La morte di Osho, raccontata dai discepoli…

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La morte di Osho, raccontata dai discepoli…

L’ALTRA SPONDA

Tratto da:

Osho – Tao: The Three Treasures, vol. III
30 giugno 1975

“Questa è una sera speciale, perché uno di noi è partito, verso l’altra
sponda”, così Osho la sera del 17 luglio 1987 annunciò la dipartita di un
altro dei suoi discepoli, Swami Anand Maitreya che egli aveva dichiarato
illuminato nel 1984.

Maitreya aveva voluto tenere per sé questa realizzazione, ma Osho “se ne
accorse” e l? annunciò pubblicamente. In quell’occasione, Maitreya disse:
“Osho è un vero birbante!” Dando così prova di quella leggerezza che segna
un legame tra amici che non hanno nulla da salvare, nulla da difendere,
nulla da giustificare… nulla da darsi ? da dirsi, in quanto sono un solo
essere, sono parte della stessa coscienza. SONO la stessa consapevolezza!

“Non tornerà più, non rinascerà mai più.

Ha conseguito la libertà e la liberazione di cui vi ho sempre parlato.
Questo è un momento di grande felicità, di gioia, celebrate! Festeggiate…
accade molto di rado… forse una persona su un milione giunge a una tale
silenziosa esplosione di luce, dissolvendosi nell’oceano di consapevolezza
che circonda l’esistenza.

Maitreya se n’è andato pienamente consapevole: ricordatevi di lui, perché vi
ha mostrato il sentiero. Egli ha vissuto con gioia, sebbene non possedesse
nulla, ed è morto immerso in una quiete infinita, in uno stato di grazia. È
questo che intendo quando parlo di “realizzare il proprio destino”.

Coloro che vivono nell’infelicità e muoiono infelici, continuano a mancare
il proprio destino. Falliscono, e poiché hanno fallito milioni di volte, si
sono assuefatti al fallimento… ma se anche una sola persona si realizza,
il suo successo diventa anche il vostro: dimostra che ciò di cui abbiamo
parlato non è mera filosofia, è un autentico sentiero per la realizzazione
del Sé.

Se ne è andato, come un uomo dovrebbe fare: con gioia, in estasi.

Ricordate che questa sua esperienza di realizzazione si fonda su due cose:
la prima, era entrato in piena fiducia con me. Uso un linguaggio strano,
forse non avrete mai sentito usare una frase come questa… è un fatto raro!
E la seconda cosa: mai, da quando mi ha conosciuto, ha mancato di entrare in
meditazione quanto più gli era possibile.

La sua morte non è stata la fine di una vita, ma l’attimo culminante di una
fiducia e di uno stato di meditazione sconfinati.

Allorché la fiducia e la meditazione si incontrano, là dove accade, si
realizza il proprio potenziale, in tutta la sua gloria e il suo splendore”.

Ora Osho, quel furfante, ha giocato ai suoi discepoli l’ultimo scherzo… ?
quello che sembra tale! Ha lasciato il corpo, facendo ciò che aveva
promesso: si è dissolto nell’aria, negli alberi, nel sole e nella pioggia.
Pare ammiccare nel cielo, la notte. La sua chiarezza è la chiarezza del
sole, la cui luce spazza via ogni tenebra “naturalmente”, ogni giorno, con
meticolosità e incuranza di quanti protestano perché vogliono continuare a
dormire: “Ricordate”, diceva con voce semplice, quasi fosse la più normale
delle cose, “quando me ne sarò andato, voi non perderete nulla; anzi,
potrete guadagnare qualcosa di cui ora siete assolutamente inconsapevoli.

Quando lascerò il corpo, dove potrò mai andare? Sarò qui! Nel frusciare del
vento, nel mormorio dell’oceano; e se mi avete amato, se avete fiducia in
me, mi sentirete in mille e un modo: nei vostri momenti di silenzio,
all’improvviso sentirete la mia presenza.

Quando non sarò più confinato dal corpo, la mia consapevolezza diverrà
universale. Allora, non dovrete più venire a cercarmi: ovunque sarete, la
vostra sete, il vostro amore, vi faranno ritrovare la mia presenza, nel
vostro cuore, nel semplice battito del vostro cuore”.

