LA GENESI DELLA TEORIA MUSICALE 5

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LA GENESI DELLA TEORIA MUSICALE 5
DELLA CRITICA DEL GIUDIZIO

Piero Giordanetti

Kant e la musica

5.4. Il gioco della Imagination

La musica facilita il movimento della Imagination: l’osservazione, che ha carattere meramente
empirico e antropologico, concerne non la fantasia, ma la vera e propria immaginazione. Se la musica
dilettasse la fantasia avrebbe sicuramente un effetto forte sulle degenerazioni cui è sottoposta
questa facoltà, che è priva di libero arbitrio e contraria alla nostra volontà; l’immaginazione
invece è la facoltà formatrice che si trova ancora, in certa misura, sotto il dominio del libero
arbitrio (AA XXV, p. 751). Nella Menschenkunde la posizione di questo esempio e la sua funzione
emergono con chiarezza maggiore rispetto agli altri appunti; vi si pone la domanda sulla causa
dell’attrattiva generata da un gioco di sensazioni prive di significato concettuale
sull’immaginazione involontaria. Esse costituiscono un rapporto armonico di impressioni in sé né
gradevoli né sgradevoli, che proprio per il loro ripetersi possono dare slancio all’animo.

Quale può essere la ragione per cui un certo modo di funzionare della fantasia è per noi molto
dilettevole e l’animo umano si trova coinvolto in una specie di movimento piacevole, in quanto certe
impressioni leggere, dotate di molteplicità generano in noi un gioco insignificante di sensazioni?
Il fuoco di un camino […]. Analogamente un ruscello […]. Anche il tabacco offre alla fantasia
l’occasione di intrattenere il gioco dei pensieri. Il fumo del tabacco è un’attrattiva che suscita
una sensazione insignificante che non è né piacevole né spiacevole, e può essere spesso ripetuta,
nella quale l’animo è sempre messo in movimento da questa sensazione insignificante (AA XXV, pp.
949-950).

Poiché un oggetto insignificante non ci attrae con forza, il nostro animo si può rilassare nella sua
contemplazione; l’osservazione delle figure assunte dalla fiamma o dalle volute del fumo, l’ascolto
di una musica che non ci emoziona intensamente danno occasione a un gioco di associazione di idee
che per lo più rimane nascosto sotto la soglia della coscienza. La musica è all’origine di
un’associazione di idee inconsapevole (cfr. AA XXV, p. 950) e fa sorgere il sentimento del piacevole
perché agisce sull’immaginazione produttiva involontaria. Ad una musica soave è riconosciuta la
medesima capacità che si attribuisce al fuoco di un camino, al fumo del tabacco, alla contemplazione
di vasti panorami; questa facilitazione dell’immaginazione non richiede precise conoscenze musicali,
come dimostra il fatto che persone che non si intendono affatto di musica possono attendere alle
loro occupazioni con più facilità quando ascoltano una musica delicata (AA XXV, p. 1259).

Questa medesima concezione trova espressione in una Riflessione:

La fantasia gioca con noi […]; noi giochiamo con l’immaginazione [Imaginatio]. Sognatore è colui le
cui idee sono completamente involontarie. Il decorso della fantasia è molto incentivato da movimenti
insignificanti e da figure delle quali si può fare quel che si vuole. Ad esempio il ruscello, gli
scogli, il mare, il fuoco del camino, il fumo del tabacco (non nell’oscurità). Vasti panorami
(Riflessione 1504, 1780-1784; AA XV, pp. 806-807).

Le osservazioni svolte in questo contesto non hanno il compito di spiegare la bellezza della musica;
non hanno alcun rapporto diretto con il problema della bellezza dei suoni e dei loro rapporti.
L’effetto della musica sull’immaginazione involontaria e produttiva genera un sentimento di piacere
che si può definire mero diletto corporeo, attrattiva per il piacevole. L’unica modificazione
rispetto alle fasi precedenti è data dall’uso dell’espressione “immaginazione involontaria
produttiva” introdotto nelle Lezioni di antropologia solo intorno al 1780.

L’essere umano è dotato, come gli uccelli, di un impulso a cantare che non si può rendere
comprensibile nella sua origine risalendo semplicemente alle sagge disposizioni del Creatore (AA
XXV, pp. 997-998). La polemica potrebbe essere qui diretta contro Scheibe, editore del “Critischer
Musikus”, una rivista di Lipsia fondata nel 1737, secondo il quale la musica è un’attività delle
facoltà dell’anima che, instillata direttamente da Dio, corrisponde a quella musica primitiva che si
esprime nel canto degli uccelli.

