La Meditazione, cos’è e come praticarla 2

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La Meditazione,

cos’è e come praticarla 2

 
 
 
 
 
 
Cos’è la Meditazione?
 
di Aetos 
 
Sicuramente non è facile offrire una definizione chiara e sintetica che vada a soddisfare le qualità proprie di questo vocabolo.
Il dizionario non ci aiuta molto quando ci dice: «il raccogliersi della mente nella considerazione di profondi problemi filosofici o religiosi — pratica religiosa consistente nel raccogliersi in se stesso a meditare sulle verità della fede — predica o scritto di carattere ascetico, o di argomento morale e filosofico». Non ci aiuta molto, poiché tutti abbiamo spesso sentito dire che la pratica meditativa può arrivare ad illuminarci sui perché più profondi della nostra esistenza.

A mio avviso ha senz’altro ragione Jiddu Krishnamurti quando afferma che “la meditazione non è la semplice esperienza di qualcosa al di là dei pensieri e dei sentimenti di ogni giorno, né la ricerca di visioni e beatitudini … La meditazione — che è cessazione del pensiero — apre la porta ad una vastità che trascende ogni immaginazione o congettura; è comprensione del mondo e delle sue vie … Tutto ciò che il pensiero formula ha in sé il limite dei suoi confini, il pensiero ha sempre un orizzonte, la mente meditativa non ne ha, l’uno deve cessare perché l’altro possa essere … La meditazione non è una continuazione o una espansione dell’esperienza, al contrario, è la completa inazione che è totale cessazione dell’esperienza; lo svuotarsi del conosciuto … Se non c’è meditazione, sei come un cieco in un mondo di grande bellezza, luci e colori … Meditare non è ripetere parole, sperimentare visioni o coltivare il silenzio, questa è una forma di autoipnosi … La mente meditativa è vedere, osservare, ascoltare senza la parola, senza commento, senza opinione — attentamente e costantemente — il movimento della vita in ogni suo rapporto; allora sopraggiunge un silenzio che è negazione del pensiero, un silenzio che l’osservatore non può richiamare. Se ne facesse esperienza, riconoscendolo, non sarebbe quel silenzio …”
Eh già… “quel silenzio”. Un silenzio che solo chi ha realmente meditato svuotando se stesso conosce…
Forse è più facile definire la meta della meditazione: la Consapevolezza.
 
A mio avviso, lo scopo della pratica meditativa è proprio quello di favorire la percezione naturale della realtà ed ha fra gli obiettivi quello di ottenere la corretta comprensione del funzionamento di ogni cosa.
Questa importantissima pratica vuole essere un’investigazione continua della Verità, un esame microscopico del nostro processo di percezioni, ed ha come fine quello di sollevare lo schermo di ingannevoli falsità e convinzioni errate attraverso il quale normalmente l’uomo vede il mondo, un artificioso mondo illusorio.
 
A ben pensarci non sappiamo chi siamo – in genere – né comprendiamo i motivi ultimi della nostra esistenza. Non ci conosciamo affatto e, troppo spesso, arriviamo al punto di mentire a noi stessi, incoerentemente, sia sulle nostre debolezze, che sulle motivazioni che le generano. Questo atteggiamento si rivela un ero e proprio rifiuto della Conoscenza ed ha come risultato quello di egarci con un nodo sempre più stretto alla ruota dell’illusione.
 
La meditazione (nel caso specifico,mi riferisco alla meditazione Vipassana) non è, come molti pensano, un tentativo di dimenticare se stessi o di occultare i propri problemi; tramite essa possiamo imparare a vedere nel profondo di noi stessi, esattamente come siamo, possiamo finalmente vedere cosa alberga dentro di noi, comprenderne l’essenza ed accettarla pienamente…
Essa favorisce la vera intuizione, che, peraltro può essere ottenuta solo se ci si libera di quei giri logici a cui abbiamo permesso nel tempo di disorientare la nostra mente; solo evacuando dal nostro sé quei circuiti ingannevoli che ci hanno fatto perdere di vista il nostro nucleo ed il reale centro delle causale. Svincolandosi da essi potremo permettere alla nostra realtà superiore di produrre le giuste ‘soluzioni’ e successivamente alla mente coscente di ‘aprirsi’ ad essa.
 
