La Mindfulness potrebbe dare reazioni avverse

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Non solo benefici: la mindfulness potrebbe dare reazioni avverse, soprattutto nei Paesi occidentali

La mindfulness è una pratica di meditazione antichissima i cui benefici sono dimostrati, ma sempre
più studi ne confermano anche i possibili effetti collaterali.

20 agosto 2024 – Giulia Dallagiovanna

Oggi i corsi di mindfulness si trovano un po’ ovunque, dalle palestre ai video online, fino alle
app.

La mindfulness è una tecnica di meditazione buddista oggi molto diffusa nei paesi occidentali. Si
basa sull’aumento della consapevolezza e dell’autopercezione. Sull’avere, cioè, piena coscienza di
quello che si sta vivendo, sentendo, percependo in quel preciso momento. Lo scopo è favorire
l’accettazione delle emozioni anche se negative, che di norma tenderemmo a evitare o allontanare,
per imparare a gestire meglio i sintomi di ansia e depressione e aumentare la nostra sensazione di
benessere e tranquillità. Non per niente oggi viene utilizzata in diversi ambiti, compresi i
percorsi di terapia per i disturbi mentali o per le dipendenze, e si possono trovare corsi dedicati
un po’ ovunque, dalla palestra sotto casa alle app. Ma c’è un aspetto della mindfulness di cui si
parla meno: i possibili effetti collaterali, con cui in occidente dobbiamo ancora imparare ad avere
a che fare.

I BENEFICI DELLA MINDFULNESS. Questa tecnica di meditazione ha dimostrato nei millenni di avere
impatti significativamente positivi sulla salute mentale. Dal contrasto ai sintomi dell’ansia, fino
al miglioramento di concentrazione, memoria e qualità del sonno. Diversi studi dimostrano come aiuti
a ridurre il consumo di farmaci antidepressivi (che devono comunque essere assunti e ridotti in
accordo con un medico) e a rendere più leggero il dolore provocato dall’artrite reumatoide e da
altre malattie croniche. Ma come tutte le forme di terapia, non ha solo benefici.

LE REAZIONI AVVERSE. Negli ultimi 10 anni sono aumentate le ricerche proprio su questo aspetto.
L’ultima in ordine di tempo è stata pubblicata nel 2022 sulla rivista Psychoterapy Research e ha
analizzato l’esperienza di 953 persone statunitensi che praticavano regolarmente la meditazione. È
emerso che oltre il 10% di loro aveva manifestato reazioni avverse, con un impatto negativo sulla
loro vita quotidiana con cui hanno dovuto convivere anche per un mese. E non sono le uniche.

Sempre nel 2022, uno studio uscito sul British Medial Journal of Mental Health ha tirato le somme di
due anni di ricerche su 8.000 bambini, tra gli 11 e i 14 anni, che potevano praticare mindfulness
nella propria scuola. Gli studenti provenivano da 84 diversi istituti del Regno Unito. Al termine
del monitoraggio non emergevano miglioramenti per la salute mentale dei ragazzini rispetto al gruppo
di controllo e, anzi, sembrava aumentare il rischio di sviluppare disturbi mentali per chi era più
esposto.

Un’altra conferma di queste scoperte arriva da una revisione di 55 studi ad opera di un team
dell’Università di Coventry, sempre nel Regno Unito.

Pubblicato nel 2020, dimostrava come circa l’8% dei partecipanti avesse sperimentato un
peggioramento dell’ansia o della depressione, se già ne soffriva, oppure l’insorgenza di questi
sintomi qualora non li avesse mai manifestati. Sintomi che si accompagnavano anche a episodi di
psicosi, dissociazione dalla realtà, depersonalizzazione e allucinazioni.

EFFETTI GIÀ NOTI. La vera scoperta, però, è che non stiamo parlando di nulla di nuovo. I possibili
effetti negativi della mindfulness, una pratica che in oriente è davvero antichissima, erano già
menzionati nei resoconti dei monaci buddisti. Venivano descritti nel dettaglio gli episodi di
psicosi e di dissociazione e si faceva riferimento al concetto di nyams, ovvero quelle esperienze
meditative che producono euforia, visioni, sintomi psicologici e persino dolore fisico.

UN PROBLEMA OCCIDENTALE. Nella cultura orientale dunque è conosciuto e accettato il fatto che il
percorso di meditazione possa essere contraddistinto anche da periodi più complicati. Ma questo
aspetto è più difficile da metabolizzare nella società occidentale e laica, che attribuisce al
dolore una valenza quasi unicamente negativa.

PERCHÉ SI VERIFICANO QUESTI EFFETTI COLLATERALI? La mindfulness “obbliga” ad avere più
consapevolezza di se stessi e delle emozioni che si stanno vivendo, anche e soprattutto se negative.
Questo incontro potrebbe portare a rivivere dei traumi che il cervello aveva in qualche modo
nascosto e risvegliare quindi ricordi dolorosi, non sempre facili da affrontare. Inoltre, una
maggiore conoscenza di se stessi e dei propri bisogni entra in conflitto con una società sempre più
competitiva e basata sulla performance: questa dicotomia mette in discussione un eventuale
equilibrio che pensavamo di aver raggiunto.

MANEGGIARE CON CAUTELA. Gli effetti collaterali non offuscano i benefici di una pratica i cui
impatti positivi sono stati ampiamente documentati. Pongono, però, una questione etica rispetto alla
fruizione della mindfulness. Sarebbe infatti da preferire come accompagnamento a un percorso di
psicoterapia più strutturato, piuttosto che come alternativa. Soprattutto in caso di disturbi
mentali diagnosticati come la depressione maggiore o i disturbi bordeline di personalità, che
potrebbero peggiorare con una pratica meditativa fai da te. Più discutibili diventano quindi le app
e i corsi online offerti da coach, dove la mindfulness diventa un prodotto da vendere più che uno
strumento in sostegno al proprio benessere.

www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/10503307.2021.1933646

mentalhealth.bmj.com/content/25/3/117

onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1111/acps.13225

da focus.it

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