La morte 1

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La morte 1

di Claudio Capolino

“La Morte “

(AUTORI VARI)

– Introduzione –

Non mi risulta che il pensiero di lasciare uno di questi giorni il mio
corpo, abbia sconvolto, ne tanto meno assillato, la mia mente con
curiosa morbosità. Questa mancanza d’interesse durò certamente molti
anni; di sicuro fino ad arrivare alla soglia della vecchiaia…

Poi, improvvisamente, tutto cambiò!

Certo, avere la pretesa di una qualche sicurezza in merito
comporterebbe l’esperienza di morire prima e risorgere subito per poi
raccontarlo. E questo, per quanto vogliate impegnarvi, mi risulta
finora prerogativa di un solo uomo.

Saprete scusarmi se, per tanto, sarò costretto a rimanere sul vago.

Comunque, non sono persona di scoraggiarsi facilmente.

Da allora, mi misi all’opera. Vista l’inutilità gettai nella
spazzatura la fialetta di stricnina e cominciai a rovistare tra I
libri che avevo raccolto in questi ultimi anni.

E con innegabile soddisfazione trovai molto più di quanto auspicassi all’inizio.

Decisi così de raccogliere tutto il materiale (disperso tra un mucchio
di libri e monografie) e riporlo in uno stesso volume.

Questo è il risultato.

C.C.

__________________

INDICE

* Tutto ciò che Aurobindo svelò sulla morte, e sul dopo morte

* Morte: la grande avventura

* Bardo Thodol (Il Libro Tibetano dei Morti)

* La storia di Cameron Macaulay

* Le attrazioni animiche delle nostre vite passate

* La morte è un premio

* La vita dopo la morte

* Dove vanno I morti?

* L’ultimo tabù

* Il Mistero dell’Uomo

* La tecnica per comunicare con le anime dei defunti

* Esperienze dell’uomo dopo la morte

* L’insegnamento del buddhismo sulla morte

* La morte ed il suo meccanismo

* Riflessione sulla morte o transizione

* I segni premonitori della morte

* Cenni sulla morte

_______________

LA MORTE

(di Sri Aurobindo)

Perché esiste la morte

Questa domanda è stata posta, almeno una volta nella vita, da tutte le
persone la cui coscienza si è risvegliata almeno ad un livello minimo.
Nella profondità di ogni essere c’è un bisogno così intenso di
prolungare, ampliare e perpetuare la vita, che il contatto con la
morte produce uno shock, un movimento di avversione.

In alcuni esseri particolarmente sensibili essa genera orrore, in
altri indignazione. Ci si chiede: che cos’è questa mostruosa farsa
alla quale una persona deve partecipare senza averlo chiesto o senza
capirne il senso? Perché nascere, se si deve morire? Perché tutto
questo sforzo per crescere, per progredire, per lo sviluppo delle
facoltà individuali, se si deve poi arrivare all’esaurimento fisico e
infine al declino e alla decomposizione?

Alcuni si sottomettono passivamente a un destino che sembra
inesorabile, altri si ribellano o, se meno forti, si disperano. E
sempre ci si ritrova davanti alla stessa domanda. Se c’è una volontà
cosciente dietro tutto ciò, tutto questo sembra mostruoso.

Ma Sri Aurobindo ci dice ora che la morte è stato un mezzo
indispensabile per risvegliare il bisogno della perfezione e del
progresso nella coscienza della materia. Senza la morte le creature
rimarrebbero indefinitamente soddisfatte della condizione in cui si
trovano.

che è come dire che tutta la Creazione, tutto l’Universo si sta
muovendo verso una certa perfezione, che comunque sembra allontanarsi
quanto più si progredisce; perché ciò che è sembrato perfetto ad un
dato istante in seguito non appare più così.

Quegli stati dell’essere che sono i più sottili stati di coscienza
seguono questa linea di progresso, con la stessa velocità. Più sottili
sono questi modi d’essere e più il loro ritmo di crescita si avvicina
a quello divino.

