di Bokar Rimpoche
(terza parte)
BOKAR RIMPOCHE
LA MEDITAZIONE
Mettere da parte speranze e timori é la condizione immediata.
Abbiamo considerato in tutto dodici elementi, suddivisi in tre
gruppi:
Bokar Rimpoche diede agli abitanti di Nizza, nel corso di un
insegnamento, un consiglio che illustra bene come le
apparenze possono fungere da maestro:
Gli abitanti di Nizza intrattengono un rapporto privilegiato col mare:
alcuni ci vivono, altri amano bagnarsi nelle sue
acque, viaggiare in barca o dedicarsi a sport nautici; altri,
semplicemente, amano contemplarlo. In un modo o nell’altro,
il mare fa parte della vita e del paesaggio di ognuno. Ebbene, ogni
volta che vedete il mare o che voi pensate al mare,
che egli sia per voi il simbolo e il richiamo alla compassione.”
A Nizza, inoltre, tutti amano il sole, per scaldarsi sulla spiaggia o
semplicemente apprezzando la luminosità che
diffonde. Ogni volta che vedete il sole, che pensate al sole, che egli
sia per voi il simbolo e il richiamo alla conoscenza.”
“In tal modo, compasssione e conoscenza saranno sempre più presenti
nella vostra mente”.
-le quattro riflessioni fondamentali, dette anche i quattro
preliminari comuni:
– la natura provvisoria dei fenomeni
– la rarità dell’esistenza umana
– l’ineluttabilità degli effetti delle azioni
– la sofferenza, caratteristica delle esistenze condizionate.
– i quattro preliminari specifici:
– presa di Rifugio e Bodhicitta
– purificazione attraverso la pratica di Dorje-Sèmpa
– accumulazione positiva attraverso l’offerta del Mandala
– apertura alla grazia attraverso l’unione spirituale
– le quattro condizioni:
– condizione causale
– condizione del maestro
– condizione oggettiva
– condizione immediata
L’unione di questi dodici elementi crea il contesto ideale per la
meditazione.
Alcuni hanno la tendenza a pensare che abbia importanza solo la
meditazione propriamente detta, che le pratiche preparatorie e le
circostanze ausiliarie siano superflue. Ansiosi di meditare,
considerano tutto il resto come un impiccio. Ma lanciarsi senza
preparazione, non conduce a una buona meditazione. Far spuntare
un fiore, non richiede solo un seme, ma anche una mano umana,
un utensile per lavorare la terra, occorre poi che il seme disponga di
acqua, di calore e di concime. Senza tutti questi elementi annessi, il
seme, sebbene di primaria importanza nel processo, non darà mai
dei fiori.
Per avvicinarsi alla meditazione del mahamudra, che porta
al riconoscimento della natura ultima della mente, e, di
conseguenza, alla liberazione, é anche necessario riunire i dodici
elementi che sono stati menzionati.
CORPO DELLA PRATICA
LA POSIZIONE DEL CORPO
La posizione completa comprende sette punti:
– le gambe incrociate nella posizione adamantina, il piede sinistro
sulla coscia destra, poi il piede destro sulla coscia sinistra,
– la colonna vertebrale diritta come una freccia
– le spalle allargate, come le ali di un avvoltoio,
– le mani nel mudra8 della meditazione, mano destra posata sulla
mano sinistra, palme verso l’alto,
– il mento che forma un angolo retto con la gola,
– lo sguardo posato nel vuoto, in obliquo verso il basso, in direzione
di un punto virtuale situato da quattro a otto dita davanti alla punta
del naso,
– la bocca e la lingua rilassate.
Lungi dall’essere arbitrario, ogni punto della postura ha la propria
ragion d’essere in rapporto al sistema di energie sottili che
percorrono il nostro corpo, strettamente legate alla produzione dei
pensieri
DISPORRE LA MENTE
Con il corpo così posto nella posizione corretta, occorre da qui
evitare la tensione mentale che deriva dalla fissazione sull’idea “Io
medito”. La mente resta distesa, aperta, spaziosa, limpida, senza
smarrirsi nei ricordi o nei pensieri che concernono l’avvenire, senza
nemmeno farsi abbagliare in merito alla realtà dei pensieri presenti.
