LA GENESI DELLA TEORIA MUSICALE 2
DELLA CRITICA DEL GIUDIZIO
Piero Giordanetti
Kant e la musica
3. Intorno al 1770
Poiché l’elaborazione della dottrina della musica e delle sensazioni acustiche è, all’inizio degli
anni Settanta, parte integrante della teoria del gusto, un’adeguata comprensione delle Riflessioni e
degli appunti dalle lezioni richiede l’esposizione dei principi dell’estetica kantiana. Se ne potrà
arguire la conclusione che le considerazioni sull’arte musicale non sono semplicemente occasionali,
né derivano solo dall’intenzione di raccogliere osservazioni empiriche, ma manifestano un legame
molto stretto con la fondazione dei criteri del gusto.
Nel proprio esemplare della Metaphysica di Baumgarten Kant annota riflessioni estetiche accanto a
riflessioni teoretiche; la struttura delle annotazioni autografe tradisce l’intenzione dell’autore
di rendere fruttuosi i risultati delle sue ricerche teoretiche in un contesto estetico (cfr. AA XV,
p. 273). Per la concezione dell’estetica intorno al 1770 è determinante la dissertazione De mundi
sensibilis atque intelligibilis forma et principiis; la sensibilità vi è definita ricettività
mediante la quale lo stato del soggetto è colpito da un oggetto esterno; la materia, in quanto
presuppone la passività del soggetto, è contrapposta alla forma; solo quest’ultima, grazie alla
coordinazione delle singole impressioni, rende possibile la conoscenza dell’oggetto (cfr. Kant 1982,
pp. 419-461). È interessante ricordare che Kant ha cercato di rappresentare sensibilmente l’idea di
coordinazione e l’idea di subordinazione con figure, appellandosi alle Lettere a una principessa
tedesca di Euler che giocano per lui un ruolo fondamentale nella comprensione della musica: Euler
cercato di rendere sensibile ciò attraverso figure. Ma è più grave che solo la coordinazione, non la
subordinazione si possa mostrare in figure. Infatti i sensi o meglio l’intelletto possono solo
coordinare, la ragione subordina (AA XXIV, p. 454). Queste definizioni hanno una finalità meramente
teoretica, né sono applicate a problemi estetici.
La determinazione del sentimento di piacere e del giudizio di gusto trae origine dal tentativo,
intrapreso – e dunque via via documentabile – nelle lettere, nei manoscritti postumi e negli appunti
dalle lezioni, di trasferire i principi della dissertazione al giudizio sul bello. In una lettera a
Herz del 7 giugno 1771 Kant afferma di essere occupato da un progetto che dovrebbe avere per titolo
I limiti della sensibilità e della ragione, nel quale siano stabiliti sia i concetti fondamentali e
le leggi del mondo sensibile, sia la dottrina del gusto, la metafisica e la morale (cfr. AA X 117).
La teoria del gusto è parte di questo abbozzo. In una lettera del 21 giugno 1772 diretta sempre a
Herz il progetto è suddiviso in una parte teoretica, che si articolerà a sua volta in fenomenologia
generale e metafisica, ed una parte pratica, in cui saranno esaminati i principi universali del
sentimento, del gusto e del desiderio sensibile e i primi principi della moralità. Kant dichiara di
essere a buon punto nella distinzione del sensibile dall’intellettuale nella morale nonché di aver
identificato i principi del sentimento, del gusto e della facoltà di giudicare e i loro effetti,
ovvero il piacevole, il bello e il buono. Commentando questi passi del carteggio, Paul Menzer ha
affermato:
Così è dimostrato che nella prima parte della filosofia pratica Kant voleva trattare scienze che
avessero essenzialmente carattere empirico e ne separava la filosofia morale pura. Non vi può essere
alcun dubbio sul pensiero di Kant in quella fase relativamente al carattere scientifico
dell’estetica. La soluzione poteva essere ricavata dalle teorie della dissertazione. Non era una
soluzione definitiva come neppure lo era il progetto elaborato nella lettera; se ne può solo
ricavare che l’estetica si trova a metà fra filosofia teoretica e filosofia pratica (Menzer 1952, p.
71).
Non si può negare che la parte pratica dell’opera progettata sembri trattare solo discipline di
natura empirica dalle quali è distinta la filosofia morale, ma sarebbe arduo sostenere che in questa
fase sia esclusa l’esistenza di principi a priori della teoria del gusto.
La lettura dei Prolegomeni al corso di antropologia del semestre invernale 1772/73, il cui contenuto
è trascritto negli appunti del volume XXV dell’Edizione dell’Accademia, induce a riconoscere con
chiarezza che Kant nutriva uno spiccato interesse per la ricerca dei fondamenti del gusto. Il
progetto delle lezioni illustrato nei Prolegomeni prevede l’analisi dei primi principi del gusto e
del giudizio del bello (cfr. AA XXV, p. 8). Sebbene non sia impresa facile conferire un’esatta e
indubbia collocazione temporale alle Riflessioni dei manoscritti postumi, non si può negare che il
nesso con la dissertazione del 1770 e con gli appunti dalle lezioni compaia in essi con chiarezza.
La Riflessione 716 distingue, infatti, un’estetica generale trascendentale da un’estetica
particolare che sembra coincidere con la teoria del gusto e tratta il piacere e il dispiacere (cfr.
