di Bokar Rimpoche
(parte quarta e fine)
La pietra miliare di ogni meditazione é quella di saper disporre la
propria mente in tal modo. In un manuale si dice:
Distensione buona: meditazione buona.
Distensione mediocre: meditazione mediocre.
Distensione cattiva: meditazione cattiva.
Quale grado di distensione sarà la giusta misura? E’ vero che una
distensione esagerata inclina la mente alla distrazione e alla
dispersione. Senza cadere in questo eccesso, ci si esercita a
trovare la soglia della massima distensione. Abbandonare ogni
vigilanza significherebbe cadere nella confusione; manteniamo
dunque la vigilanza ma con la minore tensione possibile.
Alcune persone, nel momento in cui meditano, si sforzano di
bloccare tutti i pensieri, lottando perché niente altro occupi la loro
mente oltre all’oggetto di concentrazione. Altre, si stabiliscono in
una specie di assenza di coscienza, una profonda oscurità
inintelligente. Questi sono due atteggiamenti contrari alla
meditazione.
La pacificazione mentale implica quanta più lucidità possibile,
congiunta con un profondo sentimento di libertà. Quando durante il
giorno contempliamo il mare, attraverso l’acqua limpida noi vediamo
le pietre e le alghe del fondale. La nostra meditazione deve avere
questa medesima qualità chiarezza che permette di essere
pienamente coscienti della situazione. Di notte, invece, la superficie
delle onde é una massa oscura e opaca che non lascia penetrare lo
sguardo, proprio come una mente spessa e offuscata, malgrado
un’apparenza di stabilità, impedisce di fatto la meditazione.
DISTINZIONE TRA SHINE’ E LHAKTONG
La pacificazione mentale calma e stabilizza la mente, ma la vera
natura di questa non é ancora riconosciuta. Noi non comprendiamo
cosa sia, e le domande fondamentali restano senza risposta, se
non a titolo di ipotesi intellettuali. La visione superiore va più
lontano: una volta che la mente sia pacificata, essa riconosce la
sua stessa essenza, senza lasciare spazio all’incertezza. Essa
conduce ad un’ esperienza diretta ed evidente. Poiché si tratta di un
grado di comprensione superiore alla semplice calma della mente,
la si chiama visione superiore.
La pacificazione mentale, così come la visione superiore, hanno
come oggetto la mente. Ciò che é visto, la mente, é identico, ma la
modalità di visione é diversa. La luna si riflette di notte sulla
superficie di un recipiente colmo d’ acqua. Quando il recipiente
viene agitato, non si percepisce allora la forma della luna ma una
semplice luminosità confusa. Una volta lasciato il recipiente fermo,
la superficie dell’acqua diventa gradualmente calma e liscia. Questa
fase corrisponde alla pacificazione mentale mediante la quale la
mente si sbarazza dell’agitazione dei pensieri. Una volta che
l’acqua sia perfettamente calma, vi si può vedere chiaramente
quanto vi si riflette e riconoscere la forma percepita per come essa
effettivamente é. Essendo la mente, nello stesso modo, stata
calmata mediante l’esercizio della pacificazione mentale, la visione
superiore permette in seguito di riconoscerne la natura.
PRATICA DI LHAKTONG
Assumiamo anzitutto la postura corporea corretta, senza tensione,
quindi posiamo la nostra mente in uno stato di Shiné, aperta e
distesa. Proviamo così un’esperienza di calma unita a una
sensazione di benessere. Cerchiamo quindi dove risiede questa
mente calma. Si trova nella nostra testa, in un luogo determinato
del nostro corpo, oppure in tutto il nostro corpo? Nel nostro cuore?
Nel nostro cervello? Qual é l’essenza di questa mente calma?
Dove dimora? Esaminiamo ciò molto attentamente.
Un simile esame ci conduce, a causa del carattere infruttuoso della
ricerca, a scoprire per esperienza la non-localizzazione della mente
calma. Per quanto noi la cerchiamo, non si trova da nessuna parte.
Lasciamo ora l’esame e riprendiamo Shiné come in precedenza.
