LA FUNZIONE POSITIVA DELLE EMOZIONI NEGATIVE (PARTE PRIMA)

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LA FUNZIONE POSITIVA DELLE EMOZIONI NEGATIVE (PARTE PRIMA)

Di Diana Vannini

da psicologiaespiritualita.blogspot.com

Apparentemente contraddittoria, questa affermazione nasce da una riflessione fatta in seguito alla
lettura di un articolo pubblicati nel mese corrente su Repubblica(1). In particolare, lo stimolo a
scrivere quanto segue è derivato dall’aver appreso di un ennesimo tentativo, svolto da un team di
neuroscienziati dell’università di San Juan nel Portorico, di eliminare dalla mente i traumi del
passato. Ciò è stato dimostrato su delle cavie animali (topolini), condizionate ad avere paura di
uno stimolo sonoro, a seguito del quale veniva provocata loro una dolorosa scossa elettrica,
mediante la somministrazione di un farmaco: il Bdnf (fattore neurotrofico di derivazione cerebrale),
che gioca un ruolo importante nel rafforzare le connessioni fra i neuroni, cioè nel consolidare la
memoria. L’azione di questa proteina, in grado di rendere malleabili le cellule, impedisce ai
ricordi degli eventi spaventosi di crescere troppo, evitando che si ripresentino in maniera
ossessiva e impediscano una vita serena alla vittima e permette quindi di annullare gli effetti di
uno spavento sul cervello, rendendo gli animali spavaldi anche dopo un’esperienza dolorosa.
Normalmente, per cancellare dalla testa dei topolini una paura, il suono viene ripetuto molte volte
senza essere associato ad alcuna scossa. “Noi abbiamo scoperto con sorpresa – racconta su Science lo
psichiatra Gregory Quirk che ha diretto l’esperimento – che non c’è bisogno di un nuovo
condizionamento per riportare il topolino alla tranquillità. È sufficiente la somministrazione del fattore Bdnf all’interno della corteccia prefrontale”.

Quest’area situata nella parte anteriore del cervello è considerata la sede del pensiero razionale e
bilancia la sua attività con quella dell’amigdala, che regola la paura a livello istintivo. Un
esperimento complementare a quello di oggi, condotto a gennaio alla Emory University, aveva
dimostrato che bloccando nei topolini il gene che regola la produzione di Bdnf nell’amigdala, i
ricordi paurosi non riuscivano a consolidarsi. E i roditori continuavano a muoversi spavaldi
nonostante suoni e scosse elettriche. Un altro filone delle ricerche anti-paura punta invece a
bloccare il consolidamento del ricordo subito dopo il trauma, somministrando un farmaco che blocca
temporaneamente le nuove connessioni fra i neuroni. Ma anche se questi esperimenti sono utili alla
comprensione dei meccanismi della mente, le applicazioni pratiche per l’uomo sono lontane. Questo
filone delle neuroscienze subisce sempre delle accelerazioni nei periodi di guerra. I ricercatori
portoricani hanno ricevuto parte dei loro finanziamenti dagli Stati Uniti, e un precedente studio
americano aveva dimostrato che un soldato su otto torna dal fronte con disturbi di ansia o disordini
da stress post-traumatico. Sono problemi causati dalle violenze vissute in battaglia che si riaffacciano anche dopo il ritorno alla vita normale(2).

Sebbene l’esigenza di gestire tali eventi traumatici nasca con una motivazione positiva, come per
esempio quella del reinserimento sociale di soldati in congedo, che hanno manifestato un disturbo
post-traumatico da stress al rientro dal fronte militante, è possibile scorgere in questa modalità
anche un grande pericolo per l’essere umano e per qualsiasi creatura, su diversi fronti. Da un punto
di vista strettamente materialistico, potremmo affermare che la Natura ci ha fornito di un sistema
interno di protezione, un meccanismo di reazione veloce e immediato, atto a preservare la specie in
situazioni di pericolo. Se questo sistema istintuale non fosse presente, il rischio di incidenti e
di conseguenza di mortalità sarebbe sicuramente più alto di quello normalmente sperimentato, per tutte le specie.

Per quanto concerne la specie umana, ci sarebbero ulteriori implicazioni di una simile rimozione(3):
da una prospettiva storica e sociologica quale apprendimento in senso evolutivo potrebbe esserci se
l’umanità cancellasse errori/orrori storici quali Auschwitz-Birkenau, la strage di Hiroshima, il
disastro ecologico di Cernobyl e, ahimè, molti, molti altri. Chi non conosce la propria storia è
incapace di progredire e cancellare la memoria significa cancellare la possibilità di apprendimento
che da determinate esperienze può scaturire. Anche da un punto di vista individuale: quali rischi si
correrebbero se i bambini non potessero essere educati ad avere paura del pericolo, attraverso
un’esperienza protetta come quella che la madre opera facendo, per esempio, toccare al figlio il
forno appena più che tiepido per insegnargli a non toccarlo quando acceso perché scotta? Per
imparare dagli errori è necessario ricordare in quale modo si sono commessi e per superare un
trauma, anche laddove la responsabilità del suddetto non sia la nostra, è necessario elaborarlo nel modo migliore, non rimuoverlo.

(1) Elena Dusi Verso la pillola del coraggio Proteina contro la paura La Repubblica, 04 Giugno 2010
(2) Ibidem
(3) Uno dei meccanismi di difesa fondamentali indicati nella teoria psicoanalitica freudiana, che
prevede l’allontanamento forzato dalla coscienza di pensieri, desideri e idee considerati minacciosi per la persona.

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