Riflessione 716; AA XV, p. 317). L’estetica è scienza dei sensi in generale e si suddivide in
estetica trascendentale, estetica fisica ed estetica pratica; l’ultima si occupa del piacere e del
dispiacere nella sensazione (cfr. AA XXV, p. 43). Il concetto di un’estetica trascendentale, il cui
oggetto coincide con le leggi del tempo e dello spazio non si può sviluppare in un’antropologia, ma
deve essere riservato a una teoria della conoscenza. L’estetica fisica, invece, e l’estetica pratica
possono essere svolte in un’antropologia (cfr. AA XXV, p. 268).
Passiamo ora all’analisi della teoria musicale elaborata con ampiezza sia nelle Riflessioni sia
nelle Lezioni. La bellezza è una proprietà la cui validità è limitata agli esseri umani e non può
riguardare né angeli, né creature celesti. Solo gli esseri umani, che hanno a loro disposizione la
facoltà della sensibilità, sono in grado di percepire bellezza e bruttezza e di istituire tra di
esse una differenza; queste proprietà dipendono dalla particolare costituzione della nostra
sensibilità e non si possono determinare indipendentemente da essa:
I giudizi sulla bellezza sono universali per gli esseri umani. I giudizi sul bene sono universali
per tutti gli esseri dotati di ragione, a prescindere da che cosa e dove essi siano. In angeli o
creature dotate di ragione che si trovano su altri pianeti il bello non può suscitare piacere
[gefallen], perché essi possono avere leggi della sensibilità diverse dalle nostre (AA XXV, p. 198).
Mentre la validità dei principi morali non è limitata agli esseri umani, ma si estende a tutti gli
esseri razionali, la fondazione della validità del giudizio di gusto può essere intrapresa
esclusivamente entro la sfera della sensibilità e rimane quindi ristretta alla cerchia della natura
umana. Il giudizio estetico sulla musica si fonda su una delle due regole della coordinazione, la
forma del tempo e, come tale, ha validità a priori, ovvero universale e necessaria.
Spesso l’estetica di Kant intorno al 1770 è presentata come una disciplina di carattere empirico.
Windelband ritiene che una lettera indirizzata nel 1771 da Kant a Markus Herz potrebbe dimostrare
che la teoria del gusto sarebbe stata concepita come una dottrina meramente empirica e non
determinata da principi a priori (AA V, p. 514) ed equipara il punto di vista da lui assunto in
questa lettera con quello della prima edizione della Critica della ragion pura. A parere di Menzer,
sebbene Kant abbia rifiutato già in questa fase un’estetica concepita secondo il modello di
Baumgarten, ciò non significherebbe che una critica del gusto sia impossibile. Essa può contenere
tranquillamente regole empiriche (Menzer 1952, p. 71). Sebbene Menzer abbia preso in considerazione
la prospettiva dell’applicazione della validità a priori del tempo all’estetica come logica della
sensibilità, egli non ha voluto ricavarne la conclusione che il giudizio di gusto abbia già in
questa fase carattere a priori (cfr. Menzer 1952, p. 198). Schlapp ha riconosciuto il momento dell’a
priori del gusto negli appunti dalle lezioni di antropologia denominati Brauer. Tuttavia, a causa
dell’errata datazione del testo, che riteneva risalisse al 1779, ha pensato che Kant avesse trovato
in quella data un principio a priori del gusto. Nella Logik-Philippi, che Schlapp data intorno al
1770, Kant aveva già compiuto il tentativo di fondare regole del gusto sulle leggi universali della
sensibilità e sul loro accordo. Secondo Schlapp Kant le avrebbe però considerate empiriche (cfr.
Schlapp 1901, p. 187).
Kant non nega che il gusto contenga più elementi empirici che principi a priori, ma non gli sembra
impossibile che non tutte le regole del gusto siano tratte dall’esperienza e che alcune abbiano
origine nella natura e nella costituzione della nostra sensibilità. Nelle Lezioni antropologia
leggiamo: Vi sono però certe leggi universali che io riconosco a priori con la ragione prima di
ogni esperienza (AA XXV, p. 197). Certo vi è molto di empirico nel gusto e molto è derivato in esso
in occasione dell’esperienza, ma non tutte le regole sono derivate da essa e se il giudizio di gusto
è accompagnato dall’intelletto esse si fondano certo nella natura della nostra sensibilità (cfr. AA
XXV, p. 378).
In alcuni passi l’estetica è definita una scienza nella quale le leggi universali della sensibilità
giocano un ruolo fondamentale nella determinazione della validità universale del giudizio di gusto.
Bello e brutto sono determinazioni dell’oggetto, che valgono in relazione a esso: esistono leggi
universali della sensibilità, il tempo e lo spazio. L’estetica è quindi scienza, è logica della
sensibilità che può legittimamente coesistere con la logica dell’intelletto. Ci si potrebbe chiedere
se Kant non stia parlando dell’estetica come scienza teoretica dello spazio e del tempo, ma il
contesto nel quale questa formulazione compare non dà adito a dubbi:
La bellezza e la bruttezza sono veramente proprietà degli oggetti e si potranno stabilire sia leggi
universali della sensibilità sia leggi universali dell’intelletto, sia una scienza per quelle e una
estetica, sia una scienza per queste ultime ovvero una logica (AA XXV, p. 378).