La ricerca non ci ha permesso di scoprire la mente da nessuna
parte. Lasciando però di nuovo la nostra mente a riposo abbiamo
proprio la sensazione che esiste una mente a riposo; una
sensazione di benessere, di calma, di qualcosa che esiste; un
sentimento di essere.
Nel momento in cui non procediamo ad un esame, sperimentiamo
l’esistenza di questa mente calma. Quando guardiamo in seguito
l’essenza stessa di questa calma, non possiamo affatto dire: “é
questo” o “é quello”. Giungiamo ad una totale incapacità di
descrivere qualsiasi cosa in quanto incapaci di trovare qualcosa
che potremmo definire la mente calma. Se concludessimo però che
la mente calma non esiste affatto, saremmo in contraddizione con
questo sentimento di essere che proviamo lasciando la nostra
mente a riposo. Siamo condotti alla scoperta di uno stato di essere
indicibile; il riconoscerlo e il farne direttamente l’esperienza é
quanto si definisce lhaktong, la visione superiore.
Questo riconoscimento non é ora possibile che attraverso
l’alternanza del riposo e dell’esame. Quando viene raggiunto un
certo grado di meditazione, questi due stati non sono più tuttavia
dissociati e l’esercizio dell’alternanza diviene superfluo. Pervenire a
questa indissociazione della mente calma e della mente che
investiga, é la visione superiore nel senso pieno del termine.
Tuttavia, procedere mediante l’alternanza é già un primo approccio.
Noi ora non possiamo vedere la scalinata illuminata dalla lampada.
Guardiamola bene, poi facciamo sorgere nella nostra mente il
pensiero della scalinata, cioé la sua immagine.
Il pensiero della scala é ora presente nella nostra mente. Da dove é
apparso? Da quale luogo é venuto? Qual é la sua origine?
Esaminando l’origine di questo pensiero, non possiamo dire che sia
venuto dall’esterno, non possiamo nemmeno scoprire la sua origine
all’interno del nostro organismo fisico. Il pensiero della scala, non si
é introdotto nella nostra mente nella maniera in cui una persona che
giunge dall’esterno entra in un locale. Esso é là senza essere
venuto da nessuna parte.
Siamo incapaci di trovare un’ origine qualsiasi di questo pensiero.
Nel momento in cui, ora, il pensiero della scalinata é presente nella
nostra mente, dove dimora? Qui? Là? All’esterno del nostro corpo
A tutta prima e per una persona non bene informata, il metodo
che qui é stato appena esposto e le conclusioni a cui é
giunto possono sembrare del tutto semplicistici e prendere
delle vie tortuose per gungere a dei truismi o verità evidenti
per se stesse. Che ne siamo coscienti o meno, l’esperienza
che noi abbiamo della nostra mente é nondimeno
estremamente localizzata e reificata. Il percorso spiegato qui,
nel momento in cui viene seguito senza a-priori, con
perseveranza e facendo riferimento alle spiegazioni di un
istruttore qualificato, ha come risultato quello di dissolvere
progressivamente la cristallizzazione illusoria in cui siamo fissati.
Il medesimo avvertimento vale per il secondo
esercizio, spiegato nelle pagine successive.
oppure all’interno? Esaminiamo attentamente. Quando una persona
entra in un locale, arriva dall’esterno, varca la soglia quindi si ferma
in un luogo limitato e definito, il locale. Possiamo nello stesso
modo definire un luogo limitato e definito dove dimora il pensiero?
Qual é la forma, non dell’immagine percepita mentalmente, ma del
pensiero stesso? Qual é la sua forma e la sua misura? Possiamo
vederlo? La nostra ricerca sfocia ancora una volta su di
un’assenza.
Guardiamo ora attentamente questi fiori.
Il pensiero della scala é ancora nella vostra mente da quando
essa é occupata a guardare i fiori? Nel momento in cui il pensiero
della scala é cessato, come é partito?
Quando il pensiero della scala si é formato nella nostra mente, ci
siamo chiesti se era avvenuto nello stesso modo in cui una persona
entra in un locale passando dalla porta e vi si ferma. Quando il
pensiero della scala é cessato, sostituito dal pensiero dei fiori,
come é partito? Come si lascia un locale per andare da qualche
altra parte?
