La legge dei miracoli
di Giampiero Cara
Che cos’è un miracolo? Secondo il dizionario, un “fenomeno straordinario che avviene al di fuori
delle normali leggi della natura”. Ma se non segue le “normali” leggi della natura, è possibile che
ne segua altre. Si tratta forse di leggi divine inaccessibili agli uomini?
IL POTERE DELLA FEDE
In Occidente, per il Cristianesimo nelle sue varie forme, la risposta è sì. I miracoli può farli
soltanto Dio, l’uomo si limita a riceverli. Se pare che sia lui a farli, come nel caso di numerosi
santi, in realtà non è che uno strumento passivo nelle mani dell’Onnipotente. Ma siamo proprio
sicuri che le cose stiano così? Proviamo a riflettere senza pregiudizi. Lo stesso Gesù Cristo,
considerato figlio unigenito di Dio, quando faceva i miracoli era solito dire a chi li “riceveva”:
“Va’, la tua fede ti ha salvato”.
Cosa intendeva? Dipende dal senso che si dà alla parola fede. Secondo la religione ufficiale, la
“fede” è l’adesione alle verità rivelate da Dio, che devono essere accettate dal “credente” per
l’autorità di chi le rivela. Ma fede significa anche fiducia, e non necessariamente in un’autorità
esterna.
E di questa fede sembra parlare Gesù nel Vangelo secondo Marco quando dice: “In verità vi dico: se
uno dice a questo monte ‘Levati e gettati nel mare’, senza dubitare in cuor suo, ma credendo che
quanto dice avverrà, ciò gli sarà accordato”. Non invita a chiedere a Dio di far spostare il monte,
raccomanda di credere che una cosa del genere possa verificarsi e basta. Nel proprio cuore, non
perché lo dice un'”autorità”.
Così interpretate, queste parole di Gesù esprimono allora un’idea rivoluzionaria: chiunque può fare
i miracoli, basta che ci creda. E’ davvero un’idea assurda? Pensiamo a Gesù stesso, il quale i
miracoli li faceva, eccome. Il Cristianesimo spiega tutto affermando che era Dio. Ma molti, tra cui
tutte le altre religioni, sostengono che era un uomo. Un profeta, un illuminato magari, ma pur
sempre un essere umano. E allora, l’affermazione secondo cui “Dio creò l’uomo a sua immagine e
somiglianza” non potrebbe significare che l’uomo ha gli stessi poteri di Dio, anche se non se ne
rende conto?
SAI BABA, I RISHI E L’UOMO-DIO
Se ci spostiamo in Oriente, quest’idea smette di apparire tanto assurda. Infatti, un celebre
“artefice di miracoli” orientale dei nostri giorni, Swami Sathia Sai Baba, afferma proprio: “Sia io
sia voi siamo Dio. L’unica differenza è che io so di esserlo e voi no”. Sembra facile. Ma come si fa
a saperlo?
Secondo i rishi – i più antichi saggi della tradizione indiana, la cui filosofia rivive nello
splendido libro del medico New Age indiano Deepak Chopra intitolato “La vita senza condizioni”
(Sperling & Kupfer, £ 14.000) – basta cambiare il nostro modo di percepire le cose, perché è proprio
la nostra percezione che dà forma all’infinito campo di energia di cui tutto ciò che esiste fa
parte, noi compresi.
E dato che i sensi attraverso cui percepiamo il mondo non sono che estensioni del cervello, tutto,
secondo i rishi, ha origine nella nostra mente che, per usare un’immagine attuale, proietta il mondo
come un film. A far sembrare un corpo materiale più “vero” di un film è la forza di persuasione
della maya. In sanscrito, questa parola significa anche “magia”, e fa sì che scambiamo per realtà
una patina di effetti truccati sovrapposti alla vera realtà.
Si tratta di una concezione sorprendentemente vicina a quella della fisica quantistica, che ha
scoperto, a livello sperimentale, che le cose “materiali” che vediamo e tocchiamo sono fatte, in
realtà, al 99,9999% di vuoto. Si tratta però di un vuoto animato e misteriosamente plasmato da
un’intelligenza invisibile condivisa da tutto ciò che esiste, la stessa dei nostri pensieri. Ecco
perché, come sostiene la filosofia New Age, i nostri pensieri sono creativi: ciò che vediamo è
quella che noi pensiamo sia la realtà. E’ una “realtà” nata dai limiti che ci siamo autoimposti,
forse perché spaventati dalla nostra infinita libertà di scelta, e quindi solo una delle infinite
“realtà” possibili. Proprio come sostenevano i rishi: la natura è perfetta perché contiene tutte le
possibilità. Basta saper scegliere…
Ma come possiamo passare dal nostro limitato stato di consapevolezza alla dimensione in cui tutto è
possibile e i miracoli sono naturali? Secondo i rishi, una chiave d’accesso alla trascendenza è
rappresentata dalla meditazione, la cui pratica consente di entrare in un quarto stato di coscienza
(turya) che va oltre i tre normali (sonno, sogno e veglia), dove scompaiono gli illusori confini
creati dall’intelletto e ci si sente in comunione con il Tutto.
IL “CORSO IN MIRACOLI”
In Occidente, la rivoluzionaria concezione dei rishi appare in armonia, oltre che con le scoperte
della scienza, con quello che, in ambito New Age, viene considerato il nuovo Vangelo. Ci riferiamo a
“Un corso in miracoli” (Armenia, £ 88.000), un libro voluminoso che sarebbe stato dettato
medianicamente ad una psicologa newyorkese nientemeno che da Gesù stesso.
Come per i rishi, anche per l’autrice, o l’Autore, del “corso di miracoli” non esiste un mondo
“esterno”. Ciò che vediamo fuori di noi è la proiezione di quel che c’è dentro di noi. Poiché
l’universo è unità di tutto ciò che esiste, ogni volta che percepiamo una separazione (dentro di
noi, con i nostri simili, tra noi e il mondo o tra noi e Dio) si tratta di una percezione errata,
frutto della nostra paura di trovarci in un universo ostile, in balia del caso o di un Dio
implacabile, pronto a punirci se sbagliamo. Paura di cose irreali, pure illusioni create da menti
che hanno perso contatto con la realtà ultima delle cose, ossia l’Amore, inteso come unione di tutto
ciò che esiste.
E i miracoli? Secondo il corso, non sono che correzioni del nostro fondamentale errore di
percezione, ossia quello di essere separati dal Tutto. Mirano a risvegliarci alla vera realtà,
facendoci comprendere che le “leggi” che ci sembrano governare il mondo esterno sono illusorie e,
per cambiarle, basta abbandonare la paura a aprirsi all’Amore.
Ma come riuscire a compiere un passo del genere quando tutti i nostri sensi continuano a rimandarci
una realtà diversa da quella che ci sembra di volere? Ecco che torna in ballo la fede. Perché i
miracoli possano avvenire, è indispensabile credere alla possibilità che si verifichino, prima
ancora di vederne uno. Come disse Gesù a San Tommaso dopo avergli fatto metter un dito nelle sue
ferite per dimostrargli di essere effettivamente risorto: “Perché mi hai veduto, hai creduto; beati
coloro che, pur non avendo visto, crederanno!”
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