La meditazione, come modo di vita – di Sogyal Rinpoche

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La meditazione, come modo di vita

Tratto da: SOGYAL RINPOCHE MEDITAZIONE

– Cos’e’ e come praticarla –

Edizioni Amrita

– Nel flusso mentale : la meditazione come modo di vita –

Quante persone ai nostri giorni hanno familiarietà con la meditazione ? In alcune parti del mondo in
particolare, la meditazione è diventata un fenomeno molto comune, quasi un lavoro domestico. Ha
incontrato un’accettazione generalizzata, perchè viene riconosciuta come pratica che spezza molte
barriere, sia culturali che religiose, e che mette a fuoco lo sviluppo spirituale personale, giacchè
da molti punti di vista, la meditazione è una pratica che trascende la religione.

Se dovessimo presentare la meditazione da una prospettiva Buddhista, per prima cosa dovremmo notare
che la pratica meditativa mira a lavorare sulla mente, sul cuore, e con l’energia. Certe volte
possiamo praticare la meditazione in maniera molto semplice: lasciamo tranquilla la nostra mente, in
una condizione naturale; nell’immobilità, nel silenzio e nella pace. Quietamente.

Alcuni possono conoscere un metodo e usarlo, come l’osservazione del respiro. Ma altri, quando
diciamo loro ” Sedete “, poi non sanno assolutamente che fare, e aspettano che il silenzio finisca
il più presto possibile, perchè è qualcosa a cui non sono abituati, e per quanto idilliaco possa
essere l’ambiente in cui viviamo, senza’altro è stato raggiunto dagli influssi del ventesimo secolo.
Limitarsi a rimanere tranquilli e silenziosi è una cosa con la quale abbiamo la minima familiarietà:
l’immobilità ed il silenzio ci rendono nervosi ed insicuri, come se trovarsi di fronte a se stessi,
senza alcuna attività – tutti soli con noi stessi – fosse un’esperienza piuttosto terrorizzante. E
la maggior parte delle volte, quando sediamo tranquilli, quello che succede è che i nostri pensieri
cominciano a correre a 2000 l’ora, se non più veloci. Quasi sempre, quando sediamo, il problema
riguarda l’energia.

A volte, però, le cose sono facilitate da un certo ambiente; potrebbe essere un ambiente naturale, o
una certa atmosfera creata da amici o praticanti, che siedono in silenzio tutti insieme: allora,
anche se non avete familiarietà con la meditazione, il fatto stesso di essere in un ambiente del
genere vi ispira la pace mentale.

Nelle prime fasi, quindi, la meditazione calma, pacifica e stabilizza la mente. In effetti il
termine sanscrito per indicare la meditazione è ‘ Dhyana ‘- in Tibetano ‘Samten’, in Cinese ‘Ch’an’
ed in Giapponese ‘Zen’ – Che cosa significa la parola tibetana ‘Samten ‘ ? ‘Sam’ è la mente
pensante, e ‘Ten ‘ significa solidificare, calmare o stabilizzare. Significa anche ” affidabile ” o
” stabile “.

Così, il nostro primo passo è calmare e stabilizzare la mente pensante. Se la mente è in grado di
stabilizzarsi da sola, senza ausilio di oggetti o tecniche, va benissimo. Altrimenti, se non siamo
abituati, o se non ci sentiamo a proprio agio, e se semplicemente non sappiamo come fare, allora in
certi casi ci serviamo di tecniche, quali osservare il respiro, guardare un oggetto, od usare un
mantra, per aiutare la mente a focalizzarsi, calmarsi e stabilizzarsi.

Quello che è sempre molto importnate tenere a mente è che il metodo, o l’esercizio, non sono che un
mezzo; in altre parole, non sono la meditazione. E’ per mezzo della pratica che si raggiunge la
perfezione: il puro stato di presenza totale, che è la meditazione.

Quando siamo realmente noi stessi … quando noi ci manifestiamo .. quando tutto il nostro ego
innaturale si è dissolto … quando non esiste più dualità … quando siamo in grado di arrivare
alla condizione non duale di assenza dell’ego… quello stato si chiama meditazione, nel senso
ultimo della parola. Allora non esiste più alcun conflitto, perchè la dualità viene naturalmente
dissolta e liberata.

Così, quello che cerchiamo in realtà di fare quando pratichiamo la meditazione è calmare e
stabilizzare, così da dimenticare la nostra mente confusa, o ” sé egoico “. L’ego è un sostituto, un
sé fasullo, sempre mutevole. Non è altro che un insieme di idee, concetti, condizionamenti, basati
non sulla verità, ma su pure menzogne e credenze che, sottoposte ad esame, dimostrano di non aver
alcun fondamento reale.