La meditazione è come un’attività vivente, che utilizza la concentrazione come strumento in virtù del quale la consapevolezza può avere ragione di quel muro di confusione che normalmente ci separa dalla vivida luce della realtà; questo naturale processo consiste in un costante aumento della consapevolezza, applicata ai meccanismi della realtà stessa.

 

Lo scopo che il meditante si propone è, perciò, quello di purificare la mente.
 
La pratica meditativa infatti monda il processo del pensiero da quelli che potremmo definire “irritanti psichici”; vale a dire, da quelle cose, quali avidità, odio e gelosia, che tengono il nostro essere bloccato in una sorta di schiavitù emotiva.
La meditazione guida la mente verso una condizione di naturale tranquillità e consapevolezza, profondendo uno stato di concentrazione e comprensione totale degli eventi.
 
Di fatto, per meditare, non occorre ‘appartenere’ ad un particolare credo religioso e non si ha neppure bisogno di *avere fede*.
La fede, così come viene intesa, ad esempio, nel credo cattolico, non trova alcun riscontro in quella filosofia religiosa che può, ad esempio, essere il buddhismo. Questa “scienza della mente” (proprio in questo modo lo stesso XIV Dalai Lama, Tenzin Gyatso, ha definito il buddhismo in un’intervista) non invita i propri seguaci ad un credo dogmatico, o ad aver fede in qualcosa perché si trova scritta in un antico libro sacro, o perché è attribuibile ad un famoso profeta; o, ancora, perché insegnata da autorevoli persone. La filosofia buddhista, che si caratterizza proprio per la sua infinita apertura, conferisce alla fede un significato che è più vicino a quello di “avere fiducia”, a “sapere che una cosa è vera perché si è visto che è vera”, a “sapere che funziona perché è stata osservata dentro se stessi”.

 

La meditazione porta lentamente ad una vera e profonda trasformazione personale.
 
La persona che entra nell’esperienza meditativa non è la stessa che ne esce. Il meditante cambia progressivamente il proprio modo di relazionarsi, migliorando decisamente il proprio carattere e la propria personalità, attraverso un profondo processo di sensibilizzazione. La meditazione rende profondamente coscienti dei propri pensieri, delle parole e delle azioni… affina mano a mano la concentrazione e la capacità logica. Un po’ alla volta, rende chiari i processi ed i meccanismi del subconscio, acuisce la capacità di intuizione, accrescendo la precisione del pensiero e conducendo gradualmente ad una diretta conoscenza delle cose, rivelandole proprio come esse sono; senza pregiudizi, né abbagliamenti.
 
Sono fortemente convinto che nessuna parola e nessun libro potranno mai descriverci in maniera esaustiva la meditazione.
 
Per ognuno c’è solo un modo per scoprire le eccezionali virtù di questa pratica: effettuarla. Si può comprenderla solo direttamente, praticandola in maniera corretta…

 

La meditazione è coltivazione della presenza mentale, in una parola: consapevolezza.
 
Essa è in relazione con quei livelli personali di coscienza, che si trovano assai più in profondità ,rispetto al pensiero simbolico; e, proprio per tale motivo, molti aspetti della meditazione non si prestano ad essere espressi attraverso le semplici parole.
 
La meditazione non è qualcosa che può essere imparata, ricorrendo a termini astratti; non è qualcosa di definibile, ma bensì qualcosa di cui bisogna fare esperienza… essa può essere compresa solo con una buona pratica.
 
Il meditante esegue la sua pratica con un intento specifico: affrontare la realtà, per fare piena e profonda esperienza della vita così come essa è, per entrare in contatto con tutto ciò che vi si trova.
Una pratica ben fatta ci permette di dissipare tutte le illusioni, di liberarci da tutte quelle piccole e gentili bugie che continuamente ci diciamo.
 
Purtroppo, quasi tutti, sin da bambini, veniamo condizionati molto profondamente da una cultura deviante; impariamo così, durante il corso della nostra esistenza, a mentire sistematicamente a noi stessi e quasi sempre in modo estremamente arguto.
 
