LA GENESI DELLA TEORIA MUSICALE 1

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LA GENESI DELLA TEORIA MUSICALE 1
DELLA CRITICA DEL GIUDIZIO

Piero Giordanetti

Kant e la musica

Alcuni fra i dati biografici di cui disponiamo grazie sia al carteggio sia ai resoconti dei
contemporanei sembrano attestare che Kant disprezzasse profondamente, o in ogni caso non
comprendesse, l’arte musicale. Georg Samuel August Mellin sottolinea la facilità, l’originalità e
l’acume con cui Kant formulava giudizi in metafisica, ma nota al contempo che egli, a differenza di
Kästner, Haydn o Mozart, era debole, goffo e scorretto nel giudizio su numeri e note (cfr. Mellin
1804, pp. 96-97). Ludwig Ernst Borowski scrive che Kant considerava la musica mero piacere dei sensi
ed esortava i suoi allievi a tralasciarne lo studio, poiché il tempo e l’esercizio necessari per
conseguire in essa una certa preparazione sarebbero stati sottratti all’apprendimento di altre
scienze. Kant non amava musiche tristi; credeva che, nel caso in cui proprio si voglia prestare a
quest’arte il nostro orecchio, si debba almeno essere ricompensati con un senso di felicità e
benessere.

La musica era per lui un innocente piacere dei sensi. A me, quando avevo 16 anni e ad altri suoi
allievi di allora rivolse il cordiale avvertimento di non dedicarci ad essa, perché si richiede
molto tempo per impararla e più ancora per eseguirla con una certa maestria, sempre a scapito di
altre scienze più serie. Le musiche funebri poi non gli piacevano affatto. Credeva (e molti saranno
forse d’accordo con lui) che, se proprio si vuol prestare l’orecchio a quest’arte, si dovrebbe
almeno essere compensati col dono dell’allegria e della serenità (Borowski-Jachmann-Wasianski 1969,
p. 74).

Ehregott Andreas Christian Wasianski (1755-1831), allievo e biografo di Kant, fu dal 1780 cantore
nella chiesa e nella scuola di Tragheim e dal 1786 al 1808 diacono e quindi parroco. Si occupò molto
da vicino della costruzione di strumenti, in particolare di un pianoforte ad archi realizzato da
Johann Ludwig Garbrecht (1748-1810). Egli riferisce:

Un breve divertimento gli offriva in quell’estate, più che in altri tempi, la musica del cambio
della guardia. Quando la guardia passava davanti a casa sua, faceva aprire la porta di mezzo della
stanza di soggiorno e ascoltava con attenzione e compiacimento. Si sarebbe dovuto credere che il
grande metafisico provasse piacere soltanto a una musica distinta per armonia, per arditi passaggi e
dissonanze naturalmente risolte, o alle produzioni di compositori seri, come un Haydn; invece non
era così. Lo dimostra il fatto seguente. Nel 1795 venne a trovarmi insieme col compianto G. R. von
Hippel per sentire il mio pianoforte ad archi (Bogenflügel). Un adagio nel registro dei flautati,
che è simile alle note dell’armonica, gli riuscì più antipatico che indifferente; ma lo strumento
col coperchio alzato, in tutta la sua forza, gli piacque moltissimo, specie quando imitava una
sinfonia a piena orchestra. Ma non poteva ripensare senza disgusto a quando aveva ascoltato una
musica funebre per Moses Mendelssohn che, per ripetere le sue parole, consisteva in un continuo
fastidioso piagnisteo. Si aspettava, disse, che si esprimessero anche altri sentimenti, non solo, ad
es., quelli della vittoria sulla morte (cioè musica eroica) o quello del trapasso; ed era già stato
in procinto di darsela a gambe. Dopo quella cantata non era più andato a un concerto per non farsi
martirizzare da simili spiacevoli sensazioni. Le fragorose musiche militari prevalevano su tutte le
altre (Borowski-Jachmann-Wasianski 1969, pp. 271-272).