E’ importante ricordare che il principio dell’assenza dell’ego nel Buddhismo non significa che prima
c’era un ego, e che per il Buddhista se ne è liberato ! Al contrario, significa che per cominciare
non esiste alcun ego, e che bisogna realizzare ‘questa’ assenza di ego.

Talvolta, quando facciamo pratica, riusciamo a trovarci in stato meditativo; allora scopriamo che
non esiste più alcuna dualità, conflitto o confusione. E se guardiamo dentro di noi, quando ci
troviamo in tale stato, scopriamo che l’ego è inesistente: ci manifestiamo attraverso il nostro vero
sé naturale, o Sè Buddhico, il ” sé privo di sè ” che è sempre dentro di noi, e che costituisce la
nostra natura inerente. E’ questo che tutte le religioni hanno sempre definito principio di bontà, o
divinità: l’uomo è fatto ad immagine di Dio, come dice il Cristianesimo; nel Buddhismo diciamo che
la natura del Buddha esiste in ogni cosa.

E dov’è questa bontà, questa natura Buddhica ? Nel profondo della Natura della Mente. E’ come il
cielo momentaneamente oscurato dalle nubi che, quando le nuvole si dissolvono, si rivela, limpido e
chiaro, con un sole immenso di compassione che risplende su ogni cosa. Noi chiamiamo questa luce
solare ” Boddhicitta “, il ” cuore della nostra essenza illuminata “.

Questa bontà fondamentale deve essere trasportata nella nostra realtà; anche se è la nostra natura,
e siamo tutti Buddha, siamo solitamente piuttosto confusi e rannuvolati, ed abbiamo dimenticato e
perso il contatto con quello che siamo realmente.

Quando diciamo che abbiamo la natura di Buddha, parliamo in termini di Terra; non dello stato finale
di purificazione.

Così, anche se Buddha ‘è’ la nostra natura, non ce ne rendiamo conto, dal momento che siamo oscurati
da due nubi: quella emozionale e quella intellettuale.

Siamo partiti insieme, ma il Buddha ha preso una strada, e noi l’altra. Così, negli insegnamenti
chiamiamo questo concetto ” una Terra, due Sentieri “. Abbiamo fatto qualche passo lungo la nostra
strada, e questo si chiama ‘ Samsara’. In particolare, in Occidente, stare nel ‘Samsara’ è molto
facile perchè il suo meccanismo domina il nostro essere con tanta potenza, ed il passo con cui
procede è così spedito. Noi dobbiamo uscire dal nostro sentiero per cercarlo, il ‘Samsara’, e
nemmeno attendere che arrivi; è ovunque come la polvere: oggi pulisci e domani ce n’è altrettanta.
Dal momento che la sua influenza è così forte, il ‘Samsara’ si perpetua da solo, senza bisogno di
alcun aiuto da parte vostra.

Il fine della meditazione è conservare la purezza della nostra natura inerente, ed anche se non
riusciamo a rimanere a lungo in tale stato, se ogni giorno iniettiamo almeno una goccia di una tale
pura consapevolezza nel nostro flusso mentale, ne costruiamo lentamente l’intelaiatura.

Il nostro carattere di base, fondamentale, non è altro che un flusso mentale, od energetico: noi
‘siamo’ solo un flusso mentale.

Se ci guardiamo, e ci chiediamo chi siamo realmente, forse scopriremo che la nostra identità è tutte
queste cose diverse: il passato, i nostri genitori, la nostra casa, il nostro lavoro, il nostro
cane, la nostra compagna, nonchè qualsiasi altra esperienza.

E’ possibile che oggi ci sentiamo bene perchè oggi le cose vanno bene, ma se domani, chiedendoci
come stiamo, scopriamo che non è la stessa cosa, dov’è finito il ” sentirsi bene ” ? E’ scomparso
completamente, perchè nuove influenze si sono succedute alle precedenti. E noi continuiamo a
cambiare con il mutare delle circostanza, come il flusso di un ruscello; anche se sembra sempre lo
stesso, in effetti cambia continuamente….

Così dobbiamo modificare questo flusso mentale, con la purezza della nostra natura intrinseca.

Infatti, lo scopo della meditazione, non è solo avere davvero una fugace visione di quello che è la
nostra natura e penetrarla, ma anche portare una tale consapevolezza nella nostra vita quotidiana;
la nostra esistenza ordinaria ed il modo in cui vediamo le circostanze normali della nostra vita
saranno allora benedette da una tale prospettiva. Anche solo esercitarsi per un breve periodo nella
meditazione può fare un mondo di bene, ma se volete una tale pratica abbia realmente un effetto
stabile e duraturo, quello che dovete fare non è prenderla come una medicina o una terapia
occasionale, ma come se fosse la fonte quotidiana di cibo o sostentamento.

