La musica e i suoi effetti neuro-psico-fisiologici
Relazione tenuta al XIII Congresso dell’ISME (International Society for Music Education) London (Canada), agosto 1978.
La musica e i suoi effetti neuro-psico-fisiologici, tale è il tema accettato dal Comitato
Direttivo dell’ISME fra quelli che avevo proposto di trattare in occasione di questo congresso.
Sotto questo titolo alquanto ostico, ne convengo, si tratta in realtà di sviluppare un discorso
sulla musica di fronte alla persona umana, oggetto stesso di questo incontro internazionale. Ma
ognuno parla la sua lingua. E, in funzione della mia specialità di audio-psico-fonologo, sono di
buon grado chiamato a concepire l’uomo nella sua dimensione umana come un immenso orecchio in
ascolto, al quale è appeso un sistema nervoso. Non è del resto un’opinione dello spirito e il mio intervento presso di voi, quest’oggi, tenterà di portarvene conferma.
Che la musica abbia degli effetti sull’organismo umano è l’evidenza fatta persona; arriverei perfino
ad affermare che è la sua ragion d’essere. Certamente, il tempo che mi è concesso per inoltrarmi in
questo argomento (la cui ampiezza non vi è di certo sfuggita) mi costringerà ad usare diverse
scorciatoie. Ma se sono indotto così a non evocare che l’essenziale, la mia preoccupazione rimarrà
quella di non alterare l’idea riflessiva che per una trentina d’anni ha sostenuto la pratica clinica
ed è stata alla base della ricerca sperimentale. E’ ben evidente che la causa prima di tutta
quest’indagine ha resistito in modo costante nel profondo desiderio di venire in aiuto a tutti
coloro che, sul piano della comunicazione, hanno visto il loro universo perturbato, consistendo lo
scopo finale, prima di tutto, nell’assicurare il loro inserimento nel gruppo umano.
La nostra disciplina, l’audio-psico-fonologia, che è ora largamente diffusa ed è connessa con
diverse branche delle scienze umane, si è impegnata all’inizio in alcune ricerche riguardanti i
cantanti, poi i musicisti ed infine i professionisti della voce. In seguito è penetrata in numerosi
campi di indagine riguardanti i processi relazionali dell’essere umano con il suo ambiente, in
particolare per mezzo del linguaggio. I risultati acquisiti, per la maggior parte accettati e
divenuti classici, ormai poggiano : 1° Sulla messa in evidenza delle controreazioni audiovocali,
rivelanti che tutte le modificazioni portate sulla somministrazione auditiva determinano una
trasformazione dell’emissione fonica o strumentale, e ciò seguendo alcune leggi, ciberneticamente e
neurologicamente controllate. 2° Sull’effettiva presenza di un orecchio musicale. Esso si
caratterizza con una curva di risposta auditiva ascendente di almeno 6 db/ottava, potendo
raggiungere dai 12 ai 18 db/ottava, cioè una curva progrediente di 100, 200 o 300% per ottava. Si
conosce così il profilo della pendenza. Questa ascesa si effettua dalla frequenza di 500 Hz fino ai
2000 Hz. Sopra i 2000 Hz la curva disegna una cupola che va fino ai 4000 e talvolta ai 6000 Hz.
Munito di queste caratteristiche, l’orecchio è sicuramente musicale nel senso più ampio del termine.
In effetti il soggetto che ne è dotato ama la musica, la riproduce con esattezza e la rende con
qualità. Ciò è tanto più vero dal momento che ogni disturbo introdotto sulla curva d’ascolto,
altrimenti detto sul controllo audiovocale, causa immediatamente la perdita delle qualità qui sopra indicate.
C’è da notare che le caratteristiche che determinano in modo così specifico l’orecchio musicale
hanno delle reali implicazioni solo quando hanno sede sull’orecchio destro, denominato orecchio
direttore. Questo ci porta ad introdurre il terzo parametro. 3° Sulla scoperta di un orecchio
direttore, il destro, inducendo a riconsiderare le conoscenze relative al dialogo interemisferico e
a rivedere la nozione di centralizzazione focalizzata dell’attività cerebrale sullo strato corticale
per accedere allo stadio di ciò che abbiamo denominato gli integratori neuronali, vaste aree
cortico-centroencefalo-cerebellari-spinali sensomotorie. 4° Sulla descrizione delle caratteristiche
che tendono a differenziare i diversi modi di sentire e a spiegare in questo modo le barriere
neurolinguistiche, così come psicolinguistiche, che si possono istituire fra le diverse etnie. Ogni
idioma in effetti assume caratteristiche proprie grazie al gioco di tre parametri che stabiliscono
l’orecchio etnico: – uno che determina l’apertura diaframmatica dello spettro uditivo, ciò che
abbiamo denominato banda passante – il secondo che risponde alla pendenza della curva d’inviluppo
frequenziale in questa banda passante – il terzo che evoca il tempo di latenza necessario perché i
due adattamenti precedenti (poiché si tratta proprio di adattamenti) si installino. 5° Sulla messa
in luce del fatto che ogni disturbo del linguaggio orale o scritto trova la sua origine in una
perturbazione dell’ascolto. Questa constatazione è evidentemente la controprova dell’esistenza del
circuito audiovocale. Una scala di corrispondenze udito-linguaggio è, al momento attuale,
sufficientemente sostenuta perché si possa determinare, a partire da una prova detta Test d’Ascolto
(TA), quale può essere il comportamento psicolinguistico del soggetto esaminato, visto sotto tutti i
suoi aspetti: fonico, fonetico, linguistico, psicologico, posturale, corporeo, strumentale,
somatico, ecc. 6° Sulla certezza del risanamento dei disturbi qui sopra enunciati mediante
l’intervento di una pedagogia dell’ascolto, controllata elettronicamente e che, riprendendo la
filiera ontogenetica e filogenetica di questa funzione, ravviva i processi evolutivi che portano al
