La grande finzione: la morte

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La grande finzione: la morte

di Osho

“Te lο ripeto ancora una volta, devi ricordarti solo una cosa: tu sei un essere immortale. Questa non è ancora una tua esperienza personale e diretta; ma la puoi accettare come un’ipotesi, non come una cosa a cui credere, ma come un’ipotesi da sperimentare.

Voglio che nessuno accetti mai niente da me come un credo, ma solo come un’ipotesi.

Poiché io conosco la verità non ho bisogno di importi di credere ο di aver fede. Poiché conosco la verità, posso dirti: “È solo un esperimento, un’ipotesi temporanea”, perché sono sicuro, al cento per cento, che se tu inizi a sperimentare per conto tuo, direttamente, la tua ipotesi diventerà la tua esperienza personale, non un credo, non una fede, ma una certezza. E solo le certezze possono salvarti. Credere sarebbe come affrontare un mare in tempesta, con una barchetta di carta.

Non si può assolutamente pensare di attraversare l’oceano
dell’esistenza su una barchetta di carta. Hai bisogno di una sicurezza… non di credere, ma di una verità che hai sperimentato in prima persona. Non una verità altrui, presa in prestito dall’esterno: dev’essere tua! In questo caso, attraversare l’oceano sconosciuto e inesplorato diventa una gioia, diventa un’avventura eccitante e ricca di momenti di estasi.”

“Si dovrebbe accogliere la morte con gioia… è uno dei più grandi eventi della vita. Nella vita, esistono solo tre grandi eventi: la nascita, l’amore e la morte. La nascita, per tutti voi, è già accaduta: non potete farci più nulla. L’amore è una cosa del tutto eccezionale… accade solo a pochissime persone, e non lo si può prevedere affatto.

Ma la morte, accade a tutti quanti: non la si può evitare. È la sola certezza che abbiamo; quindi, accettala, gioiscine, celebrala, godila nella sua pienezza.”

Osho Rajneesh

“Ho parlato a sufficienza del chiaro di luna. Non domandatemi più nulla. Ascoltate la voce dei pini e dei cedri quando il vento tace”. Ryo Νan (religiosa buddhista del secolo scorso)
Titolo originale dell’opera inglese:

OSHO RAJNEESH
MORTE
LA GRANDE
FINZIONE

“Piccola anima smarrita e soave, compagna e ospite del corpo, ora t’appresti a scendere in luoghi incolori, ardui e spogli, ove non avrai più gli svaghi consueti.
Un istante ancora, guardiamo insieme le rive familiari,
le cose che certamente non vedremo mai più…
Cerchiamo d’entrare nella morte a occhi aperti…”

Marguerite Yourcenar in “Memorie di Adriano”

PREMESSA
IL SUONO
DELL’ACQUA CHE SCORRE

“Abbandona l’idea di essere qualcosa di separato dalla vita, e la paura della morte scomparirà… se ti unisci totalmente alla totalità della vita, vivrai per sempre: andrai al di là della vita e della morte”.
Tratto da: “The Book of Wisdom”, vol. Ι

“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”… e per molti è uno sguardo di terrore, uno spalancare la propria comprensione su qualcosa di così sconvolgente, accecante, orribile, che questo incontro è accompagnato sempre da uno stato di incoscienza.

“Nella vita esistono tre grandi avvenimenti: la nascita, che è già avvenuta, e per la quale non potete fare più nulla. L’amore, che è estremamente eccezionale… accade solo a poche persone, e non è prevedibile. E la morte, che nessuno può evitare. Dunque, la si dovrebbe accogliere con gioia, immergervisi estaticamente!”

Ma perché questo accada, occorre imparare qualcosa dalla vita che permetta di leggere nella morte qualcosa di diverso da ciò che “per istinto” si vive.

È un’esperienza esistenziale, l’esito di ciò che abbiamo fatto della nostra vita, la conferma di ciò che siamo, al di là di qualsiasi teoria, idea ο ideale, vecchio ο nuovo, legato alla tradizione ο rivoluzionario. Nella vita comune, la morte ripugna, popoli e civiltà sembrano accomunarsi in questa idea della morte, da sempre
accompagnata da un senso di paura, e dall’idea del dolore, della sofferenza, allorché comporta la perdita di una persona cara.

