La mente può non solo creare, ma anche ricreare la realtà in cui viviamo
di Francesco Lamendola – 08/12/2007
In un precedente articolo, intitolato Non si può intuire direttamente l’oggetto, ma solo ri-crearlo
internamente (1), ci eravamo chiesti che cosa, esattamente, noi possiamo conoscere dell’oggetto, al
di là della sua mera superficie. Per tentar di rispondere a questo interrogativo, come forse il
lettore ricorderà, avevamo preso lo spunto da un brano di Umberto Fontana dedicato al filosofo Ernst
Cassirer:
“Le catene di simboli seguono passo passo la storia e la crescita dell’umanità, ma nell’individuo
singolo seguono le tappe della crescita personale. I simboli rispondono ad un bisogno che l’uomo ha
di ‘integrare in un senso’ ogni oggetto con il quale egli viene a contatto. L’espressione di
‘integrare in un senso’ è del filosofo Cassirer, e il senso in cui un oggetto viene integrato nella
coscienza individuale non è solo una ‘interpretazione’, ma una vera e propria fondazione interiore
dell’oggetto, che Cassirer chiama ‘oggettificazione’: una presentazione o una ri-creazione interiore
dell’oggetto di esperienza con la quale poi ognuno rimane a contatto.
“Il pensiero dell’uomo non riesce mai a intuire direttamente l’oggetto, riesce solo a ‘integrarlo’
nella propria conoscenza. ” (2)
Vogliamo ora riprendere quel concetto e applicarlo al pensiero e al linguaggio che da esso
scaturisce. Ci renderemo conto quasi subito che non solo la conoscenza sensibile degli oggetti, ma
anche la conoscenza intellettuale di essi (ivi compresi gli oggetti non esistenti in natura, come le
creature mitologiche o, nel caso della matematica, i numeri negativi) implica una possibile
creazione da parte della mente e perfino una ri-creazione di eventi, cose e situazioni di cui
abbiamo fatto, a suo tempo, esperienza sensibile. Vale a dire che, accanto agli oggetti che cadono
sotto i nostri sensi esterni, esistono – e giacciono su un diverso piano di realtà – anche degli
oggetti per così dire interiori, che possono essere la trasfigurazione di oggetti reali oppure delle
creazioni meramente soggettive e fantastiche, che nella realtà non hanno alcun riscontro.
Ma partiamo dal primo concetto, quello della creazione degli oggetti del pensiero. Qualcuno farà
osservare che la mente, dal momento che pensa solo per immagini (è la sua caratteristica), non può
creare veramente degli oggetti del tutto originali. L’idea di una chimera, ad esempio, è sì quella
di un animale assolutamente fantastico, e tuttavia “costruito” assemblando parti di animali già
noti: il leone, la capra e il serpente, e creando così un mostro triforme. In certo senso questa
obiezione è legittima; tuttavia non si deve dimenticare che la mente, pur elaborando gli oggetti
ideali a partire dall’esperienza di quelli sensibili, è tuttavia in grado di procedere oltre le
forme iniziali, nel campo della pura astrazione.
Tale è, ad esempio, la costruzione della geometria razionale, che prende le mosse dalla geometria
intuitiva, ma che poi se ne discosta, proprio per la sua capacità di concepire degli enti puramente
ideali, che non trovano riscontro nei dati sensibili, pur presentando con essi una rassomiglianza
superficiale: un po’ come le Idee platoniche stanno alle cose sensibili le quali, nel mondo
terrestre, ne costituiscono delle copie piò o meno sbiadite.
Come scrivono L. Cateni e R. Fortini, esistono due metodi per intraprendere lo studio della
geometria, quello intuitivo e quello razionale.
“Cerchiamo di chiarire la differenza fra questi due metodi.
“La geometria intuitiva (cioè la geometria studiata col metodo intuitivo) cerca di stabilire le
proprietà dei corpi e delle figure in base alla esperienza che ce ne danno i nostri sensi, cioè in
base alla osservazione attenta e ripetuta di corpi aventi forma particolare e di figure aventi certe
caratteristiche. Da queste osservazioni sperimentali, la geometria deriva le regole e le definizioni
come generalizzazione – suggerita dall’intuizione – delle proprietà osservate.