Solo allora gli effetti reali della meditazione potranno farsi sentire.

Basta pensare a quanto a fondo abbiamo percorso l’altra strada, creando concretamente un’abitudine’
che domina la nostra esistenza. Se guardiamo i nostri sogni, per esempio, vediamo che non sono altro
che rappresentazioni ed immagini di abitudini, e, come si usa dire, ” le vecchie abitudini sono dure
a morire “. Ci vuole ‘un bel po’, perchè, se anche lo stato meditativo è un’arma molto potente
capace di spezzare la confusione, è altrettanto vero che non fa parte della nostra esperienza
quotidiana e che non è diventata essa stessa un’abitudine: così non siamo capaci di trasportare la
sua influenza positiva nel mondo delle nostre abitudini radicate.

Ma, ancora una volta, è importante non accentuare troppo concetti dualistici, di lotta tra bene e
male; tutto questo è più simile al concetto di luce: quando splende, non si trova più l’oscurità.

Così dobbiamo portare luce alle nostre vite, tirar fuori la nostra vera natura e permetterle di
risplendere. Se guardate a certi grandi maestri, od ai buoni praticanti, od anche solo alle persone
buone, vedrete che irradiano calore, una presenza che è fonte di ispirazione, e che potete
riconoscere quando vi trovate in loro compagnia.

E’ interessante notare che i Tibetani, quando parlano tra loro, non chiamano il loro capo ” il Dalai
Lama” bensì ” Kun Dun”, che significa ” la presenza “. Una persona realmente presente è un Buddha, e
questa presenza buddhica è ciò che dobbiamo coltivare.

All’inizio viene chiamata ” attenzione ” e quando la si realizza pienamente, diventa ‘presenza’. La
disciplina della pratica reale della meditazione insegna a mantenere una tale presenza nella nostra
vita quotidiana.

Nel Buddhismo, si sente spesso pronuciare la parola ‘disciplina’: la disciplina non significa un
atteggiamento rigido, o una routine militaresca senza senso dell’umorismo, ma una consapevolezza e
presenza di spirito continua. Viene definita ” come un profumo impregnante “.

Nelle conversazioni avute con dei terapeuti, molti mi hanno spiegato come, stando alla loro
esperienza, uno dei metodi più potenti di guarigione sia una ‘profonda’ meditazione in postura.

A volte chiedono ai loro pazienti di rimanere in postura, come minimo per tre ore.

Un altro fenomeno che hanno osservato è il fatto che anche se alcuni possono essere fortemente
legati alla meditazione o ad altre tecniche di trattamento, e si sentano a proprio agio con esse,
ciò nonostante non riescono ad ottenere gli effetti desiderati: i sintomi non mostrano alcun
miglioramento. Scoprono poi che la causa è il fatto che questi particolari pazienti accettano di
meditare solo in presenza del terapeuta. Non continuano poi effettivamente, fino a portare la
pratica nella vita quotidiana facendone qualcosa di reale. Quando invece ci riescono, i successi
sono molto più netti. Nello stesso modo, dobbiamo vedere la pratica della meditazione come modo di
vivere.

Ogni volta che praticherete la meditazione, sia nelle prime ore del mattino, che in qualsiasi altro
momento della giornata, vi accorgerete che aprirà una porta sul vostro essere inerente. Dopo questa
apertura iniziale, la cosa più importante non è la pratica in sé, ma lo stato mentale che una tale
pratica sviluppa dentro di voi: mangiare è piacevole, ma è più importante sentirsi soddisfatti e
nutriti; così, lo stato mentale indotto dalla meditazione ha un significato molto maggiore del fatto
stesso di meditare.

Troppo spesso la gente si dedica alla meditazione per ottenere qualche risultato straordinario, come
visioni, luci o miracoli sovrannaturali, e se tutto questo non accade , si sentono piuttosto delusi.

Ma il miracolo che avviene in realtà è più normale e più utile: è una trasformazione sottile, non
solo nella vostra mente e nelle vostre emozioni, ma anche nel vostro corpo, ed è altamente curativo.
Come hanno scoperto scienziati e medici, quando godete di un buono stato mentale, anche le cellule
del vostro corpo sono più contente: riuscite ad immaginare le cellule che alzano i loro piccoli
calici di champagne e dicono ” cin cin ” ? Ma quando la vostra mente si trova in uno stato negativo,
allora anche le vostre cellule diventano maligne.