Osho ha lasciato il corpo il 19 gennaio 1990, alle cinque del pomeriggio
(ora di Poona). Se chiudo gli occhi, quell’evento continua a ripetersi, e
porta con sé una sensazione – forse unica nella mia vita – che va oltre la
risata e il pianto.

Mentre Amrito parlava, la voce rotta dall’emozione, ricordo di aver chiuso
gli occhi: una scarica elettrica mi ha divorato, un vortice in cui il Tutto
e il Nulla che Osho era stato per me, divampavano come un fuoco che ardeva
senza bruciarmi.

In un attimo ho rivissuto la mia vita con lui: ciò che avevo conosciuto, ciò
che avevo creduto di conoscere, ciò che lui mi aveva aiutato a comprendere,
e per assurdo, vedevo anche ciò che non avevo mai visto, ciò che mai avrei
visto né compreso.

La “normale”, quotidiana, complessità della mia vita, si fondeva con la sua
semplicità “straordinaria”; il mio qualunquismo, con il suo essere
visceralmente “un uomo qualunque”… e così in vortici infiniti di presenze
e di assenze.

Ringraziavo l’esistenza per essere lì. Non sapevo, forse per la prima volta,
dove altro avrei voluto, desiderato, potuto essere: “forse è questa
l’assenza di desiderio?”, mi chiedevo senza conoscere più una lingua in cui
profferir parola.

Tutto era così rapido, vertiginoso, folle, eppur limpido, che non potevo che
stare seduto in silenzio, ammutolito di fronte alla forza di quanto mi era
di fronte; una forza che mai avevo conosciuto in passato.

Si dice che un uomo, di fronte alla morte, riveda la sua intera vita… in
quella notte forse ho vissuto una morte, di certo qualcosa è morto dentro di
me, e qualcosa è venuto alla luce: la certezza che esiste la possibilità di
essere umani, la sicurezza che questa è l’unica cosa da fare, l’unica vera
ragione di vivere.

Si vegeta, ci si irrigidisce nella vita come pietre, si sopravvive, si
ammazza il tempo, ci si tuffa a capofitto in cose che aiutano a stordirsi,
nel tentativo di dimenticare il proprio destino, la propria realtà, ci si
illude di essere già qualcosa ? qualcuno, di essere già arrivati,
realizzati, mentre ancora si è tesi tra l’abisso del regno animale e
l’eterno abisso che è l’esistenza. Si sogna… si cercano gli altri, per
sognare insieme, e dare sostanza e verità ai propri sogni.

Da quella notte, amo un ??’ di più la mia solitudine. E amo l’incontro,
quando questo porta con sé il tono e il colore, la vibrazione della
solitudine. Quando non è soverchiato dalle parole, dalle maschere che noi
tutti siamo e vogliamo caparbiamente essere… un po’ di quel silenzio, di
quel vuoto, ha attecchito in me e ha per me più valore di qualsiasi altra
cosa potrei essere o fare nella vita.

Cerco anzi di espanderlo, di lasciare che ogni giorno di più si allarghi
dentro di me … fino a riempirmi. Paradossalmente, proprio quel vuoto e
quel silenzio danno un senso e una sostanza sempre maggiore al mio vivere
quotidiano, lo rendono vivo al di là di qualsiasi idea di vita e di morte io
abbia mai avuto.

Forse è questo l’ultimo dono di questo essere straordinario, e mi auguro
l’abbia dato al maggior numero di esseri umani possibili, fisicamente
presenti, allorché se n’è andato, e spiritualmente presenti, in quanto hanno
dedicato la loro vita, nel mondo intero, alla realizzazione della sua
visione: “Mentre spicca il volo verso l’altro mondo, il Maestro vorrebbe
darvi il suo ultimo dono: voi sentirete come una brezza che non ha
confronti; nella vita non esiste nulla che le può essere paragonato. È pura
gioia: così pura, che è sufficiente averne un minimo assaggio per veder
trasformata la propria vita”.

Amrito, quella sera, ha poi proseguito dicendo: “Gli abbiamo chiesto come
avremmo dovuto celebrare questo momento, e lui ha detto: “È sufficiente che
mi portiate in Buddha Hall per dieci minuti e poi al crematorio”.

