La meditazione – 1

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La meditazione – 1

di Bokar Rimpoche

(prima parte)

Consigli ai principianti

Traduzione dal tibetano, preliminari e note di
Tcheuky Sèngué (Francois Jacquemart)

1985 -Edizioni Claire Lumière – Association Claire Lumière
Mas de Fabrègues
13510 Eguilles

– P r e l i m i n a r i –

Bokar Rimpoche é nato in Tibet nell’anno del Drago di Ferro e cioè
nel 1940. Nato in una famiglia di pastori nomadi, aveva quattro anni
quando le indicazioni date da Sua Santità Karmapa XVI lo fecero
riconoscere come Tulku, reincarnazione del precedente Bokar
Rimpoche.

Educato in primo tempo presso il monastero fondato
dalla sua precedente incarnazione, proseguì i suoi studi a Tsurpu,
sede dei Karmapa. Egli , molto giovane, prese in carico la comunità
di Bokar, sita nel Tibet superiore e cioè occidentale, non lontano
dal monte Kailash. L’invasione cinese lo indusse a scegliere l’esilio,
come molti altri, all’età di vent’anni. In India, egli incontrò Kalou
Rimpoche(1)4 , di cui divenne il principale discepolo, chiamato a
succedergli a capo del lignaggio Shangpa-Kagyu, uno degli otto
grandi lignaggi originari attraverso cui il Buddismo passò dall’India
al Tibet.

Bokar Rimpoche assolse due volte il tradizionale ritiro di tre
anni e tre mesi a Sonada, il monastero indiano di Kalou Rimpoche,
non lontano da Darjeeling, celebre per le sue colline coltivate a thé.
Le sue rimarchevoli qualità, hanno fatto sì che in seguito venisse
scelto da Kalou Rimpoche per dirigere i centri di ritiro di Sonada, e
da Sua Santità Karmapa XVI per dirigere quello di Rumtèk, nuova
sede dei Karmapa nel Sikkim, territorio indiano tra il Nepal e il
4(1) La vita di Kalou Rimpoche é stata pubblicata in due fascicoli,

testo e album, dalle edizioni Prajna, Saint-Hugon 73110 Arvillard
Bhutan.

Da allora, egli stesso ha fondato recentemente a Mirik,
nella medesima regione, un centro di ritiro più specificatamente
destinato alla pratica di Kalachakra (2). Queste cariche lo hanno
reso, attualmente, il principale maestro di meditazione della scuola
Kagyupa.

Il presente testo riporta una serie di insegnamenti impartiti da Bokar
Rimpoche nel Settembre 1985, in Provenza, nel corso del suo
secondo viaggio in Europa:

– Il capitolo Introduzione generale alla meditazione é un
insegnamento impartito nel Centro tibetano di Marsiglia.

– La sezione Sfumature complementari riprende gli elementi di un
insegnamento sullo stesso soggetto, impartito ad Aix-en-Provence.

– Infine, le istruzioni su Shiné e Lhaktong sono state esposte in
due serate a Aix-en-Provence. Abbiamo mantenuto la forma diretta
con cui sono state pronunciate, indicando i momenti di meditazione
in comune.

Esistono, in tibetano, numerosi manuali di meditazione, di cui uno, il
Mahamudra che dissipa le tenebre dell’ignoranza, del IX
Karmapa, é stato tradotto in francese. Il presente opuscolo,
fondamentalmente non insegna niente altro che quanto viene
esposto in modo dettagliato in suddetti manuali. Nel contempo, offre
il vantaggio di una presentazione quasi scevra da tecnicismo e resa
facilmente accessibile da innumerevoli esempi presi nella nostra
vita quotidiana.

Il lettore, tuttavia, non deve cadere in equivoci: sotto
questa apparenza semplice, quelle che qui vengono esposte, sono
delle istruzioni molto profonde. E’ probabile che una lettura rapida e
superficiale non lasci alcuna traccia nella mente. Perché se ne
possa trarre qualche beneficio, occorre assorbire i contenuti e
mettere in pratica gli esercizi sotto la guida indispensabile di un
istruttore, come viene sottolineato dallo stesso Bokar Rimpoche.

Questa pubblicazione é stata incoraggiata da Bokar Rimpoche e la
traduzione é stata integralmente verificata in base al tibetano
registrato nel corso dei sopraccitati insegnamenti.