Questo contesto, che ancora segna la realtà in cui viviamo, è comprensibile da un punto di vista psichiatrico, in quanto, nel nostro inconscio esiste, profondamente radicata, l’idea che la morte per noi, non sia mai possibile. Per il nostro inconscio è inconcepibile immaginare una fine reale della nostra vita, se non attraverso “una disgrazia” che sembra quasi esulare dal nostro “destino”: una malattia, un incidente, un omicidio. Sì certo, nel nostro inconscio noi possiamo solo venir uccisi: ecco dunque che la morte non diviene più un fenomeno naturale, il normale “corso” della vita; e assume l’aspetto di un atto malvagio, cattivo, un avvenimento spaventoso, qualcosa che, in sé, reclama vendetta e punizione.

Per uscire da questo contesto, la cui verità è legata alla nostra idea di essere qualcosa di separato dalla vita in quanto tale, un “ego” incapsulato in questa forma che pare “confinarci”, “determinarci”, “definirci”, occorre un intenso lavoro interiore che porti a sperimentare una sfera diversa dell’essere e dell’esistere.

La lotta non servirà a nulla: più lotti e più ti indebolisci… ben presto ti trovi sopraffatto e trascinato verso il basso.

Solo così, la morte smetterà di essere qualcosa di cui aver paura, e diverrà un’esperienza di suprema realizzazione di ciò che la vita è, ed è stata.

In questo libro Osho parla di questo, aiutando con la propria esperienza esistenziale, a vedere la vita con occhi diversi, secondo una diversa prospettiva: “Ιl solo modo per comprendere qualcosa, da un punto di vista esistenziale, è sperimentare a fondo. Solo così si arriverà a comprendere ciò che è la vita, e ciò che è la morte: non lottare, non opporti mai al flusso dell’esistenza. Lasciati
scorrere… solo così imparerai a conoscere il suono dell’acqua che scorre. E non evitare mai nulla: scendi in profondità, nell’abisso di ogni sentimento, di ogni emozione, di ogni esperienza l’esistenza ti offra: solo così affiorerai alla vita, e potrai vederla dall’altra sponda, non più divisa in dualità e realtà, apparentemente in contrasto tra loro, ma come un mistero paradossale che si può vivere, con il quale si può diventare parte integrante, ma che non può essere compreso, razionalizzato, ridotto a processo verbale; non si può chiudere in parole”.

Per trasmettere almeno un assaggio di questa realtà “altra” da noi, abbiamo scandagliato decine di discorsi di Osho, un uomo che ha lavorato tutta la vita, affinché altri arrivassero a conoscere quell’energia vitale “che non muore mai”, quel flusso esistenziale che può solo essere vissuto ma che mai potrà essere catturato,
incapsulato, definito, costretto in un’idea, in una teoria, che non potrà essere fissato nella parola “immortale”… e che pure “mortale” non è!

Ma per imparare la via dell’abbandono al flusso della vita, lο spettatore deve farsi attore, il lettore deve diventare l’autore, raccogliendo gli spunti esistenziali, disseminati in queste pagine, che portano oltre la semplice comprensione della mente, oltre la fissità di un agire meccanico, programmato, imbrigliato in abitudini che negli anni sono divenute una vera e propria “corazza
caratteriale”. Solo così la vita diventerà un processo naturale, diventerà viva.

Non va infatti dimenticato che Osho ha sperimentato ciò di cui parla, direttamente, tuffandosi, sin da bambino, nella vita, incurante del pericolo, assetato di giungere a vedere quella “verità” che si può solo vivere in prima persona, se si vuole coglierla nella sua freschezza e nella sua vitalità.

Lui stesso ha narrato un episodio che risale alla sua gioventù: “Nei fiumi, in particolare quando sono gonfi di pioggia, si formano molti mulinelli, forti e potentissimi: se ne vieni catturato, ti ritrovi spinto inesorabilmente verso il basso; e più scendi in profondità, più il vortice aumenta di forza.