“La geometria razionale (cioè la geometria studiata con il metodo razionale) si riferisce, invece, a
figure ideali che sono delle pure e semplici astrazioni della mente. Di esse noi troviamo, nella
realtà fisica, solo delle imitazioni grossolane e approssimative.
“Le proprietà di queste figure non vengono stabilite in base all’esperienza, ma solo in virtù di
precisi ragionamenti che trascurano tutto ciò che di particolare ha la figura presa in esame e si
basano soltanto sulle sue proprietà generali. In tal modo il ragionamento assume un carattere
universale; cioè, esso risulta valido, senza possibilità di errore, tanto per quella figura, quanto
per tutte le altre che godono delle stesse proprietà.
“Per chiarire questo concetto faremo un esempio. Gli antichi Egiziani e Greci dimostrarono
sperimentalmente che la somma degli angoli interni di un triangolo equilatero è un angolo piatto.
Essi giunsero a questa conclusione osservando che con mattonelle a forma di triangolo equilatero si
può coprire un pavimento e che, in particolare, con sei di queste si ricopre un angolo giro. Da ciò
dedussero che ogni angolo di detti triangoli è un sesto di angolo giro. Cioè che la somma dei tre
angoli eguali di un triangolo equilatero è uguale ai tre sesti di un angolo giro, cioè ad un angolo
piatto.
“In modo analogo essi verificarono che la somma degli angoli interni di un triangolo rettangolo e di
un triangolo isoscele è un angolo piatto.
“I Pitagorici, invece, dimostrarono razionalmente questa proprietà; cioè la dimostrarono senza
l’aiuto dell’esperienza e prescindendo da ogni caso particolare. Così essa acquistò valore
universale divenendo valida per triangoli di ogni tipo.” (3)
Ma la mente, abbiamo detto, è in grado non solo di creare, bensì anche di ri-creare la realtà,
mediante una rielaborazione personale dei dati forniti dall’esperienza sensibile.
Riportiamo in proposito un brano tratto da un comune testo di grammatica e lingua italiana, di M. L.
Altieri Biagi:
“La lingua aiuta il pensiero a fare tutte le operazioni più importanti: classificazione, partizione,
generalizzazione, istituzione di relazioni, ecc. Sono le operazioni con cui l’uomo organizza il
mondo che ha intorno, e con cui crea “mondi” che esistono soltanto nella sua immaginazione, nella
sua fantasia.
“Pensiero e lingua ci permettono di avere l’idea chiara di ‘albero’, di ‘cane’, di ‘portacenere’
(che hanno riferimenti precisi nella realtà che ci circonda), ma ci permettono anche di avere l’idea
chiara di ‘marziano’, di ‘sirena’, di ‘Pinocchio’ (che non hanno alcun riferimento reale) , o l’idea
di ‘libertà’, di ‘eternità’, di ‘gioia’, di ‘amicizia’, ecc. (che non sapremmo proprio a quale
oggetto reale agganciare).
“Pensiero e lingua non si limitano, dunque, a organizzare la realtà, ma la producono.
“Facciamo un esempio: forse nessuno di voi sa che cosa è il ginkgo ma – leggendo il piccolo brano di
Calvino che segue – non avrete difficoltà a farvene un’idea e a immagazzinare la parola nella vostra
memoria:
“«Le foglie del ginkgo cadevano come una pioggia minuta dai rami e punteggiavano di giallo il
prato.» (Italo Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, Einaudi).
“D’ora in poi il ginkgo esisterà per voi (indipendentemente dal fatto che esista o meno sulla
Terra): ne avrete un’idea nella vostra mente, ne conoscerete il nome; il suono della parola potrà
farvi pensare che si tratti di un albero orientale, forse giapponese
Potrete parlarne in classe,
chiederne a persone che si intendono di botanica, cercare sui libri se questo albero dai fiori
gialli esiste davvero (o esiste soltanto nel mondo che uno scrittore può creare, con il pensiero e
con la parola).
“Per non lasciarvi con la curiosità, diremo che il ginkgo esiste davvero, e che anzi è un bellissimo
albero. Ma dovrete riconoscere che «sapere che esiste in natura» non aggiunge molto a qualche cxosa
che ormai occupa un posto nella vostra memoria e nella vostra lingua.
