– Questa tematica è molto controversa e viene ignorata o sottovalutata (o perfino rifiutata) da
molti fisici ancora legati a vecchi pregiudizi). Fatto sta che la verità evidenziata dagli
esperimenti conduce inevitabilmente verso la sorprendente concezione di un “universo mentale”.
– Alcuni decenni fa James Jeans (celebre fisico ed astronomo) disse:
“L’universo comincia a sembrare più simile ad un grande pensiero che non a una grande macchina”.
Le scoperte degli ultimi decenni confermano tale intuizione, e oggi possiamo dire che l’universo è
una “grande mente” o quantomeno una struttura “software”. Il presente articolo intende dimostrare la
validità di queste audaci affermazioni.
– Questo articolo è molto importante poiché espone i risultati di alcuni recenti esperimenti di
estremo interesse (alcuni di essi non sono descritti nel libro Ipotesi sulla Realtà, la cui prima
edizione risale al 1991).
Nota: anche se in alcuni punti risultasse difficile, si consiglia di proseguire la lettura per poter
comprendere pienamente i sorprendenti paradossi illustrati nella parte finale.
Ad una prima lettura veloce è possibile saltare le parti più impegnative o quelle meno importanti
(come indicato nel testo stesso).
Solo in caso di estrema difficoltà si può andare al paragrafo (“Interferenza quantistica”
www.ipotesi.net) e da lì proseguire fino alla fine, ma in tal caso alcuni termini risulteranno
incomprensibili.
Per rendere perfettamente comprensibili gli esperimenti, alcuni concetti sono stati ripetuti più
volte.
1 – La meccanica quantistica.
La “meccanica quantistica” descrive il comportamento della realtà fisica a livello molecolare,
atomico e sub-atomico (nucleare e sub-nucleare). A queste scale microscopiche la natura non si
comporta in conformità alle leggi della fisica classica, che è stata sviluppata tra i secoli XVII e
XIX e descrive i fenomeni che coinvolgono i familiari oggetti della vita quotidiana.
Va notato che la meccanica quantistica è in fisica (e in tutta la scienza) la teoria che fornisce i
risultati più precisi. Essa trova una miriade di applicazioni in vari campi dell’attuale tecnologia,
sia nel bene che nel male, dalle armi nucleari ai semiconduttori (che hanno permesso l’esplosivo
sviluppo dell’elettronica e dell’informatica), dai reattori nucleari al laser (ciò che interessa
sottolineare qui è che la teoria “funziona” perfettamente, ovvero stiamo trattando di qualcosa di
estremamente valido e concreto).
Il nome della teoria deriva dal concetto di “quanto”, introdotto da Planck nel 1900 per spiegare
alcuni fenomeni fisici altrimenti inspiegabili (riguardanti la termodinamica della radiazione
elettromagnetica).
Planck ipotizzò che l’Energia della radiazione elettromagnetica (ad esempio luce, onde radio, raggi
X ecc.) non potesse variare in modo continuo ma potesse assumere solo valori multipli di un certa
quantità minima, detto appunto “quanto” o “quantum”. La validità di tale ipotesi poi fu confermata
(ed estesa) con gli esperimenti sull’Effetto fotoelettrico (Einstein 1905, lo stesso anno della sua
formulazione della teoria della relatività ristretta).
Ma l’emissione e la propagazione della luce per “quanti” era solo una delle caratteristiche
particolari della nascente “meccanica quantistica”, che nei 20-30 anni successivi avrebbe
evidenziato aspetti molto più strani; la teoria fu completata al finire degli anni ’20, ma le
ricerche sui suoi paradossi sono continuate e vengono tuttora effettuate, come vedremo.
2 – Stati non-oggettivi e misurazione fisica.
In fisica classica non vi sono limitazioni di principio alla misurazione delle caratteristiche di un
sistema fisico: per esempio ad ogni istante possiamo misurare la posizione di un certo oggetto in
movimento, la sua velocità, la sua energia, ecc.
Non è così nella meccanica quantistica: gli oggetti “quantistici” (atomi, elettroni, quanti di luce,
ecc.) si trovano in certi “stati” indefiniti, descritti da certe entità matematiche (come la
“funzione d’onda” di Schrödinger).