In questo modo, subentra gradualmente in noi, senza che ne siamo troppo coscienti, un sottile autoinganno e si innesca un circolo vizioso, fatto di false convinzioni, che ci trascina inevitabilmente nel suo mondo illusorio.
Arriviamo così ad avere un pensiero non autentico, che ci costringe a vedere la realtà da dietro un velo; di conseguenza, assumiamo comportamenti ipocriti e ci ritroviamo, inconsapevolmente, ad indossare una brutta maschera, che tende a coprire il nostro vero volto, nascondendoci persino a noi stessi.
 
È invece incantevole osservare come i processi armonici, tipici della pratica meditativa, riescono a profondere in noi quelle particolari intuizioni, che frequentemente si rivelano come vere e proprie “rivelazioni”. Proprio queste intuizioni, infatti, aprono sovente il passo a quel sentiero che conduce alla chiara comprensione di alcune profonde ed importanti Verità, legate alla nostra misteriosa esistenza.
 
Gunaratana afferma: «alla vipassana bisogna avvicinarsi con questo atteggiamento: Non importa cosa mi è stato insegnato, voglio dimenticarmi teorie, pregiudizi e stereotipi. Voglio comprendere la vera natura della vita, voglio capire realmente cosa sia l’esperienza di essere vivi. Voglio imparare a conoscere le qualità della vita più vere e profonde, e non voglio accettare le spiegazioni di qualcun altro. Voglio scoprire io stesso tutto ciò»…
 
Difatti, lo stesso atteggiamento di base del buddhismo è profondamente empirico ed antiassolutista. Lo stesso Buddha Shakyamuni, come Gesù il Cristo del resto, fu decisamente non ortodosso ed antitradizionalista.
 
Gautama non offrì i suoi insegnamenti come una raccolta di dogmi, ma, piuttosto, come un insieme di asserzioni sulle quali chiunque era invitato ad investigare.
 
L’invito che il Buddha rivolgeva a tutti, era: “Venite e vedete”; a coloro che lo seguivano ripeteva spesso: “Non mettete nessuna testa sopra alla vostra”, e con ciò egli intendeva raccomandare di non rifarsi alla parola di qualcun altro, ma piuttosto di verificare ogni cosa di persona; poiché, è quello l’unico modo per Conoscere realmente ed essere convinti di ciò che si osserva.
 
Dobbiamo, inoltre, tenere sempre presente che ciò che abbiamo imparato può e deve spesso essere disimparato. Il primo passo in questa direzione è proprio capire cosa stiamo facendo, mentre lo stiamo facendo; mettendoci nella tipica posizione di quieta osservazione.
 
Dobbiamo, inoltre, ricordare che una buona pratica meditativa induce un cambiamento radicale nel meccanismo della percezione, e porta con sé quella gioia che deriva dall’essersi liberati dal pensiero illusorio ed ossessivo.
 
La meditazione può “aprire la strada” e guidare chiunque lo desideri intensamente, verso un nuovo e corretto atteggiamento, conducendoci a vedere la realtà così come essa è realmente.
 
La consapevolezza sia con te…
 
di Aetos – tratto dal sito:  users.libero.it/aetos/varie/meditazione.html 
 

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Cos’e’ e come praticarla
 
di SOGYAL RINPOCHE
 
Nel flusso mentale: la meditazione come modo di vita
 
Quante persone ai nostri giorni hanno familiarietà con la meditazione? In alcune parti del mondo in particolare, la meditazione è diventata un fenomeno molto comune, quasi un lavoro domestico. Ha incontrato un’accettazione generalizzata, perchè viene riconosciuta come pratica che spezza molte barriere, sia culturali che religiose, e che mette a fuoco lo sviluppo spirituale personale, giacchè da molti punti di vista, la meditazione è una pratica che trascende la religione.
 
Se dovessimo presentare la meditazione da una prospettiva Buddhista, per prima cosa dovremmo notare che la pratica meditativa mira a lavorare sulla mente, sul cuore, e con l’energia. Certe volte possiamo praticare la meditazione in maniera molto semplice: lasciamo tranquilla la nostra mente, in una condizione naturale; nell’immobilità, nel silenzio e nella pace. Quietamente.
 