La tendenza naturale dell’ego, è di lottare contro questo vortice. È naturale, perché ti sembra di morire, e l’ego ha terrore della morte: l’ego si oppone al mulinello, ma se tenti di lottargli contro, in un fiume in piena, sei perduto, la forza è tale che non puoi uscirne vivo.

Mia nonna è il primo essere umano che ho visto morto. Era sdraiata, e appariva così bianca

Ma il fenomeno del mulinello d’acqua ha una caratteristica
particolare: in superficie è molto largo; più si scende, più la sua forza aumenta, ma diventa anche più piccolo… e all’apice, diventa così piccolo, che ne puoi uscire senza affatto lottare. Anzi, in realtà, arrivato sul fondo, è il mulinello stesso che ti proietta fuori: devi solo aspettare di arrivare sul fondo. Se inizi a lottare, mentre sei in superficie, sei finito: non potrai uscirne vivo”. (Citato in ‘”Il Maestro dei Maestri”, in cui sono raccolti molti altri episodi della vita di Osho che chiariscono il suo approccio empirico ed esistenziale, mai teorico, alla vita).

È fondamentale comprendere questo punto di partenza, per capire che questo testo non può solo essere letto: va vissuto. E per questo, la “teoria” di fondo, che ha dato origine a questo lavoro – e cioè che la morte è una finzione, la più grande, perché la vita non muore mai – è, in questo libro, accompagnata da esercizi, pratiche, tecniche di meditazione, solo assumendo le quali – in quanto pratica di vita quotidiana – sarà possibile rendere “vere” queste parole. Altrimenti, esse rimarranno mera teoria, che la morte porterà via insieme a! resto.
In quanto discepolo di Osho, non posso che essere riconoscente a questo straordinario essere per avermi portato a sperimentare, a toccare con mano, qualcosa di eccezionalmente grande: la vita è un flusso esistenziale che scorre tra due rive, alle quali diamo il nome di “giorno e notte, estate e inverno, vita e morte, malattia e salute, solitudine e intimità”, e la cui sostanza – pur nella mutevolezza delle forme – pare proprio non avere mai avuto inizio, né avrà mai una fine.

A lui, per la benevolenza con cui mi ha seguito in questa crescita esistenziale, va tutta la mia riconoscenza di essere umano, altrimenti intrappolato in milioni di gabbie, molte delle quali costruite con le mie stesse mani.

Mi auguro che questo lavoro diventi per altri uno sτrumento/guida per uscire alla vita, per conseguire quello spazio esistenziale che l’immane gabbia – da noi definita “società” – che noi tutti
contribuiamo a tenere in vita, impedisce di vedere nella sua armonia, e vieta di vivere in tutta la sua forza e la sua potenza.
Swami Anand Videha. estate 1990
(ritorna all’indice)
VIVO E MORTO
ALLO STESSO TEMPO

“….e cοsì in pace, così silente e felice, aperta e al tempo stesso chiusa. Ne fui geloso, e al tempo stesso ebbi paura. Pensai che doveva sentirsi sola: non la potevo più avvicinare.
Quando ti ho visto, amato Maestro, !a sera del tuo compleanno, ho avuto la stessa, identica sensazione: non ti sentivi solo nonostante i nostri canti, danze, musiche? Eri così lontano e immerso in un silenzio sacro… come non mai, per me!
Sei vivo e morto allo stesso tempo?

La morte è bellissima, così come è bella la vita, se sai comunicare con la morte. È bella perché è un rilassamento. È bella perché, chi muore, cade di nuovo nella fonte dell’esistenza, per rilassarsi, per riposarsi, per prepararsi a tornare di nuovo.
Nell’oceano si alza un’onda, poi ricade e poi si rialza ancora… avrà un altro giorno, vivrà ancora, con un’altra forma… per poi ricadere e svanire.

La morte è semplice svanire nella fonte. La morte è andare nel regno di ciò che non è manifesto: è addormentarsi in Dio.

Di nuovo tornerai a fiorire. Di nuovo rivedrai il sole e la luna, e di nuovo e ancora… fino a quando non diventi un Buddha, fino a quando non riuscirai a morire in piena coscienza; fino a quando non sarai in grado di rilassarti in Dio consciamente, con consapevolezza. Solo allora, non esiste ritorno: quella è una morte assoluta, è la morte suprema. La morte comune è temporanea: tornerai a vivere ancora.