La dottrina del gusto non è propriamente una dottrina, ma una critica, ovvero una distinzione del
valore di un soggetto già dato; la critica ci insegna a valutare noi stessi, acuisce il nostro
Giudizio [Urtheilskraft] e risveglia indirettamente il nostro genio (cfr. AA XXV, p. 385).
Seguiamo ora, in un discorso più particolareggiato, il delinearsi del pensiero di Kant a questo
proposito. All’ascolto della musica l’udito percepisce i rapporti matematici fra i suoni e li
giudica; l’udito è strumento del gusto, la cui attività si fonda sull’intuizione pura del tempo ed è
facilitata da relazioni facilmente comprensibili. Nel capitolo sui sensi e sugli organi di senso
delle Lezioni di antropologia si chiarisce che non sussiste di per sé, se ci si attiene ad una mera
analisi della natura del senso, alcun rapporto fra udito e piacere estetico; l’udito non presenta di
per sé alcun interesse per la valutazione della bellezza, e dal punto di vista fisico non vi è alcun
passaggio dal senso alla rappresentazione del bello o del piacevole. Quando sentiamo un suono, le
parti elastiche dell’organo di senso sono colpite da una serie di vibrazioni in rapida successione;
vibrazioni che provengono dai corpi che emettono il suono e sono trasferite all’udito attraverso
l’aria. L’udito di per sé non alcuna qualità, perché il succedersi di vibrazioni sulle parti
elastiche in tensione non dà alcuna rappresentazione del piacevole, né del bello [
] (AA XXV, pp.
275-276).
Questa descrizione fisica è però completata dalla constatazione che l’udito è dotato della capacità
di prestare attenzione alle relazioni proporzionate e armoniche fra i numeri delle vibrazioni
dell’aria, e di averne una percezione distinta. Il succedersi temporale delle impressioni colpisce
in modo significativo il nostro udito, il quale non è contrassegnato da una semplice passività; la
percezione delle impressioni in successione non si esaurisce nella semplice stimolazione dell’organo
di senso e delle sue parti costitutive. Sebbene questo sia il risultato cui ci potrebbe condurre
un’analisi empirico-antropologica del piacere [Vergnügen], si deve sottolineare che la natura
dell’udito e del piacere [Lust] che ne deriva non si esauriscono in questo processo. L’udito si
rivela strumento dell’aritmetica delle sensazioni, poiché in esso si rende visibile la capacità di
prestare attenzione alla proporzione fra le impressioni, capacità che contraddistingue un udito
musicale; la sua capacità di giudicare sia il bello sia la differenza dal piacevole non può essere
messa in dubbio. Il senso dell’udito dimostra, attraverso la percezione dell’ordine delle
impressioni,
che l’anima ha la facoltà di essere particolarmente attenta alla proporzione dei numeri, e quindi
anche di provare [empfinden] piacere [Gefallen] o dispiacere [Mißfallen] per le vibrazioni che si
succedono armonicamente o disarmonicamente sulle parti elastiche dell’organo. L’udito è quindi solo
uno strumento dell’aritmetica attraverso le sensazioni (AA XXV, p. 276).
Il capitolo sui sensi rientra ancora nell’orizzonte della facoltà conoscitiva, l’analisi condotta
nel capitolo sul gusto si riferisce invece al sentimento di piacere e dispiacere, con l’intento di
chiarire se un giudizio di validità universale sulla proporzione dei suoni e sull’armonia musicale
sia possibile. Il piacere [Wohlgefallen] estetico non consegue all’azione dell’aria sulle parti
elastiche del nostro organo; fatto, questo, esclusivamente fisico; solo quando l’armonia e la
proporzione che regolano il gioco delle sensazioni temporali sono percepite dall’udito, grazie al
quale il soggetto avverte d’essere facilitato nel comprendere in unità rapporti semplici, si origina
il sentimento di piacere. Alla forma soggettiva del tempo corrisponde una struttura formale
oggettiva che non può essere se non un rapporto: in caso contrario, infatti, si dovrebbe trarre la
conclusione che il giudizio che è dato dalla forma del tempo si indirizza sull’elemento materiale,
il che però renderebbe impossibile l’oggettività del giudizio. La forma dell’oggetto del gusto è una
relazione che presuppone la successione, può essere definita gioco delle sensazioni e non deriva
dalla materia. Per questo la musica nella quale vi è una successione di suoni è detta gioco (AA
XXV, p. 45). Il gioco è propriamente il fenomeno; la melodia ovvero il timbro [Klang] dei suoni
costituisce invece la materia o attrattiva; mentre il timbro suscita attrattiva e non ha quindi
validità a priori, il gioco come rapporto temporale è il correlato di leggi universali della
sensibilità. Si legge nella Anthropologie-Hamilton:
L’attrattiva nella musica è in ciò che pone in movimento i miei affetti. Una composizione conforme a
tutte le regole musicali può essere bella, può piacere [gefallen] e tuttavia non ha attrattiva, ci
lascia indifferenti e noi approviamo soltanto.
La distinzione fra armonia e melodia è presentata, in una Riflessione, come analoga alla differenza
fra mondo sensibile e mondo intelligibile: Non si dovrebbe forse dire che tutta la bellezza è nella
natura la melodia e nel mondo intellettuale la misura? (Riflessione 700, 1770-1771; AA XV, p. 310).