Soltanto all’atto della MISURAZIONE fisica lo “stato”, precedentemente “astratto” e indefinito,
fornisce un valore reale; ma finché la misura non viene effettuata, l’oggetto quantistico rimane in
uno stato che è “oggettivamente indefinito”, sebbene sia matematicamente definito: esso descrive
solo una “potenzialità” dell’oggetto o del sistema fisico in esame, ovvero contiene l’informazione
relativa ad una “rosa” di valori possibili, ciascuno con la sua PROBABILITA’ di divenire reale ed
oggettivo all’atto della misura.
Matematicamente gli stati quantistici sono elementi di uno “spazio di Hilbert”, uno spazio astratto
che i fisici definiscono “spazio delle potenzialità” o “delle possibilità”.
3 – Stati ed Autostati.
Nota: La trattazione del presente paragrafo non è facilissima; eventualmente il lettore può saltare
direttamente al paragrafo successivo.
Nel linguaggio della meccanica quantistica, si dice che all’atto della misura lo stato “collassa” in
uno dei tanti potenziali “autostati” dotati di “autovalore” definito (gli “autostati” sono quei
particolari “stati” che esistono “oggettivamente” nella realtà fisica. Gli altri “stati” invece sono
delle “sovrapposizioni” di autostati, e come tali non hanno corrispondenza oggettiva nella realtà
fisica, pur descrivendo perfettamente il sistema quantistico in esame).
Per fare un semplice esempio, consideriamo un certo elettrone: esso ad un certo istante non avrà
un’Energia definita, ma si troverà in uno stato potenziale che contiene:
– al 20% l’autostato di Energia 150 eV;
– al 35% l’autostato di Energia 160 eV;
– e al 45% l’autostato di Energia 170 eV.
Per inciso, sono possibili stati molto più complessi di questo.
All’atto della misura, lo stato dovrà “scegliere” uno dei tre possibili “autovalori” dell’Energia
(150 o 160 o 170 eV, valori “quantizzati”, ovvero discontinui), cioè dovrà “collassare” in uno dei
tre “autostati” che esistono “oggettivamente” nella realtà fisica (nota: eV significa elettron-Volt
ed è un’unità di Energia utilizzata in fisica atomica, nucleare e sub-nucleare).
Per fare un altro esempio, si consideri la posizione di un elettrone nello spazio (cosa che in
fisica classica è ovvia e perfettamente definita). L’elettrone non avrà una posizione definita, ma
avrà una “rosa” di posizioni possibili, descritta collettivamente da una “funzione d’onda” (che in
questo caso avrà autovalori “continui” e non “discontinui”). All’atto della misura, l’elettrone
verrà rivelato solo in un punto tra quelli possibili, ovvero la “funzione d’onda” collasserà in quel
singolo punto.
Fra le numerose “stravaganze” quantistiche, possiamo qui ricordare l’Effetto tunnel (che è impiegato
per esempio nelle tecnologie dei semiconduttori; ed è responsabile anche della emissione di
particelle da parte dei materiali radioattivi). L’Effetto tunnel permette alle particelle
quantistiche di avere una probabilità di trovarsi fuori dai confini che le sarebbero imposte dalla
fisica classica. Per esempio, consideriamo una piscina vuota, con una palla che rimbalza al suo
interno senza però avere l’energia necessaria per uscire: le pareti della piscina rappresentano una
“barriera di energia potenziale”.
Ebbene, in una situazione analoga, ma in ambito quantistico, una particella avrebbe una certa
probabilità (seppure minima) di trovarsi al di fuori delle barriere di energia potenziale !
4 – Il principio di indeterminazione.
Per ragioni di principio, non è possibile in alcun modo prevedere quale valore effettivo si avrà
all’atto della misura, ma si ha soltanto una rosa di probabilità su certi valori definiti (questi
valori possibili però sono definiti esattamente, con grande precisione): vi è quindi una
“indeterminazione” sui valori della misura (nota: ciò non altera l’utilità delle applicazioni della
meccanica quantistica, che in certi campi, come in spettroscopia, ottiene delle precisioni
sbalorditive sulla previsione degli “autovalori” effettivamente misurati).
Questo fatto fu espresso da Heisenberg nel 1927 col celebre “Principio di indeterminazione”. Per
esempio se misuriamo con grande precisione la posizione di una particella, avremo una certa
indeterminazione sulla sua velocità, e viceversa (nota: ciò è dovuto al fatto che l'”autostato”
della posizione NON è anche anche “autostato” della velocità, perché rispetto agli autovalori della
velocità esso si trova in uno “stato di sovrapposizione”; e viceversa).
5 – La realtà è in parte creata dall’osservatore cosciente ?