Essa resta in uno stato di vigilanza, senza distrazione, aperta a se
stessa così come si presenta, senza tensione. Il meditante non
deve provare la sensazione di essere in una gola incassata e buia,
avvolto dalla nebbia, ma piuttosto sulla cima di una montagna,
mudra indica una posizione simbolica delle mani statica o dinamica
Esiste una posizione leggermente semplificata che comporta solo
cinque punti, ovvero gli stessi della posizione a sette
punti meno la posizione delle spalle e quella della bocca.
Incrociare le gambe nella posizione adamantina é spesso difficile
per la maggior parte degli occidentali; in questo caso,
si consiglia di adottare la posizione del bodhisattva:
il tallone sinistro é bloccato contro il perineo, il piede e la gamba
destra posati di piatto davanti. A meno di essere naturalmente snodati
o particolarmente abituati, é solitamente
necessario tenere sollevate le natiche con un cuscino duro e spesso.
Il rapporto tra la posizione, la circolazione dei soffi nei canali sottili e
le conseguenti perturbazioni della mente, é ben
illustrato dalle modificazioni mentali generate da una posizione
scorretta del tronco e cioé della colonna vertebrale e
dell’asse corporeo. Come viene spiegato tradizionalmente:
– Se si pende verso sinistra, si prova subito una sensazione di felicità
che degenera successivamente in desiderio;
– Se si pende in avanti, si prova una sensazione di assenza di
pensieri, che degenera in offuscamento mentale;
– Se si pende all’indietro, si prova una sensazione di vacuità, che
degenera in orgoglio.
– laddove l’altitudine e la limpidezza del cielo permettono di vedere
chiaramente tutto l’orizzonte.
Questo modo di disporre la mente é essenziale. Si ha spesso la
tendenza ad avvicinarsi alla meditazione molto tesi, attaccandosi ad
una non-distrazione forzata.
Senza sapere anzitutto come rilassare la mente, come lasciarla
aperta e felice, non é possibile meditare. E’ una condizione
obbligatoria.
ESERCIZI DI MEDITAZIONE
Con la mente così predisposta, ci si applica nella concentrazione
sull’oggetto scelto, in primo luogo nel contesto della pacificazione
mentale (tibetano shiné). Sono possibili molteplici metodi. Ne
considereremo alcuni.
Shiné può essere in primo tempo praticata utilizzando un supporto,
impuro o puro.
La nozione di supporto impuro si riferisce a qualsiasi oggetto di
natura ordinaria si scelga per applicarvi la propria concentrazione:
una montagna, una collina, un edifici, un tavolo, un bicchiere o
qualsiasi altro oggetto. Vi si dispone la propria mente distesa e
senza distrazioni.
Possiamo per esempio meditare su questo seggio di fronte a noi.
Concentrarsi non significa qui lanciarsi in un esame discorsivo,
anche molto attento, delle caratteristiche dell’oggetto: la sua forma,
la sua altezza, la sua superficie, i motivi del tessuto che lo ricopre,
la natura e le sfumature di questo tessuto, le sfumature, ecc. Non si
tratta nemmeno di proiettare la propria mente come se venisse a
porsi all’interno del seggio. Semplicemente, essendo noi in un certo
luogo e il seggio in un altro, la nostra mente é posata su ciò che
Il termine meditazione scritto tra parentesi, indica i momenti di silenzio
dedicati alla meditazione quando questi
insegnamenti furono impartiti in pubblico.
9I termini puro e impuro non si riferiscono qui a delle osservanze
rituali arbitrarie, ma alla natura essenziale
dell’oggetto.
