La meditazione – Consigli ai principianti – 2
di Bokar Rimpoche (parte 2a.)
LA MEDITAZIONE
Consigli ai principianti
(parte seconda )
DOMANDE – RISPOSTE
Si può meditare mentre si lavora?
Se noi lavoriamo senza distrazione, applicandoci a quanto stiamo facendo,
questa pure é meditazione.
Quale durata e quale frequenza adottare all’inizio? Si può meditare con gli
occhi chiusi?
Se non si ha molto tempo a disposizione, meditare anche solo un quarto d’ora
al giorno con regolarità é già di beneficio. Se si dispone di più tempo,
fare due sessioni di quindici minuti é ancora meglio. Quanto al mantenere
gli occhi aperti o chiusi, questo dipende dall’aiuto che uno ci trova.
Quando lo spirito é perturbato da moltissimi pensieri, chiudere gli occhi
potrà essere di beneficio. In caso contrario, si possono tenere aperti. Al
di là di questa relazione con i nostri pensieri, non ha molta importanza.
La meditazione, presenta dei rischi?
Se ci si affida ad un istruttore qualificato, nessuno. Se, al contrario, si
medita senza questa guida, la nostra meditazione può essere semplicemente
sterile oppure, effettivamente, comporta dei rischi.
In alcune meditazioni, si utilizzano dei simboli dei cinque elementi che
comportano certi colori. Sono questi semplicemente convenzionali o hanno una
loro profonda ragion d’essere?
La natura ultima dei cinque elementi é implicita al modo di essere dello
spirito. Realizzata, questa natura essenziale dei cinque elementi é
riconosciuta come essere i cinque Buddha femminili. Senza questa
realizzazione, appaiono i cinque elementi ordinari. I colori attribuiti ai
cinque elementi sono quelli della loro natura primordiale; non sono quindi
delle semplici convenzioni.
Una volta pacificati i pensieri, come evitare di restare in uno stato di
quiete vaga?
Per evitare la mancanza di chiarezza e la sonnolenza, occorre rinforzare la
vigilanza. Tuttavia, la vigilanza deve essere regolata con attenzione:
troppo tesa genera dei pensieri supplementari, troppo allentata, porta alla
sonnolenza o all’ebetudine. Occorre trovare il giusto equilibrio.
Ad un dato momento, mi ha colpito “né gioie né dolori”, il che implicherebbe
lo stato di neutralità emozionale. in queste condizioni, cosa significa
scambiare se stessi con gli altri?
E’ vero che la meditazione rende liberi dall’influenza delle gioie e delle
sofferenze esterne. Tuttavia, quando durante la meditazione noi sviluppiamo
il pensiero di ottenere il Risveglio per il bene di tutti gli esseri, il
risultato di questo orientamento dato alla nostra mente sarà che, una volta
raggiunto il Risveglio, compiremo spontaneamente il bene universale senza
che ciò implichi sforzi o intenzioni parziali. Il sole dispensa i suoi raggi
benefici a tutti gli esseri e a tutta la manifestazione, senza dover pensare
“occorre che io riscaldi il tale, che faccia maturare tali frutti ecc”.
Nello stesso modo, l’irraggiamento benefico di un Buddha, si esplica
spontaneamente nei riguardi di tutti gli esseri. Non é tuttavia un
irraggiamento inconsapevole. Un Buddha, é pienamente consapevole della
situazione degli esseri e della propria azione. Egli conosce le afflizioni
di coloro che soccorre, ma la sua azione é priva di sforzo. Essa si
esercita, nel dominio della manifestazione, in diversi modi: attraverso il
Corpo di Gloria, guidando degli esseri gia puri, attraverso il Corpo di
Emanazione[1] che si rivolge agli esseri ordinari che noi siamo così come
attraverso i supporti sacri quali statue, dipinti, mantra, ecc.
Possono gli scritti essere sufficienti per raggiungere la Realizzazione?
Senza maestro, gli scritti sono insufficienti. Ciò che noi leggiamo nei
libri non lascia nella nostra mente un’impronta abbastanza profonda mentre,
quanto riceviamo dalla bocca di un maestro, lascia questa impronta e genera
una grande fiducia.