Jachmann dedica la decima lettera al ritratto del gusto estetico del nostro filosofo:

Meno di tutte capiva la musica, eppure aveva frequentato talvolta i concerti di grandi maestri. Non
sonava nessuno strumento né consigliava la musica a chi si dedicava alle scienze, perché era del
parere che essa distragga troppo facilmente dall’occupazione scientifica. Alla musica non
riconosceva alcuna espressione di concetti intellettuali che facciano pensare a qualche cosa, ma
soltanto l’espressione di sentimenti, di sensazioni, dove i pensieri vanno concepiti a parte. Perciò
apprezzava più la musica quando era associata alla poesia (Borowski-Jachmann-Wasianski 1969, p.
169).

Da questi rapidi cenni si possono però estrapolare alcune osservazioni che rivelano nel filosofo la
presenza di un determinato tipo di interesse per la musica: Jachmann narra che Kant ha seguito
“talvolta concerti di grandi maestri” ed anche altri hanno notato che nei primi anni della sua vita
ha amato la musica e ascoltato concerti (cfr. Nachtsheim 1997, p. 10; Güttler 1927, pp. 236-238).
Jachmann sottolinea, inoltre, che il grande metafisico provava piacere per una musica che si
segnalasse per armonia, per arditi passaggi e dissonanze naturalmente risolte, o per le produzioni
di compositori seri, come uno Haydn, ed apprezzava inoltre altre forme di musica non altrettanto
serie né elevate. Nel 1768 Rolf Weber scrive nella sua Introduzione ai Vertraute Briefe aus Paris
1792 di Reichardt che Immanuel Kant conosceva il giovane Reichardt perché lo incontrava in società o
compagnie musicali serali e ne indusse i genitori ad iscriverlo all’Università (Weber 1980, p. 8).
Anche Mellin ci aiuta a comprendere quale fu il rapporto di Kant con la musica: il nostro filosofo
possedeva un giudizio relativo a cose musicali non certo paragonabile a quello di Mozart, Kästner e
Haydn e ciò è da imputarsi ad un difetto del suo udito; peraltro Mellin nota che la peculiarità
dell’atteggiamento di Kant consiste proprio nel fatto che egli si interessava dei suoni e dei
rapporti matematici fra essi dal punto di vista strettamente filosofico; ed è appunto ciò che
indagheremo nella pagine successive, dando la parola direttamente a Kant.

1. Le Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime

Le Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime del 1764 contengono considerazioni sul nostro
tema che non possono certo essere trascurate e già ci forniscono alcune indicazioni essenziali, la
cui presenza si potrà cogliere anche negli anni successivi. Vi si afferma che non si dà giudizio sul
bello e sul sublime musicale se non sulla base di un precedente sentimento individuale; che la
musica, in quanto arte bella, strappa l’uomo alla rozzezza e all’animalità del godimento sensibile e
favorisce la cultura dei talenti conoscitivi, della bontà e della nobiltà del cuore.

Le sensazioni di piacere non dipendono dalla costituzione degli oggetti esterni, ma dal sentimento
proprio a ogni essere umano; poiché fanno parte della natura del singolo soggetto, tutti i
sentimenti possono essere soltanto arbitrari e relativi. Di questa specie sono i sentimenti rozzi,
derivanti dai sensi esterni e corrispondenti alla diversa natura dei singoli esseri umani; essi
possono generare piacere indipendentemente dalla presenza di un’attività di pensiero e non
richiedono né talenti, né doti intellettuali, poiché si fondano completamente sulla natura dei
sensi. Sebbene rientrino in un orizzonte empirico, i sentimenti del bello e del sublime, più
raffinati, si differenziano dai sentimenti rozzi in quanto presuppongono un’eccitabilità dell’anima
che rende capaci di aspirazioni virtuose e lascia trasparire talenti e doti intellettuali.
L’universalità empirica, riconosciuta ai sentimenti più raffinati e non ai sentimenti grossolani,
rende possibile la distinzione fra essi: fra i primi si possono annoverare il sentimento del bello e
del sublime, mentre ai secondi appartiene tutto ciò che rientra nel concetto di utilità. Se sia la
bellezza sia il sublime emozionano, ovvero colpiscono il soggetto e il suo sentimento, l’effetto
prodotto dalla bellezza si può chiamare attrattiva. Che la bellezza attragga significa che essa
genera una sensazione piacevole e viva che è al contempo “lieta e aperta al sorriso” (Kant 1989, p.
81); l’emozione, che riguarda, in senso stretto, solo il sublime, causa invece una forte tensione
nell’anima e nelle sue forze e, quindi, una maggiore stanchezza. In questo orizzonte antropologico
il problema della validità dei giudizi estetici non è ancora prospettato espressamente; l’autore
evita anzi accuratamente di entrare nel merito di questa discussione, perché suo esplicito scopo è
esporre l’intero quadro della natura umana con gli occhi di un osservatore, non con gli occhi del
filosofo (cfr. Kant 1989, p. 79).

