La musica nelle teorie del Settecento – Introduzione 1

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La musica nelle teorie del Settecento 1

Piero Giordanetti

Kant e la musica

INTRODUZIONE

Sebbene la teoria musicale della Critica del Giudizio sia stata oggetto di giudizi disparati, vi è
consenso generale almeno su di una affermazione: “Kant non capiva assolutamente nulla di musica”. Le
motivazioni sono individuate ora in idiosincrasie personali, ora nell’assoluta assenza di rilievo
teoretico della sua concezione dell’arte in generale e della musica in particolare. Kant avrebbe
attribuito alla musica la posizione inferiore nel sistema delle arti perché essa si limiterebbe a
“giocare con le sensazioni”: la musica non è arte bella, ma solo piacevole; il suo paradigma è ben
rappresentato dalla musica da tavola in uso nel Settecento. Il razionalismo estetico sfocerebbe,
così, in una condanna dell’arte musicale che la sacrificherebbe al procedere meccanico
dell’intelletto e alla struttura rigoristica della ragione. Le sue osservazioni sugli effetti fisici
della musica sarebbero mere curiosità sull’unico aspetto che al filosofo interessasse veramente.
Kant avrebbe dunque elaborato una teoria irrilevante per la storia dell’estetica musicale, ed entro
il contesto del suo sistema filosofico le affermazioni sulla musica sarebbero completamente prive di
interesse. Analizzata in profondità, la teoria si rivelerebbe disseminata di contraddizioni e priva
di qualsiasi coerenza interna. In breve: Kant era in questo ambito “ignorante”, non era a conoscenza
delle teorie musicali contemporanee, né aveva mai assistito a concerti di grandi maestri. Quando poi
ci si chiede quale fosse il motivo di tanto accanimento contro quest’arte sublime, si asserisce che
esso risiede nei tratti particolari della personalità del filosofo: elementi personali, individuali
e biografici sarebbero il vero motivo del suo atteggiamento teorico. Così si esprimono, per non
citare che alcuni esempi, Wieninger, Schueller e Weathertson:

Nell’estetica musicale di Kant rimangono quindi difficoltà essenziali, il cui […] fondamento ultimo
[…] è la personalità del pensatore stesso, l’assenza in lui della facoltà di una viva intuizione
musicale (Wieninger 1929, p. 74).

Kant ha aggiunto alla sua teoria estetica osservazioni psicologiche, sociologiche e moralistiche
sulle arti […] Si dice spesso che queste osservazioni rispecchiano l’assenza in Kant di sensibilità
estetica. E, di fatto, egli sembra trattare soggetti empirici e psicologici che noi pensiamo non
siano propriamente oggetto di studio della filosofia (Schueller 1953, pp. 232-233).

L’analisi kantiana della musica è chiaramente inadeguata. Prende le mosse da un iniziale esame
trascendentale e si indirizza verso una concezione della musica fondamentalmente personale e poco
plausibile (Weatherston 1996 p. 63).

Questa, in poche righe, l’immagine quasi universalmente accettata. È veramente accettabile questo
ritratto?

Le ricerche che qui si presentano si prefiggono di ricostruire fonti e genesi della teoria musicale
elaborata dalla Critica del Giudizio. Il capitolo I traccia il quadro delle discussioni nel quale la
teoria di Kant si è inserita, riportando alla luce le dottrine note al filosofo. Il capitolo II
ricostruisce le diverse fasi dell’estetica musicale kantiana nelle loro linee fondamentali,
mettendone in rilievo l’evoluzione. Il capitolo III è incentrato sull’opera pubblicata nel 1790 in
prima edizione, nel 1793 e nel 1799 in seconda e terza edizione.

Gli studi sulla genesi dell’estetica di Kant non si soffermano in genere sulle fonti della teoria
musicale. Otto Wieninger ritiene che una ricerca sulla genesi non possa offrire alcun aiuto per la
spiegazione dell’opera matura (Wieninger 1929); non si può quindi accettare la valutazione
ottimistica di Nachstheim, secondo la quale “esclusivamente il lavoro di Gustav Wieninger” si
sarebbe “sforzato di valorizzare in modo possibilmente esaustivo le fonti” (Nachstheim 1997).
Sebbene abbia raccolto un gran numero di affermazioni sparse nei 30 volumi dell’Edizione
dell’Accademia, neppure l’edizione curata da Nachtsheim, nel volume Zu Immanuel Kants Musikästhetik
del 1997, si può considerare un progresso in questa direzione. In essa sono state ristampate
Riflessioni ricavate dai manoscritti postumi sulla chimica e la fisica, ma non si fa alcun cenno
agli appunti dalle Lezioni di fisica contenuti nel volume XXIX dell’Edizione dell’Accademia. Benché
il curatore noti che le lezioni e i manoscritti postumi possano essere di aiuto per comprendere lo
sviluppo della teoria di Kant ed eventualmente per interpretare passi difficili degli scritti a
stampa, questa constatazione rimane allo stato di esortazione: l’introduzione non tratta, infatti,
né la genesi né le fonti storiche, ma analizza alcuni aspetti della Critica del Giudizio

