la mediazione impossibile, le cure possibili

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Depressione: la mediazione impossibile, le cure possibili

di Nada Starcevic, psicosessuologa

La fonte della medicina riconosce l’Eros a due facce; colui che sa
distinguere l’Eros limpido da quello negativo, che riesce ad invertirli, e
che conosce il metodo per indurre eros nel corpo che, sprovvisto, ne ha
bisogno, è il medico perfetto.
Platone, Simposio

La depressione è un male: la definirei così, non malattia. Perché è qualcosa
che investe l’intera essenza dell’essere umano, non solo la salute come la
intendiamo comunemente in senso medico. Ed è un male molto diffuso: colpisce
in modo trasversale, persone di qualsiasi età, ceto sociale, cultura. È
divenuto un male sociale importante: le statistiche farmaceutiche indicano
che in Italia nel 2002 sono state consumate 63 milioni e mezzo di scatole di
antiacidi e antiulcera, mentre sono state quasi 34 milioni le confezioni di
ansiolitici entrati negli armadietti delle medicine di casa.

Le vendite registrano annualmente un aumento del 15% per gli ansiolitici e
dell’11,9% per gli antiacidi. Inoltre, l’Istituto Superiore della Sanità ha
registrato negli ultimi quattro anni un aumento del consumo di droghe
stupefacenti (leggere e pesante) pari all’80%. Dalle inchieste risulta che
la maggior parte dei consumatori ne fa uso, inizialmente, come
anti-depressivi. La prevalenza dei fruitori è di sesso femminile e di
giovani: questo è un dato preoccupante poiché il disagio, il disadattamento,
l’ansia, non sono valutati nella loro globalità, ma considerati, nella
valutazione medica corrente, come sintomi da curare con approccio
specialistico.

Io ritengo invece che si debba intervenire sulla globalità della persona.
Insegno e utilizzo un metodo, il metodo Makos, che propone una modalità per
riconoscere, attraverso l’anamnesi specifica, sia il livello di depressione
che la possibilità di prevenirla.

RICHIESTE ENDOGENE, RICHIESTE SOCIALI

L’evoluzione dell’organismo umano è data dalla sua capacità di intuire le
esigenze necessarie all’omeostasi (la capacità di un organismo o di un
insieme di organismi di mantenere in un relativo equilibrio stabile le
caratteristiche del proprio ambiente interno, ndr), elaborando e mettendo in
atto le strategie necessarie a soddisfare tali richieste.

Spesso la mancanza di conoscenza di questo funzionamento endogeno rende
incapaci di attuare le azioni utili e indispensabili: il ruolo sociale del
soggetto entra in conflitto con la sua parte istintuale e compromette la
mediazione necessaria per arrivare all’equilibrio. Questo processo è in
parte oggettivo (relativo all’ambiente in cui si è calati), e in parte
soggettivo, ovvero in relazione all’ambito culturale e alla sua evoluzione
qualitativa.

Conoscersi meglio è il modo per comprendere i propri bisogni primari e per
saperli distinguere dagli oggetti superflui, per raggiungere una qualità
della vita che corrisponda alla propria intima essenza e non alle richieste
sociali.

La nostra società mostra poco interesse all’utilizzo e allo sviluppo dell’
intelligenza emotiva: invece essa è indispensabile nella relazione
affettiva, base dell’appagamento istintivo necessario al benessere e all’
equilibrio. Inoltre, è un dato accertato che nella incapacità di relazionare
con le proprie richieste affettive c’è il germe della dissociazione,
anticamera degli stati depressivi.

Si giunge alla dissociazione quando c’è un conflitto insanabile tra le
richieste endogene (che nascono dall’interno, ndr) e le modalità di
appagamento: alcune di queste richieste appaiono moralmente non idonee, e
quindi non attuabili, perciò censurate all’origine. Ne deriva il blocco dell
‘azione, che diviene estraniazione quotidiana da se stessi e dagli altri.
Ciò che influenza la valutazione dei dati sensoriali e delle spinte all’
appagamento dei bisogni primari è in gran parte dominio della sfera
affettiva, quindi difficilmente controllabile dal versante razionale. Nella
terapia, è necessario quindi privilegiare la parte affettiva per costruire
un razionale temporaneo, ma soggettivamente sostenibile e coerente.

Le ultime ricerche psicosociali in materia testimoniano che la schizofrenia,
la patologia più diffusa tra i giovani occidentali, ha alla base una figura
genitoriale dissociata, incapace di relazionare empaticamente, quindi non in
grado di trasmettere e ricevere sentimenti. Chi ha gia subito il danno delle
carenze affettive a sua volta lo trasmette: è l’epidemia dell’anaffettività.

Dagli studi di etologia emerge come i primati in cattività portino raramente
a termine una gravidanza e, quando questo avviene, i neonati sono spesso
trascurati o maltrattati fino all’abbandono totale. Come suggerisce Konrad
Lorenz, nelle situazioni di cattività in cui gli animali vivono in una sorta
di mimesi dell’uomo “civilizzato”, ovvero garantiti nella sopravvivenza
fisica e materiale, ma per nulla educati a quella fitta rete di bisogni e
relazioni di tipo sociale, famigliare, affettivo, ambientale dai quali è
composta la vita nella sua richiesta originale, si innesta il “virus” dell’
anaffettività, anticamera della depressione.