Il giudizio su bello e sublime presuppone l’esistenza di un sentimento, di “organi” specifici che ci
pongano in grado di cogliere l’elevatezza di una poesia o il valore morale della virtù di un eroe.
Bello e sublime appartengono al sentimento proprio di ogni essere umano; essi non risultano
comprensibili grazie a un’attività intellettuale che si serva di argomentazioni logiche; ciò che ci
attrae per la sua bellezza, ciò che ci emoziona per la sua sublimità può essere avvertito solo dal
sentimento e non può essere colto dall’intelletto. L’abisso che separa intelletto e sentimento non
avrebbe potuto essere segnalato in modo più deciso: “Qui non si tratta tanto di ciò che l’intelletto
comprende, ma di ciò che il sentimento prova” (Kant 1989, p. 102). Il gusto per una composizione
musicale è strettamente dipendente dal sentimento e molto affine al gusto per la bellezza o la
sublimità della natura. Esso è analogo al gusto per la poesia e al fascino dell’amore; se è assente
il sentimento, sarà assente anche la capacità di pronunciare un giudizio sul bello e sul sublime di
una poesia, di un’azione, di una musica. “Chi si annoia all’ascolto di una bella musica dà forti
motivi di supporre che le bellezze delle opere letterarie e il sottile fascino dell’amore avranno
poca presa su di lui” (Kant 1989, p. 101).

L’attribuzione al sentimento di un carattere fondante non esclude però che la musica possa avere un
legame con il talento della conoscenza, dato che le facoltà dell’anima sono intimamente connesse. Le
doti dell’animo, le doti intellettuali, il talento da cui deriva la capacità di conoscenza
dell’intelletto sarebbero stati dati inutilmente agli esseri umani se questi ultimi non disponessero
della facoltà di sentire il bello e il sublime. Solo quando questo sentimento del nobile e del bello
opera come movente che spinge l’essere umano ad avvalersene in modo corretto e regolare, i talenti
acquistano contenuto e significato. L’osservazione empirica mostra che la musica, la pittura e la
poesia, che fanno venire alla luce e sviluppano la raffinatezza del sentimento, hanno la funzione di
sottrarre l’uomo alla rozzezza del godimento corporeo: all’ascolto di una bella musica, alla
contemplazione di un dipinto, alla lettura di una poesia il sentimento del bello e del nobile
risveglia l’attività delle facoltà e dei talenti dell’intelletto.

La musica ha peraltro una relazione molto stretta anche con il cuore ovvero, indirettamente, con il
sentimento morale; il cuore è infatti altro dall’animo, poiché costituisce il principio dell’azione.
Principio al cui interno si possono distinguere due aspetti diversi: la nobiltà del cuore non
coincide, infatti, con la sua bontà. L’introduzione di questa distinzione deve essere ricondotta al
fatto che la maggior parte dei “cuori” non è sensibile all’effetto di un sentimento morale
universale; la bontà del cuore è quindi una saggia disposizione della provvidenza per spingere al
bene sia quegli uomini che non dispongono di principi morali sia, come vedremo, tutto il genere
femminile. La musica ha dunque rapporto con la nobiltà del cuore o con la sua bontà? Gli impulsi
della bontà del cuore che la provvidenza ci ha donato non possono essere considerati un particolare
merito della persona, perché sono analoghi agli istinti animali; la musica è quindi sul medesimo
piano della nobiltà del cuore e della vera virtù, la cui presenza nell’animo umano è, appunto,
rivelata dal gusto per la musica. Coloro che alla partecipazione ad un ricco banchetto preferiscono
l’ascolto di una bella musica si elevano al di sopra del godimento, e la loro scelta può essere
valutata come segno della presenza del sentimento morale.