Ma, il mondo materiale è rigido per natura; lì, la trasformazione è
lenta, molto lenta, quasi impercettibile se si considera il modo in
cui l’uomo percepisce il tempo, cosicché c’è un costante disequilibrio
tra i movimenti esteriori e quelli interiori. E’ questo disequilibrio,
questa incapacità

delle forme esteriori a seguire il movimento di progresso che hanno
reso la decomposizione e il cambiamento della forma una necessità.

Ma, se potessimo infondere sufficiente coscienza dentro questa
materia, cosicché il suo ritmo di crescita si mettesse in sintonia con
quello delle parti più sottili dell’essere e essa divenisse
sufficientemente plastica da seguire il progresso interiore, allora
non ci sarebbe la rottura di equilibrio e la morte non sarebbe più una
necessità.

Inoltre, il nostro attuale compito – per noi che conosciamo un po’ di
più al riguardo – è di realizzare la necessaria trasformazione, per
quanto sia possibile nei limiti dei nostri mezzi, aspirando alla
forza, alla coscienza, al nuovo potere che è in grado di infondere
nella sostanza materiale la vibrazione capace di trasformarla, di
renderla malleabile, elastica e progressiva.

La morte è una realtà che perviene a tutta la vita terrestre; ma
l’uomo la percepisce in modo diverso rispetto al significato che la
natura originariamente le diede. Nell’uomo e negli animali che sono
più vicini al suo livello, la necessità della morte ha assunto,
rispetto alla loro

coscienza, una forma e un significato particolari; ma la legge
sub-cosciente in questa natura inferiore che sostiene la morte è il
senso della necessità di rinnovamento, di cambiamento e di
trasformazione.

Furono le condizioni stesse della materia sulla terra che resero la
morte indispensabile. Tutto il senso dell’evoluzione della materia è
stato una crescita da un primo stadio di incoscienza ad una crescente
consapevolezza. In questo processo di crescita la dissoluzione delle
forme divenne una necessità inevitabile, e così è stato.

Una forma fissa si è resa infatti necessaria affinché la coscienza
individuale vi trovasse un sostegno stabile. Ma, al tempo stesso, è la
fissità della forma che ha reso la morte inevitabile. La materia
doveva assumere delle forme; l’individualizzazione e la concreta
incarnazione delle forze della vita e delle forze della coscienza
sarebbero state impossibili

senza le forme, e senza queste ultime sarebbero mancate le condizioni
prime per lo sviluppo dell’esistenza sul piano materiale.

Una formazione definita e concreta assume la tendenza a divenire
subito rigida, dura come la pietra. La forma individuale persiste
quindi come uno stampo rigido. Essa non riesce a seguire i movimenti
delle forze; non riesce a mutare in armonia col progressivo
cambiamento del dinamismo universale; la forma non riesce a soddisfare
ininterrottamente la domanda della natura o a tenere il suo passo,
perciò esce dalla corrente della vita.

Ad un certo punto di questa crescente disparità e disarmonia tra la
forma e la forza che preme su di essa, è inevitabile che si giunga
alla completa dissoluzione della forma. Una nuova forma deve essere
creata; una nuova armonia ed un nuovo equilibrio devono essere resi
possibili. Raggiungere questo obiettivo è il vero significato della
morte e questa è la sua

funzione nel gioco della natura. Ma se la forma potesse divenire più
disponibile e flessibile e le cellule del corpo potessero essere
risvegliate alla capacità di cambiare di pari passo con la coscienza,
non ci sarebbe più bisogno di una drastica dissoluzione, la morte non
sarebbe più inevitabile.

Qualche volta, quando le persone sono in punto di morte, esse sanno
che stanno per morire. Perché non dicono allo spirito della morte di
andarsene?

