La Meditazione negli Insegnamenti di Sai Baba

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DHYANA

– La meditazione, negli insegnamenti di Sri Satya Sai Baba –

Mother Sai Publications

Dai DISCORSI Dl SAI

In questa sezione, abbiamo ritenuto opportuno presentare l’argomento “Meditazione”, estraendolo da
alcuni discorsi pronunciati da Sai Baba in varie circostanze. Molte cose sono già state dette. Qui,
tuttavia, più che avvalerci dell’andante latino “repetita juvant”, vorremmo porre l’accento sulla
paziente amabilità di Svami, che, anno dopo anno, rinfresca la memoria di tutti, arricchendola con
nuovi particolari e offrendo dei suggerimenti che sembrano avere persino connotazioni personali.
Egli è a conoscenza di tutte le nostre difficoltà, obiezioni, neghittosità e negligenze. Questa Sua
insistenza prova l’importanza che Egli attribuisce a questa pratica, quando in essa c’è vera
devozione a Dio e non al ritualismo e ai suoi frutti. E poi, – diciamolo pure – dette da Lui le
esortazioni, anche se ripetute, suonano sempre nuove e originali!

– Il frutto maturo –

La pace o la distrazione, la calma o l’ansia sono sempre il prodotto dei pensieri e delle
azioni e dipendono dalle attitudini e dal comportamento tenuto, sia in proprio che in società.
Alcuni, che si affidano al processo di Dhyana, ossia ad una regolare Meditazione sul Nome e la Forma
di Dio, sono in grado di acquietare le agitazioni del cuore e di aprire la via alla realizzazione
interiore.

Ma la Meditazione non dovrebbe vacillare od oscillare da un ideale all’altro: non va
ridotta ad una meccanica formula da manuale, ad una schematica tabella di marcia per la respirazione
a narici alterne o ad un insignificante fissare lo sguardo sulla punta del naso.

È una rigorosa disciplina che controlla i sensi, la corrente nervosa e i voli della fantasia. Ecco
perché si dice che la Meditazione è la valle della pace che si stende oltre un’immensa catena
montuosa, le cui vette sono conosciute come i sei nemici: Lussuria, Ira, Avidità, Attaccamento,
Orgoglio, Odio. Per raggiungere la pianura sottostante, bisogna scalare queste vette. Bisogna
squarciare i veli, perché risplenda la luce. Si deve rimuovere la cataratta dagli occhi, per poter
vedere la verità. Maya, ossia l’lllusione, è il nome di quella nebbia di ignoranza, che tormenta la
mente, il cui unico anelito è tuffarsi nelle profondità del Sé.

Questa bruma è l’intricato viluppo delle tre componenti qualitative, che turbano
l’originaria serenità dell’Universo: il bianco, il rosso e il nero; il sattvico, il ragiasico ed il
tamasico; l’inattaccabile, l’attivo e l’ottuso; il distaccato, il passionale e l’indolente. II velo
di Maya costituito da questi tre elementi dev’essere o spazzato via o lacerato o sollevato, in modo
che la Realtà possa rivelarsi. II sentiero della devozione lo solleva, perché Dio, che lo ha
disteso, è pietoso. II sentiero dell’azione lo lacera per mezzo dell’attività, che tende a scomporre
la sua trama. II sentiero della conoscenza lo spazza via, in quan- to procede come se non esistesse
realmente; lo ignora come parto della fanta- sia! E il velo scompare, dimostrando quanto siano
validi quei sentieri.

Alcuni negano l’esistenza di Dio, perché, a causa della miopia di cui sono affetti, non
percepiscono la Sua Presenza; allorché un abile chirurgo correg- ge il difetto, possono vedere da
soli l’evidente Onnipresenza della Sua Grazia e della Sua Maestà. L’amalgama dei tre guna, ossia
delle tre qualità di cui abbiamo già detto, se spalmato come un unguento sulla chiara visuale, fa
brancolare l’uomo, gli fa scambiare una cosa per l’altra e gli cela la verità, a cui attribuisce
tutte le sfumature o gli orrori del falso! La mente è lo stru- mento interiore di cui si serve Maya
per confondere e truffare. Sotto il suo influsso, la mente salta da un capriccio all’altro e non si
arresta mai su ciò che ha raggiunto. Maya tiene la mente impegnata su oggetti esteriori, oppo- ne
resistenza al viaggio interiore dell’intelletto, al processo di autoanalisi e di autodisciplina. Ma,
non appena l’uomo riesce, sia pure per poco, a svin- colare la propria mente dalla sua presa per
mezzo della Meditazione, si illu- mina la strada che incammina all’illuminazione finale.