Da dove é venuto il pensiero dei fiori?
Guardiamo ora questa statua. Il pensiero dei fiori é ancora là? Dove
é andato?
Esaminando da dove veniva il pensiero, non abbiamo potuto
trovare un luogo d’origine. Anche quando abbiamo scrutato la sua
localizzazione una volta presente, non abbiamo potuto individuarla,
come pure, nel momento in cui é cessato, non abbiamo potuto
scoprire da dove fosse partito.
I pensieri non vengono da nessuna parte, non dimorano da
nessuna parte e non vanno da nessuna parte. Essi non hanno, di
per sé, alcuna esistenza.
LA TIGRE DI PELUCHE
Quando non conosciamo la natura della mente, viviamo nella
convinzione che i pensieri esistono realmente. Considerati come
reali, essi divengono causa di sofferenza. Si vedono delle persone
tormentate a tal punto da un pensiero, che cessano di mangiare,
divengono magre e pallide, gli occhi incavati e senza espressione.
Queste ripercussioni fisiche illustrano bene la forza dei pensieri
presi come reali.
Si fabbricano, ad uso dei bambini, degli animali di peluche che
talvolta assomigliano molto a quelli veri. Le tigri, i leoni, i leopardi
mostrano in una bocca spalancata delle zanne minacciose e
fissano sulla loro preda degli occhi spaventosi. Un bambino molto
piccolo può avere paura di una tigre di peluche credendosi in
presenza di una minaccia effettiva. Il suo equivoco é l’unica causa
della sua sofferenza. Laddove non c’é una tigre, egli crede che ve
ne sia una.
Al contrario, lo stesso bambino piccolo, sarà molto
contento di un cavallo di peluche, attribuendogli un’esistenza reale,
investendolo della gentilezza e della dolcezza di un cavallo
autentico. Non riconoscendo la natura dei nostri pensieri, siamo
simili a questo bambino: prendiamo come reale ciò che non lo é e,
da lì, proviamo sofferenze e gioie.
Il meditante che, invece, realizza il mahamudra, ovvero riconosce la
vera natura della sua mente, é paragonabile a un adulto che non
confonderà un’imitazione di tigre o di cavallo. “E’ ben fatto, penserà
l’adulto; si direbbe una tigre, si direbbe un cavallo. Ma non si lascia
ingannare sulla realtà dell’oggetto e non é portato quindi a reagire
come farebbe in presenza di una vera tigre o di un vero cavallo.
E’ libero da paure e da gioie che la situazione reale causerebbe. Nello
stesso modo, per colui che ha realizzato il mahamudra, i pensieri, il
cui carattere reale é smascherato, non danno più luogo a
complicazioni emotive: essi non generano né sofferenze né gioie11..
Nella nostra mente appaiono pensieri e immagini di ogni tipo;
tuttavia essi non hanno una reale esistenza. Lhaktong riconosce
simultaneamente le manifestazioni mentali e la loro assenza di
esistenza reale. Non si tratta affatto di cancellare la manifestazione,
né di negare la facoltà creatrice della mente, ma di vedere il suo
carattere privo di esistenza propria. Una falsa tigre appare
comunque con una forma: é l’ aspetto manifestazione. Sapere,
d’altra parte, che non é reale, corrisponde all’aspetto vacuità. La
visione superiore riconosce nello stesso tempo la forma della tigre e
la sua irrealtà, l’unione della manifestazione e della vacuità.
PRENDERE IL RIMEDIO
Esistono numerosi metodi per praticare lhaktong, così come
esistono numerosi metodi di shiné. Noi abbiamo qui considerato
due tipi di approccio:
– Analizzare la natura della mente calma,
– Determinare da dove vengono i pensieri, dove dimorano, dove
vanno.