In definitiva, gli oggetti quantistici si trovano in certi stati che NON sono definiti
oggettivamente: le caratteristiche reali ed oggettive sono definite solo quando vengono misurate, e
quindi sono “create” in parte dall’osservatore.
Questa fu l’interpretazione della meccanica quantistica che fu proposta da alcuni scienziati già
alla fine negli anni ’20: così la figura dell’osservatore cosciente fece capolino in una scienza –
la fisica – fino ad allora considerata rigorosamente oggettiva (notiamo che le grandezze fisiche
misurabili in meccanica quantistica, come la posizione, l’energia, la quantità di moto, ecc.,
vengono chiamate “osservabili”).
Vi furono subito delle reazioni a tale concezione, poiché in fisica era sottinteso da sempre che
l’universo esiste in uno stato oggettivo, indipendentemente dal fatto che noi lo osserviamo o meno!
6 – Prime reazioni: l’interpretazione di Copenaghen.
Ovviamente le reazioni furono subito numerose ed energiche, e misero a confronto le convinzioni di
grandissimi scienziati, come Einstein (che riteneva che la meccanica quantistica fosse incompleta o
comunque inaccettabile in questa forma) e come Bohr (che sosteneva invece la validità della teoria
in questione).
Prima di analizzare le obiezioni di Einstein, che probabilmente sono simili a quelle che il lettore
avrà nel frattempo maturato durante la lettura dei paragrafi precedenti, occorre notare che lo
stesso Bohr volle subito eliminare la figura di un osservatore cosciente, troppo scomoda per una
scienza ritenuta puramente oggettiva.
Tale iniziativa si rese necessaria anche per la critica rivolta da Schrödinger con il suo scherzoso
“paradosso del gatto”, che per brevità qui non citeremo (per inciso, è singolare che Schrödinger
assumesse una posizione critica verso la necessità di un “soggetto cosciente” nella teoria
quantistica, mentre invece nelle sue considerazioni filosofiche egli considerava l’intero universo
come un “prodotto del pensiero”!).
Nacque così la cosiddetta “interpretazione di Copenaghen” della meccanica quantistica, che prese il
nome dalla città di Bohr, in cui operavano anche altri importantissimi scienziati come Heisenberg,
Pauli, Born. Tutti questi fisici sono considerati i fondatori della meccanica quantistica insieme a
Planck, allo stesso Einstein (che poi prese le distanze da tale teoria), a De Broglie, Schrödinger e
Dirac.
Secondo l’interpretazione di Copenaghen, è vero che la realtà quantistica esiste in uno stato
indefinito e “non-oggettivo”, ma non per questo è necessaria la figura di un osservatore cosciente:
è sufficiente che avvenga una “reazione termodinamica irreversibile” affinché lo stato non oggettivo
diventi uno stato oggettivo: per esempio un elettrone, per poter essere riscontrato in un
rivelatore, deve avere una “reazione termodinamica irreversibile” col rivelatore stesso, e tale
reazione è sufficiente a rivelarlo nel “mondo oggettivo” della fisica classica senza necessità di un
soggetto cosciente che se ne accorga.
Così, nacque anche l’interpretazione “operativa” del principio di indeterminazione: per poter
misurare una caratteristica di un oggetto fisico, occorre necessariamente interagire con esso, e
questa interazione “perturba” inevitabilmente lo stato originario, creando appunto la piccola
“indeterminazione”. In questo modo, secondo gli scienziati di Copenaghen, si ottiene
un’interpretazione del tutto ragionevole ed accettabile.
In realtà questo non spiega il “mistero” della non-oggettività degli oggetti quantistici prima della
misura (e vedremo più avanti che tale non-oggettività è strettamente necessaria per la coerenza
della teoria con gli esperimenti e crea degli incredibili paradossi).
Inoltre l’espediente di Copenaghen, nato al puro scopo di eliminare la figura del soggetto cosciente
dalla teoria, si scontra con varie difficoltà. Anzitutto sembra contraddittorio che l’esistenza del
mondo microscopico, cioè subatomico, debba dipendere da eventi “macroscopici” nell’ambito della
fisica classica, quando invece è il mondo macroscopico ad essere costituito da un insieme di eventi
microscopici! Inoltre recentemente il gruppo di R.Chiao, dell’Università di Berkeley, ha dimostrato
che il “collasso della funzione d’onda” non è necessariamente irreversibile come credevano gli
scienziati di Copenaghen (cosa che i fisici degli anni ’20 non potevano ancora sapere…).