L’inclinazione alla musica sorge propriamente dall’anima e non avrò torto, se dico che il fondamento
primario della musica deve essere cercato e trovato nell’anima. L’Essere supremo, in base alla sua
saggezza incomprensibile, ha instillato nell’anima questa inclinazione dolce e dilettevole sin
dall’inizio. Egli non ha conferito agli esseri umani solo la scintilla divina dell’intelletto grazie
all’amore per le scienze, ma ha loro comunicato anche la soavità della musica per un piacere
delicato; la qual cosa soddisfa il nostro animo nel modo più gradevole, emoziona e diletta nel modo
migliore i nostri sensi, e serve infine all’anima stessa per assaporare divinamente in anticipo la
felicità eterna (citato in Birke 1966, p. 55).

Per il filosofo di Königsberg il canto è piacevole per l’essere umano perché infonde movimento al
sistema nervoso; e tutto sfocia, in ultima istanza, nella conservazione della salute, sia
nell’essere umano sia negli uccelli. Il canto e la musica sono un movimento armonico di tutti gli
organi, un motus tremulus che induce un movimento analogo in tutto il nostro sistema nervoso e
mantiene uno stato di salute perché è armonico e proporzionato. Questa estesa trattazione degli
effetti fisici culmina nel concetto della musica come effetto della facoltà poetica; il diletto
[Vergnügen] deriva direttamente dalla fantasia, dall’immaginazione intesa come facoltà che compie
associazioni involontarie: al sorgere di sensazioni consegue il sorgere di affetti (AA XXV, pp.
998-999).

Nel capitolo della Anthropologie-Petersburg “Sull’influsso del corpo sull’anima” Kant così si
esprime:

È sorprendente che nessun libero arbitrio e nessun proponimento siano mai sufficienti a produrre in
noi un effetto paragonabile a quello causato da un affetto, né di muovere il corpo come un affetto
attraverso il sistema nervoso […]. Spesso possiamo venire in aiuto al corpo solo grazie all’animo, e
all’animo solo grazie al corpo. Questo aspetto della medicina è molto trascurato.

Dell’effetto fisico della musica Kant si interessa in particolar modo nelle sue lezioni di fisica,
nelle quali constata nel 1785-86: “I suoni sono penetranti. – Agiscono sul corpo che risuona e
poiché si tratta di vibrazioni uniformi nel tempo la vibrazione successiva raddoppia sempre quella
precedente e ciò scuote molto intensamente il corpo” (AA XXIX, p. 148). “Proprio per il fatto che le
vibrazioni si succedono in modo uniforme, esse si incrementano, e un suono ripetuto può scuotere
corpi grandi sin nel loro interno” (AA XXIX, p. 149). La fisica è dunque la fonte delle osservazioni
che ritroviamo nell’antropologia:

Che la musica ci emozioni tanto deriva da questo fatto: in ogni movimento le vibrazioni dei suoni
sono tutte uniformi e ciò causa nei nervi una grande vibrazione che è ancora più intensa di quella
causata da un movimento non uniforme; così la regolare marcia di un esercito su un ponte […] ne
determina la distruzione, cosa che non accade in seguito ad una marcia irregolare (AA XXV, pp.
1242-1243).

L’attrattiva esercitata dalla musica è dovuta alla costituzione fisica dei Töne i quali si
distinguono dallo Schall perché le singole impressioni dalle quali un singolo suono risulta si
succedono con regolarità e in base a rapporti matematici. La matematica assolve qui non solo al
compito di render possibile gli intervalli fra i suoni e la struttura del singolo suono come gioco
delle sensazioni, ma anche l’attrattiva corporea.

Sebbene Schlapp spieghi la concezione terapeutica della musica in base alla biografia di Kant e
ritenga che non sia improbabile che egli abbia applicato la musica a se stesso come strumento per
realizzare la dieta del proprio corpo (Schlapp 1901, p. 277 nota), è possibile mostrare che la
spiegazione fisiologica del diletto è arricchita, già a partire da questa fase, da considerazioni
ricavate dal campo delle ricerche mediche; la musica assolve una funzione terapeutica in quanto il
suo influsso sul corpo riesce a calmare le convulsioni generate dai vermi (AA XV, p. 429; 1776-78).
Si può dimostrare con assoluta certezza che Kant ha letto un resoconto sugli effetti della musica
sulle malattie del corpo redatto in lingua francese da Richard de Hautesierck, espressamente
nominato nella Riflessione 295:

Richard de Hautesierck nel suo Recueil d’observations ecc. dice: un giovane di 13 anni ha avuto per
11 giorni convulsioni resistenti a qualsiasi medicina. Tuttavia esse furono attenuate sino al
momento della morte. Vicino all’osso iliaco, nell’intestino crasso si trovarono dopo la sua morte 7
vermi della lunghezza di 1/3 braccia, che avevano determinato un’infiammazione. La musica ha
incantato i vermi (cfr. AA XXV, p. 560; AA XV, pp. 111-113).