Quello che mi disturba nella meditazione, é la parola metodo. Un metodo, é
qualcosa che organizza, qualcosa che condiziona la mente, che la orienta. Io
mi domando come si possa raggiungere, con questi metodi, qualcosa di
incondizionato e di non orientato. D’altra parte, il nostro sapere, i nostri
pensieri e le nostre emozioni, sono il risultato del tempo. Ciò che mi
disturba, inoltre, nei metodi, é che si utilizza il tempo mentre liberarsi
da ogni costrizione é svincolarsi dal tempo.
Una volta che sia realizzata la natura ultima della mente, non vi sono più
metodi. Ma, per realizzare lo stato al di là dei metodi, occorre basarsi sui
metodi. Senza questo supporto, é impossibile realizzare lo stato ultimo. I
metodi implicano una progressione che si inscrive nel tempo: é anche
basandosi sul tempo che si arriva al non-tempo.
Il tempo, esiste realmente o non é altro che la proiezione della mente?
Dal punto di vista ultimo, quello dello Stato di Buddha, non esiste il
tempo. Ma per noi, fino a questa realizzazione ultima, il tempo esiste. Noi
percepiamo ora tre tempi – il passato, il presente e il futuro – come reali.
Concedere una realtà al passato o all’avvenire, crea numerose sofferenze a
causa dei ricordi, delle preoccupazioni e dei progetti con cui mettiamo in
agitazione la nostra mente. In realtà, il passato non esiste più e il futuro
non esiste ancora ma, rendendo realili con il pensiero questi due poli
illusori, noi soffriamo. Dei tre tempi, sono il passato e l’avvenire quelli
che, sebbene inesistenti, ci creano maggiori sofferenze. E, in questo campo,
l’avvenireprevale sul passato. Noi concepiamo ora i tre tempi come realmente
esistenti; attraverso una progressione nel tempo, approfondiamo gradualmente
la comprensione dell’irrealtà dei tre tempi finché non arriviamo al non
tempo.
Dato che le cose sono impermanenti, ciò significa quindi che hanno un tempo?
Il tempo, ora, per noi, esiste, e di conseguenza l’impermanenza. Il
non-tempo, é l’eternità.
Sfumature complementari
IL CIELO E LA MENTE
Molte persone desiderano meditare. Esse capiscono chiaramente che la
meditazione concerne la mente, ma, generalmente, non sanno che cosa essa sia
precisamente.
E’ un po’ come il cielo. Tutti sanno che cos’é; nessuno vi dirà mai : ” Il
cielo? Non lo conosco.” Ma l’idea che si ha del cielo é molto imprecisa ed é
molto difficile trovare qualcuno in grado di definirlo. Se voi chiedete: “
Cos’é il cielo?” la persona interpellata non potrà che puntare il dito verso
il cielo e dire: ” Il cielo é questo. ” Lo stesso succede per la
meditazione: si sa che esiste, il più delle volte si ritiene che sia una
cosa positiva, ma non si sa veramente cosa essa sia.
Cosa é il cielo?
Si dirà abitualmente che il sole é al centro del cielo, implicando la
nozione di centro quella di confini. Un Francese sarà incline a concepire
questo centro e questi confini in relazione alla Francia, ma un abitante di
un altro paese, applicherà il medesimo rapporto al proprio paese. Questo
basta a dimostrare che le nozioni di centro e di confini del cielo sono
soggettive e non corrispondono ad una descrizione della realtà. Le persone
che hanno la fortuna di abitare in Provenza, dicono spesso: ” Com’é bello il
cielo da noi!” Ma é possibile delimitare un pezzo di cielo di cui si possa
dire, in modo esclusivo: ” Questa parte di cielo é il cielo della Provenza
?”
Tutti sanno inoltre che il cielo é azzurro ma ben poche persone sanno il
motivo di questo colore. Da dove deriva? E’ materiale? Immateriale? E
inoltre, qual é la dimensione del cielo?
La meditazione concerne la mente. La mente é molto simile al cielo: senza
forma, senza sostanza, senza dimensione. Proprio come il cielo, tutti sanno
che esiste ma molto pochi sono coloro che sanno cosa sia effettivamente.