La Meditazione è la disciplina mediante la quale la mente si allena all’ana- lisi
interiore e alla sintesi. II fine della Meditazione è l’Uno, in cui tutti gli “Io” si trovano
riuniti nella forma più pura. Nella Gilta l’Uno viene descrit- to con otto attributi: 1) è cosciente
del passato, del presente e del futuro; 2) è senza tempo fin dal Suo principio; 3) detta ogni legge;
4) è più piccolo del più piccolo corpuscolo; 5) è alla base di tutto; 6) è di forma inesplicabile;
7) è splendente; 8) è al di là delle tenebre. Scoprire questi attributi del Divino è un compito che
può essere eseguito solo mediante una irriducibile Medi- tazione.

La Meditazione, inoltre, deve andare di pari passo con il controllo dei sen- si. I sensi
bloccano la via che porta al paradiso, perciò, nessuno di essi de- v’essere lasciato a briglia
sciolta. Nei tempi attuali, alcuni divulgatori dello Yoga diluiscono le discipline insegnate
predicando accanto alla Meditazione libertà assoluta per i sensi, perché temono, insistendo su
doveri difficili, di perdere la loro clientela e i loro introiti! Lo Yoga è, per definizione, “Citta
vritti nirodha”, cioè il dominio sul vagabondaggio della mente. In che modo si potrà praticare dello
Yoga, se si lascia alla mente la libertà di giocare biri- chinate e trucchi di ogni genere? Essa
trascina l’uomo nella selvaggia foresta dei desideri e lo tuffa nella ricerca del piaceri esteriori.

La prima lezione di Yoga consiste nella conquista di Kama, ossia del Desi- derio. La
Volontà deve essere foggiata come uno strumento per l’azione benefica e l’azione deve sottomettersi
alla necessità di raggiungere la Saggezza, la quale conferisce in un batter d’occhio la
consapevolezza della Realtà. Una mamma non può muoversi in casa per le sue faccende quotidiane, come
la- vare e cucinare, finché il bambino urla e piange nella culla. Prima deve farlo addormentare,
così potrà dedicarsi ai lavori più importanti. Così pure voi dovete mettere fuori servizio la mente,
prima di intraprendere il viaggio ver- so il regno al di là del dualismo.

Fate che il Nome di Dio sfolgori sempre sulle vostre labbra e nella vostra mente: ciò
servirà a tenere sotto controllo le stravaganze mentali. Quando si mantiene accesa la lampada,
l’oscurità non riesce ad offuscare l’ambiente circostante. Nella Glta si dice che se un morente
recita la sillaba di Brahman, e cioè OM, mentre esala l’ultimo respiro, ottiene la grazia di
riunirsi a Brah- man. Ma soltanto chi si è abituato a ripeter costantemente quella sacra silla- ba
nel corso della propria vita può, con fiducia, pronunciarla nell’estremo istante. Una mera
giaculatoria sul punto di partire non vi salverà: la OM fi- nale deve essere il fiore che sboccia
sul rampicante che si è avvinghiato a Dio per tutta la vita. Nella Gita questo viene chiamato
“Rajavidya”, ossia la via regale al successo spirituale, ed anche “Rajaguhyam”, il mistero regale,
un insegnamento che deve essere impartito dal maestro al discepolo, dopo lun- ghi esercizi
preparatori, in un’atmosfera seria e sincera. Vyasa mise tutto questo in versi.

La Gilta spiega il processo di Dhyana mediante una chiara formuletta: “Mam anusmara
yuddhya ca!” Tienimi nella tua memoria e combatti! Si suggerisce di combattere la battaglia della
vita con Dio che risiede quale auriga nella coscienza. Non è un’indicazione valida solo per Arjuna;
è una direttiva per tutta l’umanità. “Fissa la tua mente su di Me e combatti! lo sarò la Volontà
dietro la tua volontà, sarò l’occhio dietro il tuo occhio, il cervello nel tuo cervello, il respiro
dentro il tuo respiro. La lotta è Mia, la potenza è Mia, le prove e i trionfi sono Miei, i frutti
della vittoria sono Miei, l’umiliazione della sconfitta è Mia. Tu sei Me ed Io sono te”. Questo è il
coronamento della Meditazione: identità, negazione di ogni differenza.