Ah! Bene, dipende dalle persone. Due cose sono necessarie. Prima di
tutto, nulla in voi, nessuna parte del vostro essere dovrebbe
desiderare di morire. Ma non succede spesso. C’è sempre un disfattista
in voi da qualche parte: qualche cosa che è stanco, qualche cosa che è
disgustato, qualche cosa che ne ha abbastanza, che è pigro, qualche
cosa che non vuole lottare e dice:

“Bene! Ah! Facciamola finita, meglio così”. Questo è sufficiente per morire.

E’ un fatto: se nulla, assolutamente nulla in voi acconsente a morire,
non morirete. Inoltre, affinché una persona muoia, c’è sempre un
attimo, forse un centesimo di secondo, in cui egli dà il proprio
consenso. Se non ci fosse questo attimo di consenso egli non
morirebbe.

Ho conosciuto persone che avrebbero dovuto essere morte in base a
tutte le leggi fisiche e vitali; ma, opposero il loro rifiuto. Avevano
detto: “No, non morirò” e vissero. Vi sono altri per cui non vi era
alcuna necessità di morire, ma appartenevano al genere di persone che
dicono: “Ah bene, meglio così, dopo sarà tutto finito”, ed è finita.

Basta solo questo: non c’è bisogno di avere un persistente desiderio,
è sufficiente che si dica: “Bene, sì, ne ho avuto abbastanza!”, ed è
finita.

Proprio come dici tu, puoi avere la morte a fianco del letto e dirle:
“Non ti voglio, vai via!”; e sarà obbligata ad andarsene.

Ma, generalmente uno si arrende, poiché bisogna combattere, essere
forti, molto coraggiosi e resistenti; ed avere una grande fede nella
necessità della vita, come chi, ad esempio, senta molto fortemente che
ha ancora qualcosa da fare e che lo deve fare assolutamente. Ma, chi
mai è sicuro di non avere, dentro di sé, da qualche parte, neanche un
pezzettino del disfattista che si arrenda e dica: “Va bene così?” Da
qui la necessità di unificare il nostro essere.

– Cosa succede dopo la morte –

L’anima rinasce ogni volta, e ogni volta, con i materiali della natura
universale, vengono formati una mente, un vitale e un corpo, in
accordo con la passata evoluzione dell’anima ed i suoi bisogni per il
futuro.

Quando il corpo si è dissolto, il vitale va nel piano vitale e vi
rimane per un certo periodo; ma, poi, anche l’involucro mentale si
dissolve. Alla fine l’anima, o essere psichico, si ritira nel mondo
psichico per riposare finché una nuova nascita si avvicina.

Questo è il corso generale degli eventi per gli esseri umani
normalmente sviluppati.

Ci sono variazioni a secondo della natura dell’individuo e del suo sviluppo.

Ad esempio, se la mente è molto sviluppata, allora l’essere mentale
può non dissolversi; lo stesso può succedere al vitale, purché queste
entità siano organizzate e centrate attorno al vero essere psichico;
così condividono l’immortalità dello psichico.

L’anima raccoglie gli elementi essenziali delle proprie esperienze
nella vita e fa di questi la propria base di crescita nell’evoluzione;
quando rinasce essa assume, con la nuova formazione dei propri
involucri, mentale, vitale e fisico, quella parte del proprio karma
che le è utile nella nuova vita per un’ulteriore esperienza. (Nota:
karma = esperienze di vite precedenti. Fine nota).

E’ proprio per la parte vitale dell’essere che vengono celebrati
sraddha e riti funebri, per aiutare l’essere a liberarsi delle
vibrazioni vitali che ancora lo attaccano alla terra o ai mondi
vitali, affinché esso possa passare velocemente al riposo della pace
psichica.

Ci sono in noi molti stati d’essere e ogni stato ha la propria vita.
Tutto ciò è riunito in un unico corpo, per tutto il tempo che si
possiede un corpo, e agisce attraverso questo unico corpo; cosicché si
ha la sensazione che si tratti di una sola persona, un singolo essere.
Ma in realtà ce ne sono molti, ognuno dei quali si organizza su un
livello diverso: si ha un essere vitale, un essere mentale, un essere
psichico, e molti altri, compresi tutti i possibili piani intermedi.
E’ un po’ complicato e difficile da capire.