Ha detto che il suo samadhi sarà in Chuang Tzu… e ha detto molte altre
cose che vi farò sapere in seguito. Per ora, lasciatemi dire che nella morte
era come ve l? sareste aspettati: incredibile!

E quando mi sono messo a piangere, mi ha guardato e ha detto: “No, no, non è
questo il modo!”

Poi ha guardato Jayesh negli occhi e ha detto: “Vi lascio il mio sogno!”
Diamo quindi l’addio che il nostro amato Maestro si merita, un addio degno
di un uomo che ha vissuto così pienamente come nessun altro uomo ha mai
fatto”.

Ed è stata festa.

Non posso dire di aver sentito una mancanza: avevo visto Osho in dicembre,
ci eravamo tenuti per mano, abbracciati, qualche minuto, e la sensazione era
di “qualcosa” di intimamente radicato alla vita, di saldo, di presente: “Un
uomo così”, mi ero detto, “non può morire… né ora né mail”

L’avevo ripetuto ad altri, amici che si preoccupavano per la sua salute,
divenuta intimamente fragile dopo il barbaro comportamento del governo
americano che aveva tramato un’invisibile crocefissione, con i sofisticati
metodi moderni che ancora vengono usati dai politicanti che pretendono di
tenere “sotto controllo” le coscienze (risulta per certo, da analisi mediche
successive che nei dodici giorni vissuti in carcere, Osho venne avvelenato
con Tallio e radiazioni).

Ancora, però, tento di capire il senso di quell’immortalità, che solo ora ho
compreso non essere minimamente legata al suo corpo, né alla sua mente…
vorrei tornasse, a volte, ma poi “sento” che non tornerà mai più… e subito
dopo ho un’ulteriore sensazione, che non se ne sia mai andato… alla fine,
credo siano “illuminanti” le parole che abbiamo scritto sul suo samadhi, il
luogo in cui sono raccolte le sue ceneri:

Sì, un desiderio mi anima ancora, vorrei che le sue parole non andassero
perdute, vorrei che animassero la vita di altri, che portassero la vita nel
cuore di altri esseri umani. E questo semplicemente perché sento che se
l’esistenza potesse parlare direbbe proprio queste cose, parlerebbe così
come lui ha parlato: con tanti silenzi che richiamano la presenza delle
stelle nell’oscurità della notte, con un sussurro che riecheggia la voce del
vento, con una fermezza che ricorda il vigore degli alberi, con una carezza
che ricorda il frusciare dell’erba, con la forza del mare, con il ruggito di
un leone… una voce, insomma, serena e potente, limpida e chiara, umana e
divina, che conosce il fragore della tempesta e del tuono, ma non conosce
violenza alcuna… e forse per questo, e per altri motivi, ancora non è
stata compresa.
Io stesso, ogni giorno stupisco e mi sorprendo di fronte a una frase: “Ah,
se avessi saputo queste cose!” Mi rammarico spesso, e ancora mi sono
rammaricato traducendo questo libro… ma subito mi fermo e capisco che non
è questa la cosa importante: l’importante è essere queste cose… allora mi
raccolgo, rientro in me stesso… e riprendo quel cammino che porta alla
conoscenza di sé, a essere un discepolo, a essere umani!

Sorprendentemente Osho aveva già visto anche questo… anche questo
timore… e aveva già dato il suo “eterno consiglio”: “Non abbiate paura di
ciò che potrà accadere alle mie parole, quando me ne sarò andato. Siate
certi che non me ne andrò prima di aver seminato in voi quel messaggio che è
racchiuso nelle mie parole.

?l giorno in cui lascerò il corpo, la vostra responsabilità sarà immensa:
dovrete vivermi, dovrete diventare me. Lasciare il mio corpo diventerà per
tutti voi una sfida: ora che ho lasciato un corpo, posso vivere in tutti i
vostri corpi. E sono assolutamente certo, sono felice, perché ho raccolto le
persone giuste: loro saranno i miei libri, i miei templi, le mie sinagoghe.

Dipende tutto da voi: chi, altrimenti, diffonderà la mia presenza?

lo sono un sognatore incurabile: nessun miracolo potrà mai accadere, a meno
che voi non l? facciate accadere. E voglio che questo Ashram sia il primo
nucleo umano in cui si realizzi la sintesi tra l’approccio religioso alla
vita e quello scientifico.