°°°°°°

Tcheuky Sèngué

LA MEDITAZIONE

– Consigli ai principianti –

INTRODUZIONE GENERALE ALLA MEDITAZIONE
PERCHÉ’ MEDITARE?

Gli uomini sono afflitti dalle sofferenze, da angoscia e da
innumerevoli paure che non sono in grado di evitare. La
meditazione ha la funzione di eliminare queste sofferenze e questa
angoscia. Noi pensiamo comunemente che felicità e sofferenze
derivino da circostanze esterne. Continuamente indaffarati, in un
modo o nell’altro, a riorganizzare il mondo, noi tentiamo di evitare
un po’ di sofferenza di qua, di racimolare un po’ di felicità di là,
senza mai raggiungere il risultato auspicato. Il punto di vista
buddista, che é pure il punto di vista della meditazione, considera al
contrario che felicità e sofferenza non dipendono fondamentalmente
da circostanze esterne, bensì dalla mente stessa . Un’attitudine di
spirito positiva, genera la felicità, un’attitudine negativa, la
sofferenza.

Come comprendere questo equivoco che ci induce a
cercare all’esterno ciò che noi non possiamo trovare che all’interno?
Una persona dal viso pulito e limpido, guardandosi allo specchio,
vede un viso pulito e limpido. Colui il cui viso é sporco e macchiato
di fango, vede nello specchio un viso sporco e macchiato. Il riflesso,
non ha, in verità, esistenza; solo il viso esiste. Dimenticando il viso,
noi prendiamo come reale il suo riflesso. La natura positiva o
negativa della nostra mente si riflette sulle apparenze esterne che ci
rinviano la nostra propria immagine. La manifestazione esteriore, é
una risposta allo stato del nostro mondo interiore. La felicità che noi
desideriamo, non ci deriverà dalla ristrutturazione del mondo che ci
attornia, ma dalla riforma del nostro mondo interiore.

L’indesiderabile sofferenza, non se ne andrà che nella misura in cui
eviteremo di offuscare il nostro spirito con ogni tipo di negatività. Fin
tanto che non saremo consapevoli che la felicità e la sofferenza
hanno la loro origine nella nostra stessa mente, finché non
sappiamo distinguere ciò che, per il nostro spirito é salutare o
nocivo e che lo lasciamo nel suo ordinario stato di insalubrità,
rimaniamo impotenti a stabilire uno stato di benessere autentico,
impossibilitati a evitare i continui ritorni della sofferenza. Qualsiasi
sia la nostra speranza, viene sempre delusa.

Se, scoprendo nello specchio la sporcizia del nostro viso noi ci
accingiamo a lavare lo specchio, per quanto sfreghiamo per anni
con energia, sapone e acqua in abbondanza, dal riflesso non
spariranno minimamente né la sporcizia né le macchie. A meno che
orientiamo i nostri sforzi verso l’oggetto giusto, essi rimangono
perfettamente vani. E’ per questo motivo che il buddismo e la
meditazione considerano come aspetto prioritario il fatto di
comprendere che felicità e sofferenze non dipendono
sostanzialmente dal mondo esterno quanto dalla nostra propria
mente. In assenza di questa comprensione, non ci volgeremo mai
verso l’interno e continueremo ad investire le nostre energie e le
nostre speranze in una vana ricerca esteriore. Una volta acquisita
questa comprensione, possiamo lavare il nostro viso: il riflesso
stesso, apparirà limpido nello specchio.

– LE CONDIZIONI AUSILIARIE –

La meditazione concerne la mente. Per meditare, occorre tuttavia
riunire un certo numero di condizioni ausiliarie senza le quali la
nostra impresa non potrebbe essere fruttuosa.

In primo luogo, dopo aver compreso che felicità e sofferenza
dipendono essenzialmente dalla nostra mente, occorre essere
pervasi da una viva aspirazione a meditare e a provare gioia di
fronte a questa prospettiva.

In secondo luogo, é indispensabile essere guidati da un istruttore
che ci insegna come meditare. Se noi ci proponiamo di recarci in un
dato posto di un paese che non conosciamo senza l’aiuto di
qualcuno che abbia familiarità con il luogo, ci sarà impossibile
raggiungere la nostra destinazione. Lasciati alla ventura, non
potremo che sviarci o perderci in percorsi tortuosi.

