La Dipendenza Affettiva

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La Dipendenza Affettiva

di Ameya Gabriella Canovi

“Io non vivo senza te”- Le canzonette sono piene di frasi che inneggiano
all’indispensabile presenza dell’altro che dia un senso alla nostra vita.
Già Platone ci definiva mezze mele in cerca di una precisa, specifica metà.

E’ socialmente accettato soffrire per amore, socialmente sostenuto ed
auspicabile per perpetuare la specie, scegliere un partner, vivere in
coppia, riprodursi. Precocemente ed in genere incessantemente si cerca un
legame, una relazione, stabile, unica e che possibilmente duri per sempre.

E’ un comportamento adattivo ricercare un partner ideale per la riproduzione
dei propri geni, meno adattivo è crearsi un’ossessione per quel partner. E
ancora meno adattivo morire per amore. Eppure accade. Succede di trovarsi
invischiati in una relazione “tossica”, ossessionati dall’importanza
dell’altro
al punto da perdere di vista se stessi.

Qui non si parla più di amore. Entriamo nel campo della dipendenza: Love
Addiction.

Dell’originario sentimento d’amore, dove il cuore batte più forte all’arrivo
dell’amato, dalle commosse lacrime di fronte al primo mazzo di fiori, si
passa all’incubo del distacco, alla sofferenza se l’altro non c’è.

Dell’amore non rimane che un remoto desiderio, vagheggiato, struggente
anelito.

Vi sono relazioni dannose, malate, mortali (Robin Norwood), da cui diventa
impossibile staccarsi, fuggire.

Alcune dipendenze della nostra cultura occidentale sono codificate
ufficialmente tra le patologie del DSM IV , classificazione multiassiale
dell malattie mentali.
Per tossicodipendenza si intende l’abuso di sostanze tossiche (o
comportamenti, procedure) che danneggiano l’individuo dal punto di vista
della salute, del lavoro, delle relazioni sociali, occupando quasi
interamente il suo tempo, i suoi pensieri, le sue attività che vengono
totalizzate dalla dipendenza impedendogli di svolgere una regolare vita.

Altre dipendenze sono sommerse, tuttavia dilaganti ed altrettanto
invalidanti. Al punto che in America sono stati coniati neologismi combinati
con la parola ALCOHOLIC (che definisce l’alcolista). Da qui Sexaholic,
Workaholic, Shopaholic, Foodaholic, Sportaholic. Oppure combinate con la
parola Addiction (dipendenza) da cui Love Addiction, Net Addiction, Gambling
Addiction (che definisce la dipendenza dal gioco d’azzardo).

E’ evidente che alcune dipendenze hanno esiti più nefasti, talune sono
socialmente più tollerate. Tra queste la più silente resta quella affettiva.

Non dà effettti collaterali eclatanti, non fa molto rumore, se non nella
mente di chi ne è posseduto. Poiché quando l’altro diventa l’unica ragione
di vita, anche a scapito di se stessi, si è in preda totalmente
all’ossessione.

Il primo pensiero del mattino , l’ultimo della sera.

Sembra una frase da cioccolatino. In realtà nasconde una trappola feroce,
quella dell’abnegazione malsana di se stessi, per rincorrere l’altro. Perché
quando c’è dipendenza affettiva non si è ricambiati.

Vi è una relazione. Un legame fortissimo, ma il copione segue uno schema
preciso che non è quello della reciprocità. Uno insegue , l’altro fugge.
Lasciando a parte il banale luogo comune in cui si dichiara che in amor
vince chi fugge, tale schema diventa più simile al bracconaggio,
all’inseguimento
della “preda”fino a sfociare a volte nella molestia (stalking).

Uno rincorre, l’altro si fa rincorrere.

Uno vuole , l’altro si nega.

Uno dice ho bisogno di te e l’altro si volta da un’altra parte.

Apparentemente uno è dipendente, l’altro “anti-dipendente”. In realtà si
tratta di una vera “folie à deux”. Entrambe le mezze mele hanno bisogno
dell’altra
metà per esistere, per poter agire il proprio ruolo.

Quando l’altro diventa più importante della nostra stessa vita non è amore.
E’ dipendenza. E’ patologia.

Il bisogno di inseguire nell’uno è speculare al bisogno di rifiutare
nell’altro.
Bisogno di fondersi e bisogno di differenziarsi (Klein) sono entrambi veri e
agiti. Colui che fugge è punitivo,negandosi inconsciamente castiga l’altro,
in cui vede il genitore “cattivo” che non ha soddisfatto i suoi bisogni
quando era necessario. E’ interessante osservare però che se per caso colui
che fugge si ferma e diventa all’improvviso accettante e bisognoso i due
ruoli si invertono, colui che prima inseguiva implorante inizia a prendere
le distanze, diventa a sua volta fuggitivo. Ma la danza resta uguale.

