La Filosofia dell’Advaita – Ramana Maharshi

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La Filosofia dell’Advaita

Estratto da:
“Ramana Maharshi. Il Saggio di Arunachala”
Ed. Mediterranee – Roma

La Filosofia dell’Advaita

L’Advaita è la filosofia – se così si può chiamare- che fu insegnata da Sri
Ramana attraverso la sua vita e attraverso le sue “opere”. Advaita come
verità, significa “non dualità”; Come filosofia, si può rendere come “non
dualismo”.

Ciò non significa che la filosofia in questione sia un sistema chiuso,
perché non è un sistema filosofico. Indica l’esperienza plenaria della non
dualità, che sta al di là delle costruzioni del pensiero. Sebbene il
pensiero sia utile, in quanto può dirci che cosa la realtà non è, la realtà
stessa non può essere imprigionata entro i suoi confini. Ciò che abbiamo
chiamato esperienza plenaria è l’Io non duale dove non vi sono distinzioni.
Sri Ramana “acquisì” o meglio scoprì questa esperienza senza studi formali.
I libri che egli lesse più tardi servirono solo a confermare la sua
esperienza dell’Advaita.

L’Advaita come tradizione, si può far risalire ai Veda e alle Upanisad. In
alcuni inni vedici, che hanno argomento metafisico, la Realtà suprema è
chiamata “l’Unico Essere” (ekam sat), “Quell’Uno” (tat ekam), ecc. La
dottrina dell’Uno trova una chiara esposizione nelle Upanisad che
costituiscono il Vedanta la Fine dei Veda. I termini spesso impiegati nelle
Upanisad per designare l’Unico Essere sono Brahman ed Atman Brahman, che è
la base dell’universo, proclamato identico ad Atman. “Qui non vi è alcuna
pluralità ” dice un testo upanisadico, e soggiunge: “Dalla morte alla morte
va colui che vede la pluralità qui, come se ci fosse” .

Nel centro della grotta del cuore il puro Brahman solo risplende
direttamente nella forma dell’Io come ” io-io “. Entra nel cuore con mente
ricercante, e dissolvendo (l’ego) mediante il controllo del respiro, dimora
nell’Io (Sri Ramana).

Il primo maestro che espose la verità upanisadica della non dualità in
un’opera pervenuta fino a noi fu Gaudapada. Il suo manuale metrico (karika)
che è basato su una delle Upanisad, Mandukya, è la prima esposizione
esistente dell’Advaita.

L’insegnamento centrale di Gaudapada è che non nasce mai nulla. Perciò, la
sua filosofia è chiamata Ajati-vada, la dottrina della non-nascita. Nulla
nasce mai, non già perché “il nulla” sia la verità assoluta, come nel
nichilismo, ma perché l’Io è la sola realtà. “Nessun’anima. nasce, non vi è
causa di tale nascita; questa è la suprema verità; non nasce assolutamente
nulla”‘. Dal punto di vista dell’Assoluto, non vi è dualità, non vi è nulla
di finito, di non eterno. Solo l’Assoluto è; tutto il resto è apparenza
illusoria e non reale.

Considerare reale il mondo pluralistico è illusione. Le distinzioni
empiriche tra soggetto e oggetto, mente e materia, ecc., sono il risultato
di maya, il potere misterioso che vela il vero e proietta il falso. Non si
può spiegare come sorgano le distinzioni. Ma ad una indagine si scoprirà che
sono prive di realtà. Se uno le vede, dice Gaudapada, è come vedere le
impronte delle zampe degli uccelli nel cielo’. L’Io è non-nato; non vi è
null’altro che sia nato. La dualità è soltanto un’illusione; la non dualità
è la verità suprema.

“Shankara” è il nome più illustre nella storia della tradizione
dell’Advaita. Il maestro che portò questo nome, il cui significato è
“Dispensatore di Felicità “, fu discepolo di un discepolo di Gaudapada.
Shankara scrisse ampi commenti sui testi fondamentali del Vedanta, cioè le
Upanisad, la Bhagavadgita e il Brahmasutra. Oltre a commentare la
Mandukya-Upanisad spiegò l’opera di Gaudapada. Numerosi suoi manuali furono
tradotti dal sanscrito in tamil da Sri Ramana, come Vivekacudamani,
Drg-drsya-viveka e Atma-bodha.