Non é sufficiente comprenderli intellettualmente. E’ indispensabile
metterli in pratica mediante la meditazione. Non meditare e
accontentarsi di pensare che quanto é stato appena esposto sia
esatto, sarebbe sterile. Quando siamo ammalati, il medico identifica
la malattia, prescrive le medicine, illustra gli effetti attesi. Noi
tuttavia non guariamo se ci accontentiamo di accettare la diagnosi,
di aver ben compreso quali medicine assumere, come prenderle e
quali ne saranno i risultati. Occorre anche assumere il rimedio
prescritto per guarire. Allo stesso modo, non é sufficiente
comprendere cosa sia la meditazione, occorre meditare.
Meditare alcuni giorni, alcuni mesi, anche un anno , poi
abbandonare, non porterà affatto dei frutti. Un malato deve
assumere i rimedi prescritti fino alla completa guarigione. Se si
ferma nel corso del trattamento, anche se questo dura dei mesi o
degli anni, il male riprenderà il sopravvento.
Questo non significa affatto che la mente dimori da lì in una
specie di indiffernza permanente, noiosa e scialba. La
mente sperimenta, al contrario, la propria felicità, non
paragonabile con le gioie ordinarie, a tal punto che essa viene
detta al di là dei concetti di gioia e non-gioia. La mente
di un essere liberato é non solamente al di là della sofferenza,
essa é per natura ed in modo inalterabile, pace, lucidità,
intelligenza, felicità, amore e potere, infinitamente più viva di
quanto non sia attualmente la nostra.
MESSAGGIO AI PROVENZALI
Parecchi anni addietro, risiedeva a Aix-en-Provence un anziano
lama, chiamato Lama Ghélèk. Nel cuore dei discepoli fortunati,
egli piantò il seme della devozione. Le istruzioni che vi ho dato in
questi giorni, sono l’acqua e il concime che getto su questo seme.
Alimento la grande speranza che da qui a qualche anno, la pianta
porterà dei bei frutti: esperienze e realizzazioni autentiche. Se
potete mangiare questi frutti, gustarne il sapore e il succo, ne
deriverà un bene immenso sia per voi che per gli altri.
Un giornalista mi ha chiesto ieri se la Provenza occupasse un posto
privilegiato nello sviluppo del Buddismo tibetano in Francia. Ho
risposto che il cielo della Provenza era più bello che in qualsiasi
altro luogo della Francia; quanto al Dharma, é presente in Provenza
come é presente in numerose altre zone della Francia, ma non
occupa una posizione preminente. Appartiene al futuro l’accordargli
questo ruolo privilegiato: alla particolare bellezza del cielo,
dovrebbe corrispondere uno sviluppo particolare della meditazione.
Questo, almeno, é il mio auspicio.
* * *
Domande – Risposte
Da dove vengono le emozioni conflittuali?
Da tempi senza inizio, la nostra mente é sotto il dominio dell’ego.
Oltre a ciò, durante la successione delle nostre vite si sono formate
nella nostra mente delle impregnazioni inconsce che condizionano
ora la nostra percezione del mondo e le nostre reazioni emotive alla
situazione. La collera, il desiderio, ecc.., fanno parte di queste
impregnazioni. Da ciò hanno origine le emozioni conflittuali.
Nel momento in cui tali emozioni si sollevano con forza nella nostra
mente, il rimedio non é quello di rimuoverle. Riconoscendo la
presenza e l’intensità dell’emozione, é senza dubbio preferibile dire:
“benvenuta, benvenuta, entra dunque!” Può darsi che l’emozione
sfugga al nostro invito!
Il carattere costrittivo di un pensiero o di una emozione deriva dal
fatto che noi vi ci identifichiamo. Se, al contrario, la lasciamo senza
proprietario, senza occupante, essa cessa di essere nociva. I
pensieri sono come dei veicoli su una strada. Quando si verifica un
incidente, se noi non siamo nell’automobile, siamo indenni!
Che fare di fronte alla difficoltà di visualizzare?
Visualizzare é effettivamente difficile quando si é agli inizi. La presa
di Rifugio, la pratica di Dorje Sempa, il guru-yoga e la nostra
perseveranza sono dei mezzi che eliminano gradualmente la
difficoltà.