Questo tipo di relazione è tipica nelle coppie dove uno dei due è alcolista.
L’altro si erge quindi a “salvatore” (Norwood).

In realtà sono entrambi “alcolisti”, uno dipende dalla bottiglia, l’altro
dipende da colui che dipende dalla bottiglia. A parte il complicato gioco di
parole, è una triste realtà la condizione di quelle donne che non riescono a
lasciare il marito alcolista, fanno una vita di umiliazioni ed infelicità,
si immolano sull’altare della devozione.
Prometto di esserti fedele sempre. In salute e malattie fin che morte non ci
separi?

La causa di tali legami non ha radici religiose. Ma psicologiche.

L’altro diventa la bottiglia del non-alcolista. Salvarlo diventa lo scopo
della sua vita.

Nobile intento, in apparenza. Impresa impossibile, tempo sprecato, inutile
lotta in realtà.

Nessuno potrà mai cambiare o smettere qualcosa perché glielo dice un altro,
ma solo e soltanto se lo vuole nel profondo del suo essere.

Chiameremo per convenzione la persona che vuole salvare l’altro il
co-dipendente.

– Identikit del Co-dipendente –

Co-dipendente è colui che controlla, vuole cambiare l’altro a suo
piacimento. A fin di bene, per carità! Bere fa male alla salute, giocare
d’azzardo
rovina la vita a se stessi e alla propria famiglia, dipendere dal lavoro
porta via tempo per esistere, vivere di sport impedisce una vita normale
ecc. ben lo sanno i partner di costoro. I quali si armano di pazienza e
coraggio e al motto di ” io ti salverò” (io ti aggiusterò) partono per la
loro crociata, strada costellata di spine.il co-dipendente è convinto che
l’altro
abbia qualcosa da aggiustare.

Ma non solo, è anche convinto di poter risolvere i problemi che affliggono
l’umanità
e il partner in nome del suo “amore” . Il co-dipendente si crede
onnipotente, più forte dell’alcol, del vizio, dell’altra moglie, della
suocera ecc. non importa a chi ha dichiarato guerra. E’ far la guerra che
conta, perché VINCERE è l’obiettivo, vincere per riavere l’amore dell’altro
tutto per sé. Pura mera illusione.
Lo schema cognitivo del co-dipendente è molto semplice , obbedisce al mantra
“se solo non ci fosse.

l’alcol,
l’altra donna,
il gioco,
il calcio,
la cocaina,
e così via..

IO LO POTREI AVERE TUTTO PER ME. E FINALMENTE SAREI FELICE”.

Così l’altro diventa qualcuno da convincere, carpire, controllare, guidare,
curare, guarire, possedere, sistemare, ecc, ecc.

Perché lo si vuole TUTTO. E si sente che lui, lei non c’è.

L’altro è TUTTO preso da altro.che sia la droga, l’alcol, il lavoro, il
gioco o il sesso anonimo e compulsivo.

– L’altro è altrove –

E il co-dipendente è tutto incentrato , votato, devoto, perso, focalizzato
totalmente sull’altro.

Quindi anch’egli è altrove. Entrambi hanno una cosa in comune. Non ci sono
per loro stessi, sono incapaci di stare, ascoltare ed accudire i propri
bisogni senza ricorrere a sostanze o persone esterne.

Entrambi sono incapaci di stare in una relazione sana: uno, intero, di
fronte all’altro, intero.

Sono entrambi mezzi. E cercano di riempire il proprio buco vuoto con ALTRO
da sé. Nel caso dell’alcolista, tossicodipendente o ” -aholics” vari,
facendo ricorso ad una sostanza o un comportamento nocivo, nel caso del
co-dipendente cercando di riempire la propria esistenza con l’esistenza
dell’altro
che ha “il problema da risolvere”.

E’ qui l’inganno, la distorsione. Torniamo a Platone. Egli si sbagliava. Non
è la metà su cui insistere, ci ha proposto un’immagine falsata. E’
sull’essere
UNO il segreto, il sentirsi interi non ci porterà a vagare in cerca di
qualcosa o qualcuno che ci riempia.

Questo bisogno di sentirsi uno ha origini remote, nel grembo materno.

Lì facciamo l’esperienza di sentirci un tutt’uno. Fusi , accuditi, nutriti,
contenuti, in simbiosi. Alla nascita creiamo un legame di attaccamento col
care-giver (Bowlby) , se tale legame è soddisfacente il genitore buono verrà
interiorizzato (Winnicott) e avremo dentro di noi la una presenza calda,
amorevole, capace di farci tollerare la frustrazione, l’assenza, il distacco
(Klein), il no (Bion).