“L’unicorno, per esempio, non esiste, in natura, anche se gli uomini hanno creduto per secoli alla
sua esistenza, e se gli scienziati lo hanno descritto (e perfino disegnato) nei loro libri fino a
trecento anni fa. Eppure chi ha letto libri di poeti e di scienziati antichi ha ugualmente l’idea di
questo cavallo con un unico, lungo corno in fronte; e la parola unicorno è presente nei vocabolari
Come ha scritto un poeta tedesco, Rainer Maria Rilke, l’unicorno ‘divenne’, cioè ‘prese vita’,
perché gli uomini lo hanno pensato e amato:
“È questo animale favoloso
che non esiste: non veduto mai
ne amaron le movenze, l’occhio, il passo,
fino la luce dello sguardo calmo;
ancor non era, ma poiché lo amarono divenne ”
“Possiamo dunque dire che pensiero e lingua hanno un potere ‘fondatore’: che cioè non si limitano a
lavorare su dati reali forniti dagli occhi, dagli orecchi, dal tatto, ecc., ma creano.
“facciamo un altro esempio: il brano che segue è stato scritto da un etologo (cioè da uno scienziato
che studia il comportamento degli animali, e quindi anche l’ambiente in cui essi vivono). Descrive
un tramonto in montagna, quindi qualche cosa di reale, che gli occhi hanno visto, ma che il pensiero
e la lingua hanno trasformato, arricchito.
“«Il sole moriva, in una gran pozza di sangue, sui confini superiori del bosco. In alto, sulle cime
degli abeti, su quelle grandi falangi vegetali che sembravano reggere, dita d’acciaio, la parete
della montagna, minata dall’ acqua, persisteva qualche macchia d’oro, un po’ fulva ai contorni, ma
che poi, a vista d’occhio, scoloriva, si ragnava di grigio, spariva, con un ultimo riverbero
plumbeo, trota del lago della notte, relitto labile del naufragio del giorno.» (Giorgio Celli,
Etologia da camera, Rizzoli).
“Tutti noi avremo visto un bel tramonto rosso; ma forse non ci è venuto in mente che il sole
‘morisse’ in una ‘gran pozza di sangue’. Morti di noi avranno visto una fla di abeti, lungo la
parete di una montagna, ma forse non li abbiamo messi in relazione con ‘dita d’acciaio’ che tengono
su quella parete. Probabilmente tutti noi avremo visto gli ultimi raggi del sole illuminare le cime
degli alberi, e poi avremo visto quella macchia scolorire, diventare grigia e sparire
all’improvviso; ma forse non abbiamo mai paragonato la rapidità di quella sparizione con la rapidità
con cui scompare una ‘trota’ nelle acque di un lago o di un fiume; né forse ci è venuto in mente di
paragonare quell’ultima macchia di luce con il ‘relitto’ di un naufragio
Forse, allora, abbiamo visto e capito di più leggendo questo tramonto che guardandone uno vero, con
i nostri occhi spesso distratti. Ed è possibile che, da ora in poi, guardando un tramonto, il
ricordo del brano appena letto ci aiuti a vedere le cose con occhi più penetranti. La lingua, dunque
(e quando diciamo lingua intendiamo anche il pensiero che attraverso essa si esprime) può non solo
creare dal nulla (l’unicorno, le avventure di Pinocchio, o di Superman, ecc.), ma può ri-creare la
realtà, rendendola più ricca e più affascinante.” (4)
Quest’ultima considerazione è importantissima, perché significa che noi possiamo modificare non solo
il presente, ma anche il passato. Infatti il passato, in quanto passato, non ha più, una esistenza
oggettiva, ma solo soggettiva: è quindi soltanto passato-per-me, passato-per-te, e così via. Il
passato a cui sto pensando, infatti, lo sto pensando ora: dunque non è quello che fu, ma quello che
vedo adesso, con la facoltà del ricordo. Ma se io modifico il ricordo, alla luce di riflessioni ed
“aggiunte” successive, ne consegue che non mi trovo più in una condizione passiva nei confronti del
passato, bensì attiva e creatrice: e posso modificarlo a volontà, vuoi consciamente, vuoi
inconsciamente (come di solito avviene).