Questo argomento sarà trattato più avanti.
7 – La reazione di Einstein.
La critica di Einstein e di altri fisici fu molto più radicale: essi sostennero che la meccanica
quantistica era una teoria incompleta e provvisoria, che avrebbe dovuto essere perfezionata col
tempo per eliminare alcuni aspetti indesiderati, sebbene funzionasse perfettamente sul piano
sperimentale.
Col senno di poi, possiamo dire che questa fu una delle poche intuizioni errate di Einstein: la sua
“fedeltà” alla concezione puramente oggettiva dell’universo fu così forte da indurlo a dubitare di
una teoria – la meccanica quantistica – che lui stesso aveva contribuito a fondare!
Anzitutto Einstein non accettava che esistesse un’indeterminazione sulle misure quantistiche, ovvero
che i risultati non fossero pienamente determinabili in anticipo: ciò, secondo Einstein, introduceva
nella fisica l’influenza del “cieco caso”, per lui assolutamente inaccettabile. A questo proposito
viene ricordata la sua celebre frase: “Dio non gioca a dadi con il mondo!”.
Inoltre Einstein non credeva alla possibilità di “stati non-oggettivi”, ma riteneva che gli stati
esistessero oggettivamente anche prima della misura, indipendentemente dal fatto che vengano
misurati o meno. Insomma, per Einstein (come probabilmente anche per il lettore o qualsiasi persona
che non abbia ancora accettato il nuovo messaggio implicito nella meccanica quantistica) l’universo
deve esistere oggettivamente, sia che noi l’osserviamo o meno !
8 – Il libero arbitrio.
Questo paragrafo contiene delle considerazioni filosofiche che possono essere saltate in caso di una
lettura veloce.
Riallacciandosi alla frase di Einstein sulla presunta casualità insista nella meccanica quantistica,
occorre precisare quanto segue.
Nell’interpretazione di Ipotesi sulla realtà, la scelta dei differenti autovalori non è casuale ma è
una “scelta cosciente” dovuta ad una piccola “volontà della natura”, che ha un piccolo margine per
deviare il corso degli eventi dal determinismo assoluto (in cui la fisica credeva fino al 1926, cioè
prima del principio di indeterminazione). In altre parole, l’indeterminazione quantistica permette
un piccolo margine per un “libero arbitrio” della natura, che poi viene “amplificato” e
“valorizzato” negli organismi biologici e quindi nell’uomo.
Questo punto assume un’importanza filosofica colossale, perché solo in questa ipotesi l’uomo viene
ad assumere una vera libertà nelle sue azioni.
Nella concezione del determinismo assoluto invece egli è semplicemente un burattino in balia della
natura, che segue il suo corso in base alle rigidissime leggi fisiche: un destino ineluttabile, in
cui credettero Laplace ed altri scienziati nel corso del secolo XIX, relegando il libero arbitrio al
rango di “pura illusione”.
Ammettendo invece che l’indeterminazione quantistica sia dovuta al caso, la situazione non migliora
molto per l’uomo, perché egli da burattino in balia di leggi fisiche rigidissime diventa burattino
in balia del caso cieco!
Ecco perché la concezione di Ipotesi sulla realtà è l’unica che può restituire all’uomo la sua
dignità di essere dotato di volontà cosciente.
9 – Realismo e località di Einstein.
Secondo il “realismo” di Einstein, gli stati quantistici esistono oggettivamente, indipendentemente
da tutte le limitazioni imposte dalla teoria quantistica, che perciò secondo Einstein è incompleta e
provvisoria. Esisterebbero quindi delle “variabili nascoste” che descrivono la realtà oggettiva dei
sistemi quantistici, ma non sono ancora riconosciute dall’attuale teoria.
Per fare un paragone banale, immaginiamo che in una partita di carte il vostro avversario abbia in
mano una certa carta. Avendo seguito il gioco, noi sappiamo che tale carta può essere – per esempio
– l’asso di denari o il re di cuori, ma non sappiamo quale delle due sia realmente. Questa, secondo
Einstein è la “conoscenza incompleta” che ci può dare la meccanica quantistica. Comunque, dice
Einstein, la carta in questione è DI FATTO una delle due carte (variabile nascosta),
indipendentemente dal fatto che noi non abbiamo la certezza che sia l’una o l’altra
(indeterminazione). All’atto della misura noi possiamo finalmente constatare di quale carta si
tratta, ma secondo Einstein la carta era quella già prima della misura.