Senza un maestro che guidi la nostra meditazione, noi non
possiamo, nello stesso modo, che perderci per vie traverse.
In terzo luogo, il luogo dove noi meditiamo riveste una certa
importanza, in modo particolare per i principianti. Le circostanze in
cui viviamo, esercitano attualmente su di noi un’influenza molto
costrittiva e portano con sé un abbondante flusso di pensieri che
paralizzano i nostri tentativi di meditazione. E’ dunque necessario
ritirarsi in un luogo almeno un minimo appartato dalle attività
mondane. Un animale selvatico che vive nei boschi d’alta
montagna, non sopporta affatto l’agitazione della città. Il nostro
spirito di meditazione non può svilupparsi nelle condizioni in cui
predominano le distrazioni e le sollecitazioni esteriori permanenti.

– COME MEDITARE –

Scelto un luogo isolato, dobbiamo svincolare il nostro corpo da ogni
attività, liberare il nostro spirito da pensieri concernenti il passato e
l’avvenire, liberare la nostra parola da ogni conversazione profana.
Il nostro corpo, la nostra parola e la nostra mente, vengono lasciati
in riposo nello stato di agio naturale.

La postura del corpo é importante. Il nostro corpo é percorso da
una rete di canali sottili (nadi) in cui circolano i soffi sottili (prana).
La produzione dei pensieri é legata alla circolazione di questi soffi.
L’agitazione del corpo genera l’agitazione dei canali e dei soffi che,
a loro volta, favoriscono le turbolenze mentali.

Anche l’attività orale, la formazione dei suoni, dipende dall’attività
dei soffi. Il parlare troppo, li altera provocando un aumento della
produzione di pensieri. Mantenere il silenzio, favorisce la
meditazione.

Mantenere la calma della parola e del corpo predispone dunque alla
calma interiore evitando il generarsi di un flusso di pensieri troppo
abbondante. Proprio come un cavaliere che mantiene bene la
posizione si trova seduto a proprio agio, nel momento in cui il corpo
e la parola sono sotto controllo, la mente é predisposta al riposo.

Talvolta, si hanno concezioni errate su cosa sia la meditazione. Per
alcuni, meditare consiste nel passare in rassegna e analizzare gli
avvenimenti della loro vita quotidiana verificatisi nel corso dei giorni,
dei mesi e degli anni trascorsi. Per altri, meditare consiste nel
prospettarsi l’avvenire, riflettere sulla condotta da tenere, formulare
dei progetti a più o meno lungo termine. Questi due approcci, sono
evidentemente erronei. La produzione di pensieri concernenti il
passato o l’avvenire, é, di per sé, in contraddizione con la
stabilizzazione della mente nella calma, anche quando il corpo e la
parola restassero inattivi. Nella misura in cui l’esercizio non

conduce alla pace interiore, non si caratterizza come meditazione.
Altri ancora, pensando di meditare, non vanno alla ricerca né del
passato né del futuro, ma si installano in uno stato vago e indefinito,
vicino a quel tipo di ebetudine generata da una grande fatica. La
mente dimora in una indeterminatezza oscura, stato che può
sembrare positivo nella misura in cui procura sin dal primo
momento una sensazione di piacevole riposo; ma manca
totalmente di lucidità e non tarda a scivolare nel sonno, a meno che
non sbocchi in un torrente di pensieri incontrollati.

La vera meditazione, evita questi scogli: la mente non preoccupata
del passato, non proiettata sull’avvenire, stabilizzata in un presente
lucido, chiaro e calmo. La notte non permette che una percezione
molto offuscata del mare, mentre il giorno lascia vedere con
precisione tutti i dettagli: i colori, le onde, la schiuma, lgli scogli e il
fondale. La nostra mente é simile al mare. Colui che medita deve
essere pienamente consapevole della situazione interiore, percepita
in modo tanto chiaro come le onde in pieno giorno. Egli, allora,
lascia la sua mente distesa e le onde si calmano naturalmente. E’
la calma interiore, tecnicamente denominata pacificazione mentale
(in tibetano, shiné).