Si può inoltre ricordare che nel 1787 Kausch, autore nel 1782 di uno scritto sull’influsso dei suoni
sul corpo e sull’anima, si rivolse a Kant per via epistolare facendogli dono della sua opera.

5.5. Pregi e difetti della teoria di Verri

Esaminiamo ora quale significato sia attribuito alle dissonanze. Fino al 1775 le dissonanze sono
intese sia come elemento necessario al piacere [Vergnügen] perché garantiscono la molteplicità
nell’alternanza, sia come note non facilmente comprensibili perché derivano da rapporti non
riconducibili a proporzioni matematiche le quali soltanto possono facilitare le facoltà conoscitive
e, quindi, generare piacere estetico. Alla prima concezione se ne affianca una radicalmente nuova
verso il 1780. Nei capitoli “Attraverso quale contributo si realizzi l’incremento oppure la
diminuzione delle sensazioni” e “Come le rappresentazioni svaniscano, e come esse possano essere
incentivate affinché non svaniscano” Kant illustra due aspetti che ci permettono di determinare in
qual modo si verifichi l’influsso della musica sulla sensibilità e sulla sensazione del piacere
corporeo. Si sottolinea che il contrasto è essenziale nell’arte poetica, nella pittura e nella
musica, perché le dissonanze accrescono la sensazione delle consonanze; i contrasti si realizzano
nell’ordine temporale della simultaneità, le alternanze nella successione. “Il salto non è conforme
alla natura dell’animo, come si può vedere già nella musica: alternanza e molteplicità incrementano
molto la nostra attività, perché l’attività è sorgente di vita. La vita si fonda sulla dimostrazione
dell’attività” (AA XXV, p. 937).

Il testo della Menschenkunde porta, però, alla luce anche il debito di Kant nei confronti di Pietro
Verri. In una prima fase del suo pensiero, nelle sue Lezioni di antropologia, Kant manifesta
l’opinione che il dolore non abbia una funzione positiva, ma debba essere evitato e sostituito dalla
ricerca del piacere. Ciò non è certo un imperativo categorico di natura morale, ma una semplice
osservazione empirica. Dopo aver letto Verri, Kant modifica completamente il contenuto della sua
teoria e assegna al dolore una funzione positiva, designandolo “pungolo all’attività” [Stachel der
Tätigkeit] che rende possibile il faticoso cammino della storia umana. Non si potrebbero comprendere
i motivi di questa importante svolta nella concezione del piacere se la si considerasse solo come
uno sviluppo interno alla teoria. “Tutto quello che abbiamo esposto” – si legge nel capitolo sul
piacere delle Lezioni di antropologia – “contiene la tesi del conte Veri, che non è apprezzata da
alcuni, ma è tuttavia esatta; su di essa si fonda l’economia della natura umana” (AA XXV, p. 1073).

A questa modificazione si lega la formulazione di un nuovo concetto delle dissonanze; essa non è,
quindi, un fattore secondario, ma si inserisce in una più vasta problematica che tocca la
definizione stessa del piacere e del dolore. Fino alla metà degli anni Settanta le dissonanze erano
pensate come alternanza e la loro funzione consisteva nell’accrescere il piacere introducendovi
varietà. La Nachschrift Pillau contiene un’idea completamente diversa, esposta poi con maggior
chiarezza nella Menschenkunde; nel momento in cui Kant perviene alla convinzione che non vi possa
essere alcun tipo di piacere se non preceduto dal dolore, le dissonanze sono interpretate come
dolore istantaneo e transeunte che può rafforzare il piacere, come emozione alla quale fa seguito
una più forte effusione del sentimento vitale; “nessun piacere può perdurare in noi, ma il dolore
deve sempre mescolarvisi. Il piacere per le consonanze non può verificarsi senza dissonanze” (AA
XXV, p. 1073). La vita animale dell’essere umano si gioca tutta nel rapporto fra piacere e dolore;
con essa hanno relazione le dissonanze, non con il sentimento vitale della vita umana che pone in
movimento le forze dell’animo. Le dissonanze sono, come il dolore in generale, una saggia
disposizione della provvidenza, del Creatore per risvegliare in noi il sentimento del piacere (AA
XXV, pp. 1071, 1073). Ancora nel 1785/86 si legge che l’attrattiva è diversa dall’emozione perché è
incremento, vivificazione della forza vitale attraverso uno stimolo – per questo motivo i cibi
piccanti hanno attrattiva. L’emozione è invece inibizione della forza vitale cui fa seguito solo in
un secondo momento un’effusione di essa. Le emozioni colpiscono più nel profondo, come le
dissonanze, le quali inibiscono in certo qual modo gli spiriti vitali (AA XXV, pp. 1331-1332). Se i
suoni, con il loro rapporto armonico, rivelandosi consonanze, attraggono il corpo e incentivano il
sentimento vitale, alle dissonanze spetta il compito di emozionare e rendere possibile il piacere.
Nelle fasi precedenti l’emozione era considerata il risultato di un’affezione della molteplicità
secondo il grado, come Kant mostrava, riferendosi a Burke; una tensione delle forze vitali cui
seguiva una loro più forte effusione; ora esse sono dolore originario, fonte imprescindibile del
piacere.