Quando un Buddha muore, muore per sempre. La sua morte ha in sé la qualità dell’eterno…

Hai ragione: io sono vivo e morto, allo stesso tempo. Come persona, sono morto, come entità, sono morto. Come “nessuno”, sono vivo.

E tu, accanto a me, puoi essere geloso e al tempo stesso aver paura. Ma dovrai mettere da parte la paura; potrebbe ostacolarti; potrebbe impedirti di godere questa opportunità che ora hai a portata di mano: è molto difficile incontrare un “nessuno”.
Tu l’hai trovato. E se tu, come me, non diventi un “nessuno”, avrai mancato questa occasione, ricordalo! Muori, così come sono morto io, e allora sarai vivo, così come lο sono io.
Esiste una vita che non ha nulla a che vedere con le singole persone, chiunque esse siano. Esiste una vita che non ha nulla a che vedere con i singoli sé. Esiste una vita di vuoto, innocente e vergine: io la metto alla vostra portata… mettete da parte ogni paura, e
avvicinatevi a me. Lasciate che io diventi la vostra morte e la vostra resurrezione.

Un Maestro Zen, Bunon, ha detto: “Mentre sei vivo, sii come un uomo morto; sii totalmente morto, comportati come più ti piace, e tutto andrà bene”.

Tratto da: “The Diamond Sutra”
pag. 73
(ritorna all’indice)
segue …
da pag. 15

L’ALTRA SPONDA
“Questa è una sera speciale, perché uno di noi è partito, verso l’altra sponda”, così Osho la sera del 17 luglio 1987 annunciò la dipartita di un altro dei suoi discepoli, Swami Anand Maitreya che egli aveva dichiarato illuminato nel 1984.
Maitreya aveva voluto tenere per sé questa realizzazione, ma Osho “se ne accorse” e lο annunciò pubblicamente. In quell’occasione, Maitreya disse: “Osho è un vero birbante!” Dando così prova di quella leggerezza che segna un legame tra amici che non hanno nulla da salvare, nulla da difendere, nulla da giustificare… nulla da darsi ο da dirsi, in quanto sono un solo essere, sono parte della stessa coscienza. SONO la stessa consapevolezza!
“Non tornerà più, non rinascerà mai più.
Ha conseguito la libertà e la liberazione di cui vi ho sempre parlato. Questo è un momento di grande felicità, di gioia, celebrate! Festeggiate… accade molto di rado… forse una persona su un milione giunge a una tale silenziosa esplosione di luce, dissolvendosi nell’oceano di consapevolezza che circonda l’esistenza.
Maitreya se n’è andato pienamente consapevole: ricordatevi di lui, perché vi ha mostrato il sentiero. Egli ha vissuto con gioia, sebbene non possedesse nulla, ed è morto immerso in una quiete infinita, in uno stato di grazia. È questo che intendo quando parlo di “realizzare il proprio destino”.

Coloro che vivono nell’infelicità e muoiono infelici, continuano a mancare il proprio destino. Falliscono, e poiché hanno fallito milioni di volte, si sono assuefatti al fallimento… ma se anche una sola persona si realizza, il suo successo diventa anche il vostro: dimostra che ciò di cui abbiamo parlato non è mera filosofia, è un autentico sentiero per la realizzazione del Sé.

Se ne è andato, come un uomo dovrebbe fare: con gioia, in estasi.

Ricordate che questa sua esperienza di realizzazione si fonda su due cose: la prima, era entrato in piena fiducia con me. Uso un linguaggio strano, forse non avrete mai sentito usare una frase come questa… è un fatto raro! E la seconda cosa: mai, da quando mi ha conosciuto, ha mancato di entrare in meditazione quanto più gli era possibile.

La sua morte non è stata la fine di una vita, ma l’attimo culminante di una fiducia e di uno stato di meditazione sconfinati.

Allorché la fiducia e la meditazione si incontrano, là dove accade, si realizza il proprio potenziale, in tutta la sua gloria e il suo splendore”.