Utili, a questo proposito, sono invece alcune indicazioni di Richard Grundmann sulle lezioni di
antropologia pubblicate nel 1831 da Johann Adam Bergk con lo pseudonimo di Friedrich Christian
Starke, di Otto Schlapp nella monografia sulla teoria del genio del 1901, di Erich Adickes nelle
note al volume XIV dell’Edizione dell’Accademia, e di Marie Rischmüller nelle annotazioni alla
riedizione delle Bemerkungen in den Beobachtungen über das Gefühl des Schönen und Erhabenen
[Annotazioni alle “Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime”] comparsa nel volume terzo
delle Kant-Forschungen.

Benché spesso sia stata espressa la convinzione che le rapide annotazioni di Kant sulla musica
rivelino in modo evidente come egli non abbia approfondito la conoscenza degli sviluppi
dell’estetica musicale a lui contemporanea, un’analisi dei volumi dell’Edizione dell’Accademia
permette di riportare alla luce il confronto con una serie di dottrine che erano patrimonio comune
dei teorici della musica nel Settecento. Non si tenterà qui una ricostruzione storica della
riflessione filosofica sulla musica, ma si prenderanno in considerazione unicamente quegli autori
dalle cui opere si possa dimostrare con certezza che il filosofo di Königsberg ha desunto spunti
determinanti; le dottrine non saranno quindi presentate nella loro completezza, ma se ne esaminerà
il contenuto esclusivamente riguardo ai temi che saranno affrontati da Kant, approntando così
materiale di cui si mostrerà la presenza nella teoria della Critica del Giudizio e nelle fasi della
sua genesi.

1. L’organista e l’inconscio

Quali processi sono implicati nell’esecuzione di improvvisazioni all’organo? La domanda è impostata
nel secondo libro dello Essay on Human Understanding [Saggio sull’intelletto umano] di John Locke,
che considera impossibile stabilire con sicurezza l’esistenza di contenuti oscuri della nostra
mente, perché proprio per la loro natura non possiamo sapere che cosa essi siano. L’esecuzione di
una melodia non può quindi essere ricondotta a processi o contenuti oscuri dell’intelletto umano, ma
deve essere spiegata grazie al principio psicologico dell’associazione d’idee. Sebbene sembri molto
probabile che la causa dell’idea delle note e del movimento regolare delle dita del musicista sia il
movimento dei suoi spiriti animali, questa determinazione fisiologica non può esserci d’aiuto per
comprendere le abitudini intellettuali e i legami fra idee. Si può notare che non appena un
musicista richiama alla mente l’inizio di una melodia a lui nota, le idee delle diverse note si
presentano al suo intelletto in una successione corretta, benché egli non debba forzare la sua
attenzione: le note si succedono l’una all’altra secondo una struttura regolare, e altrettanto si
può dire del muoversi delle dita della sua mano sui tasti dell’organo; il principio psicologico
dell’associazione delle idee è dunque l’unica spiegazione plausibile in un Saggio sull’intelletto
umano (Locke 1690, II, 33, 6, p. 463).