risveglio del desiderio di comunicare. È su quest’ultimo elemento che si va ad instaurare la
funzione d’ascolto che trasformerà l’orecchio in quello che è, così come si è impadronito della
bocca, della lingua, della laringe, dell’apparato respiratorio per realizzare in una stupefacente
sinergia l’apparato fonatorio e produttore della parola. 7° Infine sulla prodigiosa immersione
nell’universo sonoro uterino che, mentre offre le chiavi dei meccanismi linguistici e rivela i
diversi fattori della speciazione umana quali la verticalità e la lateralità, mette in evidenza le
memorizzazioni embrionali e fetali archetipiche, altrettanti processi innestati sull’evoluzione
programmata dell’apparato uditivo nel suo percorso verso la realizzazione dell’ascolto. Da questo
vasto campo d’indagine intrauterina nel quale siamo impegnati da quasi vent’anni, l’approccio
analitico-sintetico sensomotorio che ne è derivato ci ha permesso di avere delle possibilità di
azione fino a quel momento misconosciute sulla schizofrenia, l’autismo e a maggior ragione sugli
handicap minori, così come su alcuni disturbi del comportamento come l’epilessia. Dunque, eccovi
adesso muniti di elementi d’informazione sufficientemente supportati per permettervi di entrare in
un universo a prima vista sconcertante e in tutti i casi insolito. Resto tuttavia persuaso che
avrete fatto presto, se non ad adottarne la terminologia, a fissarne perlomeno i punti di
inserimento che, per la maggior parte, si riallacciano al vostro campo, quello della musica.
Senza dubbio la difficoltà incontrata per apprendere un tale processo è legata alla resistenza che
si prova nell’avventurarsi nel labirinto uditivo e nello scontrarsi con i misteri del sistema
nervoso. E tuttavia, bisogna inoltrarcisi, direi proprio che ci si deve lasciar trascinare senza
alcun timore. È evidente che il sistema uditivo ha un’azione solo perché è connesso con il sistema
nervoso. Mi piace affermare che quest’ultimo gli è in qualche modo annesso. È vero che la filogenesi
ci aiuta a sostenere quest’ipotesi. Essa vi ci guida con tanta più facilità dal momento che, nel
quadro di uno studio longitudinale riguardante i fenomeni evolutivi, tutto ci rivela che i
meccanismi che intervengono nella creazione dell’orecchio nella sua funzione vestibolare e cocleare
precedono sempre quelli che danno origine al sistema nervoso in generale. Questa specie di
progressione parallela e congiunta introduce un gioco dialettico fra le due formazioni ed è a
partire da un tale dialogo che si giunge a comprendere meglio la dinamica funzionale strutturale
dell’insieme del sistema nervoso e in particolare quella della comparsa importante della parte
encefalica. Quanto all’orecchio, appare senza dubbio come un organo complesso, misterioso, sfuggente
ad ogni indagine approfondita, che protegge alcuni dei suoi meccanismi gelosamente nascosti non
appena ci si disponga a vedere in esso solo l’apparato di ascolto; si incontra lo stesso processo
quando ci si ostina a considerare la lingua unicamente come un apparato di fonazione. Quest’ultima
gioca certamente un ruolo nella funzione linguistica, ma essa è innanzitutto un organo digestivo.
Una tale concezione, stabilita su basi anatomiche, embriologiche e fisiologiche ben determinate,
permette di istituire una migliore conoscenza degli altri adattamenti suscitati dall’atto della
parola. L’orecchio fa lo stesso; esso detiene, almeno al primo approccio, tutt’altra funzione da
quella che si ha l’abitudine di attribuirgli. L’apparato labirintico è certo destinato all’ascolto,
ma esercita in primo piano un’attività fondamentale sulla quale è necessario insistere. In effetti è
da questa attività primaria, essenziale, che dipende tutta la comprensione dei meccanismi
dell’orecchio e degli effetti della musica sulla persona umana. L’orecchio assicura la ricarica
corticale. Esso è generatore di energia. Esso ha un potere dinamogeno che detiene dai tempi più
remoti della linea animale. Esso giunge a questi risultati agendo su diversi piani:
1° Esso centralizza a livello del vestibolo le informazioni che vengono da tutto il corpo (pelle,
muscoli, articolazioni e ossa) attraverso gli effettori sensoriali derivati dalle cellule
generatrici dell’orecchio, quelle dell’organo del Corti in particolare. 2° Esso induce le posture
che rendono più efficiente questa centralizzazione, particolarmente nella lotta antigravitazionale,
sempre attraverso il gioco vestibolare, cioè al livello dell’utricolo sormontato dai canali
semicircolari e dal sacculo. 3° Esso regola, nel senso cibernetico del termine, la funzione
d’ascolto per aumentare ancora la sua efficacia, e questo grazie all’apparato cocleare.
Questo effetto di ricarica è troppo importante per non soffermarvici per qualche istante. In
effetti, questa funzione dinamogena è fondamentale, benché quasi ignorata. E tuttavia ci introduce a
piè pari nel nostro soggetto, quello degli effetti della musica sul corpo umano. Mi spiego: si sa
che tutto ciò che vive vibra, e che tutto ciò che si organizza per raggiungere una partecipazione
riflessa a questa presenza immanente che è la vita manifestata da ritmi, da cicli, da sequenze, si
orienta verso l’elaborazione del sistema nervoso. Tutto ciò che vive emette, nel senso più
ontogenetico del termine, la sua propria sequenza vibratoria, in qualche modo la sua musica. Così la
musica procura di rimando un’azione particolare su questa materia vivente, sia attivando e
tonificando, sia diminuendo e annullando le funzioni fisiologiche vibratorie esistenti.