La quintessenza della filosofia di Sankara è esposta nel seguente versetto:

” Il Brahman è reale; il mondo è una apparenza illusoria; la cosiddetta
anima individuale è lo stesso Brahman, e null’altro “.

Quindi i tre aspetti della ” dottrina ” dell’Advaita sono:

1) la sola realtà del Brahman;

2) l’illusorietà del mondo;

3) la non differenza tra l’anima e il Brahman.

1) I termini Brahman ed Atman, secondo Sankara indicano la realtà più alta,
che è non-duale. Poiché la natura di Brahman-Atman non può essere definita
nei termini di nessuna categoria, le Upanisad lo chiamano “non questo, non
questo” (neti, neti).

Naturalmente, ciò non significa che il Brahman sia un vuoto. Vi sono anche
espressioni positive, che si trovano nei testi delle Upanisad, espressioni
come reale (satyam), conoscenza (jnanam), infinito (anantam) e beatitudine
(anandam). Ma, indicano anche la natura del Brahman dicendoci ciò che non è:
non è irreale, non è insenziente, non è finito, e non è relato alla
sofferenza.

Definire una cosa è limitarla, separarla da altre cose simili, o dissimili.
L’infinito e l’illimitato non possono essere caratterizzati in termini di
categorie finite. Il Brahman è al di là della portata dei concetti e delle
parole. Come dice Shankara:

” Il Brahman non appartiene a una specie di esistenti, e quindi non può
essere chiamato un esistente. Non ha qualità, perché è senza qualità, e
quindi non può essere espresso in termini di qualità. Non può essere
indicato da una parola che esprime l’azione, perché è senza azione “.

Il Brahman è senza caratteristiche. Persino dire che è uno non è vero, a
stretto rigore, perché la categoria dei numeri non è ad esso applicabile.
Ecco perché si preferisce l’espressione negativa ” non duale ” o ” non due “
(advaita).

Nelle Upanisad vi sono testi che parlano della manifestazione del mondo dal
Brahman. Ma com’è possibile la manifestazione della pluralità dal non duale
Brahman? Come si possono riconciliare questi due insegnamenti… che il
Brahman è l’Assoluto, senza caratteristiche e senza parti, e che è la causa
del mondo ed è dotato di attributi? Sankara risolve il problema postulando
due punti di vista, l’assoluto (paramarthika) e l’empirico (vyavaharika). La
verità suprema è che il Brahman è non duale e senza relazioni. Solo esso è;
non vi è nulla di reale all’infuori di esso. Ma dal punto di vista empirico
relativo, appare come Dio (Isvara), causa del mondo, come ciò che è relato e
dotato di attributi.

2) Secondo Shankara, non vi è reale causazione Il mondo è soltanto
un’apparenza nel Brahman, come il serpente lo è nella corda. La teoria
dell’apparenza è conosciuta come vivarta-vada, distinta da quella della
trasformazione, parinamavada. E’ a causa della maya o avidya (ignoranza)
che il Brahman non duale appare come il mondo della pluralità, che la realtà
infinita e incondizionata appare come fosse finita e condizionata, che ciò
che è libero da attributi appare dotato di attributi. Maya è il potere che
rende apparentemente possibile ciò che è impossibile, vela il Brahman reale
e proietta il mondo non reale.

Ogni tentativo di spiegare la creazione del mondo è votato al fallimento. Al
livello fenomenico, l’intelletto che è anch’esso fenomenico cerca di
indagare sulla natura del mondo e non riesce nel suo tentativo. Quando si
acquisisce l’intuizione finale del Brahman, si comprende che il mondo non fu
mai creato, che è un’apparenza illusoria. Solo il Brahman-Atman è; il mondo
è un’interpretazione errata dello stesso. E’ necessario tenere presente che
Sankara non nega la realtà empirica (vyavaharikasatta) del mondo. Finché non
si realizza il Brahman, il mondo viene creduto reale dagli ignoranti. Ma,
per l’illuminato che ha realizzato il Brahman, il mondo non esiste; per lui
vi è solo il Brahman. I testi sulla creazione contenuti nelle Upanisad non
hanno importanza in se stessi: servono soltanto, come dice Gaudapada, a
introdurre la verità della non dualità.