Non si deve però dimenticare che la misura è riferita alla forma del mondo sensibile non alla forma
del mondo intellettuale. La distinzione fra musica terrena e musica celeste risale alla tradizione
pitagorica e platonica, viene poi ripresa da Boezio e la si incontra ancora in Schelling (cfr. Moiso
1990, p. 230).
Nella musica l’elemento melodico o il timbro dei suoni costituisce la materia; la sua forma è data
dall’alternanza armonica dei suoni. Per quanto attiene alla materia o al timbro, all’uno può
risultare piacevole un determinato strumento, all’altro un altro; essa non concerne, infatti, se non
la sensazione, che può essere diversa a seconda dei diversi soggetti. Per quanto riguarda, invece,
la forma della musica, un concerto armonico deve necessariamente essere giudicato bello da tutti
(cfr. AA XXIV, p. 348). Al timbro del singolo strumento si contrappone l’accordo armonico di tutti
gli strumenti, che si impone come il vero e proprio oggetto del gusto in un concerto.
Sin qui abbiamo preso in considerazione il caso in cui una musica generi piacere [Wohlgefallen]; se
i rapporti numerici fra i suoni si possono esprimere solo grazie a numeri complessi, alle consonanze
subentrano le dissonanze che danno origine a un sentimento contrario a quello del piacere: poiché
ostacolano il gioco delle nostre facoltà, le dissonanze non generano piacere estetico, ma anzi lo
ostacolano; la loro presenza può però anche contribuire al piacere, introducendo varietà e
alternanza, e incrementano il gioco delle facoltà.
La posizione della musica nel sistema emerge con particolare chiarezza, poiché è sottoposta ad
indagine, nel suo aspetto formale, nel contesto di una teoria della sensibilità. Tutte le
rappresentazioni che si riferiscono ai sensi hanno sia un aspetto materiale, sia un aspetto formale;
nella materia rientra l’impressione sui sensi, che però non è sufficiente di per sé a fornire al
soggetto il concetto dell’oggetto; la forma coincide invece con l’intuizione e con il tempo.
Una delle sue [dell’estetica, P.G.] leggi è la seguente: tutto ciò che facilita ed estende le
intuizioni sensibili, ci rallegra in base a leggi oggettive che valgono per tutti. Le nostre
intuizioni sensibili possono essere o nello spazio e sono le figure e le forme delle cose o nel
tempo, e sono il gioco delle sensazioni.
Si deve sottolineare che l’a priori del giudizio è reso possibile solo dal tempo, perché nel tempo
si realizza, appunto, quell’unificazione formale del molteplice che ha la funzione di facilitare la
sensazione e di suscitare piacere. L’a priori non coincide, dunque, con la facilitazione della
sensibilità, ma con la forma del tempo. Ciò emerge con chiarezza da una Riflessione cui si deve
assegnare la precedenza rispetto agli appunti dalle lezioni, in quanto è di mano di Kant:
Abbiamo parlato di ciò che piace [gefallt], perché fa parte del nostro stato [Zustande] o lo
colpisce e riguarda il nostro benessere. Ora parliamo di ciò che piace [gefallt] di per sé, a
prescindere dal fatto che il nostro stato ne sia mutato oppure no, di ciò che piace in quanto è
conosciuto, non in quanto se ne ha sensazione. [
] poiché ogni oggetto della sensibilità ha un
rapporto con il nostro stato perfino per ciò che rientra nella conoscenza e non nella sensazione,
ovvero nella comparazione del molteplice e della forma (poiché questa stessa comparazione colpisce
il nostro stato in quanto ci crea difficoltà oppure è facile, vivifica oppure ostacola la nostra
attività conoscitiva): così vi è qualcosa in ogni conoscenza che rientra nella gradevolezza
[Annehmlichkeit]; ma in tal modo l’apprezzamento non arriva all’oggetto e la bellezza non è qualcosa
che possa essere conosciuto, ma che possa essere solo sentito. Ciò che piace nell’oggetto e ciò che
consideriamo come una proprietà di esso deve consistere in ciò che vale per tutti. Ora, i rapporti
dello spazio e del tempo valgono per tutti a prescindere dalle loro sensazioni. Di conseguenza in
ogni fenomeno la forma è di validità universale; questa forma è conosciuta anch’essa in base a
regole comuni della coordinazione; ciò che quindi è conforme alla regola della coordinazione nello
spazio e nel tempo, piace necessariamente a tutti ed è bello. Il piacevole nell’intuizione
[Anschauen] della bellezza riguarda la comprensibilità [Faslichkeit] di un intero, e solo la
bellezza riguarda la validità universale di questi rapporti convenienti [schiklich].