Ora Osho, quel furfante, ha giocato ai suoi discepoli l’ultimo scherzo… ο quello che sembra tale! Ha lasciato il corpo, facendo ciò che aveva promesso: si è dissolto nell’aria, negli alberi, nel sole e nella pioggia. Pare ammiccare nel cielo, la notte. La sua chiarezza è la chiarezza del sole, la cui luce spazza via ogni tenebra
“naturalmente”, ogni giorno, con meticolosità e incuranza di quanti protestano perché vogliono continuare a dormire: “Ricordate”, diceva con voce semplice, quasi fosse la più normale delle cose, “quando me ne sarò andato, voi non perderete nulla; anzi, potrete guadagnare qualcosa di cui ora siete assolutamente inconsapevoli.

Quando lascerò il corpo, dove potrò mai andare? Sarò qui! Nel frusciare del vento, nel mormorio dell’oceano; e se mi avete amato, se avete fiducia in me, mi sentirete in mille e un modo: nei vostri momenti di silenzio, all’improvviso sentirete la mia presenza. Quando non sarò più confinato dal corpo, la mia consapevolezza diverrà universale. Allora, non dovrete più venire a cercarmi: ovunque sarete, la vostra sete, il vostro amore, vi faranno ritrovare la mia presenza, nel vostro cuore, nel semplice battito del vostro cuore”.
Osho ha lasciato il corpo il 19 gennaio 1990, alle cinque del pomeriggio (ora di Poona). Se chiudo gli occhi, quell’evento continua a ripetersi, e porta con sé una sensazione – forse unica nella mia vita – che va oltre la risata e il pianto.
Mentre Amrito parlava, la voce rotta dall’emozione, ricordo di aver chiuso gli occhi: una scarica elettrica mi ha divorato, un vortice in cui il Tutto e il Nulla che Osho era stato per me, divampavano come un fuoco che ardeva senza bruciarmi.

In un attimo ho rivissuto la mia vita con lui: ciò che avevo conosciuto, ciò che avevo creduto di conoscere, ciò che lui mi aveva aiutato a comprendere, e per assurdo, vedevo anche ciò che non avevo mai visto, ciò che mai avrei visto né compreso.
La “normale”, quotidiana, complessità della mia vita, si fondeva con la sua semplicità “straordinaria”; il mio qualunquismo, con il suo essere visceralmente “un uomo qualunque”… e così in vortici infiniti di presenze e di assenze.
Ringraziavo l’esistenza per essere lì. Non sapevo, forse per la prima volta, dove altro avrei voluto, desiderato, potuto essere: “forse è questa l’assenza di desiderio?”, mi chiedevo senza conoscere più una lingua in cui profferir parola.
Tutto era così rapido, vertiginoso, folle, eppur limpido, che non potevo che stare seduto in silenzio, ammutolito di fronte alla forza di quanto mi era di fronte; una forza che mai avevo conosciuto in passato.
Si dice che un uomo, di fronte alla morte, riveda la sua intera vita… in quella notte forse ho vissuto una morte, di certo qualcosa è morto dentro di me, e qualcosa è venuto alla luce: la certezza che esiste la possibilità di essere umani, la sicurezza che questa è l’unica cosa da fare, l’unica vera ragione di vivere.

Si vegeta, ci si irrigidisce nella vita come pietre, si sopravvive, si ammazza il tempo, ci si tuffa a capofitto in cose che aiutano a stordirsi, nel tentativo di dimenticare il proprio destino, la propria realtà, ci si illude di essere già qualcosa ο qualcuno, di essere già arrivati, realizzati, mentre ancora si è tesi tra l’abisso del regno animale e l’eterno abisso che è l’esistenza. Si sogna… si cercano gli altri, per sognare insieme, e dare sostanza e verità ai propri sogni.
Da quella notte, amo un ρο’ di più la mia solitudine. E amo
l’incontro, quando questo porta con sé il tono e il colore, la vibrazione della solitudine. Quando non è soverchiato dalle parole, dalle maschere che noi tutti siamo e vogliamo caparbiamente essere… un po’ di quel silenzio, di quel vuoto, ha attecchito in me e ha per me più valore di qualsiasi altra cosa potrei essere o fare nella vita. Cerco anzi di espanderlo, di lasciare che ogni giorno di più si allarghi dentro di me … fino a riempirmi. Paradossalmente, proprio quel vuoto e quel silenzio danno un senso e una sostanza sempre maggiore al mio vivere quotidiano, lo rendono vivo al di là di qualsiasi idea di vita e di morte io abbia mai avuto.