Al contrario di Locke, Leibniz ammette che vi siano rappresentazioni oscure nel profondo della
nostra anima. Leibniz attribuisce la percezione della normatività matematica a un calcolo compiuto
dall’anima al di sotto della soglia della coscienza; scrive a Christian Goldbach da Hannover, il 17
aprile 1712, che la musica è un’attività aritmetica nascosta svolta dall’animo in uno stato di
incoscienza, avvalendosi di percezioni confuse o di cui non si può avere la sensibilità né
un’appercezione distinta. Vagano nel buio coloro i quali sono dell’avviso che nell’anima nulla possa
verificarsi al di là dei limiti della coscienza. Sebbene non abbia sensazione della propria attività
di calcolo aritmetico, l’anima ne avverte l’effetto sotto forma di piacere per le consonanze, di
dispiacere per le dissonanze che ne risultano (Leibniz 1738-1742, vol. I, p. 241). Leibniz commenta
il § 6 del capitolo XXXIII del libro secondo di Locke nei suoi Nuoveaux Essais sur l’entendement
humaine [Nuovi saggi sull’intelletto umano] mettendo in risalto non il ricorso alla legge
dell’associazione, ma la fondazione sugli spiriti animali: “§ 6. Le disposizioni e gl’interessi
individuali v’hanno pur parte. Certe tracce del frequente processo degli spiriti animali diventano
vere vie battute; e, quando si cerca un’arietta, si sa cantarla fino in fondo appena trovatala”
(Leibniz 1988, p. 257).

2. Musica e Bildungsvermögen

Nel Settecento la musica è di norma contrapposta alle arti figurative (cfr. ad esempio Meiners 1772,
pp. 232-233; d’Alembert 1761, Sulzer 1771-1774); inserendo la musica fra le arti figurative,
Schelling presenta la sua partizione come un progetto completamente nuovo, del quale non si trovano
tracce nei secoli precedenti; dichiara di voler costruire le tre forme fondamentali dell’arte
figurativa, la musica, la pittura e la plastica, che comprende scultura e architettura, e ricorda
che, sotto il profilo storico, la musica è sempre stata separata dall’arte figurativa.

Determinante per il discorso kantiano è la contrapposizione fra musica europea e musica orientale;
alla prima si attribuirà la facoltà formatrice, la seconda rimarrà, nelle sue Lezioni e nelle sue
Riflessioni, in balìa dei sensi. In alcuni resoconti di viaggio settecenteschi si nota come i cinesi
si credessero inventori dell’arte musicale; se si dovesse attribuire valore di verità a queste loro
pretese si dovrebbe concluderne che la loro musica si sia deteriorata col tempo, perché ora, si
constata in quei resoconti, giace in uno stato di imperfezione tale da non meritare nemmeno il nome
di musica. La musica europea piace ai cinesi se una voce sola accompagna gli strumenti, ma essi non
apprezzano affatto le composizioni più belle e più complesse in cui si realizza un intersecarsi di
diverse voci di timbro grave o acuto, né i semitoni, le fughe, le sincopi che appaiono loro solo
come un caos disordinato e confuso (cfr. anche Du Halde 1747-1749, vol. 3, pp. 347-348; AHR 1750;
Schwabe 1747-1774, vol. 6, pp. 312 sg; AA XXV 77).

Sullo stesso tema, Johann Georg Sulzer, che pubblica fra il 1771 e il 1774 una Allgemeine Theorie
der schönen Künste [Teoria generale delle arti belle], afferma che il fatto che i Cinesi non
comprendano la musica europea non è sufficiente a dimostrare che essa non abbia principi immutabili
(Sulzer 1793, p. 423); la diversità nella valutazione non deriva da un preteso arbitrio del gusto,
ma dall’applicazione, propria a ogni popolo, dei principi generali dell’ordine, della simmetria e
dell’armonia a casi specifici di composizione musicale (cfr. Sulzer 1793, p. 424).

3. Musica, matematica e fisica

3.1. Intervalli musicali e proporzioni matematiche

Il nesso fra musica e proporzioni matematiche appare sin dall’antichità classica, in Pitagora e in
Platone. A prescindere dalle fonti, difficilmente determinabili, della conoscenza kantiana di
Pitagora, si può affermare che tre furono i punti i quali richiamarono la sua attenzione su questo
autore che avrebbe ripreso la musica dagli Indiani introducendola fra i Greci: l’armonia aritmetica
dei rapporti fra i suoni, l’armonia delle leggi della natura e l’armonia delle sfere celesti. Il
fondamento della musica è dato dall’aritmetica, da rapporti numerici e dipende da una legge fissa e
regolare dalla quale i suoni non possono discostarsi; la natura stessa, il mondo fisico e i corpi
celesti sono sottoposti alle leggi di un intelletto che li domina. Pitagora compie così un passaggio
dall’armonia della musica all’armonia della natura e dei corpi celesti, ipotizzando l’esistenza di
un intelletto divino; l’aritmetica come scienza dei numeri conduce in lui all’idea di un intelletto
non sensibile. Anche per Platone la musica riveste una funzione specifica; il decimo libro della
Politeia, laddove ravvisa la necessità dell’allontanamento dei poeti dallo Stato ideale, riconosce
alla musica una funzione positiva come arte propedeutica alla contemplazione delle idee, in quanto
in virtù del suo stretto rapporto con la matematica e con le leggi dell’armonia nobilita l’uomo (si
veda Platone, Repubblica 386a – 395b o 398c – 403c; vedi AA XXV, p. 994).