Si nota che una certa finezza di sentimento viene ascritta al merito di un uomo. Che uno possa fare
un buon pasto a base di carne e di dolci o che dorma incomparabilmente bene, lo prenderemo a
dimostrazione di uno stomaco di ferro, ma non di un merito. Invece, chi sacrifica una parte del
pasto nell’ascolto di una musica o si immerge profondamente in una narrazione traendone diletto o
legge volentieri cose argute, anche se sono solo minuzie poetiche, acquista agli occhi di quasi
tutti il garbo di un uomo raffinato, del quale si ha un’opinione elevata e per lui onorevole (Kant
1989, p. 102 nota 7).

Laddove, peraltro, ed è il caso del sesso femminile, non esiste la possibilità di pervenire a
principi, ma è presente, al più, la bella virtù, la musica educa ed eleva il gusto; esplica quindi
una preziosa funzione educativa; essendo connessa agli impulsi morali incrementa almeno, se non la
nobiltà, la bontà del cuore.

La musica si iscrive, inoltre, in un sistema delle arti, che però non è né espressamente esposto né
fondato con esplicita argomentazione. La sezione quarta, che si occupa del tema antropologico del
gusto delle diverse nazioni, si sofferma rapidamente sulle arti e sulle scienze proprie di ogni
nazione. L’arte musicale vi compare come quell’arte nella quale il genio della nazione italiana si è
distinto dalle altre nazioni nel corso della storia; vi è presentata come un’arte bella: “Il genio
italiano si è distinto soprattutto nella musica, nella pittura, nella scultura e nell’architettura.
Tutte queste arti belle […]” (Kant 1989, p. 124). La musica rientra quindi nelle arti belle, né vi
è passo dello scritto in cui la si trovi catalogata fra le arti meramente piacevoli.

2. Fra il 1764 e il 1770

La posizione della musica nell’estetica di questa prima fase è chiarita da un passo degli appunti
dalle lezioni kantiane di metafisica redatti da Herder. Distinta dalla logica l’estetica è designata
una “logica della conoscenza inferiore”. A differenza, però, di Baumgarten, che aveva introdotto
questa separazione, gli appunti attribuiscono alla conoscenza sensibile un particolare significato e
una specifica autonomia: le conoscenze dei sensi di cui si occupa la musica sono più chiare, più
vivaci, e non inferiori alle conoscenze evidenti. La musica è così al tempo stesso tema
dell’estetica come logica del sentimento e parte integrante di una rivalutazione della sensibilità.

Aestetica. Tutte le nostre conoscenze hanno inizio da conoscenze sensibili: esse sono le prime e le
più chiare, le più vivaci e non sono inferiori alle conoscenze evidenti – emozionano – rendono più
comprensibile [faßlicher]; pittura, musica poesia ecc. si occupano delle conoscenze sensibili.
Estetica le regole e i principi del sentimento essa è logica del sentimento (l’altra logica è logica
del giudizio) Questa è logica della conoscenza inferiore quella della conoscenza superiore.
L’estetica è più utile e più fondata sul gusto della logica (AA XXVIII, p. 850).

Nell’estetica come logica del sentimento la distanza fra sentimenti rozzi e sentimenti raffinati si
articola in base al loro rapporto con le tre facoltà dell’animo, il sentimento di piacere, la
facoltà conoscitiva e la facoltà di desiderare: una tripartizione che si può documentare già negli
anni Sessanta. Relativamente al piacere sensibile, fisico, i sentimenti sono rozzi, non possono
essere goduti a lungo perché suscitano presto disgusto; non sono indizio della presenza di un
talento della facoltà conoscitiva e non hanno alcun rapporto con il sentimento morale. Il sentimento
che scaturisce dall’ascolto della musica non è certo assimilabile ai sentimenti rozzi: esso può
essere goduto a lungo senza suscitare disgusto né sazietà, è indizio sicuro del fatto che l’uomo
possiede talenti; è connesso anche con il sentimento morale. Gli appunti redatti da Herder
confermano, quindi, la concezione espressa nelle Osservazioni e fanno emergere una valutazione
positiva della musica che è inserita fra le arti belle, raffinate, come poesia, pittura e
architettura.