3) Secondo Sankara, l’anima individuale (jiva) nella sua natura essenziale
non è altro che il Brahman. E’ a causa dell’ignoranza che immagina d’essere
diversa. L’anima non è un essere creato: ciò che è ” creato ” o ” prodotto “
è il suo complesso empirico, consistente di corpo e di mente.
Identificandosi con il complesso corpo-mente, l’anima cade nel ciclo della
trasmigrazione. Poiché l’ignoranza è la causa della trasmigrazione e della
servitù dell’anima, ciò che può liberarla è solo la conoscenza… la
conoscenza dell’Io non duale.

Secondo l’Advaita la sola conoscenza è il mezzo della liberazione. La
liberazione è la realizzazione del Brahman. non duale Il Brahman da
realizzare è l’esistenza eterna, e non è ciò che deve essere compiuto con
l’azione. Sebbene sia uno, non duale e sempre libero, e identico all’anima,
non è riconosciuto come tale a causa dell’ignoranza.

Quindi, ciò che occorre per conseguire la realizzazione del Brahman, che è
la liberazione, è la conoscenza (jnana) .

Citiamo Sankara “A causa dell’ignoranza, l’Io appare condizionato; quando
l’ignoranza viene distrutta, il puro Io risplende veramente, come il sole
quando si disperdono le nuvole “.

Abbiamo visto più sopra che Sankara riconosceva la realtà empirica del
mondo. Presumendo che Gaudapada non lo facesse, alcuni critici sostengono
che vi sono diversità di punti di vista tra i due grandi maestri
dell’Advaita. Essi cercano di dimostrare che Gaudapada era un soggettivista,
e che riduceva il mondo empirico alla condizione di un sogno. Ma
s’ingannano. La diversità empirica tra veglia e sogno non è negata da
Gaudapada. La differenza tra i due, egli ammette, è che, mentre
nell’esperienza del sogno gli organi esterni dei sensi sono inattivi, in
quella della veglia sono attivi. Un’ulteriore distinzione è che, mentre il
contenuto del sogno dura solo quanto la mente del sognatore che lo immagina
(cittakalah), gli oggetti del mondo esterno si estendono a due punti nel
tempo (advayakalah), cioè vengono riconosciuti dall’uomo che si è svegliato
da un sogno o dal sonno come gli stessi di cui aveva fatto esperienza prima.

La questione della presunta divergenza tra gli insegnamenti di Gaudapada e
Sankara venne sollevata una volta davanti a Sri Ramana.

Il saggio rispose semplicemente: ” La differenza è solo nella nostra
immaginazione “. Tanto per Gaudapada quanto per Sankara, il mondo non è
reale in assoluto, ma è come un sogno. Come disse Sri Ramana: “Lo scopo
dell’intera filosofia è indicare la Realtà fonda mentale degli stati di
veglia, di sogno e di sonno, o delle anime individuali, del mondo e di Dio”.
Dal punto di vista empirico (vyavaharika), che è quello dello stato di
veglia, vi sono tre categorie: il mondo, l’anima e Dio; l’uomo vede il mondo
in tutta la sua molteplicità, e deduce che debba esservi un Dio che è il
creatore, e crede di essere colui che vede; alla fine comprende che i
fenomeni da lui veduti sono il gioco della maya, che è il potere di Dio.

Anche dal punto di vista empirico, l’esistenza di diverse anime, oggetti,
ecc., non è in conflitto con l’Advaita. Distinto da quello empirico
(vyavaharika) è il punto di vista dell’apparenza (pratibhasika).

A questo livello il mondo, l’anima e Dio sono tutte cognizioni di chi vede.
Non hanno una esistenza indipendente da lui. Vi è una sola anima, che può
essere l’individuo o Dio. Tutto il resto è immaginazione. Il punto di vista
più elevato è quello dell’Assoluto (paramarthika). E’ da questo livello che
Gaudapada dice. come abbiamo visto, che nulla è nato. Il supremo Io è la
sola realtà. Non vi è schiavitù e non vi è liberazione, non vi è ricerca e
non vi è acquisizione, non vi è divenire e non vi è cambiamento. A questo
livello, come osserva Sankara, la maya è ciò che non esiste: è un nome per
il non-esistente”.

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