Seguiamo ora la ripresa e lo svolgimento di questo rapporto nella filosofia moderna. Nel Compendium
musicae di Descartes sono definiti belli i rapporti che si possono percepire con facilità, mentre
quelli che si percepiscono con difficoltà non possono essere considerati tali; sono segnalati i
diversi gradi in cui questi rapporti possono essere avvertiti: non nimis difficulter; facilius,
facillime, sine labore. Come già abbiamo visto, per Leibniz la percezione della musica è calcolo
inconscio; se poi la rilevanza della matematica come forma da opporre alla mera materia è ripresa da
Andreas Werckmeister, per il quale “i numeri e le proporzioni danno la forma e il suono è la
materia” (Werckmeister 1687, p. 39; Arthur Warda, Immanuel Kants Bücher, Berlin 1922, p. 36),
secondo Baumgarten la musica può essere intesa in senso generale come scienza dell’ordine; il
concetto di ordine, a sua volta, è strettamente connesso con quello della coordinazione. Nel § 78
della Metaphysica si legge, infatti:

Si multa iuxta vel post se invicem ponuntur, CONIUNGUNTUR*). Coniunctio plurium vel est eadem, vel
diversa, § 10, 38. Si prior, est COORDINATIO**), et eius identitas ORDO***). Ordinis scientia olim
erat MUSICA LATIUS DICTA. *) verbunden werden. **) zusammenordnen. ***) Ordnung.

L’armonia che si fonda su principi matematici è esaltata da Rameau come il fondamento dell’intera
musica e dei sentimenti che ne derivano; la melodia non è se non una conseguenza dell’armonia, dalla
quale dunque deriva il piacere che si prova per la musica; i sentimenti che sono mediati dalla
musica debbono la loro origine alla semplicità divina della natura stessa, che si può rappresentare
esclusivamente come un sistema di leggi rigorose. I principi di Rameau sono ripresi da d’Alembert in
uno scritto tradotto in tedesco nel 1757 con il titolo Systematische Einleitung in die Musicalische
Setzkunst, nach den Lehrsätzen des Herrn Rameau [Introduzione sistematica all’arte della
composizione musicale, secondo i principi del signor Rameau]:

Tutto ciò che si è detto sin qui è, a mio parere, più che sufficiente a convincerci che la melodia
ha il suo fondamento nell’armonia e che nell’armonia che è o effettivamente presente o la cui
presenza si può presupporre si debbano cercare gli effetti della melodia (d’Alembert 1757, p. 70, §
153).

Un’importanza del tutto particolare rivestono, in una ricerca sulle teorie note a Kant e da lui
discusse, le Lettere di Leonhard Euler, matematico, fisico e filosofo svizzero, nato a Basilea nel
1707, morto a San Pietroburgo nel 1783. Fu allievo di E. Bernoulli e insegnò dapprima a San
Pietroburgo, per passare nel 1741 a Berlino e ritornare in Russia nel 1766. Numerosi sono i suoi
saggi e trattati sulla musica e sull’acustica; in particolare Le lettere a una principessa tedesca,
scritte originariamente in francese con il titolo Lettres à une Princesse d’Allemagne sur diverses
sujets de Physique et de Philosophie (Petersburg 1768-1772) e subito tradotte in tedesco come Briefe
an eine Deutsche Prinzessinn über verschiedene Gegenstände aus der Physik und Philosophie (Leipzig
1769-1773). La traduzione tedesca del primo e del secondo volume comparve nel 1769 con il titolo
Briefe an eine deutsche Prinzessin. Nel 1773 fu pubblicato il terzo volume. Euler ammette che le sue
ricerche si devono considerare il risultato del giudizio di un uomo che non conosce a fondo
l’estetica musicale e che quindi devono essere giudicate con prudenza sotto questo aspetto. Confessa
alla principessa del margravio di Schwedt, più tardi contessa di Anhalt-Dessau, il proprio imbarazzo
poiché, non comprendendo egli assolutamente nulla di musica, dovrebbe vergognarsi, a suo parere, di
osar spiegare ad altri qualcosa su questo tema (Euler 1769, p. 27). Le Lettere prendono spunto dalla
domanda relativa al fondamento della sensazione di piacere generato in noi dall’ascolto di una
musica bella, confrontandosi con l’opinione che tende a vedervi il risultato della semplice azione
dell’immaginazione. Se si assumesse come valida quest’ultima prospettiva, sarebbe coerente non
ricondurre la musica ad alcun principio e lasciarla in balìa dei molteplici effetti da essa
prodotti. Peraltro, il piacere per un brano musicale non deriva dalle stranezze dell’immaginazione,
ma dalla percezione dell’ordine. Se ci chiediamo quale azione possano produrre sull’orecchio due
suoni che sono uditi contemporaneamente (Euler 1769, I, p. 14), vogliamo determinare come l’orecchio
percepisca i rapporti fra due note e intendiamo indicare il fondamento di questa percezione nei
rapporti stessi; questo rapporto fra le note può risultare al senso dell’udito sia piacevole sia
spiacevole. A pagina 16 del primo volume delle Lettere nell’edizione del 1769 si legge:

Si può dire che tutte le proporzioni fin qui considerate di 1 a 2, di 1 a 4, di 1 a 8, di 1 a 16,
proporzioni che racchiudono sempre la natura di un’ottava semplice, doppia, tripla o quadrupla,
traggono la loro origine dal solo numero 2, poiché 4 è due volte due, 8 due volte quattro, e 16 due
volte otto. Quindi, ammettendo nella musica il solo numero due, si potrebbero conoscere soltanto
quegli accordi o consonanze che i musicisti chiamano ottava, sia essa semplice, doppia o tripla. E
poiché il numero 2, moltiplicato sempre per se stesso, fornisce soltanto i numeri 4, 8, 16, 32, 64,
dove ciascuno è sempre doppio del precedente, tutti gli altri numeri ci rimangono ancora
sconosciuti. Ma se uno strumento avesse solo ottave, come appunto i suoni indicati con C, c, c, c,
c, e tutti gli altri ne fossero esclusi, la musica che esso produrrebbe non sarebbe affatto
piacevole a causa della sua eccessiva semplicità. Introduciamo dunque, oltre il numero 2, ancora il
numero 3, e vediamo quali accordi e quali altre consonanze ne risulteranno. Anzitutto la proporzione
di 1 a 3 ci rappresenta due suoni, di cui l’uno ci dà, per uno stesso tempo, un numero di vibrazioni
3 volte maggiore dell’altro. Questa proporzione è senza dubbio la più facile a comprendere dopo
quella di 1 a 2, e capace quindi di fornirci consonanze bellissime, di natura però completamente
diversa da quella delle ottave (Euler 1769-1773, vol. I, p. 16; Eulero 1958, p. 18).

La quinta Lettera, Sull’unisono e sulle ottave, si esprime in questi termini:

Ora Vostra Altezza comprenderà facilmente che quanto più una proporzione è semplice o espressa con
piccoli numeri, più essa si presenta distintamente all’intelletto, suscitandovi un sentimento di
piacere (Eulero 1958, p. 15; Euler 1769, I, p. 14).

Questo principio generale è valido anche per l’architettura, che ricorre a proporzioni matematiche
semplici perché suscitano piacere nell’intelletto.

Anche gli architetti osservano con la massima cura questa regola, impiegando ovunque nelle loro
costruzioni proporzioni tanto semplici quanto lo permettono le altre circostanze. Essi fanno di
solito le porte e le finestre il doppio più alte che larghe, e ovunque cercano di attuare
proporzioni esprimibili in piccoli numeri, perché questo piace all’intelletto (Eulero 1958, p. 16).

Per il medesimo motivo le proporzioni semplici sono utilizzate nella musica.

Lo stesso accade per la musica, dove gli accordi piacciono solo quando lo spirito riesce a scoprirvi
la proporzione sussistente fra i vari suoni, e tanto più facilmente riesce a coglierla quanto più
essa è espressa con piccoli numeri (Euler 1769, I, p. 14; Eulero 1958, p. 16).

