di Alberto Marconi: centrostudimindfuness
Chi non vorrebbe essere felice!?
Caratteristica dell’uomo è quella di cercare di evitare la sofferenza
e di ricercare la felicità.
Ma, perché taluni pur essendo più o meno
ricchi, più o meno potenti, più o meno attraenti, etc., non sono
felici e cercano di avere sempre di più o di essere sempre diversi?
Su cosa fa perno la pubblicità, la comunicazione di massa, la società
in genere, al fine di suscitare comportamenti di continuo acquisto. o
di continua ricerca di cose nuove e sempre diverse?
E’ il meccanismo che ci spinge alla ricerca di metodi per “compensare”
le carenze psicologiche che ci sono proprie, a chi più ed a chi meno:
attuare certi comportamenti attenua infatti l’angoscia originata dai
sentimenti di timidezza, inferiorità, impotenza, inadeguatezza,
insicurezza, etc…
Per esempio, le persone timide, o quelle che hanno un complesso di
inferiorità, o ancora quelle che si sentono impotenti, queste persone
ovviamente soffrono: sono estremamente insicure e provano paura e
senso di incapacità. Poiché soffrono, cercano una soluzione.
Cosa fa
il timido che ha paura? Diventa aggressivo. Così una persona che si
sente inferiore cercherà di affermare la propria superiorità. Chi
soffre perché si sente impotente? Cercherà di dimostrare ed affermare
la propria potenza. Chi si sente dominato, cercherà di dominare. Chi
si sente incapace, cercherà di dimostrare le sue capacità. E così via.
E’ così che nella vita di tutti i giorni molte persone realizzano
grandi cose proprio a causa dei loro complessi di inferiorità, di
inadeguatezza, etc.
Ad osservarle si direbbe che queste siano persone “di successo”, che
hanno superato, o che non possiedano affatto “debolezze psicologiche”.
Ed invece niente affatto: sono proprio tali debolezze che
costituiscono la motivazione profonda della loro ricerca (spesso
inconsapevole) di risultati.
Se, infatti, soffriamo nel sentirci
deboli, umiliati, frustrati, desidereremo segretamente (e magari
inconsapevolmente) crederci “forti”.
Ma, tali persone non saranno mai
pienamente felici, non saranno mai profondamente serene, e soffriranno
sempre di una intima “urgenza” di fare e dimostrare, per tentare
(almeno temporaneamente) di acquietare il loro senso di disagio
psicologico.
Paradossalmente, poi, tali compensazioni (e i disagi
psicologici che le originano) sono spesso pragmaticamente “utili” alla
società, anche se non al singolo individuo che le agisce.
Purtroppo,
a volte, tali necessità di “compensazione” possono spingersi fino a
limiti inaccettabili: tiranni, autoritari, aggressivi, dittatori,
violentatori, si trovano a livelli più o meno estremi della ricerca di
compensazioni utili a soddisfare le loro necessità di affermazione.
Ed
a questo punto anche alla società nel suo insieme queste dinamiche
risultano nocive.
Ma le compensazioni NON ELIMINANO AFFATTO il problema che sta alla
base, né il disagio profondo che ne consegue: lo rivestono solo con un
mantello di illusioni.
Ed il disagio rimane, così come l’urgenza di
porvi rimedio, urgenza che spinge a proseguire nelle azioni.
Ecco
perché le tecniche di Mindfulness, di consapevolezza mentale, e, prima
di queste, la Meditazione Vipassana e quella Buddhista in senso lato,
pongono da sempre l’attenzione sull’imparare ad “essere”, piuttosto
che a “fare”.
Imparare ad accettare una sensazione temporanea di inferiorità, di
inadeguatezza o di debolezza, imparare a comprendere di non essere
“intrinsecamente” inferiori, deboli o inadeguati, è meglio che
imparare a compensare con ruoli o atteggiamenti che consentano di
dimostrare la propria “superiorità”, perché come abbiamo visto questi
non risolvono il problema e non acquietano, se non temporaneamente, il
nostro disagio.
Liberi dalla coazione psicologica, possiamo così
agire dove c’è da agire, essere dove agire non è possibile, necessario
o utile, vivendo così pienamente nella massima serenità ogni singolo
istante della nostra vita.
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