Ad esempio, se vivete una vita di desiderio, di passione e
impulsività, vivete sotto l’influsso dominante dell’essere vitale in
voi; ma se vivete facendo uno sforzo spirituale, con tanta buona
volontà, col desiderio di agire bene, con altruismo, con volontà di
progresso, vivete invece sotto l’influsso dominante dell’essere
psichico in voi.

Poi, quando state per lasciare il corpo, tutti questi esseri si
preparano a disperdersi. Solo se si è degli yogi molto progrediti e se
si è riusciti ad unificare il proprio essere attorno al centro divino,
solo allora questi esseri rimangono uniti. Se non si è stati capaci di
unificarli, al momento della morte tutto ciò si decompone: ogni essere
ritorna al suo dominio.

Ad esempio, riguardo all’essere vitale, tutti i vostri desideri si
separano e ognuno di essi si dirige verso la sua propria
realizzazione, in modo del tutto indipendente, poiché non ci sarà più
l’essere fisico a tenerli tutti uniti. Ma, se si era unificata la
propria coscienza con la coscienza psichica, quando si muore si rimane
coscienti del proprio essere psichico e questo ritorna nel piano
corrispondente, che è un mondo di beatitudine e gioia, di pace, di
tranquillità e di crescente conoscenza.

Quindi, se si va di chiamarlo paradiso, nulla in contrario; poiché,
infatti, è nella misura in cui ci si identifica col proprio essere
psichico che si rimane coscienti di esso; è allora che diventate una
cosa sola con esso, che è immortale e che raggiunge il suo dominio
immortale per vivervi e riposarvi perfettamente felice. Se vi va di
chiamarlo paradiso, fate pure.

Se si è virtuosi, se si è coscienti del proprio essere psichico e si
vive in esso, bene, quando il corpo morirà si andrà col proprio essere
psichico a riposare nel piano psichico, in uno stato di beatitudine.

Ma, se avete vissuto nel vostro essere vitale con tutti i suoi
impulsi, e ciascun impulso tenta di realizzarsi, ogni impulso a suo
modo, allora…

Ad esempio, nel caso di un avaro che è concentrato sui suoi soldi, la
parte del vitale che è interessata a quel denaro rimane attaccata lì e
continuerà a vegliare sul denaro affinché nessuno lo prenda.

Le persone non lo vedono, ma lui è lì ed è molto infelice se qualcosa
succede a quel denaro che gli è così caro.

Conoscevo bene una donna, che aveva figli, e aveva del denaro; aveva
cinque figli e ognuno era più spendaccione dell’altro. La quantità di
attenzioni che lei aveva dedicato ad accumulare il denaro era uguale a
quella che i figli sembravano dedicare a sperperarlo, spendevano in
modo dissennato.

Così, quando la vecchia signora morì, venne da me e mi disse: “Ah! Ora
sperpereranno tutto il mio denaro!”; era molto infelice. La consolai
un po’, ma feci molta fatica a persuaderla a non sorvegliare il suo
denaro affinché non fosse sperperato.

Ora, se si vive esclusivamente nella propria coscienza fisica (è
difficile, poiché si hanno, naturalmente, pensieri e sentimenti), ma
se si vive esclusivamente nella parte fisica, quando l’essere fisico
scompare si scompare contemporaneamente ad esso; è finita…

C’è solo uno spirito della forma: la vostra forma ha uno spirito che
persiste per sette giorni dopo la morte. I medici hanno dichiarato che
siete morti, ma lo spirito della vostra forma vive, e non solo vive,
ma, nella maggior parte dei casi, è cosciente. Ma, dura solo per sette
o otto giorni e poi si dissolve. Non parlo qui degli yogi, parlo della
gente comune. Gli yogi non hanno leggi, è molto diverso; per loro il
mondo è diverso. Sto parlando della gente comune, che vive una vita
normale; per questi è proprio così.

