La morte ed il suo meccanismo (lettera di un Guru) – di Guido Da Todi – Parte terza

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< La morte ed il suo meccanismo >

– Parte terza –

(di Guido Da Todi)

Le attività morali e spirituali trovano nel Devachan la loro sfera di
effetti. Così, i vizi, le attrazioni fisiche, ecc., di un filosofo possono
avere per risultato la nascita di un nuovo filosofo, di un re, di un
commerciante, di un ricco epicureo, o, di qualsiasi altra personalità, la
cui costituzione era inevitabile, viste le tendenze preponderanti dell’uomo,
nella sua vita precedente.

Bacone, per esempio, chiamato da un poeta: “il più grande, il più saggio, il
più vile degli uomini”, potrebbe, nella sua incarnazione prossima,
riapparire sotto aspetto di un arido manipolatore di denaro, dai doni
intellettuali straordinari. Ma le qualità morali e spirituali di Bacone
esigerebbero, egualmente, un campo di espansione per le loro energie. Il
Devachan è uno di questi; e, così, tutti i vasti piani di riforme morali, di
ricerche intellettuali e spirituali nei principi astratti della natura,
tutte le aspirazioni verso il divino, darebbero frutto in Devachan, e
l’entità astratta, conosciuta, in passato, come il grande cancelliere, si
occuperebbe, in questo mondo interiore, della sua preparazione personale, e
ci vivrebbe, se non quella che viene chiamata una esistenza cosciente,
almeno un sogno di una intensità realista, a cui alcuna realtà della vita
terrena mai si avvicinerà.

E questo sogno dura sino a che il karma abbia, in quella direzione, ricevuto
soddisfazione; fino a quando l’onda di energia non raggiunga i bordi del
bacino e l’individuo passi ad un nuovo periodo causale. Questo periodo può
trovarlo, sia nello stesso mondo precedente, che in un altro, a seconda del
punto raggiunto dall’uomo, o, dalla donna in questione, nella propria
evoluzione, attraverso i cicli e le ronde necessari allo sviluppo umano.

Quindi, come concepire che un unico istante di sensazione terrestre sia
preso per tema di preparazione? È verissimo che questo momento si perpetua
indefinitamente, ma esso lo fa simile ad una nota tonica dell’armonia
intera, nota voluta, a vibrazione determinata, attorno a cui si raggruppano
e si sviluppano, in variazioni melodiche progressive, in variazioni
inestinguibili, tratte da un tema dato, tutte le aspirazioni, tutti i
desideri, speranze e sogni che hanno potuto, relativamente a quel ciclo
particolare, traversare, durante la vita precedente, la mente del sognatore,
senza mai prendere forma nella materia, e che egli trova, ora, pienamente
realizzati, e nella maniera più intensa, in Devachan, senza poter dubitare
che tale realtà beatifica è, semplicemente, figlia della propria
immaginazione, effetto delle cause mentali, di cui lui stesso è autore.

Il momento unico e preciso che dominerà, con più intensità, tra i pensieri
del suo cervello moribondo, all’attimo della dissoluzione, sarà di
fondamentale importanza; beninteso, lo saranno anche tutti gli altri
“momenti”; ma, in minor funzione evolutiva, e troveranno il loro posto
assegnato, in tanta panoramica fantasmagorica di sogni passati, e daranno
varietà all’assieme.

Non esiste, sulla terra, un uomo che non provi una predilezione qualsiasi,
una passione dominante; nessuna persona, per quanto umile e povera sia – e,
spesso, proprio per questa ragione – manca di carezzare sogni e desideri,
che, mai, riuscì a soddisfare. Questa è monotonia? Considerate simili
variazioni, moltiplicate all’infinito, su un tema unico (tema che si modella
sul gruppo dei desideri più attivi, nati in vita, prestando loro il proprio
colore e la propria forma caratteristica) e lo chiamereste “la cancellazione
di ogni coscienza, nello stato devachanico”? – fatto, addirittura
degradante?