Sentimento più rozzo e più raffinato: più rozzo 1) che non possono essere continuati a lungo 2) non
mostrano tanti talenti e non hanno alcun nesso con il sentimento morale 1) perciò il mangiare 2) un
poeta morale è più raffinato di Anacreonte: è più morale. Milton ha più talenti di Catullo; più
raffinati: il contrario. 1) il sentimento connesso con il talento e il sentimento morale perciò
poesia, pittura, musica, scultura sono gradualmente pià raffinate 2) quelli che possono essere
continuati più a lungo anche alcune sensazioni sensibili. Il sentimento sensibile (facoltà di
distinguere) si chiama gusto dove l’impressione emoziona in modo immediato senza giudizio della
ragione. Esempio: se mi trovo in una condizione di sicurezza su di una alta roccia e tuttavia tremo
di paura: il gusto presenta diversità (alcuni hanno gusto per ciò che è epico ecc. ecc. ) de
gustibus non est disputandum (è all’incirca vero esclusivamente come modo di dire) (AA XXVIII, pp.
864-865).

La musica è chiamata in causa anche nelle Riflessioni su logica, antropologia e fisica. Nella
Riflessione 2033, datata da Erich Adickes 1752-1756, criticando Meier per aver presentato in una
luce positiva l’erudizione, Kant afferma che l’erudizione è mera cognitio historica che non può
essere utile al filosofo, poiché l’atto del filosofare può fondarsi solo sull’abilità del soggetto;
proprio perché dotato della capacità di comporre qualcosa di nuovo, il filosofo è simile a un
musicista. L’abilità è, dunque, l’origine soggettiva della filosofia e della musica: arte e scienza
si conciliano in essa. Colui il quale apprenda una musica dimentica i brani imparati all’inizio, ma
mantiene la capacità di suonare; se quindi si dimentica qualcosa rimane, comunque, l’abilità che ci
consente di continuare a pensare in base alla specie della conoscenza che avevamo appreso.

Nelle annotazioni redatte da Kant nel suo esemplare interfogliato delle Osservazioni fra il 1764 e
il 1766 attrattiva ed emozione sono spiegate fisiologicamente e si accenna all’armonia; il che
propone un modo diverso di affrontare il tema della musica.

L’armonia deriva dall’accordo del molteplice come nella musica e nella poesia e nella pittura. Esse
sono punti di quiete di alcuni nervi (Kant 1991, p. 20).

L’armonia implica sempre la presenza di una molteplicità che genera attività, ma, come unità del
molteplice, può approdare alla quiete. Attività e quiete sono qui rapportate al corpo e inserite in
una dimensione fisiologica; l’armonia è fonte di un piacere di tipo corporeo.

Accanto alla fondazione sul sentimento proprio ad ogni uomo compare nelle Bemerkungen e in alcune
Riflessioni un elemento che segna l’inizio di una diversa prospettiva: la valutazione dei rapporti
fra i suoni e dell’armonia. Risale agli anni 1752-1756, in base alla datazione di Erich Adickes, la
Riflessione 1676 nella quale la natura dei suoni è espressamente discussa. Georg Friedrich Meier,
autore del manuale scelto da Kant per le sue lezioni di logica, lo Auszug aus der Vernunftlehre,
esprime la propria convinzione che la rappresentazione di una cosa presente nell’anima sia simile a
un dipinto e ritragga analogamente il suo oggetto. A Meier, Kant obietta che la rappresentazione non
è una copia perfetta dell’oggetto nella nostra anima; il rapporto fra le parti di cui consta un
concetto è infatti analogo al rapporto fra le parti di cui consta una cosa; i suoni ci possono
aiutare a spiegare meglio questo concetto. Le note di un brano musicale non coincidono certo con i
suoni, ma ne sono una repraesentatio. L’accordo riguarda il rapporto armonico fra le note e il
rapporto armonico fra i suoni: questi due rapporti si rendono garanti della corrispondenza tra la
rappresentazione e la cosa rappresentata. Già negli anni Cinquanta, dunque, Kant aveva ben presente
l’idea della connessione armonica dei suoni e delle note che vi corrispondono.