Alcuni possono conoscere un metodo e usarlo, come l’osservazione del respiro. Ma altri, quando diciamo loro ” Sedete “, poi non sanno assolutamente che fare, e aspettano che il silenzio finisca il più presto possibile, perchè è qualcosa a cui non sono abituati, e per quanto idilliaco possa essere l’ambiente in cui viviamo, senza’altro è stato raggiunto dagli influssi del ventesimo secolo. Limitarsi a rimanere tranquilli e silenziosi è una cosa con la quale abbiamo la minima familiarietà: l’immobilità ed il silenzio ci rendono nervosi ed insicuri, come se trovarsi di fronte a se stessi, senza alcuna attività – tutti soli con noi stessi – fosse un’esperienza piuttosto terrorizzante. E la maggior parte delle volte, quando sediamo tranquilli, quello che succede è che i nostri pensieri cominciano a correre a 2000 l’ora, se non più veloci. Quasi sempre, quando sediamo, il problema riguarda l’energia.
 
A volte, però, le cose sono facilitate da un certo ambiente; potrebbe essere un ambiente naturale, o una certa atmosfera creata da amici o praticanti, che siedono in silenzio tutti insieme: allora, anche se non avete familiarietà con la meditazione, il fatto stesso di essere in un ambiente del genere vi ispira la pace mentale.
 
Nelle prime fasi, quindi, la meditazione calma, pacifica e stabilizza la mente. In effetti il termine sanscrito per indicare la meditazione è ‘ Dhyana ‘- in Tibetano ‘Samten’, in Cinese ‘Ch’an’ ed in Giapponese ‘Zen’ – Che cosa significa la parola tibetana ‘Samten ‘ ? ‘Sam’ è la mente pensante, e ‘Ten ‘ significa solidificare, calmare o stabilizzare. Significa anche ” affidabile ” o ” stabile “.
 
Così, il nostro primo passo è calmare e stabilizzare la mente pensante. Se la mente è in grado di stabilizzarsi da sola, senza ausilio di oggetti o tecniche, va benissimo. Altrimenti, se non siamo abituati, o se non ci sentiamo a proprio agio, e se semplicemente non sappiamo come fare, allora in certi casi ci serviamo di tecniche, quali osservare il respiro, guardare un oggetto, od usare un mantra, per aiutare la mente a focalizzarsi, calmarsi e stabilizzarsi.
 
Quello che è sempre molto importante tenere a mente è che il metodo, o l’esercizio, non sono che un mezzo; in altre parole, non sono la meditazione. E’ per mezzo della pratica che si raggiunge la perfezione: il puro stato di presenza totale, che è la meditazione.
 
Quando siamo realmente noi stessi … quando noi ci manifestiamo .. quando tutto il nostro ego innaturale si è dissolto … quando non esiste più dualità … quando siamo in grado di arrivare alla condizione non duale di assenza dell’ego… quello stato si chiama meditazione, nel senso ultimo della parola. Allora non esiste più alcun conflitto, perchè la dualità viene naturalmente dissolta e liberata.
Così, quello che cerchiamo in realtà di fare quando pratichiamo la meditazione è calmare e stabilizzare, così da dimenticare la nostra mente confusa, o ” sé egoico “. L’ego è un sostituto, un sé fasullo, sempre mutevole. Non è altro che un insieme di idee, concetti, condizionamenti, basati non sulla verità, ma su pure menzogne e credenze che, sottoposte ad esame, dimostrano di non aver alcun fondamento reale.
 
E’ importante ricordare che il principio dell’assenza dell’ego nel Buddhismo non significa che prima c’era un ego, e che per il Buddhista se ne è liberato ! Al contrario, significa che per cominciare non esiste alcun ego, e che bisogna realizzare ‘questa’ assenza di ego.
 
Talvolta, quando facciamo pratica, riusciamo a trovarci in stato meditativo; allora scopriamo che non esiste più alcuna dualità, conflitto o confusione. E se guardiamo dentro di noi, quando ci troviamo in tale stato, scopriamo che l’ego è inesistente: ci manifestiamo attraverso il nostro vero sé naturale, o Sè Buddhico, il ” sé privo di sè ” che è sempre dentro di noi, e che costituisce la nostra natura inerente. E’ questo che tutte le religioni hanno sempre definito principio di bontà, o divinità: l’uomo è fatto ad immagine di Dio, come dice il Cristianesimo; nel Buddhismo diciamo che la natura del Buddha esiste in ogni cosa.
 