Le apparenze ordinarie che percepiamo sono dette impure perché
sono il frutto dei nostri condizionamenti
karmici e di conseguenza del funzionamento della mente della
mente alterata dai differnti veli che la impastoiano:
ignoranza, visione dualistica, emozioni conflittuali e karma.
Invece ogni oggetto di carattere sacro prende origine dalla
totale purezza della Mente Risvegliata. E’ l’espressione della sua
grazia e della sua compassione. Impuro e puro
descrivono, di fatto, non tanto l’oggetto sé quanto la sua origine.
E’ evidente che per un Essere Risvegliato questa
distinzione diviene caduca.
vede, senza distrazione, senza essere distratta da altri pensieri e
nemmeno con tensione.
Alcuni di voi riescono senza dubbio a stabilizzare così la propria
mente in maniera soddisfacente sull’oggetto di concentrazione; altri
vi saranno presenti a momenti, talvolta persi in altri pensieri, con un’
alternanza che può anche essere molto rapida. Comunque sia, non
si tratta di forzare la concentrazione, ma di lavorare nelle condizioni
tali e quali si presentano, distesi e aperti alla situazione.
Un supporto puro, in secondo luogo, designa ogni rappresentazione
simbolica o no, che possiede un carattere sacro. Possiamo, per
esempio, visualizzare nello spazio di fronte a noi, il corpo del
Buddha, creando mentalmente un’immagine chiara, luminosa,
radiante, perfettamente proporzionata, sulla quale ci concentriamo
senza distrazione.
E’ probabile che questa immagine apparirà nella nostra mente
talvolta chiaramente, talvolta in maniera confusa e fuggitiva; talvolta
essa sarà addirittura totalmente assente. Non ha molta importanza.
Provare a meditare così va bene di per sé e la ripetizione regolare
dell’esercizio condurrà a una visualizzazione sempre più chiara e
stabile. L’alternanza di chiarezza e di confusione, o anche
l’impossibilità di visualizzare, sono dei fenomeni normali per dei
principianti. La perseveranza affinerà progressivamente le loro
capacità.
Un altro supporto puro é l’immaginare una piccola sfera di luce
(tibetano tiglé; sanscrito bindu) bianca a livello della fronte , molto
viva, molto brillante. Questo supporto é visto come puro nella
misura in cui lo si considera qui come simbolicamente
indifferenziato dal maestro spirituale.
Infine, shiné può essere praticata senza supporto. La mente è
lasciata libera, distesa, nello stesso tempo senza distrazione.
Abbiamo visto così quattro possibilità di concentrazione:
– su un supporto impuro,
– su un supporto puro:
o il corpo del Buddha,
o una piccola sfera di luce.
– senza supporto.
Certi avranno indubbiamente scoperto un’affinità particolare nei
riguardi del primo tipo di esercizio, altri del secondo, altri del terzo,
altri del quarto. Altri ancora non avranno delle preferenze marcate.
Nel primo caso, la cosa migliore é proseguire la pratica quotidiana
utilizzando il metodo di vostra scelta. Nel secondo caso potete
praticarne ciascuno alternativamente. Comunque sia, sono la
regolarità e la perseveranza che permetteranno di progredire sul
cammino della pacificazione.
IL TRATTAMENTO DEI PENSIERI
I principianti, non sapendo molto bene cosa sia la meditazione, si
aspettano una calma perfetta, totalmente libera da pensieri.
Temono la loro venuta, e quand’ essi sorgono si abbattono per la
loro incapacità di meditare. Temere i pensieri, irritarsi o inquietarsi
per la loro apparizione, credere che l’assenza di pensieri sia una
buona cosa in sé, sono degli errori che conducono a uno stato di
frustrazione e di colpevolizzazione inutili.
La mente di un non-meditante , di un principiante e di un meditante
esperto é attraversata da pensieri, ma la maniera di abbordarli varia
considerevolmente dall’uno all’altro.