La soluzione data da Kant al problema della funzione della musica come arte bella agli inizi degli
anni Ottanta include anche una critica alla posizione di Verri. Per entrambi la musica è senza
dubbio un’arte bella; i dolori e i piaceri “fisici” hanno origine in un rapporto fra gli organi di
senso e sono quindi passivi, mentre i piaceri e i dolori “ideali” presuppongono un’attività
dell’anima irriducibile ai sensi. Kant modifica questa terminologia e sostituisce al termine
“morale” l’espressione “ideale” che già compare in lui prima della lettura di Verri. Dopo la lettura
delle Idee assegna alla musica il compito di opporsi al dolore ideale. Se essa è valutata per il
piacere e il dolore che genera non ha nulla a che vedere con la dimensione che Verri chiama “morale”
in senso lato, perché morale non è ciò che non si riferisce a un effetto percepito dai sensi, ma ciò
che rientra nella fondazione dell’azione. Piacere e dolore rimangono sempre al di fuori della
dimensione morale.

Per Verri, la funzione della musica consiste nell’allontanare quel dolore le cui cause ci sono
ignote e che pur ci accompagna sempre, che è la noia; sebbene il termine Langeweile non compaia
nella traduzione tedesca dello scritto di Verri, esso è spiegato da Kant come l’insieme dei dolori
innominati (cfr. AA XXV, p. 1052).

Il conte italiano Veri dice fra le altre cose che le belle arti e le belle scienze sono mezzi contro
i dolori innominati e la noia. Se avessimo sempre piacere, ciò non ci servirebbe a nulla perché non
avremmo coscienza della nostra vita. Nel momento del dolore sentiamo la nostra esistenza. La noia è
un dolore incessante, innominato e persone dotate di una sensibilità molto sviluppata lo provano
spesso (AA XXV, p. 1316).

Kant condivide con Verri la persuasione che le belle arti non esisterebbero se l’uomo fosse
completamente sano nel suo spirito e se non fosse spinto dai dolori innominati ad allontanarsi dallo
stato presente. Le belle arti possono certo esserci utili per mitigare e lenire i dolori innominati
che ci tormentano incessantemente sin dalla nascita, e fanno sì che il piacere sia possibile solo
come l’eliminazione di un precedente dolore. Questa determinazione riguarda però l’uomo soltanto se
considerato come animale; se ci si interroga sulla natura del gusto, non sul semplice sentimento
individuale del diletto e del dolore e si cerca di darne una giustificazione, si nota come le belle
arti sviluppino nell’essere umano il rapporto armonico delle facoltà conoscitive. Le arti non sono,
dunque, divertimenti atti a scacciare la noia, ma formano l’animo umano, alimentandone l’attività
(cfr. AA XXV, p. 983).

Notiamo un movimento armonico di tutte le facoltà del nostro animo nella musica, nella poesia che
sono un sentimento di incremento della nostra vita. Molti pretesi piaceri spirituali sono, in via
mediata, corporei, sebbene crediamo che essi abbiano relazione con il nostro spirito; la musica, ad
esempio, contribuisce alla digestione e alla salute e il nostro animo è posto in movimento dal
benessere del corpo, e ciò si chiama piacere “ideale” (AA XXV, 1068-1069).

