare coscienza della sua potenzialità d’infinito. Iddio è l’insieme degli dei!

Ma, torniamo a noi. Lo spazio, o energia primordiale, è divenuto idrogeno, il quale si complica in ossigeno e nasce, così, anche l’ozono. Il fuoco-padre, l’aria-­madre, ed il gas veicolo di altri. Ecco, ancora, la tetrakis, il numero quattro, che, dagli antichi, era considerato la magia, per eccellenza; il numero simbolico, che conteneva in sé tutto il divino, ove divino significa il potere umano di creare. La radice inconoscibile si è tradotta in realtà visibile, nascendo da sé stessa, sotto forma di quei gas che sono la triade necessaria a tutte le forme di vita stellare.

Nessuno di questi gas può venire eliminato dalle provette di un chimico, se egli desidera formarne degli altri. Dicemmo che Pitagora considerava il numero quattro, il numero divino, per eccellenza. Esso, infatti, contiene il numero dieci, che è la sintesi di tutti i numeri: (1 + 2 + 3 + 4 = 10); ma, il numero quattro rappresenta anche la graduale formazione dei mondi visibili, poiché, in esso, sono contenute anche le quattro figure geometriche formanti la base delle cose tutte. Dice, a proposito, un altro assioma esoterico, che dio geometrizza. Nel nostro caso, il Movimento Dinamico della Vita Assoluta, nel passare dallo stato immanifesto a quello manifesto, imprime un moto circolare, sempre più veloce, agli atomi primi dell’universo, fino a quando l’attrito di tale velocità diverrà così infuocato – beninteso durante e dopo ere lunghissime – da distruggere le forme di ciò che aveva estratto dalla potenzialità archetipica. Ed ecco il punto, o la prima sosta di vita analizzabile, formare circolo; il piano del circolo girare e divenire solido. Il pianeta è nato.

Gas, polvere cosmica, cometa, nebulosa, universo visibile: la strada che il Proteo Universale, mordendosi continuamente la coda, compie. A tratti, lo spazio congelerà parti di se stesso, e sistemi solari si spegneranno, entrando in un periodo di oscuramento chiamato in lingua orientale: Pralaya. A tratti, ancora, lo spazio si infuocherà di vita, e sgorgherà quella forza cosmica chiamata fohat, o elettricità universale, a chiamare in manifestazione (non in vita) sistemi stellari spenti. È, appunto, dal risveglio di uno di questi, il nostro, che prende inizio l’argomentazione della Dottrina Segreta. Non già dal risveglio della Vita Una, che è la non nata, e l’immortale; che è il nostro vero io, il TUTTO. Due poli sovrani – giorno e notte, nero e bianco, vita e morte – che, con la loro danza, incipriano le guance di questo Pierrot divino, chiamato Maya, o illusione del relativo, attorno, sopra e sotto di noi.

La coscienza non nasce, ma è parte intrinseca ed immortale di ogni corpuscolo cosmico, dal più insignificante, al più gigantesco. Essa si sviluppa e si svilupperà sempre più, assumendo forme magnifiche ed apoteotiche, ma, nel suo nocciolo, rimanendo il Grande Maestro Insondabile, per sempre. A cominciare dal piccolo palpito di un cervellino di rondinella, per finire al Misterioso Sole Centrale, verso cui gravita la catena di sette sistemi solari, di cui fa parte, occultamente, il nostro Sole; Coscienza sì grande, che a malapena, ora, Esseri sublimi iniziano a percepirne le vibrazioni, come ci viene tramandato dai testi occulti.

Ogni stella vivente è, a detta della Dottrina Segreta, l’abito fisico e mortale di un dio immortale che lo indossa; ma, pure, ogni sole è la direttiva magnetica, il nord spirituale di un gruppo di pianeti (nel nostro caso, sette) che traggono, nell’unione con lui, armonia vitale. Ed ecco, ancora, il riflesso del grande, nel piccolo; l’identità del microcosmo, con il macrocosmo. Uno è l’etere, e sette sono i suoi gradi di intensità. Uno è il Logos Solare, e sette le Sue maschere, o Logoi Planetari. Uno è l’uomo, e sette le sue principali
manifestazioni di forza occulta, nel corpo eterico, o chakras (che lo allineano ai sette Logoi Planetari).

E guardiamo, adesso, il nostro Sole; guardiamo questa gigantesca forma di vita, di cui un Maestro dell’occulto, un Adepto (vedi citazioni precedenti) dice: “..Il sole non è un globo solido, liquido, e neanche gassoso, ma una gigantesca sfera di energie elettromagnetiche, riserva della vita e del movimento universale, le cui pulsazioni radiano in ogni senso, nutrendo dello stesso alimento l’atomo più piccolo e il genio più grande, sino alla fine del Mahayuga..” Quando i nostri antichi (forse noi stessi, in incarnazioni passate, che ci
interessiamo, ora, di conoscenze esoteriche), si inchinavano a tanta accecante maestà, essi sapevano che, dietro al disco d’oro, esisteva la Presenza Innominabile di una Realtà Suprema, o il dio personale del nostro sistema. E, come Parabrahaman svanisce, nei limiti della Sua infinitezza, così tale Presenza, nel Suo aspetto di “Primo Logos”, si mantiene celato alla creazione, precedendo il Logos Manifesto, o la dualità di purusha e prakriti (se vogliamo, lo Spirito dell’Universo: il “Secondo Logos”). Infine, il “Terzo Logos” è l’insieme dei sette Logoi Planetari, la base delle operazioni intelligenti della Natura e nella Natura, chiamate anche: Maha-Buddhi. Dai sette Logoi Planetari, gli Artefici Magici di tutto quanto esiste in manifestazione visibile, i Sette Arcangeli di fronte al trono di Dio, procede la vita e viene manipolata, in verità ; dal seno di questi Logoi scaturiscono anche le monadi umane, come vedremo nei prossimi capitoli, sulla
“Antropogenesi”. Ad essi si riferiscono gli Adepti, quando parlano della propria Anima-Padre; e, cioè, della Potenza che è a capo del Raggio da cui essi sorgono, e di fronte alla quale, durante le ultime iniziazioni, vengono posti (Il Padre nei cieli…).

La parabola è conclusa. Parabrahaman, di riflesso, come un fiore che, con il proprio profumo, tocca l’odorato di un uomo, indirettamente, emana le cose che contiene da sempre, in sé; ogni universo si cristallizza in quelle determinate forme, sempre seguendo le leggi di un dinamismo immanente in ogni cosa, o della divinità latente in ogni atomo e vita; garanzia della libertà d’ogni essere e della potenziale perfezione intrinseca al creato stesso, che è UNO. Il TUTTO.

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