Se questo passaggio non è avvenuto restiamo con una spina in mano e
cerchiamo una presa a cui attaccarci per funzionare, per sentirci di nuovo
UNO. Non tutte le prese funzionano. Solo quelle che ci portano a risentirci
fusi simbiotici. Nasce così un legame struggente, totalizzante. Da cui
presto uno dei due sente il bisogno di fuggire perché si sente inghiottito
dal bisogno dell’altro.

Inizia la danza, che diviene dramma e spesso sfocia in tragedia.
Il distacco , quando l’altro va a bere, a drogarsi, a fare altro, viene
vissuto come intollerabile, insopportabile, la mancanza, l’assenza, la
nostalgia diventano devastanti.
L’altro diventa la droga del co-dipendente, la possibilità di sentirsi uno.

Ma deve fare i conti con il distacco , la fuga dell’altro che rifiuta, si
nega, si rifugia nell’alcol, o altrove. Perché a sua volta si sente
risucchiare dal bisogno infinito ed inappagabile del partner.

A vuole B , ne ha necessità estrema, inizia il tunnel.

B è preso da un vizio,o da altro, non sa prendersi cura nemmeno di sé ed è
chiamato ad accudire il co-dipendente, che insiste per trascinarlo sulla
retta via, così potranno vivere felici e contenti.. B inizia a fuggire, a
ribellarsi agli ordini e ai controlli di A che si fanno sempre più
pressanti,incalzanti, esigenti. B può diventare sempre più distante,
ribelle, violento, anafettivo, crudele, o semplicemente assente, inizia a
fuggire, non regge alle richieste, al controllo, non vuole essere
aggiustato. Tuttavia poi si riavvicina, è inesorabilmente attratto da A, ne
ha altresì bisogno, di quell’attimo perfetto di unione, illusorio tuttavia
vitale, indispensabile ma tossico..
Vittima e carnefice, l’uno con il bisogno estremo dell’altro.

Si innesca così una lotta senza fine. Poiché in questa storia non c’è
libertà, non c’è rispetto, non c’è amore. C’è bisogno, a volte violenza,
lotta per il potere. C’è fame , e l’altro viene fagocitato, viene
vampirizzato(Abraham) ma mai visto per ciò che è in verità.

– Come se ne esce? –

Come da una qualsiasi altra tossicodipendenza. Ricostruendo la propria
identità , autostima, imparando ad essere UNO senza aggrapparsi, riempiendo
la propria esistenza di se stessi, con l’amore e la cura di sé.
Soddisfacendo i propri bisogni, prendendosi la responsabilità di accudirsi,
diventando genitori buoni di se stessi.
La creatività è la strada che porta ad esprimere ciò che siamo.

Crearsi una vita piena di cose per noi stessi, i cui possiamo occuparci e
rispondere in prima persona è un terapia quotidiana di cui prendersi carico.
E’ un cammino lungo con frequenti ricadute e giornate buie, ma piano piano è
possibile imparare a contenersi, a prendersi cura di quel bambino nascosto
dentro. Solo così potremo avvicinarci all’altro e non aggrapparci,
trascinandolo in un abbraccio soffocante in discesa verso gli inferi.

Si può imparare a stare bene con se stessi, sentirsi completi, esseri
armoniosi e creativi, amandosi ed accettandosi pienamente per ciò che si è e
si può.
Nasciamo soli, moriamo soli , a volte ci incontriamo con l’altro, ma poi
dobbiamo essere in grado di tornare soli, occorre imparare ad amare questa
condizione e farne una ricchezza , per questa avventura affascinante che è
il viaggio nella conoscenza di sé.

E’ da qui, solo da qui che possiamo davvero incontrare amare ed includere
l’altro.

“As long as we are in need of the other we are not able to be alone and
enjoy the immense riches aloneness gives. Our center is the place where only
we can go, where we find our fulfilment. “But real love is not an escape
from loneliness, real love is an overflowing aloneness. One is so happy in
being alone that one would like to share – happiness always wants to share.
It is too much, it cannot be contained; like the flower cannot contain its
fragrance, it has to be released.” (Osho)

Finchè abbiamo bisogno dell’altro non abbiamo la capacità di stare soli e
godere l’immensa ricchezza che lo stare soli fa scaturire. Il nostro centro
è il luogo dove solo noi possiamo andare, luogo dove troviamo il nostro
soddisfacimento. “Ma l’amore vero non è una fuga dalla solitudine, l’amore
vero è uno stare soli che trabocca. Uno è così felice nell’essere con se
stesso che vorrebbe condividere. La felicità vuole sempre condividere. E’
troppa, non può essere contenuta, come il fiore non può contenere la sua
fragranza, deve essere emanata.” (Osho)

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