La concezione di Verri è quindi valida solo relativamente al piacere e al dolore, ma non appena
abbandoniamo il terreno dell’analisi del sentimento di piacere per il piacevole e ci volgiamo a
quella del sentimento di piacere per il bello deve essere superata. Verri, infatti, non coglie la
differenza fra questi due concetti del piacere e unifica pericolosamente Vergnügen e Wohlgefallen.
Interpreta quindi erroneamente questi passi della Menschenkunde una delle poche analisi dedicate al
significato di Verri per la filosofia di Kant: dopo l’idea dell’incremento armonico delle facoltà
dell’anima come fine delle arti belle, Grundmann ritiene che l’apprezzamento delle arti subisca un
ulteriore incremento proprio grazie all’apporto di Verri. La constatazione che il cuore umano è
costantemente tormentato dal dolore avrebbe spinto Kant ad attribuire alle arti non solo la capacità
di infondere vita alle facoltà dell’animo, ma anche quella di liberare l’uomo dall’infelicità (cfr.
Grundmann 1893, p. 34). Queste due diverse valutazioni non corrispondono, però, ai due gradini di un
processo ascendente; al contrario, Kant si limita a constatare che l’eliminazione e il lenimento del
dolore sono lo scopo delle arti solo per quanto concerne Vergnügen e Schmerz, sottolineando peraltro
che il loro peculiare compito consiste nel dare vigore alle facoltà dell’animo.

5.6. Suoni e colori

Già all’inizio degli anni Settanta è stata posta una differenza fra attrattiva “ideale” e attrattiva
“sensibile”. Ora si sottolinea ancora che la musica può produrre dapprima sensazioni e poi affetti.
Il gioco degli affetti è disinteressato: non è seguito da alcuna decisione né da alcuna azione. Esso
non si trova in alcun rapporto con la facoltà di desiderare, perché è mero sentimento e genera
sentimenti. Ora però il gioco è il correlato non del tempo, ma del sentimento che si è trasformato
in affetto e designa qualcosa che può essere contrapposto all’esercizio di un mestiere (AA XXV, p.
1135). Gli affetti disinteressati svolgono due compiti: contribuiscono alla vivificazione dell’animo
grazie alla loro piacevolezza e incrementano la salute e il benessere. “Gioco” è un’alternanza, una
varietà di affetti, in cui ad esempio alla speranza può seguire la gioia e alla gioia il disgusto.
Suoni lamentosi e seri hanno un’azione specifica sul nostro animo, non paragonabile a quella di
altri suoni. L’animo prova nell’affetto una sensazione interiore, forte, passeggera, che gli fa
perdere il controllo di sé: l’essere umano non pone allora la sensazione che prova in relazione con
l’insieme di tutte le sensazioni, ma è succube di quest’unica sensazione (AA XXV, p. 1118).

In questo contesto e a partire da queste premesse il clavicembalo oculare di Castel presenta un
difetto: Castel crede che sia sufficiente considerare il solo aspetto matematico, ma trascura
completamente il nesso della musica con il movimento degli affetti. I colori però non hanno alcun
effetto sul movimento degli affetti; sarà quindi accettabile, fra suoni e colori, un’analogia, non
una loro completa identificazione. A dimostrazione di ciò si possono addurre quei casi in cui si
mostra l’assenza completa di senso musicale o di un senso in grado di distinguere i colori. Vi sono
infatti esseri umani che non hanno un udito atto a percepire la musica, che sentono sì il suono, ma
non riescono a distinguere i suoni musicali, eccetto quelli che sono o più forti o più deboli degli
altri. Analogamente vi sono persone che non hanno alcuna capacità di percepire i colori, come una
famiglia inglese che vedeva tutto come fosse un bassorilievo [Kupferstich] nel quale non si possono
notare colori. Il chiaro e lo scuro sono per queste persone all’incirca come la differenza fra luce
e ombra (AA, pp. 911-912). Dalla constatazione che l’udito migliore talvolta non coincide con
l’udito musicale si può trarre la conclusione che la facoltà di distinguere i suoni musicali dipende
dalla struttura fisica del singolo individuo (AA XXIX, p. 149).

Un’integrazione a queste considerazioni è offerta dalla Metaphysik-Pölitz. Se dal giudizio di gusto
ci spostiamo alla conoscenza, notiamo che le carenze del senso dell’udito dimostrano che l’orecchio
musicale, sebbene sia connesso con le impressioni dei sensi, non si può ricondurre completamente ad
esse, ma richiede l’intervento della riflessione. Qui non è in questione la capacità o meglio
l’incapacità di distinguere le note dal rumore, ma l’assenza assoluta dell’udito. Riflessione e
senso sono analizzati nelle loro differenze: per dimostrare che il senso non si riferisce solo
all’impressione, ma richiede anche la riflessione Kant ricorre all’esempio del cieco nato. È
possibile avere conoscenze di oggetti dei quali non possiamo avere alcuna sensazione; un cieco nato
può ottenere una conoscenza della luce pari a quella di un vedente fondandosi sull’uso
dell’intelletto; l’unica differenza è data dall’assenza della sensazione, ma della sensazione in
generale non si può dire nulla perché è completamente soggettiva; alla parola “luce” ognuno fa
corrispondere la sua propria, individuale sensazione. Possiamo quindi separare le impressioni dai
giudizi, perché la conoscenza dei sensi attraverso l’intelletto non è certo la conoscenza attraverso
l’impressione (AA XXVIII, p. 234). Ci si prospettano quindi due possibilità: l’esperienza e
l’osservazione ci offrono esempi o di esseri umani i cui sensi compiono le loro normali funzioni,
oppure di esseri umani i cui sensi presentano qualche difetto. In questo secondo caso i sensi si
prestano a dimostrare, per ciò che concerne la determinazione delle proprietà della facoltà
conoscitiva, che la conoscenza non si esaurisce nelle impressioni sensibili, ma è resa possibile
dalla cooperazione dell’intelletto e quindi dalla riflessione.