Allora, in verità, o, il mio concetto vi sfugge, o, non mi so spiegare.
Certamente, non ho saputo farvi cogliere il senso esatto del mio pensiero, e
debbo riconoscermi incapace di descrivere l’inesprimibile. Quest’ultimo
compito, mio buon amico, diviene difficile, se le percezioni intuitive non
l’aiutano. Le più lunghe descrizioni – anche le più pittoresche – resteranno
vane. Dirò di più: non esiste parola capace di esprimere la differenza tra
lo stato mentale sulla terra e questo altro stato, estraneo alla nostra
sfera d’azione; alcuna parola inglese, che equivalga alle nostre; null’altro
che idee preconcette e inevitabili (dovute alla fondamentale educazione
occidentale); cioè, delle false direzioni, date alla mentalità dello
studioso – che ci assistono in questa inoculazione di concetti interamente
nuovi. Avete ragione: non soltanto “la gente ordinaria” (i vostri lettori),
ma, anche, degli idealisti e degli uomini di alta intelligenza non
arriveranno a coglierne l’idea esatta, nè, mai, investigheranno,
interamente, la profondità.

Forse, comprenderete più tardi, meglio di oggi, la nostra repugnanza a
comunicare le conoscenze che possediamo a dei candidati europei.

Ed ecco un’altra idea falsa: il soggiorno in Devachan è tanto più
prolungato, quanto il merito è più grande. “Ma, allora, se ogni sentimento
di durata è perso, in Devachan, ed un minuto è come mille anni, a che
serve…”, ecc..

Questa osservazione e questa maniera di pensare potrebbero, però, bene
applicarsi all’Eternità finale, al Nirvana, al Pralaya; a tutto, in fin dei
conti. Ditelo, dunque: nel suo assieme, il sistema dell’essere,
dell’esistenza separata e collettiva, il sistema della natura soggettiva ed
oggettiva non rappresentano che dei fatti assurdi e senza scopo, una frode
gigantesca da parte di questi studi che, poco simpatici alla filosofia
occidentale, incontrano, inoltre, la disapprovazione crudele dei suoi
migliori rappresentanti.

In tale caso, a quale scopo praticare le nostre dottrine, imporci un lavoro
ingrato e lavorare contro corrente? Perché, dunque, l’occidente tiene tanto
alle lezioni dell’oriente, dal momento che si trova incapace di assimilare
dei princîpi che, mai, risponderanno al carattere particolare della sua
estetica? Triste prospettiva, per noi, poiché voi stesso non arrivate ad
afferrare tutta l’intensità della nostra filosofia. E, neanche, a
distinguere facilmente un semplice angolo – il Devachan – di questi sublimi
orizzonti, che si aprono “oltre il velo”.

Senza volervi scoraggiare, desidero soltanto attrarre la vostra attenzione
sulle formidabili difficoltà che noi incontriamo, ogni volta che ci
sforziamo di chiarire la nostra metafisica a degli occidentali, anche ai più
intelligenti.

No: nessun orologio, nè pendole, in Devachan – benchè l’universo intero sia,
in un certo senso, un gigantesco cronometro. D’altronde, i mortali stessi
non perdono la nozione del tempo, nei periodi di gioia e di beatitudine, che
essi trovano, sempre, troppo brevi, quaggiù? Questo fatto non ci impedisce,
minimamente, quando la felicità arriva, di gustarla con piacere. Può essere
(ci avete mai pensato?) che l’abitante del Devachan perda ogni senso di
durata, perché la felicità riempie la sua coppa sino al bordo.

La cosa è differente per gli abitanti di Avitchi (n.d.a.: l’ottava sfera),
benchè costoro, come quelli del Devachan, non abbiano la nozione del tempo,
cioè, della maniera in cui, sulla terra, noi calcoliamo i periodi.

A tale riguardo io posso ancora ricordarvi quanto segue:

“Il tempo è una cosa di cui noi stessi siamo i creatori”; per un singolo
uomo, un breve secondo di estrema angoscia può sembrare, anche sulla terra,
un’eternità; per un altro, più felice, le ore, i giorni, e, spesso, gli
anni, sembra che volino come un corto istante. Di tutti gli esseri terreni
dotati di sentimento e di coscienza, l’uomo è il solo animale che possegga
la nozione del tempo, benchè non sia nè più felice, nè saggio.