La nostra salute globale ha parecchio a che fare con il nostro stato mentale, e con il nostro modo
di essere.

In particolare, in questo periodo, in cui gli uomini sono colpiti da così tante malattie, la
comprensione di questo fatto non può non risvegliare in noi la possibilità di veder la vita in modo
diverso: in un certo senso non esiste possibilità di scelta; è davvero questione di sopravvivenza.
Vivere con lucidità è la più grande protezione, anche per la nostra salute.

Così dovete prolungare lo stato mentale nel quale vi trovate dopo la meditazione, sicchè farete ogni
cosa con quella presenza mentale. C’è una storia molto famosa di una conversazione di un maestro Zen
ad un suo discepolo, il quale gli chiede: ” Maestro, come porti l’illuminazione nell’azione concreta
? Come la pratichi nella vita quotidiana ? “

” Magiando e dormendo “, risponde il maestro.

” Ma, Maestro tutti dormono e mangiano .”

” Ma non tutti mangiano quando mangiano, e non tutti dormono quando dormono “.

Da qui deriva il famoso detto Zen:

” Quando mangio, mangio.

Quando dormo, dormo “.

Questo significa essere presenti al 100% nell’azione; non siete più il vostro ego ordinario, e la
vostra azione è diventata un’azione universale, un’azione compassionevole. Senza più dualismo,
‘diventate voi stessi l’azione’. Per esempio, è stato scoperto che quando rigoverante, se mantenete
la mente pura e lavate i piatti con tutto voi stesso, ciò è molto energizzante. Se invece nel
frattempo pensate a molte altre cose, allora diventerà una seccatura. Questo dovrebbe suggerirvi
l’applicazione continua della lucida attenzione e della presenza. Se volete che la vostra pratica
sia veramente di beneficio per voi e per la vostra esistenza, e perciò anche di beneficio per gli
altri, non potrete dedicarvi ad essa solo occasionalmente.

Spesso la gente chiede: ” E’ meglio praticare venti minuti la mattina, o la sera, oppure fare
diverse sedute più brevi ? “

Sì, è positivo praticare la meditazione venti minuti, anche se questo non vuol dire che venti
minuti sia un limite massimo. Da nessuna parte nelle scritture si parla di venti minuti. “

Venti minuti ” è una nozione che si è sviluppata in Occidente; potreste chiamarla ” Periodo Standard
per la Meditazione ” . A volte la gente teme, se non rimane in postura per venti minuti, di fare
qualcosa di sbagliato, come quando si interrompe una cura di antibiotici. Ma il punto fondamentale
non è il tempo: il punto è se la pratica vi porta realmente ad un certo stato di presenza.

Se così è, potete rimanere in postura anche solo cinque minuti, per tre minuti, potete sedervi anche
solo per un minuto …, per trenta secondi… perfino cinque secondi… ma potrebbe non essere
sufficiente !

Il punto fondamentale non è nemmeno la postura; in particolare i meditatori pigri che si siedono per
venti minuti e si appisolano !

Per loro, in particolare, venti minuti di meditazione sonnolenta non sono consigliabili: dovrebbero
praticare seduti cinque minuti , ma ben svegli… Credo che siano abbastanza felici di questa
notizia !

Il mio maestro, Dudjom Rinpoche, diceva sempre che un principiante dovrebbe meditare in brevi
sedute. Praticate per tre-cinque minuti, poi fate una breve pausa, di almeno un minuto.

Quando fate una pausa, quello che in realtà fate è lasciar andare la tecnica meditativa.

Specialmente se vi siete impegnati molto durante la seduta, nel momento in cui fate una pausa,
lasciandovi andare, ma mantendendo la vostra presenza, spesso la meditazione si manifesta ‘ in quel
momento’. Ecco perchè la pausa è una parte della meditazione importante, quanto la postura.

Riprendete la postura per un breve periodo e poi fate una pausa, lucidi e naturalmente rilassati.
Poi sedetevi di nuovo.

Così fate numerose sedute brevi: cinque minuti di pratica, poi un minuto di pausa, e così via.

Se fate così, l’intervallo rinfresca la vostra meditazione, e la meditazione fa della vostra pausa
un’espressione naturale della vostra pratica.

Se continuate una tale forma di alternanza di pratica e di rilassamento interconnessi dal filo della
vostra lucidità, allora lentamente, lentamente, tra meditazione e post-meditazione ci sarà minor
differenza, scomparirà il confine. Come ha detto un grande maestro: ” Non ho mai meditato, ma non mi
sono mai neanche mai distratto, neppure per un sol secondo.” Un tale praticante non ha bisogno
necessariamente di meditare, perchè si trova sempre in tale stato, e non si distrae mai, nemmeno per
un solo momento.