Secondo la meccanica quantistica invece non è così! La carta in precedenza era in uno stato
indefinito: “50% asso di denari e 50% re di cuori”, e solo all’atto della misura la carta è
“diventata” – per esempio – un asso di denari. Ma ritornando allo stato precedente e rieffettuando
la misura, stavolta la carta potrebbe diventare un re di cuori !
Secondo Einstein questi “giochi di prestigio” quantistici erano del tutto inaccettabili e negli anni
’30 egli iniziò a formulare vari paradossi fisici, che però Bohr risolveva ogni volta, salvando così
la validità della meccanica quantistica.
Rimase insoluto solo un paradosso, il cosiddetto paradosso E.P.R., così chiamato perché Einstein lo
sviluppò insieme ad altri due fisici, Podolski e Rosen. Esso non sarà qui descritto poiché è molto
difficile da comprendere per un profano, ma in sostanza il suo significato è questo: se la meccanica
quantistica è vera, essa implica che in certi esperimenti specifici esistano necessariamente
influenze istantanee (“non-locali”) tra particelle lontane, in barba al fatto che la velocità della
luce sia la velocità massima consentita nell’universo. Le influenze in questione si propagherebbero
con velocità infinita e ciò costituirebbe una violazione del “principio di località”, che secondo
Einstein non poteva essere violato: perciò la teoria quantistica “doveva” essere falsa.
Bohr rispose che questa non era una dimostrazione sufficiente, e la controversia rimase sospesa
perché non vi era un esperimento cruciale per stabilire chi avesse ragione e chi torto a riguardo di
questa specifica obiezione di Einstein, Podolski e Rosen (sebbene la meccanica quantistica
continuasse a dimostrarsi validissima e a permettere grandi innovazioni tecnologiche).
Negli anni ’60 il fisico Bell propose un certo esperimento che poteva effettivamente dimostrare chi
avesse ragione. In base al teorema di Bell, se tale esperimento desse certi risultati (che qui per
semplicità non esporremo), l’obiezione di Einstein verrebbe respinta, e verrebbe confermata la
validità della meccanica quantistica con tutti i suoi “giochi di prestigio”.
Negli anni ’70 l’esperimento di Bell fu realizzato da vari ricercatori, che finalmente verificarono
la validità della meccanica quantistica con i suoi paradossi e la sua non-oggettività! Alcuni fisici
però obiettarono che gli esperimenti non erano stati condotti in maniera rigorosa, adducendo varie
critiche. Così furono effettuati esperimenti sempre più sofisticati e precisi, fino all’esperimento
condotto da Aspect et al. nel 1982, e che viene considerato decisivo per la validità della meccanica
quantistica nella forma non gradita ad Einstein.
Ulteriori esperimenti condotti recentemente hanno poi dimostrato pienamente l’esistenza dei “giochi
di prestigio” quantistici.
Un articolo interessante sulle tematiche trattate fino a questo punto si trovano in un articolo su
Le Scienze n.235, 1988.
10 – Pregiudizi ancora diffusi tra i fisici.
Questo paragrafo può essere saltato in caso di una lettura veloce.
Alcuni fisici, nonostante il risultato degli esperimenti citati, restano convinti della validità del
realismo e della località di Einstein.
Per comprendere quanto sia grande l’influenza di certi pregiudizi, anche tra gli scienziati, si può
considerare un sondaggio effettuato nel 1985 (quindi ben tre anni dopo l’esperienza di Aspect) tra
un campione di fisici (riportato da A.Masani: La fisica e la realtà, l’Astronomia n.73, 1988).
La “località di Einstein” veniva accettata ancora dal 57% degli intervistati; solo il 30% non
l’accettava più; il 13% era indeciso.
Il “realismo” veniva accettato ben dall’86% degli intervistati, non veniva più accettato solo dal
2%, mentre il 12% trovavano ambigua la domanda.
Eppure l’esperimento di Aspect avrebbe dovuto modificare le convinzioni sul “realismo”
e la “località” di Einstein !
Viceversa, in seguito a ripetute obiezioni sulla precisione dell’esperienza di Aspect, adesso tale
esperimento viene considerato valido solo al 90% e non al 100%: si stima infatti che vi sia un 10%
di probabilità che i risultati ottenuti siano dovuti ad imprecisioni sperimentali.
Fatto sta che ulteriori esperimenti, elevano tale percentuale al 100%, e riportano alla ribalta la
figura del soggetto cosciente.
Tratto da: www.ipotesi.net
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