Forse è questo l’ultimo dono di questo essere straordinario, e mi auguro l’abbia dato al maggior numero di esseri umani possibili, fisicamente presenti, allorché se n’è andato, e spiritualmente presenti, in quanto hanno dedicato la loro vita, nel mondo intero, alla realizzazione della sua visione: “Mentre spicca il volo verso l’altro mondo, il Maestro vorrebbe darvi il suo ultimo dono: voi sentirete come una brezza che non ha confronti; nella

vita non esiste nulla che le può essere paragonato. È pura gioia: così pura, che è sufficiente averne un minimo assaggio per veder
trasformata la propria vita”.
Amrito, quella sera, ha poi proseguito dicendo: “Gli abbiamo chiesto come avremmo dovuto celebrare questo momento, e lui ha detto: “È sufficiente che mi portiate in Buddha Hall per dieci minuti e poi al crematorio”.
Ha detto che il suo samadhi sarà in Chuang Tzu… e ha detto molte altre cose che vi farò sapere in seguito. Per ora, lasciatemi dire che nella morte era come ve lο sareste aspettati: incredibile!
E quando mi sono messo a piangere, mi ha guardato e ha detto: “No, no, non è questo il modo!”
Poi ha guardato Jayesh negli occhi e ha detto: “Vi lascio il mio sogno!” Diamo quindi l’addio che il nostro amato Maestro si merita, un addio degno di un uomo che ha vissuto così pienamente come nessun altro uomo ha mai fatto”.
Ed è stata festa.
Non posso dire di aver sentito una mancanza: avevo visto Osho in dicembre, ci eravamo tenuti per mano, abbracciati, qualche minuto, e la sensazione era di “qualcosa” di intimamente radicato alla vita, di saldo, di presente: “Un uomo così”, mi ero detto, “non può morire… né ora né mail”
L’avevo ripetuto ad altri, amici che si preoccupavano per la sua salute, divenuta intimamente fragile dopo il barbaro comportamento del governo americano che aveva tramato un’invisibile crocefissione, con i sofisticati metodi moderni che ancora vengono usati dai politicanti che pretendono di tenere “sotto controllo” le coscienze (risulta per certo, da analisi mediche successive che nei dodici giorni vissuti in carcere, Osho venne avvelenato con Tallio e radiazioni).
Ancora, però, tento di capire il senso di quell’immortalità, che solo ora ho compreso non essere minimamente legata al suo corpo, né alla sua mente… vorrei tornasse, a volte, ma poi “sento” che non tornerà mai più… e subito dopo ho un’ulteriore sensazione, che non se ne sia mai andato… alla fine, credo siano “illuminanti” le parole che abbiamo scritto sul suo samadhi, il luogo in cui sono raccolte le sue ceneri:

OSHO
MAI NATO
MAI MORTO
HA SOLO VISITATO

QUESTO PIANETA TERRA
11.12.1931 19.1.1990
Sì, un desiderio mi anima ancora, vorrei che le sue parole non andassero perdute, vorrei che animassero la vita di altri, che portassero la vita nel cuore di altri esseri umani. E questo semplicemente perché sento che se l’esistenza potesse parlare direbbe proprio queste cose, parlerebbe così come lui ha parlato: con tanti silenzi che richiamano la presenza delle stelle nell’oscurità della notte, con un sussurro che riecheggia la voce del vento, con una fermezza che ricorda il vigore degli alberi, con una carezza che ricorda il frusciare dell’erba, con la forza del mare, con il ruggito di un leone… una voce, insomma, serena e potente, limpida e chiara, umana e divina, che conosce il fragore della tempesta e del tuono, ma non conosce violenza alcuna… e forse per questo, e per altri motivi, ancora non è stata compresa.