Quindi, la conclusione è che se volete conservare la coscienza,
sarebbe meglio centralizzarla attorno a quella parte del proprio
essere che è immortale; altrimenti essa si dissolverà come una
fiammella nell’aria. Ed è una vera fortuna, poiché se fosse
diversamente, ci potrebbero essere degli dèi o altri tipi di uomini
superiori che creerebbero inferni e paradisi, come li creano nella
loro immaginazione materiale, nei quali vi imprigionerebbero; e
sareste rinchiusi in paradiso o all’inferno a seconda che gli
piacciate o meno. Sarebbe una situazione molto critica, ma
fortunatamente non è così.

Dopo la morte, l’essere interiore continua a progredire?

Dipende assolutamente dai casi. Ogni caso è diverso. Ci sono persone –
ad esempio scrittori, musicisti, artisti – che hanno vissuto nel piano
intellettuale, che sentono di avere ancora qualcosa da fare e che non
hanno portato a compimento ciò che avevano intrapreso, che sentono di
non aver raggiunto la meta che si erano prefissati, e di conseguenza
sono pronti a rimanere nell’atmosfera terrestre più che possono, con
la maggiore coesione possibile, e cercano di manifestarsi e di
continuare il proprio progresso in altri corpi umani.

Ho visto molti casi del genere; so del caso molto interessante di un
musicista, un pianista (un pianista di grande valore), le cui mani
erano una meraviglia di abilità, esattezza, precisione, forza,
rapidità di movimento; sì, era assolutamente eccezionale.

Quest’uomo morì relativamente giovane, con la percezione che, se
avesse continuato a vivere, avrebbe continuato a progredire
nell’espressione della propria musica. L’intensità della sua
aspirazione era tale che le sue mani, nella dimensione sottile,
mantennero la propria forma senza dissolversi, e ogni volta che egli
incontrava qualcuno che fosse un po’ ricettivo, passivo e bravo
musicista, le sue mani entravano dentro le mani delle persone che
suonavano.

Una volta, una pianista che stava suonando e che sapeva suonare bene,
ma in modo ordinario, divenne d’un tratto non soltanto una virtuosa,
ma una meravigliosa artista per tutti il tempo dell’esecuzione: erano
le mani dell’altro che stavano suonando attraverso di lei.

Questo è un fenomeno che io conosco.

Vidi la stessa cosa nel caso di un pittore: anche quella era una
faccenda di mani. Lo stesso è capitato a scrittori, e qui fu proprio
la mente che mantenne una forma precisa ed entrò nella mente di
qualcuno che era abbastanza ricettivo, consentendogli improvvisamente
di scrivere cose straordinarie, infinitamente più belle di qualsiasi
cosa da lui scritta in precedenza.

Fu così nel caso di un compositore di musica – non uno di quelli che
eseguono, ma che compongono, come Beethoven, Bach, come Cesar Frank
(ma questi eseguiva anche). La composizione della musica è un’attività
estremamente cerebrale. Bene, anche qui, la mente di un grande
musicista influenzò un compositore che era impegnato a scrivere
un’opera e fece sì che egli conoscesse cose meravigliose e con la
stesura di tutte le sezioni.

Il compositore stava componendo un’opera e fu estremamente complesso
per gli esecutori realizzare in musica il suo pensiero. Quest’uomo (io
l’ho conosciuto) quando riceveva la formazione musicale, teneva un
foglio bianco davanti a sé e poi cominciava a scrivere.

Lo vidi scrivere, tracciare linee, poi alcuni caratteri su un foglio
comune, e quando ebbe finito, l’orchestrazione del preludio di un
certo atto era completa (orchestrazione significa la distribuzione
delle varie parti della musica a ciascuno strumento). Lo faceva con
assoluta semplicità su un pezzo di carta, soltanto grazie a questo
meraviglioso potere mentale.