Attualmente tutto ci dimostra che l’attività del sistema nervoso è legata al numero di stimolazioni
che riceve, assicurando difatti il metabolismo solo la parte di manutenzione vegetativa, senza
potervi associare la dinamica riflessiva. Quest’ultima, sviluppata al suo massimo, permette di far
scaturire la coscienza, di cui essa è un’embriologica emanazione. Quindi, essere coscienti significa
essere, cioè partecipare all’immenso universo che ci circonda, ci avvolge, ci invita al dialogo,
bombardandoci di mille stimolazioni. Per essere più concreti, ci possiamo riferire agli ultimi
lavori scientifici che sono stati realizzati in questo campo e che hanno dimostrato che il sistema
nervoso umano, per raggiungere i livelli di attenzione, deve raccogliere tre miliardi di stimoli al
secondo almeno quattro ore e mezzo al giorno. Ora, è tramite l’orecchio e in una proporzione di più
del 90% che questa ricarica da impulso nervoso è assicurata. Alcune precisazioni sull’apparato
uditivo e il sistema nervoso ci sembrano ora necessarie per meglio comprendere i processi qui sopra
citati. L’orecchio umano, secondo le concezioni classiche, è costituito da tre parti: l’orecchio
esterno, l’orecchio medio e l’orecchio interno. La mia opinione consiste nel pensare che sul piano
neurofisiologico non esistano che due parti: l’esterna e l’interna. L’ho spiegato in varie opere e
particolarmente in quelle che trattano l’ascolto. Per il momento, e per non oltrepassare il contesto
di questa esposizione, ci occuperemo dell’orecchio interno. Esso comprende, in uno stesso ed unico
involucro (la vescicola labirintica) due insiemi che hanno apparentemente attività differenti: il
vestibolo e la coclea. 1° Il vestibolo, il più arcaico di questi due elementi. È composto
dall’utricolo, munito dei suoi canali semicircolari e di una seconda sacca, il sacculo, appeso
perpendicolarmente all’utricolo. 2° La coclea, di emanazione più recente. Essa si organizza sotto il sacculo in una forma elicoidale a chiocciola.
Secondo le concezioni classiche, i ruoli attribuiti all’uno e all’altro di questi due elementi
facevano del vestibolo un organo specializzato nella funzione d’equilibrio e della coclea un
apparato destinato ad assicurare il riconoscimento dei suoni. Nel corso di questi ultimi anni sono
stato portato a rimettere in discussione una tale ripartizione e a provare che il vestibolo sente
più di quanto si era supposto prima e che la coclea contribuisce anch’essa alla funzione di
equilibrio. Si tratta dunque di uno stesso unico organo in cui l’azione, sul piano dell’analisi dei
movimenti e degli spostamenti, fa appello a delle strutture differenti. Perché le reazioni siano
ottimizzate, ad esempio nei fenomeni di ricarica, è necessario che l’insieme acquisisca una
posizione spaziale determinata, capace di suscitare una postura corporea ben definita, la testa in
una sua condizione posturale tale da portare tutta la statica e la dinamica corporea a conformarsi a
questo atteggiamento favorevole. Questa, che abbiamo denominato postura d’ascolto, si instaurerà in
modo tale che alcuni suoni avranno degli effetti che altri non avranno. È così che i suoni ricchi in
armonici elevati avranno un’azione energizzante sul piano della capitalizzazione potenziale: li ho
così denominati suoni di carica. Al contrario, con altri suoni situati nella zona dei gravi si
esauriranno le riserve accumulate fino a provocare talvolta l’estenuazione totale del soggetto che vi si è sottoposto: è la ragione per la quale li ho denominati suoni di scarica.
I suoni agiscono sul labirinto membranoso, incluso lui stesso nella vescicola d’avorio che è il
labirinto osseo. Il vestibolo è messo in attività dai movimenti liquidi che i suoni generano al suo
interno. In effetti, ogni stimolazione sonora determina a livello dell’utricolo e del sacculo una
pulsazione elastica che si traduce in una mobilizzazione del liquido detto endolinfatico che
riempie il labirinto membranoso (in opposizione al liquido denominato peri-linfatico che avvolge
quest’ultimo). Nell’utricolo si instaura una circolazione, tenuto conto della direttività e
dell’intensità della pulsazione ricevuta, circolazione che trova le sue relazioni tridimensionali in
funzione dei tre canali semicircolari, posti al fianco sulle parti superiori e laterali
dell’utricolo e che corrispondono esattamente ai tre assi che definiscono in linea di massima lo
spazio orizzontale, antero-posteriore e trasverso. Stabilito ciò, diremo che il valore gestuale,
semiologico insomma, come incarnato, dei movimenti eseguiti dipende da due fatti: 1° in primo luogo
dalle reazioni corporee, grazie all’innervazione radiante del vestibolo in direzione del corpo; 2°
in secondo luogo dal richiamo di un movimento anteriormente engrammato e controllato dal labirinto.