Si muove, qui, dalla differenziazione fra bello e piacevole: il primo è affezione del nostro stato
[Zustand] che incrementa il nostro benessere e ha quindi un effetto sul nesso animo-corpo in quanto
oggetto della sensazione, il secondo è una conoscenza indipendente dall’affezione del nostro stato e
non incrementa né diminuisce il nostro benessere. Il piacevole diletta [vergnügt], il bello piace
[gefällt]. Questa rigida separazione fra i due campi deve essere completata da una considerazione
più profonda. La sensibilità è, infatti, implicata sia nella sensazione del piacevole sia nella
conoscenza del bello; non si può parlare di un piacere [gefallen] per il bello nel quale non si
verifichi al tempo stesso un’affezione della sensibilità e del nostro stato. Anche nella conoscenza
del bello è presente una sensazione, che però non si qualifica come singola affezione da parte della
materia che attrae isolatamente e casualmente il nostro stato, ma come attività di comparazione del
molteplice, il cui risultato è una forma. Si tratta di un’attrattiva di specie superiore:
un’attrattiva formale, che con la facilità e la semplicità della sua rappresentazione vivifica
oppure ostacola la nostra sensibilità, generando un incremento vicendevole fra le facoltà
conoscitive.
Kant distingue dunque l’unificazione di un molteplice, che facilita la sensibilità, dalla validità
universale di ciò che facilita la sensibilità, ovvero il tempo. Si veda anche la Riflessione 630:
Nella bellezza rientra nel piacere corporeo [Vergnügen] ed è soggettivo il fatto che la forma
dell’oggetto faciliti le attività dell’intelletto, è però oggettivo che questa forma sia
universalmente valida (AA XV, p. 274). Tutti gli oggetti della sensibilità hanno un rapporto con il
nostro stato; da ciò dipende la facilitazione presupposta da questo rapporto; essa non riguarda la
sensazione, ma il fenomeno. Sebbene debba essere posta in relazione con la comparazione del
molteplice e con la forma, questa comparazione che costituisce la base del bello colpisce il nostro
stato in quanto incrementa oppure ostacola la nostra attività conoscitiva nel suo complesso. Vi è
dunque in ogni conoscenza qualcosa che attiene alla gradevolezza; il fatto che la sensibilità sia
facilitata rientra nel piacevole; non casualmente, quando parla del sentimento in questa fase del
suo pensiero Kant ricorre al termine afficiren; solo più tardi riconoscerà la possibilità di un
sentimento che non sia mera ricettività, ma attività (cfr. Riflessione 806; AA XV, p. 298).
Sul terreno della critica del gusto si è dimostrato che il tempo è il principio soggettivo a priori
cui corrispondono i rapporti universali e necessari del molteplice delle sensazioni; l’udito giudica
la musica un gioco che si verifica nel tempo. Ora si pone la domanda onde abbia origine il
sentimento di piacere, ovvero se il gioco delle sensazioni sia immediatamente piacevole [angenehm] oppure piaccia [gefalle] perché procura all’intelletto, nell’unificazione di una molteplicità
estesa, comprensibilità [Begreiflichkeit] e facilità [Leichtigkeit] e quindi evidenza nella totalità
della rappresentazione. La soluzione è data dalla seconda possibilità; il gioco delle sensazioni
piace non in modo immediato, ma grazie alla facilitazione della rappresentazione. Finché la validità
a priori non riguarda il sentimento ma è una proprietà del tempo come forma pura dell’intuizione,
rimane irrisolto il problema del sentimento di piacere per il bello. Una critica del gusto non può,
però, accontentarsi della scoperta che l’universalità e la necessità della bellezza nella musica
scaturiscono dalla forma pura del tempo, ma deve adempiere al compito di elaborare i fondamenti del
sentimento; il sentimento è una facoltà non riconducibile alla conoscenza. Se il filosofo ha
scoperto che l’unico principio a priori è dato dal tempo ed esso non è in grado di determinare di
per sé la genesi del piacere [Wohlgefallen], deve aggiungersi una nuova componente, qualcosa che
colpisce il nostro sentimento; ciò deve accadere in modo tale che la particolarità del gusto non ne
sia danneggiata. Il gusto, infatti, non si riferisce direttamente alla conoscenza, ma al sentimento
di piacere e in tal modo implica in base alla sua propria natura il nesso con la sensazione e con la
dimensione dell’individuale e del contingente; non può essere quindi risolto in una
caratterizzazione puramente logica. La soluzione che Kant elabora in questa fase muove da una
distinzione: da un lato le leggi formali universali della sensibilità e la loro validità universale
a priori, il cui fondamento è la forma dell’intuizione pura del tempo; dall’altro un sentimento di
piacere anch’esso formale, che si riferisce a questa forma dell’intuizione e proviene dalla
facilitazione delle facoltà conoscitive. Un brano musicale non solo è giudicato grazie alla legge
della coordinazione nel tempo, ma anche mette in movimento le nostre facoltà conoscitive. Poiché il
giudizio di gusto sulla musica presuppone il tempo, la validità universale di questo giudizio deriva
anche dalla forma del tempo; la valutazione di quella validità universale dà luogo alla bellezza,
mentre il sentimento di piacere deriva dalla facilitazione causata dall’armonia (cfr. Tonelli 1955,
pp. 168-171). La funzione dell’intelletto non può essere esclusa; e, anzi, nella Riflessione 1798 si
nota che la forma essenziale del bello consiste nell’accordo dell’intuizione con le regole
dell’intelletto – musica – proporzione [
]. Non si profila quindi alcun contrasto tra sensibilità e
intelletto, anzi la valutazione del bello esige il loro rapporto; la sensibilità deve accordarsi con
le regole dell’intelletto se si vuole che si riconosca la bellezza.