Perciò, come potrei spiegarvi ciò che vi è impossibile intuire, giacché
siete incapace di comprenderlo? Immagini concrete non sono fatte per
esprimere l’astratto e l’infinito: mai, l’oggettivo riuscirà a riflettere il
soggettivo (n.d.a.: separatamente, l’uno dall’altro). Per rendervi conto
della beatitudine provata in Devachan, o delle pene subìte in Avitchi, voi
dovete, come facciamo noi, averle assimilate nella coscienza.

L’idealismo critico occidentale deve ancora comprendere la differenza tra la
vera essenza degli oggetti soprasensibili e la soggettività inconsistente,
alla quale esso li riduce. Il tempo non è un attributo; non può, dunque,
venir, nè provato, nè analizzato, secondo i metodi della filosofia
superficiale.

A meno di imparare a reagire contro i risultati negativi ottenuti da tale
maniera di pervenire alle conclusioni, secondo il sistema della ragion pura,
come viene chiamato; – e a distinguere, da una parte, la materia,
dall’altra, il metodo con cui prendiamo conoscenza degli oggetti sensibili –
mai riusciremo a raggiungere delle conclusioni giuste e precise.

Il punto di divergenza, che oppongo alla vostra propria concezione (molto
naturale), prova, a fondo, la superficialità e, anche, la falsità di questo
sistema di ragion pura (materialista). Se, come afferma Kant, lo Spazio ed
il Tempo sono, non già il prodotto, ma i regolatori di sensazioni, ciò è
vero solo per quanto riguarda le nostre sensazioni sulla terra e non per
quelle in Devachan.

Là, non esiste alcuna idea a priori di Spazio e Tempo, che s’impongano agli
ego, relativamente agli oggetti vitali. Noi scopriamo, al contrario, che
l’abitante stesso del Devachan ne è, in modo assoluto, alla volta, il
creatore ed il distruttore. Ecco la ragione per cui gli stati cosiddetti
“postumi” non potranno mai essere giudicati correttamente dalla ragione
pratica, poiché quest’ultima esiste ed agisce solo nella sfera delle cause
finali o scopi. E non può essere chiamata (come fa Kant, che, su di una
pagina dà alla parola il senso di “ragione” e, nella seguente, il senso di
“volontà”) la facoltà spirituale suprema nell’uomo, che ha per dominio la
Volontà..

“..Quanto precede non è stato detto, come potreste credere, in vista ad una
argomentazione (forse troppo prolungata); ma, per servire ad una discussione
futura “at home”, per seguire, a quanto dite, gli studenti ed ammiratori di
Kant e di Platone, che potreste incontrare. In termini più semplici,
affermerò quanto segue: se, nuovamente, non riuscirete a comprenderlo
pienamente, non sarà per mia colpa.

L’intensità cumulativa dell’esistenza fisica progredisce, dall’infanzia alla
maturità; la sua energia decrescente è destinata, quindi, all’indebolimento
senile ed alla morte. Il sogno vissuto in Devachan si sviluppa nello stesso
modo. Avete, dunque, ragione a dire che “l’anima” non può mai accorgersi del
suo errore e giudicarsi illusa dalla natura – tanto più che, parlando alla
lettera, tutte le vite umane e le loro vantate realtà di fatto
costituiscono, in fin dei conti, una identica “fantasmagoria”.

Comunque, avete torto di prestarvi ai pregiudizi ed alle idee preconcette
dei lettori occidentali. Nessun asiatico sarà mai d’accordo con voi su
questo punto. Quando affermate che “tutta la situazione s’accompagna ad un
sentimento d’irrealtà, di cui soffre la nostra mente”, voi siete il primo a
divenirne preda; la principale causa di ciò è molto più la vostra
incomprensione perfetta di quel che sia l’esistenza in Devachan, che un
difetto del vostro sistema. Per tale ragione ho pregato un chela (discepolo)
di riprodurre, in appendice al vostro articolo, degli estratti di questa
lettera, con delle spiegazioni destinate a disingannare il lettore ed a
togliergli, per quanto è possibile, la penosa impressione che, certamente,
gli faranno provare le vostre affermazioni.