Così come il cielo, la mente é privo di centro e di limiti. Tuttavia, noi
non abbiamo l’esperienza di questo stato illimitato; riduciamo invece
l’infinito al finito e restiamo bloccati nei ristretti limiti di ciò che noi
chiamiamo < io >. Questo restringimento, corrisponde alla limitazione
soggettiva implicita nella nozione di
ad esempio, si riferisce al cielo del Sud della Francia, come se esistesse
un pezzo di cielo che si possa ritagliare e definire come se si rapportasse
specificatamente ad una regione. Nella mente infinita, senza centro né
confini, noi ci assimiliamo a una entità molto ridotta: l’ego. Da ciò, hanno
origine tutte le nostre sofferenze e le nostre difficoltà, sia fisiche che
mentali.
E’ vero che alcune sofferenze sono in relazione a circostanze esteriori e
che vi sono più o meno possibilità di intervenire materialmente su di esse.
Di fronte alle sofferenze interiori, invece, qualsiasi rimedio materiale é
vano.
Immaginiamo un re in un paese prospero e in pace, di notte, nel suo palazzo
ben custodito. Questo re, che é in possesso di tutte le circostanze
esteriori favorevoli alla felicità, dorme. Nel suo sogno, appare un nemico
che lo insegue e tenta di ucciderlo. Il re soffre d’angoscia ed ha i
brividi. Le sofferenze di questo sogno non potrebbero essere alleviate da
alcun rimedio esterno alla mente del sognatore. Così noi, possiamo possedere
tutte le condizioni materiali necessarie per essere felici, ma questo é
inutile per la mente che soffre. Solo la via spirituale e la meditazione
permettono di liberarsi dalle sofferenze, dalle angosce e dalle difficoltà
interiori.
L’EGO E I CINQUE VELENI
La nostra mente é fondamentalmente infinita, non é limitata dai vincoli di
un’esistenza individualizzata; non c’é ego. Sebbene esso non esista, noi ci
identifichiamo con questo ego illusorio. esso é il centro e la pietra di
paragone di tutte le nostre relazioni: tutto ciò che rende confortevole la
sua esistenza, tutto ciò che gli é favorevole, diviene oggetto di
attaccamento; al contrario, tutto ciò che minaccia la sua integrità, diventa
un nemico fonte di avversione. D’altro canto, la presenza stessa dell’ego,
occulta l’autentica natura della nostra mente e dei fenomeni, ci rende
incapaci di distinguere tra il reale e l’illusorio. Noi siamo, in questo
senso, prigionieri dell’offuscamento mentale. L’ego genera pure la gelosia
di fronte ad ogni persona considerata come possibile rivale, in qualsiasi
campo. Infine, l’ego, pretende di essere superiore agli altri: é l’orgoglio.
Attaccamento, avversione, offuscamento mentale, gelosia, orgoglio, sono i
cinque veleni di base generati dalla visione egocentrica. Essi costituiscono
un ostacolo irrevocabile alla pace interiore, generando in continuazione
inquietudini, turbamenti, difficoltà, angoscia e sofferenza non solo per se
stessi ma anche per gli altri. E’ evidente, per esempio, che la collera
costituisce una sofferenza per se stessi e per la persona verso cui é
rivolta, che deve subire un viso furioso, imprecazioni e parole che
feriscono.
L’ego e i cinque veleni, ci portano inoltre a compiere degli atti di
carattere nocivo che imprimono nella nostra mente un potenziale karmico[2] negativo, la cui maturazione si esprimerà sotto forma di circostanza
dolorose.
L’ego e il suo seguito, sono il nostro vero nemico, non un nemico visibile
che potrebbe essere vinto da armi o da qualche oggetto materiale, bensì un
amico invisibile che può essere sconfitto solo dalla meditazione e dalla via
spirituale. La scienza contemporanea ha messo a punto delle armi di estrema
potenza, delle bombe in grado di uccidere in un colpo centinaia di migliaia
di persone. Ma nessuna bomba può annientare l’ego e i cinque veleni. In
questo campo, la vera bomba atomica, é la meditazione.
