La gioia nascosta nel dolore 2f
(riflessioni di Sister Medhanandi)
(seconda parte e fine)
© Ass. Santacittarama, 2007. Tutti i diritti sono riservati.
SOLTANTO PER DISTRIBUZIONE GRATUITA.
Tradotto da Gabriella De Franchis
(Tratto dal libro “Freeing the heart”, reperibile dal sito
www.amaravati.org)
Con l’ignoranza, con la nostra incapacità di vedere il Dhamma, di vedere le cose come veramente
sono, creiamo tante prigioni. Siamo incapaci di essere svegli, di provare vera gentilezza amorevole
nei nostri confronti, o di amare la persona che è seduta accanto a noi. Se non possiamo aprire i
nostri cuori alle ferite più profonde, se non possiamo oltrepassare l’abisso creato dalla nostra
mente attraverso l’ignoranza, l’egoismo, l’avidità e l’odio, allora siamo incapaci di amare, di
realizzare il nostro vero potenziale. Restiamo incapaci di portare a termine il lavoro di questa
vita.
Prendendoci la responsabilità di quello che proviamo, la responsabilità delle nostre azioni e delle
nostre parole, costruiamo le basi del sentiero verso la liberazione. Conosciamo il risultato che
produce un’azione corretta, per noi stessi e per gli altri. Quando parliamo o agiamo in modo
sgarbato, quando siamo disonesti, falsi, critici o pieni di risentimento, allora siamo noi a
soffrire veramente. In qualche luogo dentro di noi, c’è un residuo di quell’ atteggiamento mentale.
Per abbandonarlo, per liberarcene, dobbiamo accostarci, dobbiamo aprirci a tutte le imperfezioni,
riconoscere e accettare totalmente la nostra natura umana, i nostri desideri, i nostri limiti, e
perdonarci. Dobbiamo coltivare l’intenzione di non danneggiare nessuno (compresi noi stessi) con il
corpo, la parola o anche il pensiero. E se ci ritroviamo a far nuovamente del male, perdoniamoci e
cominciamo dall’inizio, con la giusta intenzione. Noi comprendiamo il kamma; quanto è importante
vivere in modo vigile, percorrere il sentiero della compassione e della saggezza istante dopo
istante, non solo quando siamo in ritiro.
La meditazione continua sempre. La meditazione è l’essere in contatto con la nostra vera natura. Nel
trascendere la nostra natura condizionata, ci muoviamo verso la realizzazione dell’Incondizionato.
Otteniamo la saggezza che ci permette di accettare tutte le condizioni, di essere in totale pace,
completa unione e armonia con tutte le cose così come sono. Finché teniamo nel nostro cuore una cosa
negativa – nei nostri confronti o nei confronti di qualcuno – non siamo in grado di realizzare
pienamente la nostra vera natura. Non possiamo essere liberi.
Come possiamo prenderci veramente la responsabilità delle nostre azioni? Riflettendo sulle nostre
azioni virtuose e corrette ce ne prendiamo la responsabilità, e questo è un sostegno per la pratica
nel momento presente. Sentiamo l’attimo della nostra attenzione, della nostra fiducia, della nostra
fede; sentiamo l’energia della purezza della mente e questo ci aiuta ad andare avanti.
Contemplare le cose che non mi fanno stare bene forse può portare una nuvola nera sulla
consapevolezza. In realtà ciò è molto salutare; è il sorgere della vergogna morale e della paura
morale, hiri-ottappa. Noi sappiamo quando abbiamo fatto qualcosa che non è giusto e ce ne
dispiacciamo, con tutta onestà. Ma poi ci perdoniamo, ricordandoci che in quanto esseri umani,
facciamo degli errori. Riconoscendo le nostre azioni errate, i nostri limiti, le nostre debolezze,
oltrepassiamo l’abisso e liberiamo i nostri cuori. Poi ricominciamo nuovamente. Questa paura morale
genera nella nostra mente il proposito che ci conduce verso il giusto, verso l’armonia quindi c’è
l’intenzione di non fare del male.
Questo succede perché capiamo che la brama genera altra brama, e l’odio genera altro odio, mentre la
gentilezza amorevole è sia la causa che la condizione per la compassione e l’unione. Sapendo questo,
possiamo vivere una vita più abile.
Si dice che una volta il Buddha mentre dava un insegnamento teneva un fiore e il Venerabile
Mahakassapa, uno dei suoi più grandi seguaci e discepoli, sorrise. C’è un mistero sul perché il
Venerabile Mahakassapa rideva mentre il Buddha teneva il fiore.