C’è da notare che, in questo primo periodo durante il quale si installa la memorizzazione gestuale,
il liquido endolinfatico agisce con la sua inerzia, mentre le pareti del labirinto sono azionate con
il guscio osseo dai movimenti dell’insieme del corpo. Detto altrimenti, ogni impulso acustico che
determina un movimento dei liquidi endolinfatici ha la possibilità di evocare di rimando l’immagine
mnemonicamente personificata di un movimento corporeo, anteriormente realizzato. Ciò è tanto più
confermato, in quanto dal vestibolo parte ciò che abbiamo denominato un integratore. Lo chiamerò
integratore somatico. Sotto il termine integratore intendo denominare ogni zona neuronale
vestibolo-corporea che comprende, di fatto, non solo i fasci vestibolo-spinali ma anche le reazioni
corporee sensoriali e muscolari che riguardano propriamente l’azione vestibolare. Ciò vuol dire che
un impulso dato al vestibolo per mezzo di suoni mette in moto, a livello del corpo, un’azione
determinata, per esempio un ritmo che introduce una danza. Possiamo dunque affermare che, attraverso
le memorizzazioni vestibolari e il gioco integrato dei movimenti corporei acquisiti che hanno essi
stessi provocato certi spostamenti, le evocazioni vanno a risvegliare nel corpo l’immagine dinamica del movimento fino ad imporglielo.
Gli insiemi neuronali utilizzati dall’integratore vestibolare sono: ° i fasci vestibolo-spinali: omo
ed eterolaterali, ° i fasci vestibolo-cerebellari, di fatto archeo-cerebellari ° e i loro annessi, o
meglio, i loro complementari: a livello del tetto cerebellare, nelle reazioni
tetto-vestibolo-spinali (attraverso i nuclei di Deiters e Betcherew) ° i fasci di Flechsig e di
Gowers che raccolgono le reazioni sensitive: l’uno e l’altro sono infatti omolaterali, malgrado il percorso complesso dell’ultimo dei due.
Con la mediazione delle proiezioni cerebellari il vestibolo può accentrare, a livello del relè che
costituisce il cervelletto, tutta la sua azione metamerica. E questo grazie alle controreazioni
muscolari realizzate dai relè cerebrospinali. Per usare un linguaggio meno tecnico, diremo che non
esiste un solo muscolo del corpo che non dipenda dal vestibolo. Questo elemento da solo permette di
comprendere meglio le nostre personali concezioni, che tendono ad affermare che ogni suono ha la sua
risonanza corporea. Questa azione va del resto a rinforzarsi a livello della presa di coscienza del
corpo attraverso l’intervento progressivo dell’integratore visivo. Questo, partendo dalla retina, si
proietta sulla zona calcarina, cioè sull’area occipitale posteriore, là dove si raccolgono le
informazioni visive. La loro engrammazione sarà tanto più finemente memorizzata, quanto un aumento del puntamento visivo potrà essere ottenuto.
Questa realizzazione implica che l’occhio acquisisca una mobilità veramente eccezionale. Lo si vede
filogeneticamente passare dalla sua situazione laterale, monoculare insomma, ad una binocularità che
va ad esigere una grande agilità nelle sincinesie che regolano l’accoppiamento del puntamento visivo
dai due occhi in maniera concomitante. Questo collegamento, particolarmente sapiente e molto
elaborato, avviene grazie all’assoggettamento del III, IV e VI paio cranico, ai quali si può in via
accessoria aggiungere l’XI paio che andrà, se necessario, a mobilizzare la testa, al fine di
permettere al soggetto di seguire con lo sguardo l’oggetto situato nel campo circostante. Così,
grazie a questo integratore, l’occhio mette a suo servizio una parte muscolare, quella che si
riferisce agli occhi e al collo. Sarebbe come dire che questo integratore utilizza per una parte
l’integratore vestibolo-spinale. Del resto, esso va in realtà ad utilizzare quest’ultimo in modo più
esteso, poiché tutto il corpo è chiamato ad adattarsi per immergere il suo sguardo nell’universo nel
quale è portato ad evolvere. Questa presa di coscienza dell’ambiente è di grande importanza perché
consente al corpo di integrarsi nell’ambiente da cui dipende, riuscendo a scoprire la sua
individualità. Esiste così un gioco dialettico da cui traspare, fino a diventare un’evidenza, che l’ambiente esiste solo per quanto esiste l’individuo. Il gioco di bilanciamento
d’oggetto-oggettivante, acquisendo un potere di cristallizzazione sufficiente per raggiungere il
livello del soggetto-oggettivante, si rinforza quando interviene il terzo integratore, che è
l’integratore cocleare. Ricordiamo che il III, IV, VI ed anche l’XI paio sono comandati
intenzionalmente dai fasci oculo-cefalogiri, emanazione del fascio genicolato, cioè della parte nata
dalla frontale posteriore nella sua parte inferiore. Ho detto intenzionalmente comandato volendo
significare con questo che la volontà interviene attraverso il canale dei fasci precitati, mentre la
dinamica automatica degli occhi che anima i nervi motori trova la sua origine nel vestibolo, con le
fibre ascendenti che provengono dal nucleo di Bechterew e si comportano come piccoli cervelli primitivi, operando, è vero, senza intenzionalità.
Infine, diciamo che l’integratore cocleare che è in connessione diretta con l’encefalo (il
neoencefalo che lo precede e che sembra indurlo alla sua strutturazione funzionale) si impadronisce
di tutto questo insieme attraverso i fasci cocleo-talamo-temporali che, di rimando, si
intracerebralizzano e di conseguenza si incorporano attraverso il canale del fascio di
Turck-Meynert. Questo entra allora in connessione con l’insieme centro-encefalico e con una rete
assolutamente completa di inter-reazioni. In effetti, mentre si introduce nel nucleo pontino,
raggiunge il cervelletto nella sua parte neoformata; da là si propaga nel nucleo dentato o oliva
cerebellare, poi raggiunge la corteccia cerebrale in diversi punti, assicurando i luoghi di
comunicazione con il nucleo rosso ed il talamo che egli attraversa per raggiungere la corteccia
nelle zone extrapiramidali. Queste funzionano esse stesse come delle zone motrici, sulle quali si
elabora la motricità, restando inteso che quest’ultima rimane allo stadio degli automatismi,
rispondendo ogni intenzionalità al campo dinamico più specificamente riservato alla zona piramidale,
cioè a quella corrispondente alla frontale ascendente. Così, questo ampio integratore che parte
dalla coclea, organo del suono, induce l’area temporale, luogo nel quale la stimolazione uditiva,
trasformata in impulso neuronale, trova la sua proiezione. Esso attiva allora la totalità
centroencefalica, permettendo a quest’ultima di mescolarsi, a livello del cervelletto, con
l’immagine del corpo proiettata anteriormente e fissata da una parte dall’integratore vestibolare
(potremmo dire nel suo paesaggio interiore) e dall’altra dal gioco oggettuale dell’integratore visivo, nella sua proiezione nello spazio.