Naturalmente, il problema sta nel riuscire a farlo per ventiquattr’ore al giorno,
trecentosessantacinque giorni all’anno. Quando fate un ritiro meditativo, per esempio, il fine
fondamentale è tagliarvi fuori dagli impegni della vostra esistenza e ritirarvi nell’ambiente
naturale e propizio della meditazione. Ritiro significa mettere un limite alle attività superflue:
in una tale situazione voi mantenete la meditazione quasi ventiquattr’ore al giorno, anche mentre
dormite, mangiate e vi rilassate. Se la vostra pratica è intensiva, profonda e rilassata a quel
modo, allora comincia ad avere un effetto di fondamentale importanza sul vostro essere profondo, e
sul flusso della vostra mente.

Però, non è soltanto praticando nell’ambiente di un ritiro che i benefici della meditazione possono
permeare il vostro flusso mentale. Dopo un tale ritiro, anche mentre vivete la vostra solita
esistenza in città, potete praticare un po’ al mattino e quindi applicare una tale presenza in tutta
la vostra vita quotidiana. Allora, ogni volte che vi sentite persi, confusi, o distratti, tornate
alla vostra meditazione, od alla vostra respirazione, riconquistate e matenete tale stato di
presenza, e riposate in esso per tutto il tempo che potete.

E’ l’applicazione continua di tale presenza che provoca realmente cambiamenti profondi. Se a volte
vi accorgete che non è così semplice praticare da soli, o nella vostra stanza, allora cercate di
andare a praticare all’aperto. Alcuni, che trovano difficile mantenere la postura, traggono grandi
benefici dal praticare in silenzio mentre camminano; in particolare se vivono in un bell’ambiente
naturale.

Potete sedere in riva ad un fiume e vedere come continua a cambiare mentre vi passa davanti:
ispirerà la vostra introspezione, e potrete abbandonare quietamente la vostra mente, lasciando
fluire l’energia. Oppure, potete contemplare l’oceano, o sdraiarvi per terra e fissare il cielo,
abbandonando quietamente la vostra mente, e lasciando che il cielo esteriore ispiri una spazialità
interiore. Questo è un modo nel quale potete praticare. Un altro è usare la respirazione, che è il
metodo più comune nel Buddhismo. La respirazione è il tramite vitale dell’energia; è come lo
spirito, che riunisce il corpo e la mente. Si dice spesso che la respirazione sia il veicolo della
mente. Così, se volete calmare, o domare la mente, domate il respiro, e allora domerete abilmente la
mente nel contempo.

Quando usate la respirazione, tenete la bocca leggermente aperta come se foste sul punto di dire “
aaah “. Non serve una respirazione speciale; respirate come vi viene, in maniera rilassata. A volte,
respirare ed essere presenti è sufficiente, ma se avete bisogno di concentrarvi perchè la vostra
mente è molto agitata e turbolenta, allora centratevi sulla vostra respirazione ed identificatevi
con l’espirazione.

Questa è una tecnica interessante, perchè, mentre all’inzio può essere solo una semplice pratica di
osservazione dell’espirazione, in seguito, se si viene introdotti in forme di meditazione più
avanzate, ci si accorge che può aprire molte, molte porte. Serve quasi come preparazione per la
pratica meditativa di Mahamudra, o dello Dzogchen.

Osservate la respirazione, focalizzatevi sull’espirazione e identificandovi in essa. Quando
espirate, il respiro si dissolve nello spazio; l’inspirazione avviene naturalmente ogni volta che i
vostri polmoni si svuotano, così non dovete pensarci troppo.

Non concentratevi troppo; date circa il 25% della vostra attenzione, e lasciate il resto quietamente
rilassato, tutt’uno con il vostro respiro.

Usate questa tecnica per tutto il tempo che vi serve. Vi porterà maggiore chiarezza. Poi, quando vi
ritroverete più centrati nella natura della vostra mente, e quando vi ritroverete in sintonia con il
respiro, non dovrete più rivolgergli particolari attenzioni. Limitatevi semplicemente a riposare
nella pace della vostra mente.

Tranquillamente, svegli, attenti e rilassati.

Poi, cominciate nuovamente a distrarvi, ritornate ancora una volta alla respirazione.

Questa è la tecnica.

Ora si tratta solo di metterla in pratica.

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infrasuoni sulla meditazione e la riflessione.

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