“Mam anusmara”: nella memoria con Me, per sempre! Non fate distin- zioni fra l’azione del
Bhajan (canto sacro), quella del Bhojan (mangiare) e quella della Puja (adorazione di Dio). Tutte le
azioni sono adorazione, per- ché il cibo è da Lui donato, da Lui consumato, per Lui mangiato, allo
scopo di mantenervi in forze per Lui. Ogni attimo ha il suo valore, perché è Lui che lo dà, Lui se
ne serve, Lui lo colma, Lui lo modella, Lui lo completa.

Giacchè Egli è fuso in ogni vostro respiro, voi potete compiere l’impresa su- prema di immergervi in
Lui; ne avete la possibilità. L’Essenza divina (Atma) non può essere conseguita da chi è debole, non
vi potete arrivare finché la fonte del potere non è in voi, finché voi stessi non lo sarete
diventati completamente, finché rimarrete delle creature fragili, inadatte alla sublime avven- tura,
questa possibilità vi sarà preclusa.

“Mam anusmara”, lo “smarana”, il ricordo diventerà stabile solo quan- do sarete liberi
dalle catene dell’invidia e del rancore. “An-asuya”, senza tracce di orgoglio o invidia, malizia o
odio, egoismo o presunzione. Questo è il modo di mantenere il cuore puro, perché Dio vi Si
stabilisca. II dolore vi ferisce perché credete di esservi meritata la felicità che non avete
raggiunto; ma c’è un dispensatore imparziale di gioia e di dolore, che vi dà ciò che vi occorre, non
quello che desiderate. La sventura potrebbe essere un rimedio adatto al la vostra salvezza, e i1
Misericordioso, I’Eterno, l’Onnisciente Iddio, cono- sce bene ciò di cui avete bisogno. Accogliete
le sciagure e combattete la vostra battaglia armati della corazza del Ricordo Divino. Come tutti i
fiumi corrono verso l’oceano, così lasciate che la vostra immaginazione sia tutta rivolta verso Dio.
II Dramma è Suo; la parte che si recita è un Suo dono; il copione è stato scritto da Lui; Lui decide
i costumi e la scenografia, i gesti e lo stile, l’entrata e l’uscita. Sta a voi recitare bene la
vostra parte e ricevere la Sua approvazione quando cala il sipario. Guadagnatevi il diritto di
ottene- re parti sempre migliori con la buona volontà ed l’entusiasmo; questo è il significato e lo
scopo della vita.

Non siate troppo attaccati al mondo e non fatevi avviluppare dai suoi ten- tacoli. Tenete
sempre a bada le vostre emozioni. L’onda agita solo lo strato superficiale del mare; sotto, in
profondità, c’è calma. Anche voi sarete liberi dall’agitazione delle onde, se vi sprofondate nella
vostra interiorità. Sappia- te che molte cose non hanno valore durevole e possono perciò essere
scarta- te. Tenetevi saldamente aggrappati alla sostanza solida. Usate la vostra discriminazione per
discernere quale sia lo scrigno e quale il tesoro.

II “Pranavajapa”, ossia la recitazione della OM e la contemplazione di quella mistica
sillaba, vi servirà a calmare le onde ruggenti. OM è la somma di tutti gli insegnamenti vedici su
Dio e di tutti i sistemi di culto alla Divinità: “OM ithi ekaksharam Brahma” – OM, quell’unica
sillaba è Brahman! OM si compone di tre suoni: A, che parte dalla regione ombelicale; U, che scorre
attraverso la gola e la lingua; M, che va spegnendosi sulle labbra chiuse. De- ve essere pronunciata
in crescendo, il più lentamente possibile, diminuendo lentamente, fino a che dopo la M rimarrà l’eco
del silenzio ripercossa nella cavità del cuore. Non eseguitela a strappi, adducendo che il vostro
respiro non resiste più a lungo. Resistete finché riuscite ad esaurire l’inspirazione e
l’espirazione con il silenzio che ne segue. Questi momenti rappresentano gli stati di veglia, di
sogno e di sonno ed il quarto stato, quello che va oltre i tre. Rappresenta anche il fiore
dell’individualità che cresce e diventa un frut- to pieno del dolce succo della propria essenza
interiore, ed infine si stacca.

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