Come già cinque anni prima, Kant ricorda che si può mostrare, avvalendosi di un monocordo, che le
sette note fondamentali coincidono con i sette colori dell’arcobaleno. Si attribuisce a Newton
l’idea che la luce non sia una vibrazione della materia, e non possa quindi essere paragonata con il
suono; ma, secondo Kant, Newton non sapeva che la luce è una materia particolare e credeva che essa,
nel caso la si considerasse materia elastica, dovesse propagarsi in tutte le direzioni (cfr. AA
XXIX, p. 150). Se si ammette il parallelismo che Newton nega si può scoprire il motivo per il quale
un cieco nato al quale si fece ascoltare la descrizione verbale del colore rosso disse che questo
colore doveva essere simile al suono di una trombetta (AA XXV, pp. 910-911). Di questo esempio,
probabilmente tratto dal Saggio sull’intelletto umano di Locke, Kant si avvale per confermare che i
colori dell’arcobaleno sono fra loro nel medesimo rapporto che regna fra le note di un monocordo
(cfr. AA XXV, pp. 1135-1136). Anche nella Riflessione 1503 si nota: “La vista […] si riferisce
relativamente alla figura al tatto, relativamente ai colori è analoga all’udito” (1780-84; AA XV, p.
803; cfr. AA XXV, pp. 1243-1244).

5.7. Musica e cultura

Se si persegue il fine di produrre un carattere morale nell’individuo, si deve anzitutto constatare
che coloro che si dedicano alla musica non sono dotati di un carattere stabile né di una stabile
disposizione al bene. Nella Riflessione 1479 risalente agli anni 1772-1778 Kant mette in guardia i
giovani dal gioco, dalle donne e dalla musica (AA XXV, pp. 1390-1391); secondo Adickes il motivo di
questa strana preoccupazione deriverebbe dalla convinzione che coloro che si dedicano per passione
al gioco, come musicisti e ballerini, hanno raramente un carattere perché amano l’effimero;
probabilmente solo persone dotate di poco carattere possono diventare musicisti e poeti (Adickes
1904, p. 328).

Ciò non comporta peraltro che la musica sia svalutata come arte; essa può contribuire sia alla
cultura, sia alla civilizzazione, sebbene né la prima né la seconda coincidano ancora con la
produzione di un carattere morale. Il gusto, come sappiamo, incrementa i piaceri ideali, e ci rende
capaci di piaceri che non potremmo raggiungere nel basso godimento dei sensi; piaceri ideali sono
quelli della pittura, della musica e delle scienze; se si vuole godere di essi è necessario formare
il gusto, i cui germi sono in noi presenti come una disposizione naturale che attende solo di essere
sviluppata. Come precedentemente, anche ora Kant riconosce il valore delle tesi di Home che,
opponendosi a Rousseau, affermava che il gusto si può apprendere (AA XXV, p. 1102).

Vista e udito sono, come nelle fasi precedenti, gli unici sensi che producano qualcosa che può
essere comunicato e non si limiti al singolo individuo; essi sono in grado di compiere una “scelta”
dotata di universalità. La musica dà un contributo alla cultura della sensibilità esclusivamente
grazie all’armonia; Platone, ricorda Kant, diceva che nel suo stato ideale la musica avrebbe dovuto
avere una funzione specifica nel nobilitare il cuore umano (cfr. AA XXV, pp. 993-994). Tuttavia si
nota come la musica non possa essere abbinata alla pittura e alla scultura poiché, differentemente
da esse, agisce con maggior vigore sulla sensibilità che sull’intelletto. Se, invece, si prende in
considerazione che la musica gioca con sensazioni, se ne deve necessariamente dedurre che il suo
contributo alla cultura è nullo, e che la sua utilità si manifesta nell’agire sul movimento, sulla
connessione fra animo e corpo. Per questo motivo essa non può costituire il fondamento
dell’educazione né del singolo, né del genere umano ed è anzi consigliabile che non sia oggetto di
educazione.