Nelle Annotazioni autografe redatte nel proprio esemplare delle Osservazioni, posto il quesito se il
gusto abbia validità a priori o puramente empirica, nonostante paia propendere per la seconda
soluzione Kant cerca di isolare quelle qualità degli oggetti che corrispondono al nostro giudizio
sul bello e possono suscitare in noi piacere. Simmetria e ordinamento nello spazio assolvono proprio
a questa funzione. La regolarità non può esistere senza semplicità, la quale ne rappresenta, anzi,
una delle condizioni irrinunciabili: solo la semplicità conferisce unità all’oggetto e determina
ordine e simmetria in base a uno scopo (Kant 1991, p. 111). Il piacere che deriva dalla simmetria si
può comprendere come facilità di pensare e di rappresentare qualcosa, una facilità che, dal canto
suo, è garantita dall’unità del molteplice. Come la simmetria nello spazio, così l’armonia nei
rapporti temporali: fra spazio e tempo, fra simmetria e armonia sussiste quindi un’essenziale
analogia (Kant 1991, p. 94).

Il nesso fra musica e matematica emerge anche da una Riflessione la cui datazione non può essere
stabilita con precisione, in quanto Adickes la colloca fra il 1764 e il 1777. L’elemento formale
della bellezza si può considerare sotto un duplice punto di vista: la forma può consistere sia in
rapporti che procedono secondo la qualità, sia in rapporti relativi alla quantità. I rapporti
quantitativi sono matematici poiché in essi “è sempre presente la medesima unità”, consistono in
“partizioni” dello spazio o del tempo; mentre le partizioni dello spazio determinano il fondamento
dell’architettura, le partizioni del tempo danno luogo alla musica. Musica e architettura si fondano
quindi su relazioni nel tempo e nello spazio che suscitano piacere [gefallende Verhältnisse]. Queste
due arti non hanno di conseguenza molto in comune con le arti che si fondano su gefallende
Verhältnisse della qualità: rapporti di identità e differenza, contrasto e vivacità formano,
infatti, l’oggetto non della matematica ma della filosofia. Nel secondo rimane possibile solo una
critica; nel primo è possibile dar luogo a una critica, a una disciplina e infine probabilmente a
una scienza dei gefallende rapporti matematici nello spazio e nel tempo. La matematica offre qui la
possibilità di concepire la musica come oggetto non solo di una critica, di una valutazione dei suoi
oggetti, ma anche di una disciplina che insegni ad applicare le sue peculiari regole, e infine wohl,
probabilmente, di una scienza, che però è intesa come scienza empirica (cfr. Riflessione 626; AA XV,
pp. 271-272).

Il contenuto di questa riflessione sembra presupporre le considerazioni svolte da Kant negli anni
Sessanta sulla differenza fra matematica e filosofia. Che matematica e filosofia si possano
ricondurre l’una alla qualità e l’altra alla quantità è un tema della Indagine sulla distinzione dei
principi della teologia naturale e della morale del 1764. La grandezza è oggetto della matematica,
mentre la filosofia si occupa di qualità. L’aritmetica si fonda su “poche e chiarissime dottrine
fondamentali della dottrina fondamentale della grandezza (che è propriamente l’aritmetica
generale)”. Da una comparazione fra matematica e filosofia emerge una notevole diversità: la
matematica verte su oggetti caratterizzati da una “facile comprensibilità” mentre gli oggetti della
filosofia rivelano una “assai più difficile comprensibilità”. Basta confrontare, per esempio, “la
facile comprensibilità di un oggetto aritmetico, che comprende in sé una immensa molteplicità, con
la assai più difficile comprensibilità di una idea filosofica mediante la quale invece si cerca di
conoscere pochi elementi” (Kant 1982, pp. 225-226), per convincersi delle notevoli differenze che
caratterizzano le due discipline. Se ne potrebbe già ricavare la conclusione che i rapporti
matematici nella musica possono essere compresi facilmente e per questo motivo sono più simili alla
facile comprensibilità di un oggetto aritmetico che alla comprensibilità di oggetti filosofici.