Questo appagherà il mio sogno, il mio dire che la sfera interiore dell’uomo
e quella esteriore non sono separate. E quando affermo che questo accadrà,
non sono solo parole: io sono un semplice tramite dell’esistenza, so
benissimo – poiché nasce dal mio totale annullamento, nell’anima stessa
dell’universo – è un messaggio dell’esistenza stessa: accadrà, nessuno potrà
ostacolarlo.

E questa è la sola speranza perché nasca un uomo nuovo, una nuova umanità”.

Possa il sottile fruscio di queste pagine richiamare nel cuore di quanti
hanno letto questo libro, la visione che le parole di Osho contengono, sì
che diventi una realtà, e noi si possa vivere, nella normalità della vita
quotidiana, la coscienza di quel dono straordinario che è la vita. Solo
così, ne sono certo, cadranno gli orribili e tenebrosi abiti con cui abbiamo
da sempre dipinto la morte, ed essa si rivelerà a noi con il suo vero volto,
quello della più grande illusione.

Swami Anand Videha

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VIVO E MORTO
ALLO STESSO TEMPO

– di Osho –

Tratto da:

Tratto da: “The Diamond Sutra”

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(La morte di Osho)

Mia nonna è il primo essere umano che ho visto morto. Era sdraiata, e
appariva così bianca e c?sì in pace, così silente e felice, aperta e al
tempo stesso chiusa. Ne fui geloso, e al tempo stesso ebbi paura. Pensai che
doveva sentirsi sola: non la potevo più avvicinare.

Quando ti ho visto, amato Maestro, !a sera del tuo compleanno, ho avuto la
stessa, identica sensazione: non ti sentivi solo nonostante i nostri canti,
danze, musiche? Eri così lontano e immerso in un silenzio sacro… come non
mai, per me!
Sei vivo e morto allo stesso tempo?

La morte è bellissima, così come è bella la vita, se sai comunicare con la
morte. È bella perché è un rilassamento. È bella perché, chi muore, cade di
nuovo nella fonte dell’esistenza, per rilassarsi, per riposarsi, per
prepararsi a tornare di nuovo.

Nell’oceano si alza un’onda, poi ricade e poi si rialza ancora… avrà un
altro giorno, vivrà ancora, con un’altra forma… per poi ricadere e
svanire.

La morte è semplice svanire nella fonte. La morte è andare nel regno di ciò
che non è manifesto: è addormentarsi in Dio.

Di nuovo tornerai a fiorire. Di nuovo rivedrai il sole e la luna, e di nuovo
e ancora… fino a quando non diventi un Buddha, fino a quando non riuscirai
a morire in piena coscienza; fino a quando non sarai in grado di rilassarti
in Dio consciamente, con consapevolezza.

Solo allora, non esiste ritorno: quella è una morte assoluta, è la morte
suprema.

La morte comune è temporanea: tornerai a vivere ancora.

Quando un Buddha muore, muore per sempre. La sua morte ha in sé la qualità
dell’eterno…

Hai ragione: io sono vivo e morto, allo stesso tempo. Come persona, sono
morto, come entità, sono morto. Come “nessuno”, sono vivo.

E tu, accanto a me, puoi essere geloso e al tempo stesso aver paura. Ma
dovrai mettere da parte la paura; potrebbe ostacolarti; potrebbe impedirti
di godere questa opportunità che ora hai a portata di mano: è molto
difficile incontrare un “nessuno”.

Tu l’hai trovato. E se tu, come me, non diventi un “nessuno”, avrai mancato
questa occasione, ricordalo! Muori, così come sono morto io, e allora sarai
vivo, così come l? sono io.

Esiste una vita che non ha nulla a che vedere con le singole persone,
chiunque esse siano. Esiste una vita che non ha nulla a che vedere con i
singoli sé. Esiste una vita di vuoto, innocente e vergine: io la metto alla
vostra portata… mettete da parte ogni paura, e avvicinatevi a me. Lasciate
che io diventi la vostra morte e la vostra resurrezione.

Un Maestro Zen, Bunon, ha detto: “Mentre sei vivo, sii come un uomo morto;
sii totalmente morto, comportati come più ti piace, e tutto andrà bene”.

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