Il lettore del romanzo Senilità, di Italo Svevo, avrà già compreso quel che vogliamo dire. Nelle
successive metamorfosi operate dal ricordo, Angiolina – la donna amata da Emilio Brentani, il
protagonista dell’opera – fanno sì che ella divenga (per usare un verbo caro a Rilke), nella
coscienza di lui, una donna-angelo dolcissima e affettuosa, quale non era mai stata nella “realtà”
dell’esperienza originaria, neppure nei momenti più belli della loro fugace storia d’amore. Eppure,
Emilio si porterà nell’animo quell’immagine di donna-angelo per tutto il resto della sua vita; e il
suo amore per lei, che era stato contraddittorio, nevrotico e tormentoso, assumerà definitivamente
la soavità malinconica di una elegia autunnale, soffusa dei colori incantevoli delle foglie che via
via appassiscono.
Ma a quel punto, il ricordo non sarà più un ricordo: incorporato nel presente, saldato al blocco
della coscienza attuale, sarà diventato – esso pure – una forma del presente, una modalità del
qui-e-ora. Una modalità, si badi, totalmente diversa da quella che sussisteva quando Angiolina non
viveva nel movimento della memoria, ma nel flusso della vita reale. Eppure la realtà, adesso, è
diventata quest’altra: come se l’oggetto, rivissuto dalla coscienza e trasformato dalla fantasia,
sorgesse dalle proprie ceneri e riprendesse vita e movimento in forme totalmente inedite, ma che
ora, ora son divenute la realtà vera: al punto da far scomparire del tutto quella che era stata la
realtà di un tempo.
Ci si potrebbe spingere anche oltre su questa strada e, in parte, già lo abbiamo fatto col
precedente articolo Il passato può essere cambiato o è radicalmente immodificabile?(5), nel quale
avanzavamo l’ipotesi che sia possibile, a determinate condizioni, una trasmutazione alchemica del
passato a partire da un atto della volontà cosciente. Pertanto non insisteremo ulteriormente su
questo aspetto della questione, pur così affascinante, ma torneremo a riflettere sulle implicazioni
– invero straordinarie – del concetto che la mente è capace, almeno entro certi limiti, di creare
essa stessa la realtà che, per convenzione, siamo soliti chiamare “esterna”.
È abbastanza noto che gli sviluppi della fisica quantistica sembrano portare precisamente in tale
direzione perché la materia, a livello sub-atomico, si comporta come se fosse apertamente
influenzata dalla presenza di un osservatore esterno.
Arrivati a questo punto, cediamo la parola allo studioso britannico Colin Wilson, autore del bel
libro Alien Dawn, del 1988:
“Esiste un esperimento particolarmente sconcertante, che sottolinea i paradossi da Alice nel paese
delle Meraviglie della fisica quantistica. Se proietto un fascio di luce attraverso una fessura, con
uno schermo posto dall’altra parte, esso formerà una sottile linea luminosa su quest’ultimo,
corrispondente all’apertura attraverso cui è passato; se pratico un’altra fessura vicino e parallela
alla prima, i bordi delle due linee luminose si sovrapporranno sullo schermo. Appariranno tuttavia
alcune linee nere nella parte sovrapposta, dovute a interferenza: la cresta di un’onda cancella il
solco dell’altra.
“Supponiamo che solo u fotone per volta passi attraverso le due fessure (ridotte ora a fori di
spillo) e che, anziché uno schermo, ci sia una lastra fotografica: dopo un lungo periodo vi
aspettereste che apparissero due infinitesimali punti luminosi, ma senza alcuna interferenza, perché
un fotone non può interferire con se stesso. Eppure, in quest’esperimento appaiono ugualmente linee
dovute a interferenza,
“Ma c’è qualcosa di ancora più strano. Se un contatore di particelle viene collocato sui due fori di
spillo, per scoprire attraverso quale buco passa ciascun fotone, l’effetto interferenza cessa
immediatamente, come se il fatto di osservarli influenzasse il comportamento dei fotoni. Come mai?
Il fotone si scinde in due? O l’onda si divide e passa attraverso entrambi i fori di spillo? Se è
così, perché colpisce lo schermo in un punto ben preciso? E perché se non è osservata si comporta
come un’onda, e se osservata come una particella?