Qualcuno che non pratica la meditazione é, nella sua relazione coi
pensieri, simile a un cieco con il viso rivolto verso una lontana
autostrada. Il cieco é incapace di vedere se dei veicoli passano o
no sull’autostrada. Nello stesso modo, la persona ordinaria, pur
provando un vago sentimento di disagio e di malessere interiore,
non é affatto cosciente del flusso dei pensieri che, tuttavia, si
riversa senza interruzione.
Cominciando a meditare, ci si scopre con degli occhi per vedere,
ma non vorremmo vedere passare nessun veicolo sulla strada.
Arriva un primo veicolo ,la nostra attesa é delusa; ne arriva un
secondo, nuova delusione; un terzo, ci irritiamo, ecc. La speranza
naif di un’autostrada vuota é continuamente stroncata. Si é
contemporaneamente coscienti e infelici per ilo succedersi dei
veicoli.
Ogni veicolo che passa é una nuova difficoltà. Ci si installa
nella rivolta contro uno stato di cose inevitabile. Nel momento in cui
si guarda nello stesso modo alla meditazione come uno spazio
privo di pensieri, ogni pensiero che si presenta contraddice con
evidenza questo schema preconcetto; si é in situazione di scacco
quasi permanente.
Quando invece, si é ben capito in cosa consiste la meditazione, si
vedono sfilare i veicoli, ma senza rivolta né rifiuto, senza aver
deciso che l’autostrada dovrebbe essere vuota. Non si spera
nell’assenza di veicoli, come pure non ci si spaventa per la loro
presenza. I veicoli passano e si lasciano passare; essi non sono né
nocivi né benefici. Se i pensieri sorgono, li si lascia passare
naturalmente, senza attaccarvicisi né condannarli; se essi non
sorgono, non vi si trova motivo di soddisfazione particolare. Un
approccio sano dei pensieri condiziona una buona meditazione.
Le persone che fraintendono la meditazione credono che tutti i
pensieri debbano cessare. Noi non possiamo, in effetti, stabilirci in
uno stato senza pensieri. Il frutto della meditazione non é l’assenza
di pensieri, ma il fatto che i pensieri cessano di nuocerci. Da nemici,
i pensieri diventano degli amici.
Una cattiva meditazione deriva in genere dalla negligenza delle
pratiche preparatorie, ma anche, avendo compiuto queste, dalla
errata comprensione del modo giusto di disporre la mente.
Le persone ordinarie hanno la mente perpetuamente distratta,
sparpagliata. Quando si medita, d’altra parte, il più grande ostacolo
proviene dalle produzioni mentali aggiuntive, dai commenti su se
stessi e dai preconcetti. La meditazione autentica evita sia la
distrazione che le aggiunte mentali.
La Visione Superiore
Lhaktong
L’immensa molteplicità delle possibilità di manifestazione implica
una estrema varietà di tipi di esistenza ognuna delle quali ha una
propria determinazione. Noi esseri umani siamo dotati di
intelligenza, in grado di esprimerci con l’aiuto di un registro di
significati esteso e complesso, in grado di comprendere, dotati di un
intelletto ben superiore a quello degli animali. Prendere coscienza
di questa situazione esistenziale favorevole é una causa legittima di
gioia.
Bisogna però constatarne l’evidente limite: la sofferenza.
Fisicamente, mentalmente, noi soffriamo. Molti uomini hanno
un’idea decisamente falsa della relazione che unisce il corpo e la
mente. Essi pensano che la mente non sia che una funzione
totalmente dipendente dall’organismo fisico; per loro, senza corpo
non c’é mente. La morte del corpo fisico significherebbe di
conseguenza la fine simultanea della mente. In opposizione a
queste concezioni materialistiche, la conoscenza spirituale insegna
che il corpo e la mente non sono legati con questo rapporto
indissolubile.
Il corpo é sì il prodotto dato da elementi genetici fisici
dei genitori, ma la mente non deriva dalla mente dei genitori. Essa
esiste, nel campo delle esistenze condizionate, da tempi senza
inizio come coscienza individualizzata, immateriale e senza
discontinuità. Il corpo e la mente sono essenzialmente distinti.