La vista e l’udito sono sensi belli, perché non offrono nutrimento solo alla sensibilità, ma danno
materia di riflessione anche all’intelletto. Tuttavia la pittura e la scultura coltivano in misura
maggiore della musica, perché in quest’ultima non vi sono concetti, ad eccezione dell’armonia. La
musica è cultura perché nobilita il Giudizio sensibile e rende soave e delicato il cuore,
infondendogli l’attitudine a ricevere impressioni più delicate e soavi, a godere di attrattive ed
emozioni “ideali”. Tuttavia questo tipo di cultura è ben diverso dalla cultura apportata dalla
vista, la quale offre concetti all’intelletto, mentre la musica ci infonde vita ed è un movimento
utile del quale però non si può dare alcuna descrizione verbale. Come narra Sherlock, i viaggiatori
che giungono in Italia sono rapiti ed estasiati dalle cantanti dell’opera (AA XXV, p. 1331; cfr.
anche AA XXV, pp. 1243-1244).

5.8. Il sistema delle arti

Nella seconda metà degli anni Settanta è per la prima volta presentato un sistema delle arti nel
quale la musica è annoverata fra le arti figurative. Già precedentemente si sottolineava il rapporto
fra facoltà formatrice e idea della totalità dell’opera, o tema. Ora, si muove dalla differenza fra
arti belle ed arti piacevoli; nelle prime è attivo lo “spirito”, assente nelle seconde. Mentre le
arti piacevoli, nelle quali rientrano tutti i mestieri, seguono regole e modelli determinati senza
proporre alcun principio di novità, le arti belle derivano da un principio che non può essere
appreso, al quale si attribuisce il nome di “spirito” in quanto rappresenta l’aspetto più nascosto
del genio. La musica è arte del genio, e come tale non può essere appresa; Principium des Neuen è
l’idea che sta a fondamento di una composizione musicale e deriva dalla facoltà formatrice (cfr. AA
XXV, p. 782). Da alcuni documenti risulta che le arti figurative e le arti della parola sono
correlate a due diverse specie di bellezza: mentre le arti figurative realizzano la bellezza come
fenomeno, le arti della parola realizzano la bellezza sotto forma di conoscenza. Nelle arti
figurative, infatti, la relazione con l’elemento sensibile è più intensa che nelle arti della
parola. Entro la bellezza come fenomeno si può introdurre un’ulteriore articolazione, perché ai
suoni si attribuisce una bellezza fenomenica che riguarda le impressioni. Le arti sono anche
suddivise in arti della parola che producono rappresentazioni e arti figurative che producono un
oggetto che ci può attrarre; nelle prime rientrano poesia ed eloquenza, nelle seconde pittura e
musica. Nella pittura si inseriscono architettura, scultura ed autentica pittura, arte dei giardini,
arte dei fuochi artificiali, nella seconda la musica e la danza (AA XXV, p. 783; cfr. anche la
Riflessione 1485, AA XV, p. 701).

Se questa suddivisione è stata stabilita a partire dal concetto del genio è possibile richiamarsi
all’oggetto di questo processo di produzione e suddividere le arti a seconda della natura degli
oggetti che realizzano. La suddivisione in arti materielle e spirituelle affonda le sue radici
nell’effetto dell’opera d’arte sullo spettatore o sull’ascoltatore e si sovrappone alla suddivisione
in arti della parola ed arti figurative. Saranno materiali quelle arti che, come la musica e la
pittura, producono oggetti che possono esercitare attrattiva sia sui sensi animali sia sul senso
vitale; “spirituali” saranno invece le arti che producono mere rappresentazioni. Se musica e pittura
sono arti figurative, esse si distinguono però per l’effetto causato: l’attrattiva generata dalla
musica è passeggera e concerne il gioco, ovvero il fenomeno del molteplice nel tempo, mentre la
pittura ci colpisce con un’impressione durevole e permanente, perché produce figure, fenomeni che
appaiono nella loro molteplicità nello spazio. Nella pittura rientrano, oltre alla pittura in senso
stretto, l’architettura, la scultura e l’arte dei giardini. Tutto questo emerge dal capitolo su “Il
poetare come arte, e quindi anche i prodotti di essa come prodotti dello spirito” (AA XXV, p. 759).

