27 aprile 2016
Un esperimento ha dimostrato che tra atomi ultrafreddi non vale più il principio di realismo,
secondo cui una grandezza esiste indipendentemente dalla sua misurazione. Il risultato fornisce una
risposta a un dibattito sui paradossi della meccanica quantistica iniziato con i lavori di Albert
Einstein (red)
da lescienze.it
Credi davvero che la Luna non sia lì quando non la guardi?. Con questa celebre metafora Albert
Einstein espresse una volta la sua convinzione nel realismo, cioè nell’idea che una grandezza fisica
sia preesistente all’atto della misurazione. Questo principio fa il paio con un altro principio,
quello di località, secondo cui tra due eventi esiste un rapporto di causa-effetto solo se essi sono
connessi da una catena causale di eventi che si propaga con una velocità minore o uguale alla
velocità della luce nel vuoto, un limite fisico assoluto per tutti i corpi e tutti i processi.
Insieme, il principio di realtà e quello di località costituiscono il principio di realismo locale,
che appare indubitabile secondo le regole del buon senso e coerente con leggi della fisica classica.
Eppure il realismo locale iniziò a vacillare nei primi decenni del secolo scorso quando venne
elaborata la meccanica quantistica, una teoria che descrive i fenomeni del mondo microscopico in
termini probabilistici, con risultati che spesso cozzano contro il senso comune, ma vengono
puntualmente confermati dai risultati sperimentali.
Ora, un nuovo studio pubblicato su Science e firmato da ricercatori dell’Università di Basilea e
dell’Università di Singapore, sembra confermare che Einstein aveva torto. Il principio di realismo è
stato violato dalle misurazioni effettuate su un campione di 480 atomi tenuto a una temperatura di
poche frazioni di grado sopra lo zero assoluto, in uno stato della materia noto come condensato di
Bose-Einstein.
Per capire come una manciata di atomi ultrafreddi possa obbligare a dire addio a un principio così
apparentemente solido, bisogna ripercorrere decenni di discussioni sui fondamenti della meccanica
quantistica che hanno
avuto come protagonisti, tra gli altri, lo stesso Einstein e John Stewart Bell, un fisico britannico
che negli anni sessanta lavorò al CERN di Ginevra.
Come ricordato più volte nella pubblicistica sull’argomento, Einstein era piuttosto turbato dalla
natura probabilistica delle leggi quantistiche. Il pensiero del grande fisico tedesco in merito a
questo problema si concretizzò nel 1935 in un articolo scritto con i due giovani collaboratori Boris
Podolski e Nathan Rosen, in cui era esposto un ingegnoso esperimento mentale. In esso si dimostra
che secondo le leggi della meccanica quantistica, due particelle possono essere preparate in modo da
essere collegate tramite una correlazione che si mantiene anche quando sono allontanate tra loro a
una distanza arbitraria.
Questa correlazione, nota come entanglement, fa sì che una misurazione effettuata su una delle due
fa collassare la grandezza misurata su un determinato valore, così come la grandezza entangled
della particella lontana. Ciò avviene in modo istantaneo, a qualunque distanza, in apparenza come se
le due particelle comunicassero con un segnale più veloce della luce. Verrebbe così violato il
principio di realismo locale e in particolare quello di località: è questo il contenuto del
cosiddetto paradosso EPR, dalle iniziali dei tre fisici che l’hanno formulato.
Rielaborando e ampliando il paradosso EPR, nel 1964 Bell dimostrò che se si assume come valido il
principio di realismo, e cioè se gli atomi hanno le loro proprietà indipendentemente dalle
misurazioni e indipendentemente gli uni dagli altri, allora devono valere alcune leggi
fisico-matematiche note come disuguaglianze di Bell, che possono essere confrontate con i risultati
degli esperimenti.
In altre parole, se gli esperimenti violano le disuguaglianze di Bell, allora crolla anche il
principio di realismo. In questo caso gli atomi devono essere tra loro interdipendenti, in virtù
delle cosiddette correlazioni di Bell, e le proprietà misurate non esistono prima della misurazione.
Per parafrasare Einstein, in un micromondo del genere la Luna non esiste prima che qualcuno la
guardi.
Il gruppo dell’Università di Basilea, insieme con i colleghi di Singapore, ha sviluppato un apparato
sperimentale per rilevare le correlazioni di Bell, effettuando misurazioni su molti atomi e non su
atomi singoli, il che avrebbe rappresentato un ostacolo sperimentale insormontabile. Per il
campione, la scelta è caduta su un gas di atomi di rubidio, che grazie a fasci laser è stato
raffreddato fino a pochi miliardesimi di grado dallo zero assoluto. In queste condizioni, gli atomi
perdono la loro individualità e tendono a comportarsi come un tutt’uno, formando un condensato di
Bose-Einstein.
Nell’esperimento, in particolare, le collisioni incessanti che si verificano tra gli atomi
ultrafreddi fanno sì che lentamente si stabilisca un entanglement tra i momenti magnetici degli
atomi stessi. Quando l’intensità dell’entanglement raggiunge un certo valore, si manifestano le
correlazioni di Bell, che così possono essere rilevate.
Ci si aspetterebbe che le collisioni casuali semplicemente siano causa di disordine: invece le
proprietà quanto-meccaniche diventano entangled così intensamente da violare le leggi della
statistica classica, ha sottolineato Roman Schmied, coautore dello studio.
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