E dov’è questa bontà, questa natura Buddhica? Nel profondo della Natura della Mente. E’ come il cielo momentaneamente oscurato dalle nubi che, quando le nuvole si dissolvono, si rivela, limpido e chiaro, con un sole immenso di compassione che risplende su ogni cosa. Noi chiamiamo questa luce solare ” Boddhicitta “, il ” cuore della nostra essenza illuminata “.
 
Questa bontà fondamentale deve essere trasportata nella nostra realtà; anche se è la nostra natura, e siamo tutti Buddha, siamo solitamente piuttosto confusi e rannuvolati, ed abbiamo dimenticato e perso il contatto con quello che siamo realmente.
 
Quando diciamo che abbiamo la natura di Buddha, parliamo in termini di Terra; non dello stato finale di purificazione.
 
Così, anche se Buddha ‘è’ la nostra natura, non ce ne rendiamo conto, dal momento che siamo oscurati da due nubi: quella emozionale e quella intellettuale.
 
Siamo partiti insieme, ma il Buddha ha preso una strada, e noi l’altra. Così, negli insegnamenti chiamiamo questo concetto ” una Terra, due Sentieri “. Abbiamo fatto qualche passo lungo la nostra strada, e questo si chiama ‘ Samsara’. In particolare, in Occidente, stare nel ‘Samsara’ è molto facile perchè il suo meccanismo domina il nostro essere con tanta potenza, ed il passo con cui procede è così spedito. Noi dobbiamo uscire dal nostro sentiero per cercarlo, il ‘Samsara’, e nemmeno attendere che arrivi; è ovunque come la polvere: oggi pulisci e domani ce n’è altrettanta. Dal momento che la sua influenza è così forte, il ‘Samsara’ si perpetua da solo, senza bisogno di alcun aiuto da parte vostra.
 
Il fine della meditazione è conservare la purezza della nostra natura inerente, ed anche se non riusciamo a rimanere a lungo in tale stato, se ogni giorno iniettiamo almeno una goccia di una tale pura consapevolezza nel nostro flusso mentale, ne costruiamo lentamente l’intelaiatura.
 
Il nostro carattere di base, fondamentale, non è altro che un flusso mentale, od energetico: noi ‘siamo’ solo un flusso mentale.
 
Se ci guardiamo, e ci chiediamo chi siamo realmente, forse scopriremo che la nostra identità è tutte queste cose diverse: il passato, i nostri genitori, la nostra casa, il nostro lavoro, il nostro cane, la nostra compagna, nonchè qualsiasi altra esperienza.
 
E’ possibile che oggi ci sentiamo bene perchè oggi le cose vanno bene, ma se domani, chiedendoci come stiamo, scopriamo che non è la stessa cosa, dov’è finito il ” sentirsi bene ” ? E’ scomparso completamente, perchè nuove influenze si sono succedute alle precedenti. E noi continuiamo a cambiare con il mutare delle circostanza, come il flusso di un ruscello; anche se sembra sempre lo stesso, in effetti cambia continuamente….
 
Così dobbiamo modificare questo flusso mentale, con la purezza della nostra natura intrinseca.
 
Infatti, lo scopo della meditazione, non è solo avere davvero una fugace visione di quello che è la nostra natura e penetrarla, ma anche portare una tale consapevolezza nella nostra vita quotidiana; la nostra esistenza ordinaria ed il modo in cui vediamo le circostanze normali della nostra vita saranno allora benedette da una tale prospettiva. Anche solo esercitarsi per un breve periodo nella meditazione può fare un mondo di bene, ma se volete una tale pratica abbia realmente un effetto stabile e duraturo, quello che dovete fare non è prenderla come una medicina o una terapia occasionale, ma come se fosse la fonte quotidiana di cibo o sostentamento.
 
Solo allora gli effetti reali della meditazione potranno farsi sentire.
 
Basta pensare a quanto a fondo abbiamo percorso l’altra strada, creando concretamente un’abitudine che domina la nostra esistenza. Se guardiamo i nostri sogni, per esempio, vediamo che non sono altro che rappresentazioni ed immagini di abitudini, e, come si usa dire, “ le vecchie abitudini sono dure a morire “. Ci vuole ‘un bel po’, perchè, se anche lo stato meditativo è un’arma molto potente capace di spezzare la confusione, è altrettanto vero che non fa parte della nostra esperienza quotidiana e che non è diventata essa stessa un’abitudine: così non siamo capaci di trasportare la sua influenza positiva nel mondo delle nostre abitudini radicate.
 