LA MENTE IN VACANZA
La nostra mente é, nel suo stato abituale, occupata permanentemente da
pensieri legati ai cinque veleni. Questi si presentano ciascuno a suo turno:
talvolta sotto l’influsso dell’avversione, talvolta dell’attaccamento,
talvolta dell’offuscamento mentale, talvolta della gelosia, talvolta
dell’orgoglio. L’intensità di questi pensieri può variare di molto, ma non
vi é un solo istante in cui la nostra mente non ne sia agitata.
E’ una bella giornata di vacanza: nessun lavoro da fare, il cibo é pronto,
nessuna discussione da affrontare. Qualcuno può essere seduto tranquillo
senza nessuna preoccupazione esteriore. Eppure, la sua mente si affatica.
Continuamente perturbata, anche leggermente, dal gioco dei veleni che la
abitano, é incapace di stabilirsi in una pace autentica. La mente non é in
vacanza. La mente non può prendersi delle vacanze che attraverso la
meditazione. Non che questa permetta la totale scomparsa dei pensieri; ma,
essi perdono forza e, a intervalli, si smorzano. La mente conosce in quel
momento più pace e benessere. Essa si riposa.
Gli Occidentali lavorano molto durante tutto l’anno, in un ufficio o in
qualche altro posto, e dispongono di un mese o due di vacanze. E’ per loro
la possibilità di recarsi all’estero, di raggiungere il mare, la montagna,
la campagna, con l’idea di trovarvi felicità e riposo. Purtroppo la mente,
non va affatto in vacanza: i cinque veleni, le sofferenze e le difficoltà
interiori, fanno parte del viaggio. In realtà, sono solo delle semi-vacanze.
Solo la meditazione procura delle vacanze a tempo pieno.
MEDITAZIONE NELLA VITA
Un principiante deve necessariamente ritirarsi in un ambiente calmo,
adottare una postura specifica, mantenere il silenzio e rispettare certe
condizioni. Con l’instaurarsi dell’abitudine e dell’esperienza, si
acquisisce la capacità di meditare in tutte le circostanze: camminando,
lavorando, parlando, mangiando, ecc. Da lì, si dispone di molto tempo per la
meditazione. Oltre a ciò, in tutte le circostanze, si mantiene la mente
serena, aperta e distesa. La meditazione é anche questa esperienza di
trovarsi a proprio agio e sereni. E’ anche un’esperienza di libertà. La
libertà é un valore a cui ai giorni nostri attribuiamo estrema importanza
ma, per quanto godiamo di ogni tipo di libertà esteriore, fintanto che la
nostra mente resterà prigioniera dei suoi veleni e dei suoi pensieri, non
saremo liberi.
Un guidatore principiante é molto teso al volante; teme di provocare un
incidente, di non saper guidare come si dovrebbe. Quando sopravviene
l’abitudine, il guidatore é invece in grado , pur essendo pienamente
presente a quanto fa, di parlare con la persona seduta al suo fianco. La
conversazione non gli impedisce di rimanere concentrato sulla guida della
vettura e di prestare attenzione alla segnaletica stradale. Il meditante
principiante, nello stesso modo, deve prestare molta attenzione al solo
esercizio della meditazione; in seguito, progressivamente, sviluppa la
capacità di continuare la meditazione pur essendo pienamente occupato in
altre attività, parlando o lavorando. Si sperimenta allora, in ogni
occasione, un grande benessere interiore e una libertà autentica.
UN VISO APERTO
Man mano noi progrediamo nella pratica meditativa, i veleni della mente
diventano meno virulenti e i pensieri diminuiscono. Anche quando essi
restino presenti, perdono il loro carattere costrittivo e non sono pertanto
causa di sofferenza. La nostra mente si calma e conosce la gioia. Questa si
riflette sul nostro aspetto fisico: il nostro viso é aperto, avvenente,
gioioso. Diventiamo persone di contatto facile e piacevole; gli altri hanno
piacere di frequentarci. La pace e la felicità interiori irradiano
all’esterno.