I due aspetti sono presi in considerazione anche intorno al 1772: nella Anthropologie-Parow il tempo
è il fondamento a priori del gusto. La facilitazione e l’estensione della sensibilità sono leggi
dell’estetica grazie alle quali soltanto è possibile il piacere [Wohlgefallen]:
Ciò suscita piacere [gefällt] perché tutto ciò che incrementa la nostra vita ha su di noi questo
effetto che si può attribuire a una facilitazione dell’intuizione sensibile in quanto gli esseri
umani non possono rappresentarsi altrimenti una grande molteplicità. Un’estensione della nostra
conoscenza e della molteplicità sono però necessarie per il piacere [Wohlgefallen] sensibile (AA
XXV, pp. 378-379).
Ciò è confermato dalle Riflessioni. Nella Riflessione 702 l’autore scrive:
Poiché lo spazio e il tempo sono condizioni universali di possibilità degli oggetti in base a regole
della sensibilità, l’accordo armonico del fenomeno o della sensazione nei rapporti spaziali e
temporali con la legge universale del soggetto atta a produrre tale rappresentazione secondo la
forma è accordo con ciò che necessariamente si accorda con la sensibilità di ognuno. Quindi con il
gusto. Al contrario, l’accordo con la sensazione è solo casuale. Il gusto è socievolezza. Musica
(Riflessione 702; AA XV, p. 311).
E anche nella Riflessione 1810 si legge:
La perfezione estetica in relazione alla conoscenza o in relazione al mero sentimento di piacere.
Quella è occupazione, questa gioco. Piace molto [gefallt sehr], se l’occupazione ha l’apparenza del
gioco. Non piace se il gioco sembra occupazione seria. È occupazione seria: accordare sensibilità e
intelletto per l’incremento della conoscenza. Al contrario, un mero gioco è: mettere in rapporto la
sensibilità con il sentimento di piacere in base a leggi universali (della disposizione), perché ciò
non contribuisce alla conoscenza, come la musica e il suono ricercato oppure il chiasso della
sensazione. Quindi, non vi può essere alcuna perfezione estetica della conoscenza, ma solo
perfezione [estetica, P.G.] del gusto. Non proviamo piacere [misfellt sehr] se in una esposizione di
carattere scientifico che mira alla conoscenza troviamo ciò che è richiesto dal gusto (Riflessione
1810; AA XVI, p. 124; 1769-1770).
Quando si consultino le Logik-Nachschriften, ci si imbatte in una citazione esplicita che rende
possibile identificare l’autore cui Kant si appella nel momento in cui introduce il concetto di
facilitazione delle attività conoscitive e dell’ordine da esse percepito; l’ipotesi che Kant abbia
ricevuto impulsi determinanti dalle Lettere di Euler diventa dato di fatto documentabile.
Un oggetto grande come un edificio piace quando ha in sé simmetria la quale facilita la vista
dell’edificio. Gli accordi nella musica suscitano piacere grazie al rapporto semplice fra i suoni.
L’ottava è come una proporzione 1 a 2; l’ottava alla quinta come 1 a 3. vid. Eulerum p. 16. Tutto
ciò che estende la rappresentazione della nostra sensibilità, la facilita e la rende più evidente,
piace. Vi sono quindi leggi comuni della sensibilità relative alla forma e queste leggi, se non
sbaglio, sono quelle che ho analizzato finora (AA XXIV, p. 353; cfr. anche II, p. 414; si veda anche
AA IX, p. 103, AA XVI, pp. 715, 726, 729).
Stranamente il riferimento a Euler nella Logik-Philippi è trascurato da Schlapp, il quale trascrive
nella sua monografia altri estratti da questa serie di appunti (cfr. Schlapp 1901, p. 98 nota), né è
spiegato da Nachtsheim nella sua edizione di testi kantiani sulla musica (cfr. Nachtsheim 1997, p.
129).
È possibile però appurare che Kant pensa alla pagina 16 delle Lettere nell’edizione del 1769, alle
quali si riferisce anche nella Dissertazione del 1770 (cfr. AA II, pp. 414 e 419) e che riproduco
secondo l’originale:
Man kann sagen, daß alle Verhältnisse von 1 zu 2, 1 zu 4, 1 zu 8. 1 zu 16, die wir bisher untersucht
haben, und die die Natur einer einfachen, doppelten, drey und vierfachen Octave in sich enthalten,
ihren Ursprung von der Zahl 2 nehmen, indem 4, 2 mal 2; 8, 4 mal 2; 16, 8 mal 2 ist; so daß, wenn
man keine andere Zahl als die Zahl 2 in der Musik annimmt, man zur Kentnnis keiner anderen Art von
Accorden oder Consonanzen kommt, als der, der die Tonkünstler eine Octave, eine einfache oder
doppelte oder dreyfache nennen.
Richiamandosi sempre a Euler, che nel concetto di ordine aveva distinto proporzione e misura, una
Riflessione che risale agli anni 1769-1770 afferma che l’ordine richiede sia l’uniformità temporale
in base alla misura del tempo sia una proporzione facilmente comprensibile derivata da rapporti
numerici:
Il gioco delle sensazioni richiede in primo luogo divisioni uniformi nel tempo (uniformità nella
misura del tempo) o misura, 2. Una proporzione comprensibile che risulta dai rapporti delle
modificazioni delle parti (Riflessione 685; AA XV, p. 305).