Credetemi: la natura non inganna l’abitante del Devachan, più di quanto essa
non inganni l’uomo fisico, durante la vita. La natura gli riserva, “laggiù”,
molte più beatitudini e felicità veraci, di quanto non faccia, “qui”, ove
egli ha contro di lui il male ed il destino sotto ogni forma. La sua
debolezza innata – quella di un fuscello di paglia, violentemente
trasportato, qui e là, dallo spietato soffio di tutti i venti – ha reso, in
terra, completamente impossibile all’essere umano ogni felicità, qualunque
siano le sue possibilità e la sua condizione.

Di conseguenza, chiamate questa vita un triste, un orribile incubo, e sarete
nel giusto.
Considerare l’esistenza devachanica un sogno, è rinunciare, definitivamente,
a conoscere la dottrina esoterica, sola depositaria della verità

Permettetemi, ancora una volta, il tentativo di spiegarvi qualcuno dei
numerosi stati esistenti in Devachan ed in Avitchi.

Esattamente come per la vita fisica, avviene per l’ego, in Devachan, un
primo tremore di vita fisica, un salire verso l’apogeo, poi, uno spegnersi
graduale dell’energia limitata – attraverso uno stato semicosciente,
attraverso l’amnesia progressiva e il letargo – non verso la morte, ma,
verso la nascita, la nascita di una personalità nuova, il risveglio
dell’attività che, ogni giorno, crea molteplici cause nuove, destinate a
raggiungere un altro stadio devachanico, seguito da un’altra rinascita
fisica, quella di una nuova personalità.

Il karma determina come saranno, ogni volta, rispettivamente, le vite in
Devachan e le vite terrestri ed è necessario seguire questa interminabile
successione di nascite, sino a quando l’uomo raggiunge la fine della settima
Ronda, oppure, egli non sia, nell’intervallo, giunto alla saggezza di Arhat,
poi, a quella di un Buddha. In tal caso, egli conserva la sua libertà, per
una, o, due Ronde, poiché ha appreso ad evadere dai circoli viziosi ed a
passare in para-Nirvana.

Ma, supponete che si tratti, non di Bacone, di un Goethe, di un Shelley, o,
di un Howard, ma, di qualche entità dalla personalità incolore, debole, che
non abbia mai agito sul suo ambiente al punto che ci si sia accorti della
sua presenza; che succede, allora?

Semplicemente che il suo stato devachanico è così incolore e così vuoto,
quanto lo fu la sua personalità. E come potrebbe essere altrimenti? La causa
e l’effetto sono eguali. Supponete, ancora, che si tratti di un mostro di
perversità, di ambizione, di avarizia, di orgoglio, di furbizia, ecc., ma
che, nello stesso tempo, possegga il germe, o, i germi delle disponibilità
migliori, con il lucore di una natura più divina: dove andrà?

Simile scintilla, in combustione sotto un mucchio di fango, controbilancerà,
malgrado tutto, l’attrazione dell’Ottava Sfera, ove sono destinate solo le
entità del tutto negative, i falliti della natura, per subire un
rimodellamento completo; la loro Monade Divina si è separata dal quinto
principio, durante la vita (o, anche, nella incarnazione precedente, poiché
noi abbiamo registrato questo caso), ed essi hanno vissuto quali esseri
umani sprovvisti d’anima. (Leggete Iside Svelata, Volume 4, pag. 29. La
parola anima significa, beninteso, l’anima spirituale; è il suo distacco che
determina l’attrazione del quinto principio, anima animale, nella Ottava
Sfera). Di tali persone, prive del sesto principio, mentre il loro settimo,
che ha perduto il proprio veicolo non può esistere in maniera indipendente,
il quinto, o anima animale, cade, in modo naturale, nell’abisso senza fondo.