Vengono utilizzati numerosissimi metodi per sviluppare shiné. Un
principiante può, per esempio, visualizzare una piccola sfera di luce
bianca a livello della fronte e concentrarsi al meglio delle sue
capacità. Ci si può pure concentrare sul va-e-vieni della
respirazione o, ancora, senza prendere un particolare oggetto di
concentrazione, lasciare la mente priva di distrazioni. Possiamo
utilizzare questi tre metodi e, attraverso di essi, imparare
progressivamente a meditare.

E’ comunque importante abbordare una sessione di meditazione
con la mente molto ampia, molto aperta, senza fissarsi sulla
speranza che sia buona o il timore che non lo sia. La mente deve
essere distesa, disponibile e vasta. Sperare in una buona
meditazione o temerne una non buona sono degli ostacoli da cui
occorre svincolarsi.

La meditazione ci dona talvolta delle esperienze di felicità e di pace.
Soddisfatti di noi stessi, ci rallegriamo per aver fatto una buona
meditazione. Talvolta, al contrario, la nostra mente rimane molto
perturbata, durante tutta la sessione, da numerosi pensieri e, con
tristezza, ci giudichiamo dei pessimi meditanti. Rallegrarsi di una
buona meditazione e attaccarsi a delle esperienze gradevoli, così
come rattristarsi per una cattiva meditazione, sono due attitudini
sbagliate. Meditazione buona o cattiva, l’importante é
semplicemente il fatto di meditare.

Alcune persone, fin dal loro esordio, ottengono rapidamente delle
buone esperienze; esse vi si attaccano, aspettano la loro ripetizione
costante e, quando questo non si verifica, abbandonano la
meditazione. Nel corso di un lungo viaggio, noi percorriamo tratti di
cammino ora gradevoli e ora spiacevoli. Se il fascino esercitato da
un tratto gradevole ci inducesse a fermarci per goderne di continuo,
oppure le difficoltà di un tratto spiacevole ci facessero rinunciare a
proseguire, non raggiungeremmo mai la nostra meta. Strada buona
o non buona, occorre proseguire. Così pure, sul cammino della
meditazione, occorre perseverare senza preoccuparsi delle
difficoltà o attaccarsi ai momenti piacevoli.

E’ preferibile, per i principianti, limitarsi a delle brevi sessioni di dieci
o quindici minuti. Anche se la meditazione é buona, ci si ferma. In
seguito, se si dispone del tempo necessario, si fa una seconda
breve sessione dopo una pausa. E’ meglio procedere con una
successione di sessioni brevi, piuttosto che impegnarsi in una lunga
sessione che, anche se buona all’inizio, rischia di scivolare nella
difficoltà e di sfinire il meditante.

– I FRUTTI DELLA MEDITAZIONE –

In un primo tempo, la nostra mente non potrà affatto restare stabile
e a riposo per tanto tempo. La perseveranza e la regolarità
conducono a sviluppare progressivamente la calma e la stabilità. Ci
sentiamo pure più a nostro agio sia fisicamente che interiormente.
D’altra parte, l’influenza delle circostanze esterne, felici o difficili, al
momento molto forte su di noi, viene a diminuire e ne siamo meno
asserviti. L’approfondimento della nostra esperienza della vera
natura della mente, ha come effetto che il mondo esteriore perde la
sua influenza su di noi e diventa impossibilitato a nuocerci.
Il frutto ultimo della meditazione, é il conseguimento del Perfetto
Risveglio, lo Stato di Buddha. Si é allora totalmente liberati dal ciclo
delle esistenze condizionate così come dalle sofferenze che ne
formano il tessuto e, nel medesimo tempo in cui abbiamo il potere
di aiutare effettivamente gli altri.

Il cammino della meditazione comporta due fasi: la prima detta
shiné (la pacificazione mentale), che placa gradualmente la nostra
agitazione interiore; la seconda detta lhaktong (la visione
superiore), che porta a sradicare la visione egocentrica,
fondamento del ciclo delle esistenze. La via interiore, ed essa sola,
porta al Risveglio; nessuna sostanza nè nessuna invenzione
esterna ne hanno il potere.

– CONCLUSIONE –

Intraprendere la via della meditazione implica il fatto che se ne
conosca la finalità, i mezzi utilizzati e i risultati ottenuti:
– Riconoscere che la fonte di qualsiasi sofferenza e gioia é la mente
stessa e che, di conseguenza, solo un lavoro sulla mente può
eliminare la prima e rendere stabile la seconda in modo autentico e
definitivo.