La sofferenza affetta dunque sia il nostro corpo che la nostra
mente. La sofferenza fisica non é che occasionale, provocata dalla
malattia o da circostanze passeggere; la sofferenza mentale é uno
stato continuo, che non ci abbandona né di giorno né di notte, ma di
cui noi spesso non siamo coscienti a causa della forza
dell’abitudine che ce la fa considerare normale. Supponiamo che
qualcuno si trovi nelle migliori condizioni fisiche possibili: in buona
salute, sazio, confortevolmente disteso a casa propria la sera.
Nonostante ciò, fintanto che egli non sia calato nel sonno, la sua
mente non é in pace: ora rimugina sugli avvenimenti del giorno o
delle giornate precedenti, ora si preoccupa del futuro, alimentando
progetti, speranze o timori. Anche quando egli si addormenta, il suo
sonno é turbato dalle impressioni inconsapevoli della sua mente,
che si esprimono nei suoi sogni tanto pieni di preoccupazioni come
lo stato di veglia. La mattina, dal momento in cui si risveglia, eccolo
occupato dalle preoccupazioni sulla giornata che verrà.
Le condizioni esteriori sono insufficienti per assicurare il benessere
interiore. Dissipare la sofferenza della mente é di fatto molto più
importante che eliminare le cause apparenti di sofferenza esteriore.
Ma noi sbagliamo obiettivo: credendo di perseguire la felicità, siamo
perpetuamente lanciati nella riorganizzazione del mondo che ci
circonda. Invano. I beni materiali, gli oggetti esteriori, lungi
dall’essere in grado di sbarazzarci dalla sofferenza interiore, sono il
più delle volte dei motivi che la suscitano ulteriormente. Il vero
mezzo per liberarsi dalla sofferenza interiore é la meditazione del
mahamudra mediante la quale viene scoperto lo stato naturale e
autentico della mente.
Sono necessarie due tappe: la pacificazione mentale (shiné) e la
visione superiore (lhaktong).
La nostra mente é in genere occupata da una grande produzione di
pensieri, simile all’acqua che bolle. Meditare per calmare questa
ebollizione e dimorare in uno stato stabile, senza tensione, é ciò
che viene denominato pacificazione mentale. Quanto alla visione
superiore, essa coinvolge il processo di riconoscimento della natura
della mente.
Pacificazione mentale o visione superiore, é in ogni modo di
primaria importanza sapere prima di tutto posare la propria mente:
distesa, aperta, senza sovrimpressioni mentali.
Supponiamo che una persona si accinga a guardare uno spettacolo
qualsiasi e che resti in piedi con un pesante fardello sulle spalle.
Essa vede bene lo spettacolo, ma il carico sulla schiena é un
disturbo troppo grande per permetterle di essere presente
pienamente a ciò che vede. Un’altra persona, invece, depositerà il
suo fardello, si siederà confortevolmente su una poltrona e si godrà
senza problemi lo spettacolo che la interessa. I due spettatori
hanno in comune la possibilità di vedere lo spettacolo. Ma, nel
primo caso, la mente della persona é sottoposta a due sollecitazioni
contraddittorie: lo spettacolo da una parte, l’impiccio del peso sulla
schiena dall’altra.
Quando noi vogliamo meditare, se manteniamo
la mente contratta e non ci stabiliamo in uno stato di distensione
spaziosa, siamo trascinati in due diverse direzioni: la tensione e le
preoccupazioni da una parte e l’oggetto di meditazione dall’altra.
Avendo il secondo spettatore, invece, essendosi liberato del proprio
fardello e della scomodità che gli procurava, é pienamente
disponibile per lo spettacolo. Avvicinandoci alla meditazione con
una mente distesa e aperta, possiamo anche, nello stesso
momento, dedicarci pienamente e senza difficoltà all’oggetto di
meditazione, dato che la nostra mente é occupata da un’unica
sollecitazione.
…
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