Il vestibolo organizza così il soma (o il ciò in termini analitici) arricchito di queste diverse
attività, particolarmente di quelle che si rapportano alla struttura dell’immagine del corpo.
L’integratore visivo contribuisce all’inserimento di questo ciò nel mondo circostante e gli assicura
la sua propria posizione, mentre l’integratore cocleare gli dà la possibilità di conoscere la sua
misura, le sue dimensioni, i suoi limiti, e gli consente di accedere al dialogo, cioè
all’integrazione del mondo circostante. Esso può allora assorbire neuronalmente questo, engrammando,
codificando acusticamente nella totalità del sistema nervoso ciò che ogni oggetto avrà evocato nel
corpo in maniera fugace se non ha avuto il contributo dell’evocazione sonora. A questa descrizione
fisiologica brevemente evocata, conviene aggiungere il sistema vagale, vera e propria sonda del
sistema nervoso in direzione del simpatico. Ricordiamo che quest’ultimo costituisce una rete
neurovegetativa che con la sua presenza assicura in ogni luogo l’insieme dei meccanismi di base: dai
battiti del cuore fino alla respirazione, passando per il sonno, la fame, la riproduzione etc. Senza
dubbio possiamo pensare che sia lui che si accorda con i ritmi universali; senza dubbio è in lui che
bisognerà ritrovare le sequenze fondamentali. Questo, in qualche modo, pre-integratore, benché
indipendente, getta tuttavia un ponte, un collegamento con il resto del sistema nervoso grazie al
nervo parasimpatico o nervo vagale o X paio cranico. Conosciuto ugualmente sotto il nome di
pneumogastrico, questo nervo inonda con le sue fibre periferiche il condotto uditivo esterno, il
timpano e la cassa dell’orecchio medio, mentre allo stesso tempo innerva tutto il tratto viscerale:
faringe, cuore, polmone, fegato, rene, ano. Questo per dire l’importanza assolutamente considerevole
che può ricoprire rispetto ad ogni evento sonoro, attraverso la sua azione congiunta o antagonista
con il simpatico. Questo collaterale sensorioviscerale che è il nervo vago dovrebbe permetterci
infatti di scoprire i profondi ritmi psicologici che, sotto un’altra forma, sono dei ritmi cosmici.
Ma il suo essere impregnato da informazioni di ogni ordine, raccolte dall’inizio della sua messa in
funzione senso-motoria, lo fa deviare dal suo orientamento originario e lo fornisce di una
pesantezza sorda, oscura, mal definita, generatrice di un’incontrollabile angoscia. Con il suo
immenso territorio di innervazione, questo nervo ci consente di comprendere le molteplici reazioni
somatiche che la sua messa in funzione, particolarmente con i suoni gravi, può determinare. Infine,
termineremo questa considerazione neurologica precisando che tutto il sistema nervoso centrale è
fornito di acceleratori e inibitori nella materia reticolata che sembra agire, secondo noi, attraverso fenomeni di induzione a livello degli integratori sopracitati.
Così, tutta la dinamica di questi integratori non si potrà manifestare che attraverso la messa in
attività corretta dell’insieme neuronale che abbiamo appena evocato. Grazie ai movimenti eseguiti e
tenuto conto delle loro memorizzazioni raccolte sotto forma di ritmi, di cadenze, di sequenze, il
vestibolo va ad introdurre un’immagine senso-motoria, carnale nel vero senso della parola, dello
strumento corporeo. L’associazione occhio-vestibolo organizzerà l’immersione di questo corpo nel
mondo circostante e risveglierà in lui la conoscenza delle sue posizioni relative. Infine,
l’integratore cocleare darà un colore finale attribuendo un senso a questi ritmi, un valore a queste
cadenze, un significato a queste sequenze… Preparerà così l’essere alla comprensione del
linguaggio, di questo linguaggio che, per essere infine assorbito ed ascoltato, dovrà attendere che
i meccanismi sopracitati siano interamente posizionati. Come ho avuto spesso occasione di dire, è
l’universo che modula e che parla. Al suo livello tutto è musica e tutto è linguaggio. La difficoltà
consiste nel preparare il corpo umano a raggiungere il piano dove questo dialogo si instaura. È in
questo che la musica occupa un posto essenziale. Essa non è una semplice fantasia, un messaggio
riservato ad un’élite, il frutto di una cultura. Essa è una necessità. Essa favorisce la
cristallizzazione delle differenti fasi strutturali funzionali del sistema nervoso. Essa opera la
realizzazione massimizzata delle cariche legate agli stimoli, attraverso il gioco cinetico, statico,
antigravitazionale etc. Essa prepara al canto e all’espressione corporea l’essere umano che se ne lascia impregnare.
Essa, almeno questa è la mia convinzione, è preesistente allo stesso linguaggio, come elemento
strutturante, che considera il corpo nella sua totalità, per modellarlo in un’architettura
verbalizzante. È dalla musica che nascono i ritmi e le intonazioni proprie dei processi linguistici.