Ma, ancora una volta, è importante non accentuare troppo concetti dualistici, di lotta tra bene e male; tutto questo è più simile al concetto di luce: quando splende, non si trova più l’oscurità.
 
Così dobbiamo portare luce alle nostre vite, tirar fuori la nostra vera natura e permetterle di risplendere. Se guardate a certi grandi maestri, od ai buoni praticanti, od anche solo alle persone buone, vedrete che irradiano calore, una presenza che è fonte di ispirazione, e che potete riconoscere quando vi trovate in loro compagnia.
 
E’ interessante notare che i Tibetani, quando parlano tra loro, non chiamano il loro capo ” il Dalai Lama” bensì ” Kun Dun”, che significa ” la presenza “. Una persona realmente presente è un Buddha, e questa presenza buddhica è ciò che dobbiamo coltivare.
 
All’inizio viene chiamata ” attenzione ” e quando la si realizza pienamente, diventa ‘presenza’. La disciplina della pratica reale della meditazione insegna a mantenere una tale presenza nella nostra vita quotidiana.
 
Nel Buddhismo, si sente spesso pronuciare la parola ‘disciplina’: la disciplina non significa un atteggiamento rigido, o una routine militaresca senza senso dell’umorismo, ma una consapevolezza e presenza di spirito continua. Viene definita ” come un profumo impregnante “.
 
Nelle conversazioni avute con dei terapeuti, molti mi hanno spiegato come, stando alla loro esperienza, uno dei metodi più potenti di guarigione sia una ‘profonda’ meditazione in postura.
 
A volte chiedono ai loro pazienti di rimanere in postura, come minimo per tre ore.
 
Un altro fenomeno che hanno osservato è il fatto che anche se alcuni possono essere fortemente legati alla meditazione o ad altre tecniche di trattamento, e si sentano a proprio agio con esse, ciò nonostante non riescono ad ottenere gli effetti desiderati: i sintomi non mostrano alcun miglioramento. Scoprono poi che la causa è il fatto che questi particolari pazienti accettano di meditare solo in presenza del terapeuta. Non continuano poi effettivamente, fino a portare la pratica nella vita quotidiana facendone qualcosa di reale. Quando invece ci riescono, i successi sono molto più netti. Nello stesso modo, dobbiamo vedere la pratica della meditazione come modo di vivere.
 
Ogni volta che praticherete la meditazione, sia nelle prime ore del mattino, che in qualsiasi altro momento della giornata, vi accorgerete che aprirà una porta sul vostro essere inerente. Dopo questa apertura iniziale, la cosa più importante non è la pratica in sé, ma lo stato mentale che una tale pratica sviluppa dentro di voi: mangiare è piacevole, ma è più importante sentirsi soddisfatti e nutriti; così, lo stato mentale indotto dalla meditazione ha un significato molto maggiore del fatto stesso di meditare.
 
Troppo spesso la gente si dedica alla meditazione per ottenere qualche risultato straordinario, come visioni, luci o miracoli sovrannaturali, e se tutto questo non accade , si sentono piuttosto delusi.
 
Ma il miracolo che avviene in realtà è più normale e più utile: è una trasformazione sottile, non solo nella vostra mente e nelle vostre emozioni, ma anche nel vostro corpo, ed è altamente curativo. Come hanno scoperto scienziati e medici, quando godete di un buono stato mentale, anche le cellule del vostro corpo sono più contente: riuscite ad immaginare le cellule che alzano i loro piccoli calici di champagne e dicono ” cin cin ” ? Ma quando la vostra mente si trova in uno stato negativo, allora anche le vostre cellule diventano maligne.
 
La nostra salute globale ha parecchio a che fare con il nostro stato mentale, e con il nostro modo di essere.
 
In particolare, in questo periodo, in cui gli uomini sono colpiti da così tante malattie, la comprensione di questo fatto non può non risvegliare in noi la possibilità di veder la vita in modo diverso: in un certo senso non esiste possibilità di scelta; è davvero questione di sopravvivenza. Vivere con lucidità è la più grande protezione, anche per la nostra salute.
 