Nella nostra mente si sollevano numerosi pensieri legati a delle
emozioni conflittuali, collera e altre. Anche quando abbiamo
compreso che non hanno un’essenza propria, che non esistono
realmente, che sono nocive, esse appaiono indipendentemente
dalla nostra volontà. E’ per questo motivo che é necessario
purificare la nostra mente dagli errori e dai veli che influiscono
negativamente su di essa mediante la pratica di Dorje Sempa e
unire la nostra mente a quella del nostro maestro.
Come pregare il lama?
Visualizzando il lama, noi pensiamo che egli è veramente presente
e ci affidiamo alla sua protezione. Gli chiediamo che vengano
allontanate le nostre sofferenze e che vengano dissipati i veli che
offuscano la nostra mente, che la nostra mente trovi la pace e la
felicità. Se conosciamo la preghiera del Rifugio possiamo recitare
quella altrimenti, possiamo esprimerci con parole nostre.
Come distinguere tra quanto deriva dall’ego e quanto proviene
dalla nostra natura pura?
La nostra mente é nel contempo conoscenza e ignoranza. In
generale, i pensieri dualistici derivano dall’aspetto ignoranza; la
coscienza primordiale non-duale é l’espressione della conoscenza.
Tuttavia, la fede, la compassione, ecc., sono anch’esse delle
espressioni della conoscenza.
Cosa bisogna fare di fronte a un problema ricorrente?
Il ripresentarsi di un problema é dovuto al Karma, a certi veli e certi
errori che offuscano la mente. Il rimedio é dunque quello di
purificarsi attraverso la pratica di Dorje Sempa, di shiné, di
lhaktong, la devozione al lama, la presa di Rifugio, la compassione
per gli esseri. Una volta dissipato il karma negativo, il problema non
potrà più ripresentarsi essendo scomparsa la sua causa. La nostra
mente é stretta tra i nodi dell’ego, delle emozioni conflittuali e della
sofferenza. Pregare il lama, praticare la meditazione di Dorje
Sempa, unire la propria mente alla Mente del lama, permettono di
sciogliere questa stretta e di recuperare uno stato di distensione e
di benessere. Questo, inoltre, rafforzerà molto la nostra fiducia nel
dharma e farà nascere spontaneamente la compassione nei
riguardi di coloro che, privi del dharma, non conoscono la natura
della loro mente.
Come collocare la meditazione di Chenrezi in relazione a shiné
e lhaktong?
La meditazione di Chenrezi include sia shiné che lhaktong. Quando,
dapprima, visualizziamo Chenrezi al di sopra del nostro capo,
immaginiamo il suo viso, le sue braccia, i suoi ornamenti ecc., e
posiamo la nostra mente senza distrazione su questa apparenza,
questo é shiné. Quando comprendiamo simultaneamente che
questa forma di Chenrezi é immateriale, che non esiste in quanto
cosa, che é simile a uno specchio, sebbene nello stesso tempo non
sia inerte bensì conoscenza, amore e potenza, questo é lhaktong.
Una buona meditazione di Chenrezi comprende shiné e lhaktong.
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Lama Guélèk risedette dal 1977 al 1980 a Aix-en-Provence ,
dove Kalu Rimpoche gli aveva affidato la guida del
centro tibetano situato allora in Rue de la Fourane.
Giovane monaco, venne notato dal suo maestro,
Sangyé Tulku, che
gli trasmise numerosi insegnamenti in privato,
anche durante la notte, facendolo talvolta venire in camera sua. Egli
trascorse in seguito la maggior parte della vita in ritiro, fino all’esilio,
alla fine degli anni cinquanta. In India, egli
incontrò Kalu Rimpoche e fece di nuovo un ritiro di tre anni
nel suo monastero di Sonada, contemporaneamente a Bokar
Rimpoche. E’ pure a Sonada che egli decedette,
nel Luglio del 1981,in seguito ad una malattia folgorante. I segni
meravigliosi che accompagnarono la sua morte confermarono,
se ce n’era bisogno, la profonda realizzazione acquisita
nel corso della sua vita.
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