Comunque la si veda, la musica comincia proprio dove si instaura il mistero, lasciandoci solamente
intuire che il mondo sonoro è chiamato essenzialmente a tradurre, nella sua risposta esistenziale,
il silenzio vibrante e cantante dell’inudibile sottostante, manifestazione incontestabile di una
realtà inaccessibile ai nostri sensi. Come il visibile ci rivela l’invisibile che lo sottende e lo
modella, la musica risponde al canto di un cosmo moventesi al ritmo di un’armonia, che si concede
generosamente ad alcuni eletti incaricati di trasformare in suoni udibili i messaggi sonori che
l’universo avrà consegnato loro. Ma poi bisognerà rispettare alcune regole che rispondano alle
esigenze di un sistema nervoso prima di tutto codificato dal suo induttore essenziale che si rivela
essere, come si è visto, l’apparato uditivo. Tanto che potremo affermare che ogni essere sulla via
di umanizzazione è un orecchio, cioè un’antenna all’auscultazione dell’ambiente nel quale è immerso.
La musica rimane incontestabilmente il modo più affinato per mettere questo ambiente in risonanza.
Senza dubbio è a questo livello che sarà bene definire che cos’è la musica. Se il musicista, il
teorico della materia, ci permettesse qualche incursione nel suo campo, sapremmo mormorare il più
discretamente possibile per non meritare il timbro di eresia, che c’è prima la musica, poi le
musiche, in seguito dei linguaggi sonori e infine delle esperienze acustiche. La musica agisce
attraverso i suoi effetti di armonizzazione interiore, cioè attraverso l’utilizzazione di modalità
primitive. In questo, d’altronde, essa mi sembra essere essenziale. Essa suscita e risveglia, fino
a renderle in qualche maniera tangibili, le modulazioni proprie del sistema simpatico.
Le musiche, in secondo grado, sono le strutture sonore che sanno aggiungere a queste modalità di
base i ritmi della vita esteriore, introdotti questi stessi dalla società e dalla cultura, che vanno
dal gesto fino al linguaggio, e che riguardano in realtà tutta la gestualità. Si riconoscono come
primi generatori di quelle musiche gli elementi folkloristici. I linguaggi sonori che si inseriscono
di seguito fanno rivivere concretamente gli stati emozionali, introducendo nello stesso tempo le
sonorità evocative di accenti percepiti ed engrammati nei nuclei affettivi centroencefalici che
presiedono alla vita neurovegetativa, ed i ritmi che trascinano il corpo fuori dalle codifiche
normalizzate anteriormente. Ne deriva una struttura narrativa, a semiologia sonora, che si esprime
sul corpo in tutta la sua dinamica esterna ed interna. Infine, esistono delle esperienze acustiche.
È facile cogliere il livello che bisogna raggiungere per comprenderle, al di fuori di ogni
concezione di ascolto. Esse hanno il merito di introdurre nel mondo sonoro oggetti acustici nuovi.
Questi ultimi dovranno a loro volta, per essere trascritti in memorizzazione corporea, rispondere ai
fattori intrinseci del sistema nervoso: senza ciò, quale che sia la bellezza che rappresentano per
l’autore, non avranno nessuna possibilità di poter essere integrati in un’universalità neuronale.
Questa incursione nel mondo sonoro ci permette di pensare che è necessario distinguere bene le
diverse espressioni musicali e di determinarne gli effetti neuro-psico-fisiologici. È a questo
livello che la nostra specialità, l’audiopsico-fonologia, interviene in maniera determinante con
l’intento di isolare e in tal modo di comprendere meglio gli effetti dei suoni e più espressamente della musica sull’organismo umano.
L’azione dinamogenica dell’orecchio è messa in risalto grazie a dei montaggi elettronici in grado di
suscitare la postura d’ascolto, privilegiando i suoni che si collocano in un volume sonoro la cui
forma e densità rispondono alle norme delle cellule dell’organo di Corti. La musica (una certa
musica) interviene allora in seno ad una programmazione sonica che tiene conto dei processi
evolutivi che, dopo la vita intrauterina, devono portare l’orecchio verso l’ascolto, e più
precisamente verso l’ascolto del linguaggio. Una base neuronale si rivela indispensabile per
collocare le serie di onde di impulso chiamate a veicolare ulteriormente le informazioni semantiche.
Questa programmazione primordiale, fondamentale, vettore essenziale di una integrazione acustica
armoniosa distribuita nell’insieme del sistema nervoso e in tal modo in tutto il soma, permetterà di
introdurre le posture, in particolare la verticalità, di distribuire in modo omogeneo la tonicità su
tutto il corpo messo all’ascolto, di modellarlo, insomma, perché divenga un’antenna recettrice
vibrante all’unisono con la sorgente sonora, sia essa musicale o linguistica. Per essere più
concreti, propongo di indicare in poche righe come procediamo in materia di pedagogia dell’ascolto.
Con l’aiuto dei montaggi elettronici facciamo rivivere il periodo uditivo intrauterino,
principalmente a partire dalla voce della madre che è stata registrata e poi filtrata oltre gli 8000
Hz, con l’intento di togliere ogni informazione semantica e di restituire solo la carica affettiva
che verrà a suscitare, accelerare o ridare al soggetto il desiderio di comunicare, il desiderio di
vivere. È attraverso apparecchiature che utilizzano bascule elettroniche, le quali fanno sì che l’orecchio si adatti all’ascolto, che questi messaggi sono trasmessi.