Analogo il testo della Logik-Philippi:
La musica non dà oggetti né descrizioni di essi. La proporzione, che in nessun’altra specie del
bello è così precisa e così molteplice come nella musica ne costituisce la bellezza. In essa però
non vi è tanto il fenomeno, quanto una quantità di sensazioni e attrattiva […].
La proporzione nella musica è in parte nei suoni, in parte nella misura; l’unità è nel tema musicale
o nell’esecuzione del suono dominante (AA XXIV, pp. 357-358).
La riduzione di questo molteplice all’unità designata dalla proporzione e dalla misura non sarebbe
possibile se non esistesse un tema, perché tutti gli esseri umani sono dotati di condizioni alle
quali possono rappresentarsi una grande molteplicità di impressioni; nella musica questa condizione
è data dal tempo. Deve quindi esistere anche sul versante oggettivo qualcosa che corrisponda alle
condizioni di unificazione del molteplice; […] perciò si ha anche l’esecuzione di un tema che, in
base alle motivazioni addotte precedentemente, deve piacere [gefallen] a tutti (AA XXV, p. 182). In
questo modo è delineata la posizione sistematica del tema: esso deve piacere a tutti, perché è
oggetto di un piacere di validità universale e necessaria, condizione della comprensibilità del
bello e dell’unificazione dei suoni in un’immagine. Al tema fa riferimento non solo l’intuizione del
tempo ma anche la facoltà formatrice. Come si vede il tema è punto di arrivo cui si approda
attraverso una meditazione di carattere filosofico; esso interessa solo in questo contesto, non
nell’ambito di una critica musicale.
Come l’introduzione della facilitazione e del giudizio dell’udito sono concetti che derivano dalla
lettura di Euler, così anche la definizione dell’accordo proporzionato di suoni come proporzione e
misura è una reminiscenza di quel confronto. Ancora a Euler si può collegare la comparazione di
opere musicali e architettoniche: se cerchiamo di formarci la rappresentazione di una casa priva di
proporzione, la rappresentazione della totalità ci risulta un’impresa difficile; se invece abbiamo
di fronte agli occhi una casa costruita secondo le regole della proporzione, vediamo subito che le
parti delle quali consta sono uniformi; la facilità o la difficoltà della rappresentazione di una
totalità dipende dunque da una struttura oggettiva. La posizione assunta da Kant nei confronti di
Euler si può sintetizzare affermando che egli la condivide senza esprimere alcuna riserva.
Sottovalutando il richiamo a Euler, si è rilevato che la posizione particolare attribuita al
rapporto matematico fra i suoni mostrerebbe le tracce del confronto con Rameau. Manifestamente
sotto l’influsso di Rameau Kant tende a determinare l’armonia come elemento primario della bellezza
dietro al quale l’elemento melodico si ritira come stimolo del sentimento (Wieninger 1929, p. 28),
scrive Wieninger, il quale adduce a sostegno una Riflessione nella quale il nome di Rameau compare
esplicitamente:
La forma sensibile (o la forma della sensibilità) di una conoscenza piace o come gioco della
sensazione o come forma dell’intuizione (in modo immediato) o come un [conc] mezzo per il concetto
del bene. Il primo è l’attrattiva, il secondo il bello sensibile, il terzo la bellezza autonoma.
L’attrattiva formale può essere immediata, come Rameau crede accada nella musica oppure mediata,
come nella risata e nel pianto (Riflessione 639, 1769-1770; AA XV, pp. 276-277).
Erich Adickes spiega nella sua nota al testo che Kant avrebbe potuto venire a conoscenza, grazie a
fonti indirette, della disputa tra Rameau e Rousseau e Frank-Zanetti ritengono che l’influsso di
Rameau sulla teoria musicale di Kant sia documentato con dovizia di indicazioni da Adickes (Kant
1996, p. 1255).
Nella fondazione di questa concezione – prosegue Wieninger – Kant si è però opposto a Rameau.
L’oggetto non piace nell’intuizione grazie all’attrattiva immediata formale della musica che è
attribuita a Rameau, ma nell’intuizione, in conformità alla legge della coordinazione dei fenomeni,
come nel caso dell’armonia. Kant non attribuisce quindi a Rameau la fondazione della musica
sull’armonia, ma la sua fondazione sull’attrattiva formale immediata.
In una Riflessione che, secondo Adickes, risale al 1772 Kant scrive:
Noi probabilmente non compariamo l’una con l’altra le pulsazioni dei suoni ma le loro impressioni e
il loro effetto sul nostro stato; non sono quindi concetti numerici, ma un ordinamento fra le
impressioni ciò che è oggetto del nostro piacere e un’affezione del nostro stato ciò che causa in
noi diletto (Riflessione 750, AA XV, p. 329).
Non sarebbe ingiustificato leggere dietro queste affermazioni una critica alla teoria di Leibniz;
secondo Kant non è opportuno affidarsi a concetti quali quello del numero e del calcolo quando si
vogliano determinare i fondamenti dell’intuizione e del gusto. L’udito non compie fra le impressioni
delle note – potremmo soggiungere: come vorrebbe Leibniz – una semplice comparazione confusa la
quale solo in un secondo momento potrà essere resa chiara grazie all’attività dell’intelletto che
produce rappresentazioni distinte; il gusto per la musica non può essere equiparato a una sensazione
che dà origine a concetti confusi; il piacere per il bello non avrebbe in tal caso il carattere di
un’attività estetica completamente pura ma, venendo a coincidere con un giudizio su segni e
dimostrazioni matematiche, si ridurrebbe a un’operazione dell’intelletto.