Negli anni Cinquanta, Hugh Everett, allievo del fisico John Wheeler, propose una stupefacente
interpretazione. Il fatto che il fotone diventi solido solo quando viene ‘osservato’ suggerisce che,
quando non è osservato, assume ancora la forma di ‘onda di probabilità’ di Bohr, e può perciò
attraversare entrambi i fori di spillo contemporaneamente. E le due ‘onde di probabilità’
interferiscono reciprocamente. È come se il gatto di Schrödinger esistesse contemporaneamente in due
universi, morto in uno e vivo nell’altro. Una volta aperta la scatola, le due probabilità si
coagulano nel nostro universo materiale, e possiamo trovare il gatto sia morto che vivo.
“Ma perché due universi? Quando un fotone ‘fa una scelta’ tra onda e particella, in realtà, secondo
Everett, non fa una vera scelta: sta infatti scegliendo in entrambi gli universi paralleli. E dato
che un’onda elettronica diventa corpuscolare ogni volta che colpisce una lastra fotografica o un
altro elettrone, ciò implica ogni volta un nuovo universo parallelo. Migliaia, milioni, miliardi di
universi paralleli. Quest’idea pare uno scherzo. Eppure molti scienziati la prendono sul serio. Ad
esempio, un giovane esponente del mondo della fisica quantistica, David Deutsch, nel suo The Fabric
of Reality, dedica un capitolo alla spiegazione dell’esperimento della doppia distorsione e parla di
fotoni solidi e di fotoni ‘ombra’: i primi esistenti nel nostro universo, i secondi in universi
paralleli.
“Aristotele aveva elaborato il concetto di ‘potentia’, una sorta di dimensione intermedia tra
possibilità e realtà. Pare che gli elettroni si trovino perfettamente a loro agio in questa bizzarra
dimensione.
“Lo scopo di questa digressione sugli enigmi e i paradossi della fisica quantistica mira a
sottolineare una questione molto importante e cioè che, ci piaccia o no, dobbiamo imparare a
guardare alla realtà in modo radicalmente diverso. Come il nostro senso estetico, o quello
dell’umorismo, come le nostre preferenze sessuali, la realtà consiste essenzialmente nel modo in cui
uno la considera. Potremmo dire, come già altri prima di noi, che il mondo esiste in quanto qualcuno
ha coscienza di esso. Il fisico John Wheeler si è spinto ancor più lontano, dilatando il concetto di
‘principio antropico’ e suggerendo che noi stessi creiamo il mondo con l’atto di percepirlo.” (6)
Dovremmo, dunque, imparare a guardare alla realtà in modo radicalmente diverso.
I saggi indù e buddhisti e alcuni santi e mistici cristiani lo hanno già fatto, da centinaia o
migliaia di anni; i fisici incominciano a farlo solo ora.
Non è troppo tardi.
Ce n’è, diceva Thoreau, di giorno che deve ancora sorgere. Per noi, esiste solo l’alba che ci trova
ben desti e con gli occhi spalancati sulla realtà circostante.
NOTE
1) F. Lamendola, Noin si può intuire direttamente ‘oggetto, ma solo ri-crearlo internamente, sul
sito di Arianna Editrice, sezione Cultura, filosofia e spiritualità.
2) U. Fontana, La simbolica e le strutture dell’immaginario. Nozioni introduttive al processo di
simbolizzazione, in Rivista di scienze della formazione e ricerca educativa, Venezia-Mestre, n. 3,
2006, p. 98.
3) L. Cateni – R. Fortini, Il pensiero geometrico, Firenze, Le Monnier, 1975, vol. 1, pp. 1-2.
4) Maria Luisa Altieri Biagi, La grammatica dal testo, Milano, Edizioni A.P. E. Mursia, 1993, pp.
30-32.
5) F. Lamendola, Il passato può essere cambiato o è radicalmente immodificabile?, sul sito di
Edicolaweb, rubrica Altra dimensione.
6) Colin Wilson, Dei dell’altro universo, traduzione italiana Casale Monferrato, Piemme, 1999, pp.
58-360.
fonte:www.ariannaeditrice.it
fonte originale:edicolaweb
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