Dopo questa fase, che consideriamo fondamentale, procediamo ad un parto sonoro che riproduce di
fatto l’avvenimento della nascita sul piano acustico e che permette al soggetto di lasciare
l’ascolto fetale per adattarsi d’ora in poi e pienamente all’ascolto aereo. È con la voce della
madre che operiamo, defiltrandola progressivamente attraverso l’Orecchio Elettronico. Quando la voce
materna non può essere utilizzata (per varie ragioni su cui è impossibile insistere, per mancanza di
tempo), procediamo a questo decondizionamento con l’aiuto dei suoni musicali. Dopo una lunga
esperienza clinica e numerose prove in laboratorio, abbiamo scelto elettivamente la musica di Mozart
(soprattutto i pezzi per violino), poiché essa sola ci dà risultati sorprendenti, sempre positivi,
in tutti gli angoli del mondo e quale che sia l’etnia coinvolta. È per questo che possiamo dire che
la musica di Mozart è universale. Questo grande compositore era senza dubbio collegato direttamente
ai ritmi cosmici che ha saputo trascrivere attraverso un sistema nervoso sprovvisto di ogni condizionamento egotico.
Mozart, ritrasmesso in suoni filtrati (cioè in suoni intrauterini) e ascoltato sotto Orecchio
Elettronico, diviene così un vettore di armonizzazione, di dinamizzazione, di risveglio e di
creatività. Le reazioni sono immediate: il soggetto si attiva, modifica i suoi riferimenti
neurovegetativi, vede la sua respirazione ampliarsi, il suo polso accelerare. Esso manifesta un
desiderio di comunicare con il suo ambiente. La sua postura si trasforma ugualmente e diventa quella
d’ascolto. Questa musica agisce in modo particolare sui flessori. Dopo il parto sonoro e prima di
introdurre il soggetto in un universo semantico che rischia di essere psicanaliticamente carico di
blocchi affettivi (che hanno suscitato il nostro intervento di terapeuti), continuiamo ad utilizzare
la musica per un lungo periodo prelinguistico, che permetterà al soggetto di prepararsi al dialogo
con l’altro. Durante questa fase utilizziamo tre tipi di suoni musicali: Mozart, il gregoriano e le
filastrocche, fino a che alleniamo l’orecchio destro a diventare predominante. La lateralità si istituisce su di un destrismo di cui ho ricordato i principi in numerose opere.
Perché Mozart, perché il gregoriano, perché le filastrocche? Ci sarebbe molto da dire su queste
differenti scelte. Resta soprattutto da constatare che, su decine di migliaia di casi (patologici e
normali), le reazioni neuro-psicofisiologiche hanno largamente superato i risultati già raggiunti
dalle tecniche utilizzate abitualmente. Per Mozart, come ho già indicato, sono più efficaci i pezzi
per violino (contenenti dunque numerose sequenze ricche di suoni acuti). Quanto al gregoriano, le
modulazioni del tipo di Solesmes stabilite da Don Gajard costituiscono elementi di scelta. In
effetti, il repertorio trasmesso da questo infaticabile e geniale ricercatore detiene
un’universalità ed un’efficacia pedagogica e terapeutica incontestabile. Al contrario della musica
di Mozart, il gregoriano tranquillizza, calma il cuore e la respirazione nello stesso tempo in cui
sollecita la verticalità, agendo elettivamente sugli estensori. Per i bambini, contemporaneamente ai
due elementi sonori precedentemente ricordati, facciamo mettere delle filastrocche dell’etnia alla
quale appartiene il bambino. Questo è molto importante e ci rivela a quale punto queste canzoni per
bambini, che hanno attraversato i secoli, costituiscono le basi stesse della lingua che sarà
utilizzata più tardi come mezzo di comunicazione. Esse contengono gli elementi strutturanti
folklorici del futuro linguaggio. Le filastrocche tedesche o spagnole, ad esempio, non possono
essere in nessun caso applicate all’educazione o alla rieducazione dei bambini francesi. I ritmi di
base corrispondenti a dei codici neuronali differenti restano specifici di ogni etnia. E persino in
seno alla stessa lingua (la francofonia, ad esempio) le filastrocche costituiscono elementi
particolari, non potendo essere utilizzate da un paese all’altro. Peraltro, per i bambini che
presentano disturbi profondi della personalità (autismo, schizofrenia…) somministriamo prima di
tutto filastrocche su dei la-la-la senza valore semantico, al fine di non proiettare il bambino in
una dinamica linguistica che finora ha rifiutato. I ritmi che le filastrocche contengono lo vanno a
preparare ad accettare progressivamente il linguaggio con i suoi influssi psico-affettivi suscettibili di trasformare il suo universo relazionale.
Perciò, dopo questa minuziosa preparazione, il sistema nervoso, ridiventato rete integratrice libera
e liberata, sarà capace di ricevere il montaggio linguistico di cui il bambino o l’adulto si
potranno servire al fine di una completa comunicazione con il loro ambiente. I processi di
integrazione e di apprendimento saranno in tal modo riattivati e permetteranno al soggetto di
beneficiare di tutte le sue potenzialità. Sempre sotto Orecchio Elettronico proponiamo quindi
all’individuo delle parole ricche di frequenze acute (delle sibilanti) e filtrate progressivamente
di 500 in 500 Hz fino a 7000 o 8000 Hz, cioè fino al momento dove esso ritrova la relazione acustica
che aveva precedentemente engrammato. Queste sedute sono alternate con delle sedute di musica
filtrata e di canto gregoriano. Esse fanno intervenire i circuiti controllati dall’orecchio destro,
imboccando cioè l’itinerario più corto in materia di impulso neuronale. Ora è tempo di concludere.