Cosa farà l’anima? Dove andrà? Tutto dipende da ciò che essa ha deciso
prima di lasciare il corpo. E proprio questa capacità di mantenere
attorno a sé l’essere che è stato completamente organizzato e
unificato nella vita fisica, le permetterà effettivamente di scegliere
ciò che vuole fare – che pure rappresenta un terreno di possibilità
molto diverse. Essa può passare coscientemente da un corpo ad un
altro, direttamente (ci sono casi in cui tale essere, completamente
cosciente ed evoluto, ha preparato lentamente un altro essere capace
di riceverlo e di assimilarlo; in questo modo, per non interrompere il
lavoro materiale quando lascerà il corpo, egli andrà ad unirsi con un
altro essere psichico, a fondersi e ad aggiungersi ad esso in un altro
corpo fisico). Questo è un caso estremo, ed anche estremamente raro,
ma fa parte di una conoscenza occulta che è assolutamente
tradizionale.

Oppure, diversamente, l’anima può andare nella direzione opposta; cioè
quando l’essere psichico, dopo aver concluso la sua esperienza nel
corpo, desidera assimilarla nel riposo, e prepararsi ad un’altra
esistenza fisica futura – a volte in futuro molto lontano.

Poi può accadere questo, tra le molte possibilità: l’anima abbandona
in ciascun piano – nel piano del fisico sottile, nel piano vitale e
nel piano mentale – gli esseri corrispondenti; ve li lascia con una
specie di vincolo tra loro, ma ciascuno mantiene la sua esistenza
indipendente, mentre invece l’anima stessa entra nella zona, nella
realtà, nel mondo psichico propriamente detti e si mette in un riposo
di assimilazione e beatitudine, finché, com’è descritto nelle pagine
che stiamo leggendo, non ha assimilato e digerito tutte le sue buone
azioni e diviene pronta per realizzare un’altra esperienza di vita.

Poi, se il suo lavoro è stato ben fatto e se le parti o gli involucri
del suo essere, lasciati nei diversi piani, si sono preservati bene,
allora essa assume, una dopo l’altra, tutte queste parti che vissero
con lei nella sua vita passata e con tale patrimonio di conoscenza e
d’esperienza si prepara ad entrare in un nuovo corpo. Ciò può forse
accadere dopo centinaia, o anche migliaia di anni, poiché in quei
piani tutto ciò che è organizzato non è più necessariamente soggetto
alla decomposizione che noi chiamiamo, qui, morte.

Non appena un essere vitale è completamente armonizzato, esso diviene
immortale. Ciò che lo dissolve, che lo disintegra, sono tutti i
disordini interiori, tutte le forze, precisamente, di decomposizione e
distruzione; ma se è completamente armonizzato e organizzato e, per
così dire, divinizzato, esso diviene immortale. Ed è lo stesso per la
mente. Anche il fisico sottile di esseri che sono completamente
evoluti e che sono stati impregnati da forze spirituali non si
dissolve necessariamente dopo la morte. Esso può continuare
un’attività, o può concedersi un salutare riposo in certi

elementi della natura, come l’acqua; generalmente in un liquido –
nell’acqua o nella linfa degli alberi – oppure, come si afferma in
queste pagine – nelle nuvole. Ma può anche rimanere attivo e
continuare ad agire sugli elementi materiali della natura fisica.

Dopo la morte c’è un periodo in cui l’essere attraversa il mondo
vitale e vive lì per un certo periodo. E’ solo la prima parte di
questo passaggio che può essere pericolosa o penosa; nella parte
residua l’essere esaurisce, in determinate situazioni, il resto dei
desideri vitali e degli istinti che aveva nel corpo. Non appena si
stanca di questi e riesce a superarli, la guaina vitale cade e
l’anima, dopo un periodo necessario per liberarsi di alcuni residui
mentali, passa in uno stato di riposo nel mondo psichico e rimane lì
fino alla sua prossima vita sulla terra.