ESIGENZE PRIMARIE E ABUSO AFFETTIVO

La depressione si instaura quando non si è più in grado di mediare tra le
richieste endogene del corpo, dell’organismo. La natura dell’individuo pone
alla vita richieste assolutamente normali, necessarie. Che però spesso non
vengono soddisfatte. Ciò a lungo andare, e in presenza di problemi gravi,
crea la depressione.

Per esempio, la necessità e richiesta di moto. Si comincia a negarla a
scuola. Ma anche da parte dei genitori apprensivi, che impediscono al
bambino di organizzare i propri equilibri con i continui richiami. I bambini
devono stare immobili per ore; quando possono muoversi lo decidono gli
altri, abusando della loro capacità di concentrazione e della loro pazienza,
che a quell’età sono scarse. Li si usa come magazzino di dati, non come un
organismo in evoluzione, come una persona in crescita. Il loro organismo
reagisce naturalmente a un eccesso di informazioni, e vogliono muoversi. Ma
non possono. Sono puniti se lo fanno.

Quando ciò avviene, è inibito il rapporto analogico corpo/mente: si crea una
frattura fra i bisogni più profondi e le spinte endogene, da una parte, e la
necessità sociale di star fermi, dall’altra. Le radici della depressione
sono proprio qui, nell’abitudine che si crea a “staccare” dalle proprie
esigenze primarie. L’abitudine a svilire il sé per ottemperare a richieste
fuori luogo; a “saltare” la mediazione fra corpo e mente, a non ascoltare i
messaggi del corpo.

I bambini così abusati manifestano sintomi come inappetenza, svogliatezza
nei compiti (a casa, l’adulto pretende ancora.). Il loro corpo in crescita
ha bisogno di moto e gioco, ma nella nostra società cosiddetta “civile” ciò
viene negato. In Italia, l’educazione fisica a scuola è a zero: la scuola
favorisce la depressione.

Perciò io insegno anche ai docenti il metodo Makos, che ho messo a punto
come strumento per rilevare i segni che preannunciano una possibile
depressione: gli insegnanti possono così cogliere questi segni anticipatori,
e individuare la situazione del bambino o dell’alunno.

MAKOS, UN METODO PER LEGGERE E COMBATTERE LA DEPRESSIONE

Il nostro corpo finché è naturale è intelligente: sa quando e come reagire;
quando c’è un eccesso di informazioni, come nel caso del bambino, ha
reazioni sane, spontanee. Che però vengono inibite, perdendo poco a poco la
capacità di rispondere in modo adeguato ai propri bisogni fondamentali; col
passare del tempo, di fronte a sempre più ripetute richieste sociali che
vanno in contrasto con quelle endogene, la frattura diventa permanente. L’
adolescente prima, l’adulto poi non riescono più a mediare fra richieste
endogene e mente razionale.

Nell’adolescenza, le richieste endogene diventano impellenti. Lo scontro è
più forte. Allora si può tendere ad abusare (di sesso, droghe, alcol, cibo):
per non sentire le proprie esigenze, per impedire al cervello di sentire le
spinte e le esigenze della propria natura. Per esempio, abbuffandosi di cibo
s’impedisce l’afflusso del sangue al cervello: per non pensare, per non
sentire. Oppure gli adolescenti possono diventare super-intellettuali: un
altro modo per non sentire le pulsioni, per non viverle.

Le pulsioni fondamentali sono sei. Altrettante sono le chiavi che ho
individuato e che sono alla base del metodo Makos, che è insieme diagnostico
e terapeutico e definisce l’ecosistema dell’individuo (è un concetto
filosofico utilizzato per esprimere la globalità di un individuo, come
microcosmo, inserito in un ambiente – macro – dove il rispetto e la
conoscenza nell’interazione tra l’uno e l’altro sono alla base di un
equilibrio).

Le sei chiavi sono: relazione con il cibo; qualità del sonno;
affettività-eros (queste prime tre hanno base endogena e sono al servizio
della diagnosi); logos – capacità di relazione affettiva e comunicativa;
espressione (di sé); creatività (queste ultime tre sono alla base dell’
evoluzione qualitativa, ovvero della terapia.

In un prossimo articolo illustrerò nei dettagli il metodo Makos e le sei
chiavi.

SESSUALITA’: IL LINGUAGGIO PER ECCELLENZA

La sessualità è una delle sei chiavi di base per leggere e curare la
depressione. È il linguaggio per eccellenza. Per esempio: se vado dal medico
a dire che ho palpitazioni, o difficoltà a digerire o ad addormentarmi, il
medico mi darà una pastiglia o una cura specifica per ciascuna di questi
disturbi. Così “mette un coperchio” sopra al linguaggio simbolico del corpo,
come a voler neutralizzare un vulcano mettendogli sopra un tappo.

Nella mia chiave di lettura, invece, questi sono segni fondamentali da
valutare nel loro insieme. Nella “camera oscura” della sessualità e dell’
affettività si sviluppano tutti i film della personalità. Lì nasce e si
svolge tutto.

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