Ciò, forse, vi renderà più intelleggibile quanto dà ad intendere Eliphas
Lévi, se rileggete quel che scrisse, ed il mio commentario marginale (vedete
Theosophist, ottobre 1881, “La morte”) e pesate i termini impiegati, come
“calabroni inutili”, ecc.. Ebbene, l’entità considerata, in primo luogo, non
può, malgrado tutta la sua perversità, passare nella Ottava Sfera, perché
tale perversità è di natura troppo spirituale, troppo raffinata. Essa è un
mostro, ma, non è un semplice bruto senza anima: non sarà annichilita; ma,
punita.

In effetti, l’annichilimento, cioè, l’amnesia totale, e la definitiva
privazione di energia cosciente, in loro medesimi non costituiscono alcuna
punizione. Qui, alcun zeffiro spegnerà il lucignolo; ma, una potente,
positiva e malefica energia, alimentata e sviluppata dalle circostanze. Per
una simile natura, deve esistere uno stato corrispondente al Devachan. Esso
lo trova nell’Avitchi, antitesi perfetta del Devachan, idea volgarizzata
dalle nazioni occidentali sotto il nome di Inferno e di Cielo, che voi avete
completamente lasciato da parte nei vostri FRAMMENTI.

Ricordatevene: per essere immortali nel bene, bisogna identificarsi con il
bene (o Dio); e per essere immortali nel male, identificarsi con il male (o
Satana). Erroneamente interpretate, delle parole come “Spirito”, “Anima”,
“Individualità”, “Personalità” e (particolarmente) “Immortalità” provocano
delle logomachìe tra i numerosi polemizzatori idealisti.

Per completare il vostro FRAMMENTO, ho ritenuto necessario aggiungere
l’Avitchi al Devachan, come suo complemento ed applicargli le stesse leggi.
Ciò è fatto, con vostro permesso, nell’appendice.

Avendo sufficientemente elucidata le situazione, posso rispondere, adesso,
in maniera diretta, alla vostra domanda numero uno. Sì, certamente, si
cambia, senza posa, di occupazione in Devachan e, ciò, tanto quanto, e anche
molto più, nella vita di un uomo, o, di una donna che consacra la propria
esistenza ad una sola occupazione qualsiasi; con la differenza che, per
l’abitante del Devachan, le sue occupazioni sono sempre gradevoli ed egli fa
della propria esperienza una continua gioia.

I mutamenti sono, dunque, necessari, poiché questo sogno vissuto non è che
la maturità, il raccolto dei semi psichici caduti dall’esistenza fisica,
come da un albero che abbia le radici da un ingrato terreno sociale, ma, i
cui frutti fioriscano nei delicati colori dell’alba del Devachan e maturino
sotto l’influenza sempre feconda del suo cielo. Lì, non esiste alcun
insuccesso, alcuna disillusione. Ammettiamo, come voi pensate, che l’uomo
non abbia gustato, durante la sua vita, che un solo ed unico istante la
felicità di esperienze ideali; anche in tal caso, il Devachan non potrà
costituire, come supponete a torto, il prolungamento indefinito di questo
“unico istante”; ma, darà la nascita a degli sviluppi indefiniti, a delle
situazioni differenti ed avvenimenti, che hanno per base, o, per sorgente,
questo unico momento, o, questi momenti, a seconda del caso: in breve, tutto
ciò che si presenterà all’immaginazione del sognatore.

Questa unica nota, emanata dalla lira della nostra vita, non può che servire
di tonica allo stato soggettivo, e darà nascita agli innumerevoli toni e
sottotoni della fantasmagoria psichica.

Là, le speranze, le aspirazioni, i sogni insoddisfatti si realizzano tutti,
in pieno, e i desideri dell’esistenza oggettiva diventano la realtà
dell’esistenza soggettiva. È là, dietro il velo, che le apparenze vaporose e
deludenti di Maya sono trascese dall’Adepto, che ha saputo apprendere il
grande segreto che gli permette di penetrare così profondamente negli arcani
dell’essere.”

tratto da lista Sadhana > it.groups.yahoo.com/group/lista_sadhana

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