L’inserimento della musica fra le arti figurative pare non potersi ricondurre ad alcun precedente.
“Kant”, nota Schelling, “presenta tre tipi di arti: arti della parola, arti figurative e l’arte del
gioco delle sensazioni in modo molto vago. Nelle prime annovera plastica e pittura; nelle seconde
inserisce eloquenza e poesia”. Sebbene questo rilievo possa riguardare la Critica del Giudizio, essa
non coglie nel segno quando si voglia considerare il progetto della prima metà degli anni Settanta.

A partire dal 1780 si rende visibile una tappa importante nel percorso intellettuale del filosofo:
tra la musica e le arti figurative è introdotta una separazione netta. Le arti belle imprimono
slancio alle facoltà dell’animo in modo armonico, generano quindi piacere per la bellezza; non sono
prodotte dal mero intelletto, ma dalla facoltà poetica e possono essere materiali o spirituali. Le
prime comunicano un influsso che può essere permanente, come nella pittura, nella scultura,
nell’architettura, nell’arte dei giardini, oppure transitorio, come nel gioco, nella musica, nella
danza (AA XV, p. 701). Questa Riflessione è senza dubbio analoga alle Lezioni del WS 1781/82 ma non
si identifica completamente con esse, come vorrebbe invece Erich Adickes nel suo commento alla
Riflessione. Il capitolo “Delle arti belle che hanno la loro origine nella facoltà poetica” delle
Lezioni dei semestri invernali 1777/78 e 1781/82 non dubita in alcun modo che la musica sia un’arte
bella, ma nel 1781/82 la musica non è più inserita, come precedentemente, fra le arti figurative.
Kant si propone, infatti, di suddividere le arti seguendo il principio in base al quale esse sono
effettivamente connesse: l’arte poetica e la retorica sono concepite ora come arti del gioco delle
idee, musica e danza come arti del gioco delle sensazioni. Pittura, arte dei giardini e architettura
sono autonome rispetto alla musica e non sembrano aver più nulla in comune con essa. Se finora la
partizione era dicotomica, da questo momento in poi essa si presenta tripartita. Il fondamento del
nuovo sistema è strettamente collegato al fatto che la musica è concepita come un tipo particolare
di linguaggio, essendo quest’ultimo composto da tre elementi: l’articolazione (le parole), la mimica
(il gesto) e, appunto, la modulazione (il suono) (cfr. AA XXV, p. 1136).

Tutti questi segni possono essere suddivisi in naturali e artificiali; i primi derivano direttamente
dalle esigenze della natura. Ogni tono che esprime un affetto, ogni sensazione forte è designata da
segni suoi particolari; l’arrossire e l’impallidire significano vergogna o collera. I gesti sono
segni naturali sottoposti alla nostra volontà, ma la natura ha istituito gesti che corrispondono a
sensazioni; grazie ai gesti e anche grazie al tono ci si può far comprendere da popoli stranieri,
sebbene in un modo più imperfetto rispetto alle parole (AA XXV, pp. 1026-1027).

Si può constatare che nel semestre invernale 1785/86 la musica è ancora attribuita alla facoltà
poetica, ma in questo contesto l’autore si sofferma poi solo sulla eloquenza e sulla poesia. Anche
nelle Lezioni del semestre invernale 1787-88 rimane poco chiaro quale posizione si debba attribuire
alla musica nel sistema delle arti che derivano dalla facoltà poetica: il testo si limita
all’analisi della poesia e dell’eloquenza.

La gerarchia delle arti prevede, comunque, già in questa fase un’analisi del loro effetto
sull’animo; sia la musica sia la poesia sono in grado di agire sulle sensazioni e sugli affetti. La
Riflessione 991 contiene un’idea che sarà ripresa nella Critica del Giudizio; musica, poesia ed
eloquenza sono accomunate dalla loro natura illusoria, poiché commuovono l’animo solo con
l’immaginazione e il senso e non si rivolgono all’intelletto. Esse non sono analoghe alla pittura in
quanto producono oggetti meramente transitori, sensazioni e impressioni, mentre la pittura realizza
immagini e oggetti permanenti. Mentre la pittura non rientra nella dimensione della successione
temporale delle sensazioni, la musica, la poesia e l’eloquenza non sono se non un susseguirsi di
sensazioni nel tempo. In questa Riflessione la gerarchia delle arti è formulata in base al movimento
dell’animo; al gradino più alto si trova la poesia e ad essa segue la musica. Ci si potrebbe
avvalere di questa annotazione manoscritta per mostrare che non solo la musica, ma anche l’arte
preferita da Kant, la poesia, gioca con le sensazioni. Non ne emerge però che le due arti si debbano
caratterizzare come arti piacevoli: considerate nel loro insieme musica e poesia sono arti belle.

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