Che cosa possiamo ricordare di questa lunga esposizione centrata su dati scientifici, che sembrano a
volte molto lontani dalla stessa musica nella sua potenza creatrice? Mi si perdoni questo approccio
alquanto noioso e fin troppo specialistico, ma mi sia concesso, per terminare, di rivolgermi al
musicista affrontando con esso la nozione della sua responsabilità. Capace di risuonare agli accenti
di una misteriosa induzione, egli per la scelta delle composizioni che esegue, per il modo in cui
egli fa uso della sua arte, per la finezza con la quale prepara le sue modulazioni deve poter
comunicare intimamente con colui che si trova all’altra estremità della catena e il cui corpo tutto
intero rimane all’ascolto di questo vibrante messaggio. Il suo dono di creatività gli è offerto
perché egli metta al servizio dell’altro questa manna che gli è stata così generosamente dispensata.
Egli deve prendere coscienza del ruolo fondamentale che è chiamato ad interpretare rispetto ad ogni
essere umano per condurlo verso la sua realtà linguistica. La musica, in effetti, costituisce il
modo migliore di preparare le vie sulle quali si instaurerà il linguaggio. Essa è, nella sua
essenza, questa vibrazione originaria che mette in risonanza il sistema nervoso umano, substrato di
tutti i meccanismi chiamati ad attivare il corpo e l’anima. Con le sue modulazioni può aiutare a
modellare l’essere umano nelle sue componenti fisiche, mentali e spirituali. Con i suoi accenti può
liberare dalle sue pastoie colui che si trova rinchiuso nelle reti che avrà tessuto l’esistenza.
Essa è il fondamento del canto che salmodia la liberazione dell’essere in preda all’angoscia di
vivere. Essa è un dono gratuito, stranamente e meravigliosamente offerto perché l’uomo si elevi fino alla sua autentica condizione umana.
La musica detiene così un carattere universale messo al servizio di tutti. E il musicista deve
costantemente tenere presente che non compone o esegue musica per lui solo né per piacere
essenzialmente ad una cerchia di iniziati, una specie di assemblea privilegiata riunita attorno ad
una medesima cultura. Esso è là per dispensare a tutti questo dono musicale che ha così
generosamente ricevuto, anche oltre le dimensioni umane. Questo dimostra quanto sia grande la sua
responsabilità, quanto i suoi poteri siano estesi. E niente deve permettergli di abusarne e di
creare in tutta libertà dei montaggi sonori che trasgrediscano le leggi dell’armonia, quelle che
regolano il cammino del mondo e costituiscono la base stessa delle reazioni neurofisiologiche di
ogni essere umano. Con la sua azione, con la sua vigilanza, con le sue lotte e i suoi combattimenti
egli deve rimanere attento a queste leggi, in cui l’universalità resta il criterio strutturante
neurologico per eccellenza. Faccio naturalmente allusione a queste composizioni aberranti che sono
delle vere e proprie droghe sonore, destinate ad asservire generazioni di giovani, distruggendo il
loro sistema nervoso in modo a volte definitivo. L’appello che lancio ai musicisti del nostro tempo,
evocando la potenza e i pericoli dell’emissione creatrice, non deve far dimenticare che bisogna
rivolgersi ad uno specialista incaricato di assicurare la qualità di ricezione del messaggio
musicale a livello del sistema nervoso destinato a percepirlo. Così come non serve a niente
presentare quadri d’autore a dei bambini privati della vista o non desiderosi di vedere e ancora
meno di guardare, è altrettanto inutile inondare le orecchie dei bambini con una musica di cui si
conosce tutta la bellezza e di cui si apprezza l’insondabile ricchezza, se questi giovani presunti uditori sono sprovvisti di un autentico ascolto.
Al momento attuale è in nostro potere, lo ricordo, non solo misurare le potenzialità d’ascolto ma
anche di modificarle per aumentarne l’efficacia. Tanto che è possibile, prima di accordare gli
strumenti quando ci si accinge a suonarli, accordare i nostri orecchi al fine di beneficiare, oltre
al ristabilito desiderio di udire, della facoltà di integrare, di imbeversi di questo messaggio fino
ad incarnarlo. Ho molto insistito sulla necessità di conoscere e di misurare gli effetti della
musica sull’organismo umano, per poter cogliere meglio la portata che può avere ogni composizione
musicale, che la si collochi da un punto di vista educativo e culturale o che la si indirizzi a dei
criteri terapeutici. Mi sarà gradito terminare questa conferenza esprimendo un desiderio: quello di
vedere, in seno all’ISME, costituirsi gruppi di ricerca destinati a studiare in profondità i
problemi inerenti agli orientamenti di ordine psicologico e psicanalitico che assumono alcuni
specialisti aperti ad indagini fondamentali in materia di neurologia e neurofisiologia. Queste
équipes, lavorando in collaborazione con coloro per i quali la preoccupazione resta e deve restare
quella di creare e produrre musica, permetteranno così di raccogliere, in questo enorme serbatoio
umano che è il mondo d’oggi, le energie necessarie alla creazione di ampi mezzi educativi e
terapeutici, riservati fino ad ora ad alcune élites a malapena consapevoli di ciò che possiedono. Mi
piacerebbe aggiungere infine alcune parole che vorrebbero essere delle note di musica: che gli
organizzatori di questo congresso trovino qui i nostri calorosi complimenti per l’enorme sforzo di
cui hanno dato prova per portare felicemente a termine un incontro così denso e così arricchente. Mi
sia permesso di manifestare pubblicamente la mia riconoscenza a Madame Blanche Leduc, presidente
della Sezione Francese dell’ISME, per il suo enorme lavoro, assunto con una discrezione che sconfina nella modestia. È a lei che devo l’onore di essere oggi fra voi.
Grazie della vostra attenzione.
da www.tomatis-italia.ovh
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