Così dovete prolungare lo stato mentale nel quale vi trovate dopo la meditazione, sicchè farete ogni cosa con quella presenza mentale. C’è una storia molto famosa di una conversazione di un maestro Zen ad un suo discepolo, il quale gli chiede: ” Maestro, come porti l’illuminazione nell’azione concreta? Come la pratichi nella vita quotidiana? “
 
” Magiando e dormendo “, risponde il maestro.
 
” Ma, Maestro tutti dormono e mangiano .”
 
” Ma non tutti mangiano quando mangiano, e non tutti dormono quando dormono “.
 
Da qui deriva il famoso detto Zen:
 
” Quando mangio, mangio.
 
Quando dormo, dormo “.
 
Questo significa essere presenti al 100% nell’azione; non siete più il vostro ego ordinario, e la vostra azione è diventata un’azione universale, un’azione compassionevole. Senza più dualismo, ‘diventate voi stessi l’azione’. Per esempio, è stato scoperto che quando rigoverante, se mantenete la mente pura e lavate i piatti con tutto voi stesso, ciò è molto energizzante. Se invece nel frattempo pensate a molte altre cose, allora diventerà una seccatura. Questo dovrebbe suggerirvi l’applicazione continua della lucida attenzione e della presenza. Se volete che la vostra pratica sia veramente di beneficio per voi e per la vostra esistenza, e perciò anche di beneficio per gli altri, non potrete dedicarvi ad essa solo occasionalmente.
 
Spesso la gente chiede: ” E’ meglio praticare venti minuti la mattina, o la sera, oppure fare diverse sedute più brevi ? “
 
Sì, è positivo praticare la meditazione venti minuti, anche se questo non vuol dire che venti minuti sia un limite massimo. Da nessuna parte nelle scritture si parla di venti minuti. “
 
Venti minuti ” è una nozione che si è sviluppata in Occidente; potreste chiamarla ” Periodo Standard per la Meditazione ” . A volte la gente teme, se non rimane in postura per venti minuti, di fare qualcosa di sbagliato, come quando si interrompe una cura di antibiotici. Ma il punto fondamentale non è il tempo: il punto è se la pratica vi porta realmente ad un certo stato di presenza.
 
Se così è, potete rimanere in postura anche solo cinque minuti, per tre minuti, potete sedervi anche solo per un minuto …, per trenta secondi… perfino cinque secondi… ma potrebbe non essere sufficiente !
Il punto fondamentale non è nemmeno la postura; in particolare i meditatori pigri che si siedono per venti minuti e si appisolano !
Per loro, in particolare, venti minuti di meditazione sonnolenta non sono consigliabili: dovrebbero praticare seduti cinque minuti , ma ben svegli… Credo che siano abbastanza felici di questa notizia !
 
Il mio maestro, Dudjom Rinpoche, diceva sempre che un principiante dovrebbe meditare in brevi sedute. Praticate per tre-cinque minuti, poi fate una breve pausa, di almeno un minuto.
 
Quando fate una pausa, quello che in realtà fate è lasciar andare la tecnica meditativa.
Specialmente se vi siete impegnati molto durante la seduta, nel momento in cui fate una pausa, lasciandovi andare, ma mantendendo la vostra presenza, spesso la meditazione si manifesta ‘ in quel momento’. Ecco perchè la pausa è una parte della meditazione importante, quanto la postura.
Riprendete la postura per un breve periodo e poi fate una pausa, lucidi e naturalmente rilassati. Poi sedetevi di nuovo.
Così fate numerose sedute brevi: cinque minuti di pratica, poi un minuto di pausa, e così via.
Se fate così, l’intervallo rinfresca la vostra meditazione, e la meditazione fa della vostra pausa un’espressione naturale della vostra pratica.
Se continuate una tale forma di alternanza di pratica e di rilassamento interconnessi dal filo della vostra lucidità, allora lentamente, lentamente, tra meditazione e post-meditazione ci sarà minor differenza, scomparirà il confine. Come ha detto un grande maestro: ” Non ho mai meditato, ma non mi sono mai neanche mai distratto, neppure per un sol secondo.” Un tale praticante non ha bisogno necessariamente di meditare, perchè si trova sempre in tale stato, e non si distrae mai, nemmeno per un solo momento.
 