– Conoscere le condizioni ausiliarie necessarie: il desiderio di
meditare, un istruttore qualificato, un luogo appartato.

– Saper porre la propria mente in meditazione: senza seguire i
pensieri del passato e del futuro, stabilendo nel presente la propria
mente aperta, rilassatoa, lucida, e fissarla sull’oggetto di
concentrazione prescelto.

– Sapere quali sono i frutti temporanei e ultimi della meditazione: la
serenità, la libertà di fronte alle circostanze e, infine, lo Stato di
Buddha.

* * * * * *

DOMANDE – RISPOSTE

Si può meditare mentre si lavora?

Se noi lavoriamo senza distrazione, applicandoci a quanto stiamo
facendo, questa pure é meditazione.

Quale durata e quale frequenza adottare all’inizio? Si può
meditare con gli occhi chiusi?

Se non si ha molto tempo a disposizione, meditare anche solo un
quarto d’ora al giorno con regolarità é già di beneficio. Se si dispone
di più tempo, fare due sessioni di quindici minuti é ancora meglio.
Quanto al mantenere gli occhi aperti o chiusi, questo dipende
dall’aiuto che uno ci trova. Quando lo spirito é perturbato da
moltissimi pensieri, chiudere gli occhi potrà essere di beneficio. In
caso contrario, si possono tenere aperti. Al di là di questa relazione
con i nostri pensieri, non ha molta importanza.

La meditazione, presenta dei rischi?

Se ci si affida ad un istruttore qualificato, nessuno. Se, al contrario,
si medita senza questa guida, la nostra meditazione può essere
semplicemente sterile oppure, effettivamente, comporta dei rischi.
In alcune meditazioni, si utilizzano dei simboli dei cinque
elementi che comportano certi colori. Sono questi
semplicemente convenzionali o hanno una loro profonda
ragion d’essere?

La natura ultima dei cinque elementi é implicita al modo di essere
dello spirito. Realizzata, questa natura essenziale dei cinque
elementi é riconosciuta come essere i cinque Buddha femminili.
Senza questa realizzazione, appaiono i cinque elementi ordinari. I
colori attribuiti ai cinque elementi sono quelli della loro natura
primordiale; non sono quindi delle semplici convenzioni.
Una volta pacificati i pensieri, come evitare di restare in uno
stato di quiete vaga?

Per evitare la mancanza di chiarezza e la sonnolenza, occorre
rinforzare la vigilanza. Tuttavia, la vigilanza deve essere regolata
con attenzione: troppo tesa genera dei pensieri supplementari,
troppo allentata, porta alla sonnolenza o all’ebetudine. Occorre
trovare il giusto equilibrio.

Ad un dato momento, mi ha colpito “né gioie né dolori”, il che
implicherebbe lo stato di neutralità emozionale. in queste
condizioni, cosa significa scambiare se stessi con gli altri?

E’ vero che la meditazione rende liberi dall’influenza delle gioie e
delle sofferenze esterne. Tuttavia, quando durante la meditazione
noi sviluppiamo il pensiero di ottenere il Risveglio per il bene di tutti
gli esseri, il risultato di questo orientamento dato alla nostra mente
sarà che, una volta raggiunto il Risveglio, compiremo
spontaneamente il bene universale senza che ciò implichi sforzi o
intenzioni parziali. Il sole dispensa i suoi raggi benefici a tutti gli
esseri e a tutta la manifestazione, senza dover pensare “occorre
che io riscaldi il tale, che faccia maturare tali frutti ecc”. Nello stesso
modo, l’irraggiamento benefico di un Buddha, si esplica
spontaneamente nei riguardi di tutti gli esseri. Non é tuttavia un
irraggiamento inconsapevole. Un Buddha, é pienamente
consapevole della situazione degli esseri e della propria azione.
Egli conosce le afflizioni di coloro che soccorre, ma la sua azione é
priva di sforzo. Essa si esercita, nel dominio della manifestazione,
in diversi modi: attraverso il Corpo di Gloria, guidando degli esseri
gia puri, attraverso il Corpo di Emanazione5 che si rivolge agli esseri
ordinari che noi siamo così come attraverso i supporti sacri quali
statue, dipinti, mantra, ecc.

(continua)

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