Kant mette in luce la differenza fra la comparazione della rappresentazione con l’oggetto a fini
conoscitivi e la sua comparazione con il nostro stato e il nostro sentimento di piacere nel giudizio
sul bello. Il divario che separa intelletto e sensibilità non può essere identificato con una
contrapposizione fra rappresentazioni evidenti e rappresentazioni confuse. La teoria di Leibniz deve
essere respinta perché non riconosce nel gusto una facilitazione delle intuizioni, bensì un insieme
di concetti confusi. Posizione questa che trova espressione anche nella Riflessione 643: Nella
musica non si ha alcun concetto dei suoni, ma si hanno solo sensazioni e si conosce il loro rapporto
non in numeri, non in regole universali, ma si riesce comunque a distinguerlo in modo intuitivo
(Riflessione 643, 1769-1770; AA XV, p. 283). I concetti numerici, tanto rilevanti per la teoria di
Leibniz, sono sostituiti da un ordine fra le impressioni, mentre al giudizio concettuale subentra la
distinzione intuitiva. Il concetto di ordine fra le impressioni rientra nei fondamenti della
concezione kantiana del gusto degli anni Settanta e costituisce anche la base della valutazione del
sublime come sentimento soggettivo, che consiste nell’impressione e nella sua forza secondo il grado
ed è simile alle sensazioni private dei singoli colori e dei singoli suoni.
In un’annotazione autografa Kant muove dall’idea che l’evidenza [Deutlichkeit] possa coesistere con
l’intuizione. L’evidenza dell’intuizione consiste nella coordinazione: essa è distinzione del
molteplice in una totalità e può quindi essere attribuita alla intuizione (cfr. Riflessione 643,
1769-1770; AA XV, p. 283). Nella musica si verifica una concordanza armonica fra le leggi universali
della sensibilità e il sentimento di piacere [Lust]; in ciò si mostra la distanza sia dalla
filosofia pitagorica e platonica sia dalla scuola di Leibniz e Wolff. Kant si dice convinto che i
Greci abbiano portato a completa perfezione tutto ciò che rientra nell’ambito del gusto e in
particolare anche la teoria musicale, presentata da Pitagora, seguito da Aristosseno di Taranto.
Si veda anche quanto è riferito nella Logik-Blomberg:
Pitagora si interessava molto dei numeri, e riteneva il numero 10 il numero più perfetto, altri
credevano fosse il 4 e pensavano che per questo motivo Dio avesse creato 4 elementi. Pitagora voleva
escogitare tutto a partire dai numeri. Per questo motivo diceva fra le altre cose: Anima est Numerus
se ipsum movens (AA XXIV, p. 36).
Nello spirito di questa tradizione Kant sottolinea la percezione dei rapporti matematici che si
compie nel senso dell’udito definendo quest’ultimo la vera aritmetica della nostra anima (AA XXV, p.
54). Si deve però notare che Kant non può condividere del tutto la teoria pitagorica, ripresa poi da
Platone, perché non crede che i rapporti matematici siano oggetto di una conoscenza a priori che
derivi dalla mera ragione e che i sensi non abbiano in essa alcun ruolo. Platone e Pitagora sono
filosofi intellettuali che credono che tutto ciò che conosciamo di buono e intendiamo comprendere
correttamente debba avere la sua sede a priori nella ragione. Platone e Pitagora tendono a suo
avviso ad inoltrarsi in una concezione mistica, sottovalutando la sensibilità e la sua funzione
(cfr. AA XXIV, p. 207).
I concetti del mondo intellettuale derivano dal nostro intelletto. Questi concetti erano chiamati
numerus da Pitagora, idee da Platone e forma da Aristotele, termini con i quali essi intendevano
designare tutto ciò che è conosciuto dall’intelletto (cfr. AA XXIV, p. 328).
La logica della scuola pitagorica non era se non misticismo che danneggiava la sensibilità, nella
quale secondo il loro giudizio e anche secondo il giudizio dei Platonici non vi è verità, ma mera
apparenza; essi spiegavano tutti i concetti a partire dall’intelletto e consideravano il mondo
intero un libro di geroglifici (cfr. anche AA XXIV, p. 336).
Kant non può accettare che i sensi ingannino: proprio l’udito, un senso esterno, può percepire i
rapporti fra i suoni. Contro Leibniz, poi, afferma che l’intuizione non offre concetti, né confusi
né evidenti, ma solo i dati sui quali si fonda la conoscenza. Per Leibniz la conoscenza evidente è
intellettuale, mentre la conoscenza confusa è sensibile; in Kant alla differenza di grado fra a
priori e a posteriori della tradizione leibniziana, che conduce, sulla scala dell’evidenza,
dall’intuizione sensibile al concetto intellettuale, subentra la differenza fra le fonti della
conoscenza. Dalle Lezioni di antropologia del WS 1772/73 emerge come il bersaglio polemico della
critica a questa identificazione non sia solo Leibniz, ma anche Mendelssohn (cfr. Rhapsodie oder
Zusäztze zu den Briefen über die Empfindungen, p. 404 o p. 430).
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