Se questa Riflessione presupponga la conoscenza dell’opera di Leonhard Euler oppure se Kant abbia
elaborato queste concezioni autonomamente e indipendentemente non si può purtroppo stabilire a causa
sia della datazione incerta della riflessione sia dell’assenza di riferimenti espliciti; il
parallelismo fra musica e architettura, e l’idea della facile comprensibilità dei rapporti fra suoni
espressi matematicamente sembrano comunque risalire a Euler. Si deve anche sottolineare che dal
1756/57 Kant si avvale per le sue lezioni di fisica alla Albertus-Universität-Königsberg degli Erste
Gründe der Naturlehre di Johann Peter Eberhard (cfr. AA II, pp. 9-10, 25, 502; AA X, p. 228).

Un altro elemento che diverrà determinante negli anni successivi è l’attenzione per la struttura del
singolo suono: un interesse sulle prime unicamente fisico, del quale non si trova per ora alcuna
traccia in una teoria del gusto. Nella polemica contro l’identificazione di Meier fra
rappresentazione di una cosa e dipinto, la Riflessione 1676 richiama l’attenzione non solo sui
rapporti fra suoni e sulla loro rappresentazione mediante note, ma anche sulle vibrazioni dell’aria
e sulla loro rappresentazione mediante la sensazione uditiva. Quando sento quella vibrazione
dell’aria la cui sensazione chiamo suono – scrive Kant – devo notare che all’interno della mia anima
non si verifica alcuna vibrazione. La vibrazione dell’aria è localizzata nell’oggetto e la
rappresentazione della vibrazione nell’anima è la sensazione del suono che però non ritrae né copia
la vibrazione esterna come un dipinto, ma è diversa dalla vibrazione. L’accordo fra la
rappresentazione e le cose rappresentate, accordo da cui scaturisce il concetto della
repraesentatio, non è quindi una copia perfetta delle cose nella nostra anima. L’aria consta di
vibrazioni che sono sentite dal soggetto e questa sensazione si chiama suono; il suono è una
sensazione soggettiva, non una proprietà oggettiva. La vibrazione dell’aria è certo oggettiva, ma ad
essa corrisponde la sensazione del suono, non vibrazioni nel soggetto.

All’ambito della fisica risale anche l’equiparazione fra suono [Schall] e luce. Schall e Ton sono
diversi l’uno dall’altro e il loro rapporto è analogo a quello che intercorre fra luce e colore: “La
luce e il calore sembrano distinguersi tra loro come suono e vento, la luce e i colori come Schall e
Töne” (Riflessione 20; AA XIV, p. 65). Soggiunge poi: “Le corde tese [possono] devono emettere
undulationes”. Come già l’idea dei rapporti fra suoni anche la spiegazione fisica del singolo suono
che abbiamo appena riferito dimostra con chiarezza che Kant era a conoscenza degli sviluppi
dell’acustica; il riferimento alle teorie di Euler compare, infatti, come dato costante nei manuali
di cui si avvaleva per le lezioni di fisica. Perché parla di undulationes? Il ricorso a questo
termine è puramente casuale oppure presuppone la conoscenza di teorie acustiche? Se Euler è l’autore
al quale si collega la fondazione della bellezza dei rapporti fra più suoni, si deve ora mostrare
che in Euler si può riconoscere in questa fase una fonte anche relativamente alla determinazione
della bellezza del singolo suono. Adickes ritiene che non si possa dedurre dalla Riflessione 20 che
Kant conoscesse già le Lettres à une princesse d’Allemagne sur divers sujets de Physique et de
Philosophie; pensa che Kant abbia avuto notizia delle teorie di Euler grazie a Eberhard e Segner
oppure abbia letto la Nova theoria lucis et colorum di Euler (cfr. AA XIV, p. 81). Si può, però,
anche notare che Kant avrebbe potuto prendere visione di un estratto di quest’opera redatto da
Abraham Gotthelf Kästner nel 1750 per lo “Hamburgisches Magazin”. Già lo scritto De Igne del 1755
accetta la teoria ondulatoria di Euler: “[…] hypothesin natura e legibus maxime congruam et nuper a
clarissimo Eulero novo praesidio munitam […]” (AA I, p. 378); come abbiamo visto, nella Nova theoria
lucis et colorum si mostra che corpi opachi possono diventare visibili per un processo analogo a
quello per cui la corda, accordata su una determinata nota, pur senza essere toccata, suona non
appena uno strumento emetta questo stesso suono: paragone, questo, che presuppone l’accettazione
della teoria ondulatoria.

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