[1]La pienezza della buddhità, altrimenti detta del Risveglio, é descritta
in termini dei tre Corpi di un Buddha, dove, in questo contesto, Corpo non
significa organismo fisico bensì aspetto dell’essere.
– Il Corpo Assoluto (sanscrito dharmakaya), letteralmente e tecnicamente
corpo di realtà ultima di ogni esistenza , é non-manifestato, inaccessibile
ad ogni determinazione, ineffabile, simile allo spazio. Può essere detto
eterno e infinito o, ancora, a-temporale e a-spaziale sebbene in esso si
inscriva il gioco di ogni tempo e di ogni spazio.
– Il Corpo di Gloria (sanscrito sambhogakaya) detto anche Corpo di completo
godimento delle qualità del Risveglio, é una manifestazione formale del
Risveglio, non materiale, della natura della luce, derivato dalla dinamica
propria del Corpo Assoluto. Invisibile agli esseri ordinari, viene percepito
dai bodhisattva delle tre terre superiori. Non essendo soggetto alla natura
provvisoria dei fenomeni, non é soggetto ad alterazioni temporali.
– Il Corpo di Manifestazione (sanscrito nirmanakaya), designa un Buddha che
appare ad un grado di manifestazione ordinaria come, ad sempio, il Buddha
Sakyamuni. Espressione della compassione, egli guida gli esseri verso la
liberazione.
Si aggiunge spesso un quarto Corpo, il Corpo d’Essenza stessa ( sanscrito
svabhavikakaya)che non é di fatto che un modo di esprimere
l’indissociabilità essenziale dei tre precedenti.
atti, vuole che ogni atto compiuto nella dualità di un soggetto e di un
oggetto, che questo atto sia fisico, verbale o anche mentale, comporti un
effetto di ritorno per colui che agisce. Questo effetto é dapprima
invisibile e impercettibile, simile a un’impronta o a un seme che si
inscriverebbe negli strati più sottili della coscienza individualizzata, al
di là anche dell’inconscio degli psicanalisti, nell’alayavijnana, ovvero nel
serbatoio, o piuttosto, nel potenziale di coscienza. A partire da questo
stato latente, comincia un processo di maturazione che si dispiega
generalmente su più vite, anzi, su centinaia di vite, al termine del quale
il seme karmico si esprime determinando sia le circostanze generali di
un’esistenza (sesso, nazionalità, ricchezza, caratteristiche fisiche,
intellettuali, affettive ecc), sia delle condizioni passeggere (una
malattia, un incontro, un successo, uno scacco ecc). Il tutto funziona – non
é che un paragone- come in un computer: i dati sono presenti in quantità
numerosissime, agiscono gli uno sugli altri, e l’aggiunta di nuovi dati
modifica, più o meno, i risultati. Per il fatto che noi agiamo costantemente
sotto il dominio della dualità – funzionamento deformato che non cessa che
con la liberazione – vi é un flusso permanente di elementi nuovi che nutrono
il nostro potenziale
karmico nello stesso momento in cui una costante maturazione elimina delle
vecchie impregnazioni. L’insieme del processo, lungi dall’essere statico, é
un continuo movimento. Non bisogna dimenticare che tutti i fenomeni che
reggono la nostra vita sono l’espressione del nostro karma e che l’isolarne
un elemento é un errore che viene commesso frequentemente. Pensare che, per
esempio, se uno si ammala é un risultato karmico, e che é quindi inutile
curarsi, é una concezione del tutto frammentaria, nel momento in cui
dimentichiamo che il nostro karma vuole che noi abbiamo pure dei medici e
degli ospedali a cui rivolgerci.
La legge del karma é di fatto una visione molto allargata delle leggi
fisiche che reggono il nostro universo. Se si semina del grano, non spunterà
del riso. Il caso non governa nella materia e tantomeno ha un diritto di
cittadinanza nelle condizioni esistenziali degli individui. Molto complessa,
giacché dipendente dall’interazione di un’infinità di elementi, la causalità
Karmica si riassume pertanto in un principio molto semplice: colui che
genera la sofferenza, imprime nel proprio intimo un potenziale di
sofferenza, colui che genera felicità, imprime un potenziale di felicità.
Lascia un commento