Io stesso, ogni giorno stupisco e mi sorprendo di fronte a una frase: “Ah, se avessi saputo queste cose!” Mi rammarico spesso, e ancora mi sono rammaricato traducendo questo libro… ma subito mi fermo e capisco che non è questa la cosa importante: l’importante è essere queste cose… allora mi raccolgo, rientro in me stesso… e riprendo quel cammino che porta alla conoscenza di sé, a essere un discepolo, a essere umani!
Sorprendentemente Osho aveva già visto anche questo… anche questo timore… e aveva già dato il suo “eterno consiglio”: “Non abbiate paura di ciò che potrà accadere alle mie parole, quando me ne sarò andato. Siate certi che non me ne andrò prima di aver seminato in voi quel messaggio che è racchiuso nelle mie parole.

Ιl giorno in cui lascerò il corpo, la vostra responsabilità sarà immensa: dovrete vivermi, dovrete diventare me. Lasciare il mio corpo diventerà per tutti voi una sfida: ora che ho lasciato un corpo, posso vivere in tutti i vostri corpi. E sono assolutamente certo, sono felice, perché ho raccolto le persone giuste: loro saranno i miei libri, i miei templi, le mie sinagoghe.

Dipende tutto da voi: chi, altrimenti, diffonderà la mia presenza?

lo sono un sognatore incurabile: nessun miracolo potrà mai accadere, a meno che voi non lο facciate accadere. E voglio che questo Ashram sia il primo nucleo umano in cui si realizzi la sintesi tra l’approccio religioso alla vita e quello scientifico.
Questo appagherà il mio sogno, il mio dire che la sfera interiore dell’uomo e quella esteriore non sono separate. E quando affermo che questo accadrà, non sono solo parole: io sono un semplice tramite dell’esistenza, so benissimo – poiché nasce dal mio totale
annullamento, nell’anima stessa dell’universo – è un messaggio dell’esistenza stessa: accadrà, nessuno potrà ostacolarlo.

E questa è la sola speranza perché nasca un uomo nuovo, una nuova umanità”. Possa il sottile fruscio di queste pagine richiamare nel cuore di quanti hanno letto questo
libro, la visione che le parole di Osho contengono, sì che diventi una realtà, e noi si possa
vivere, nella normalità della vita quotidiana, la coscienza di quel dono straordinario che è la
vita. Solo così, ne sono certo, cadranno gli orribili e tenebrosi abiti con cui abbiamo da
sempre dipinto la morte, ed essa si rivelerà a noi con il suo vero volto, quello della più
grande illusione.

Swami Anand Videha

NOTA: Il messaggio spirituale, il sogno che Osho ha lasciato all’umanità intera, è stato
pubblicato dall’editore Bompiani, nel volume “La Grande Sfida”, che in appendice contiene il
racconto delle sue ultime ore nel corpo, narrate dal suo medico personale. Se mi hai amato,
per te, io vivrò per sempre.
Vivrò nel tuo amore.
Se mi hai amato,
il mio corpo scomparirà,
ma per te, io non potrò mai morire.

Anche quando me ne sarò andato, so che tu mi verrai a cercare. Certo, ho fiducia che tu verrai a cercarmi in ogni pietra
e in ogni fiore
e in ogni sguardo
e in tutte le stelle.
Posso prometterti una cosa: se mi verrai a cercare,
mi troverai… in ogni stella

e in ogni sguardo…
perché se hai veramente amato un Maestro, con lui sei entrato nel Regno dell’Eterno. Non è una relazione nel tempo,
dimora nell’assoluta atemporalità.

Non ci sarà morte alcuna.
Il mio corpo scomparirà,
il tuo corpo scomparirà,
ma questo non farà una gran differenza.
Se la scomparsa del corpo
creasse una pur minima differenza,
dimostrerebbe soltanto

che tra noi non è accaduto l’amore.
L’amore è qualcosa al di là del corpo. I corpi vanno e vengono, l’amore permane.
L’amore ha in sé il gusto dell’eterno: è senza tempo, eterno, immortale. Tutte le citazioni sono tratte da:
“The Divine Melody”, 10 gennaio 1977

Quando un illuminato si dissolve,
dona la sua fragranza
all’intera esistenza.
Grazie a lui,
tu sei un po’ più illuminato.
Tao: The Three Treasures, vol. III 30 giugno 1975

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