Naturalmente, il problema sta nel riuscire a farlo per ventiquattr’ore al giorno, trecentosessantacinque giorni all’anno. Quando fate un ritiro meditativo, per esempio, il fine fondamentale è tagliarvi fuori dagli impegni della vostra esistenza e ritirarvi nell’ambiente naturale e propizio della meditazione. Ritiro significa mettere un limite alle attività superflue: in una tale situazione voi mantenete la meditazione quasi ventiquattr’ore al giorno, anche mentre dormite, mangiate e vi rilassate. Se la vostra pratica è intensiva, profonda e rilassata a quel modo, allora comincia ad avere un effetto di fondamentale importanza sul vostro essere profondo, e sul flusso della vostra mente.
 
Però, non è soltanto praticando nell’ambiente di un ritiro che i benefici della meditazione possono permeare il vostro flusso mentale. Dopo un tale ritiro, anche mentre vivete la vostra solita esistenza in città, potete praticare un po’ al mattino e quindi applicare una tale presenza in tutta la vostra vita quotidiana. Allora, ogni volta che vi sentite persi, confusi, o distratti, tornate alla vostra meditazione, od alla vostra respirazione, riconquistate e mantenete tale stato di presenza, e riposate in esso per tutto il tempo che potete.
 
E’ l’applicazione continua di tale presenza che provoca realmente cambiamenti profondi. Se a volte vi accorgete che non è così semplice praticare da soli, o nella vostra stanza, allora cercate di andare a praticare all’aperto. Alcuni, che trovano difficile mantenere la postura, traggono grandi benefici dal praticare in silenzio mentre camminano; in particolare se vivono in un bell’ambiente naturale.
 
Potete sedere in riva ad un fiume e vedere come continua a cambiare mentre vi passa davanti: ispirerà la vostra introspezione, e potrete abbandonare quietamente la vostra mente, lasciando fluire l’energia. Oppure, potete contemplare l’oceano, o sdraiarvi per terra e fissare il cielo, abbandonando quietamente la vostra mente, e lasciando che il cielo esteriore ispiri una spazialità interiore. Questo è un modo nel quale potete praticare. Un altro è usare la respirazione, che è il metodo più comune nel Buddhismo. La respirazione è il tramite vitale dell’energia; è come lo spirito, che riunisce il corpo e la mente. Si dice spesso che la respirazione sia il veicolo della mente. Così, se volete calmare, o domare la mente, domate il respiro, e allora domerete abilmente la mente nel contempo.
 
Quando usate la respirazione, tenete la bocca leggermente aperta come se foste sul punto di dire ” aaah “. Non serve una respirazione speciale; respirate come vi viene, in maniera rilassata. A volte, respirare ed essere presenti è sufficiente, ma se avete bisogno di concentrarvi perchè la vostra mente è molto agitata e turbolenta, allora centratevi sulla vostra respirazione ed identificatevi con l’espirazione.
 
Questa è una tecnica interessante, perchè, mentre all’inizio può essere solo una semplice pratica di osservazione dell’espirazione, in seguito, se si viene introdotti in forme di meditazione più avanzate, ci si accorge che può aprire molte, molte porte. Serve quasi come preparazione per la pratica meditativa di Mahamudra, o dello Dzogchen.
 
Osservate la respirazione, focalizzatevi sull’espirazione e identificandovi in essa. Quando espirate, il respiro si dissolve nello spazio; l’inspirazione avviene naturalmente ogni volta che i vostri polmoni si svuotano, così non dovete pensarci troppo.
 
Non concentratevi troppo; date circa il 25% della vostra attenzione, e lasciate il resto quietamente rilassato, tutt’uno con il vostro respiro.
 
Usate questa tecnica per tutto il tempo che vi serve. Vi porterà maggiore chiarezza. Poi, quando vi ritroverete più centrati nella natura della vostra mente, e quando vi ritroverete in sintonia con il respiro, non dovrete più rivolgergli particolari attenzioni. Limitatevi semplicemente a riposare nella pace della vostra mente.
 
Tranquillamente, svegli, attenti e rilassati.
Poi, cominciate nuovamente a distrarvi, ritornate ancora una volta alla respirazione.
Questa è la tecnica.
Ora si tratta solo di metterla in pratica.
 
Tratto da: SOGYAL RINPOCHE <MEDITAZIONE> Edizioni Amrita– adattamento di Alan Perz
 
approfondimento su http://www.amadeux.net/sublimen/  
 
 
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