Che cosa è che vediamo nel fiore? Nel fiore vediamo l’essenza della forma condizionata in perenne
cambiamento. Vediamo la natura della bellezza e del decadimento. Vediamo la ‘totalità’ del fiore. E
vediamo la vacuità dell’esperienza. Tutti gli insegnamenti sono contenuti in quel fiore: gli
insegnamenti sulla sofferenza e il sentiero che conduce alla cessazione della sofferenza, sulla
sofferenza e la non sofferenza. E se risvegliamo gli insegnamenti in ogni momento di consapevolezza,
è come se il Buddha tenesse quel fiore alto per noi.
Perchè abbiamo tanta paura della morte? Perchè non abbiamo capito la legge della natura; non abbiamo
compreso la nostra vera natura nello schema delle cose. Non abbiamo capito che c’è la
non-sofferenza. Se c’è nascita, c’è morte. Se c’è il non nato, allora c’è ciò che è senza morte:
‘L’Immortale, il Non Creato, il Non Condizionato, il Supremo, il Magnifico, il Nirvana.’
Bruciamo di dolore ma, con la presenza mentale, usiamo il dolore per arrivare all’estinzione del
dolore. Non si tratta di qualcosa di negativo. E’ sublime. E’ la completa liberazione da qualsiasi
tipo di sofferenza che sorge; a causa di una realizzazione, a causa di saggezza, non perché ci siamo
liberati da esperienze spiacevoli e abbiamo trattenuto solo quelle piacevoli, quelle gioiose.
Proviamo comunque dolore, ci ammaliamo e moriamo, ma non abbiamo più paura, non ci agitiamo più.
Quando siamo in grado di affrontare a viso aperto le nostre più atroci paure e la nostra
vulnerabilità, quando ci possiamo addentrare nello sconosciuto con coraggio e apertura, arriviamo a
toccare i misteri di questa traversata attraverso il regno umano fino ad una autentica auto
realizzazione (pienezza interiore?). Tocchiamo ciò che più ci fa paura, lo trasformiamo, vediamo la
sua vacuità. In quella vacuità, tutte le cose possono avere dimora, tutte le cose possono sorgere,
possono realizzarsi. In questo preciso istante possiamo liberare noi stessi.
Il Nirvana non è là fuori nel futuro; dobbiamo lasciare andare il futuro, abbandonare il passato.
Questo non significa che ci dimentichiamo dei nostri doveri e dei nostri impegni. Abbiamo il nostro
lavoro e gli orari da mantenere, abbiamo le nostre famiglie che dobbiamo accudire; ma in ogni
singola cosa che facciamo, poniamo massima attenzione, ci apriamo. Lasciamo che la vita ci venga
incontro, non la allontaniamo. Facciamo in modo che questo momento sia tutto ciò che abbiamo,
contemplando e comprendendo le cose nel modo in cui esse realmente sono, non condizionati dalle
nostre abitudini emotive e mentali, non condizionati dai nostri desideri.
La candela ha una luce. Quella luce, una piccola luce che si trova in quest’ altare, può accendere
tante altre candele senza che lei stessa si riduca. Allo stesso modo noi non siamo sminuiti dalle
tragedie, dalla sofferenza. Se ci arrendiamo, se siamo in grado di stare con essa, lucidi,
incrollabili, in pace con le più terribili emozioni, con le più indicibili perdite, con la morte,
allora possiamo liberarci. E in questo lasciare andare c’è splendore. Siamo come luci nel mondo, e
la nostra vita diventa una benedizione per tutti.
Il poeta Jeluladdin Rumi ha scritto: “Il luogo più sicuro per nascondere un tesoro d’oro è un luogo
isolato e sconosciuto. Perché si dovrebbe nascondere un tesoro in piena luce? E così è detto:’La
gioia si nasconde nel dolore”.
L’illuminato maestro Marpa, che pianse per la morte del proprio figlio, diminuì forse la sua
saggezza a causa dell’ esperienza di dolore? O visse soltanto la grande umiltà di un grande uomo, un
grande saggio capace di esprimere l’interezza del suo essere e della sua umanità? In realtà Marpa fu
capace di sentire nello stesso tempo il dolore naturale di un padre che perde il proprio figlio e la
profonda comprensione dell’inevitabile impermanenza di tutte le cose condizionate.
Voglio incoraggiare tutti voi a continuare a investigare, ad abbandonare le proprie paure, a
ricordare che la paura della morte è come la paura della vita. Di che cosa abbiamo paura? Quando,
allo stesso tempo, sentiamo profondamente e conosciamo veramente un’ esperienza, allora raggiungiamo
la gioia. E’ ancora possibile vivere pienamente come un essere umano, accettando completamente le
nostre sofferenze: possiamo addolorarci e allo stesso tempo gioire del modo in cui sono le cose.
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