Paradiso e inferno sono spesso degli stati immaginari dell’anima, o
piuttosto del vitale, che su di essi elabora delle costruzioni dopo la
morte fisica. Ciò che si intende per inferno è un passaggio penoso
attraverso il piano vitale o il protrarsi lì della permanenza, come
avviene, ad esempio, in molti casi di suicidio, dove l’essere rimane
circondato dalle forze di sofferenza e agitazione create da questa
fine innaturale e violenta. Vi sono anche, naturalmente, mondi mentali
e vitali che sono permeati di esperienze gioiose o tristi. Uno può
passarvi attraverso come risultato di cose formatesi nella natura le
quali creano le necessarie affinità; ma l’idea di una ricompensa o di
un castigo è una concezione rozza e volgare che è semplicemente un
errore popolare.

Che cosa intendete per fantasma? Il termine “fantasma”, così come è
usato nel linguaggio comune, copre un numero enorme di fenomeni
distinti che non sono necessariamente collegati l’un l’altro. Per
nominarne solo alcuni:

1. Un contatto reale con l’anima di un essere umano nel suo corpo
sottile, contatto che viene registrato dalla nostra mente con
l’apparire di una immagine o l’udire una voce.

2. Una formazione mentale, impressa dai pensieri e dai sentimenti di
un essere umano defunto nell’atmosfera di un posto o d’una località,
che lì

permane o si ripete, finché questa formazione si esaurisce o si
disperde in qualche modo. Questa è la spiegazione di fenomeni come le
case frequentate da spettri, in cui le scene che segnano o
accompagnano o precedono un omicidio si ripetono continuamente, e di
molti altri fenomeni simili.

3. Un essere dei piani vitali inferiori, che ha occupato l’involucro
vitale abbandonato da un essere umano defunto o un frammento della sua
personalità vitale, e così appare e agisce nello stesso modo e forse
anche con i pensieri e i ricordi di superficie di quella persona.

o con altri mezzi o strumenti, è capace di materializzarsi a
sufficienza per apparire e agire in una forma visibile o per parlare
con una voce udibile, oppure, senza apparire in tal modo, è capace di
far muovere oggetti materiali in tal modo, è capace di far muovere
oggetti materiali, come mobilia, o di materializzare oggetti o di
spostarli da un posto all’altro. Ciò si riferisce a quelle
manifestazioni chiamate Poltergeist, ai fenomeni di lancio di pietre,
ai Bhuta = esseri del mondo sottile, che abitano gli alberi e ad altri
fenomeni a voi ben noti.

5. Apparizioni che sono formazioni della propria mente e assumono
per i sensi un aspetto oggettivo.

6. Possessione temporanea di persone, da parte di esseri vitali che
qualche volta fingono di essere parenti defunti, ecc.

7. Proiezioni di immagini – pensiero di se stessi, spesso ad opera
di persone che appaiono, al momento della morte o poche ore dopo, ai
loro amici o parenti.

Avrete notato quindi che solo in uno di questi casi, il primo, può
trattarsi di un’anima, e qui non sorge nessuna difficoltà.

Scritture automatiche e sedute spiritiche sono una faccenda molto
confusa. In parte provengono dalla mente subcosciente del medium e in
parte da quella dei convenuti. Ma non è vero che tutto si debba
attribuire ad una immaginazione e ad una memoria drammatizzanti.
Qualche volta ci sono cose che nessuno dei presenti potrebbe conoscere
o ricordare; qualche volta, inoltre, anche se ciò è raro, si hanno
visioni del futuro. Tuttavia di

solito queste sedute, e situazioni simili, mettono in contatto con un
mondo molto basso di esseri e forse vitali oscuri, disarmonici e
inaffidabili ed è pericoloso frequentarli o subirne qualsiasi
influenza. Ospensky ed altri devono essere passati attraverso questi
esperimenti con una mente troppo matematica, che fu senza dubbio la
loro salvaguardia, ma che impedì loro di giungere a qualcosa di più di
una superficiale visione intellettuale del loro significato.

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