Le condizioni che rendono possibile il piacere risiedono nel concetto dell’ordine che, a sua volta,
risulta comprensibile sulla base di due elementi: l’armonia e la misura. L’armonia fra i suoni
deriva dalle loro differenze, in quanto essi sono bassi o alti, gravi o acuti e questa differenza è
data dal numero di vibrazioni che ciascun suono manda in uno stesso tratto di tempo (cfr. Eulero
1958, p. 26). La differenza fra la velocità delle vibrazioni dei diversi suoni è ciò che
propriamente si chiama armonia, la quale si produce quando, nell’ascoltare una musica, si
comprendono i rapporti o le proporzioni che le vibrazioni di tutti i suoni hanno fra loro. Ma, oltre
l’armonia, la musica ha in sé ancora un altro genere di ordine: la misura, per la quale si assegna a
ciascun suono una certa durata; la percezione della misura equivale alla conoscenza della durata di
tutti i suoni e delle proporzioni che ne nascono e stabilisce se un suono dura 2,3,4 volte più di un
altro (cfr. Eulero 1958, pp. 26-27). Una musica perfetta richiede quindi due condizioni: l’armonia e
la misura. Nel suono del tamburo e del timballo domina la misura, nell’assenza completa
dell’armonia, in una musica in cui tutti i suoni sono eguali tra loro. Vi è però anche un tipo di
musica, il corale, nel quale regna sovrana l’armonia ed è assente la misura, poiché tutte le note
hanno la medesima durata.

Definita la natura matematica dei rapporti numerici fra le vibrazioni che costituiscono i suoni e
dopo aver spiegato come questi rapporti siano percepiti dall’orecchio, l’Ottava lettera elabora
un’autonoma teoria del piacere. Inserendosi nella tradizione che prende avvio da Pitagora, Euler
afferma che i rapporti matematici semplici relativi al numero di vibrazioni prodotte dagli strumenti
musicali nell’aria formano il correlato oggettivo e la base del piacere; il dispiacere è, al
contrario, il risultato della percezione di rapporti complessi. Il piacere coincide con la
percezione dell’ordine e quindi con l’armonia e la misura, ma esse non sono sufficienti; il piacere
nasce anche dalla capacità dell’ascoltatore di indovinare le intenzioni e i sentimenti del
compositore, la cui esecuzione, in quanto la si giudica riuscita, riempie lo spirito di una
piacevole soddisfazione (Euler 1769, I, p. 27; Eulero 1958, p. 28). L’elemento matematico e
l’attenzione al piano del compositore sono entrambi oggetti dell’intelletto: tutta la teoria della
musica di Euler è caratterizzata, del resto, dal primato dell’intelletto sulla sensibilità.
Nell’Ottava lettera la spiegazione dell’origine del piacere è integrata dall’osservazione che
armonia e misura, che si fondano su proporzioni matematiche, non sono sufficienti a dare origine al
piacere: una musica che consistesse solo di ottave non susciterebbe in noi piacere con la semplice
rappresentazione dell’elemento matematico. Euler rifiuta le teorie che attribuiscono la fonte del
piacere non alla semplicità dei rapporti matematici ma a rappresentazioni che richiedano uno sforzo;
se infatti una dissonanza è l’esempio di un tipo di rappresentazione che può essere compresa solo
con difficoltà e sforzo, una serie di dissonanze non ci piacerà mai di per sé. E, poiché né una
serie di consonanze, né una serie di sole dissonanze possono dare origine al piacere, sarà allora
necessaria a questo scopo una combinazione fra la rappresentazione dell’elemento matematico e la
conoscenza del piano e dell’intenzione del musicista. Anche a questo proposito Euler ribadisce
l’importanza dell’intelletto e dell’elemento matematico: la dissonanza è un rapporto fra note
espresso da numeri complessi che risulta difficilmente percepibile dall’animo, ma trae la sua
legittimazione dal piano e dall’intenzione del compositore (cfr. Euler 1769, p. 19).

La concezione di Euler è presente in Johann Peter Eberhard, autore di un testo di fisica che Kant
adotterà per un certo periodo per le sue lezioni; una distinzione evidente delle vibrazioni di due
corde che suonano armonicamente genera piacere in seguito all’armonia stessa, mentre il dispiacere
originato dal rapporto fra due note si può spiegare come la conseguenza di una distinzione non
evidente; nel primo caso si ha a che fare con consonanze, nel secondo con dissonanze. Eberhard
polemizza con Leibniz: la teoria del calcolo inconscio non può essere suffragata dall’esperienza;
che l’anima conti le vibrazioni e le confronti poi l’una con l’altra è assolutamente inverosimile;
vi possono infatti essere uomini che non sono capaci di contare e che però sono in grado di
percepire l’evidenza dei rapporti fra le vibrazioni. Come in Euler, anche in Eberhard il calcolo
inconscio è sostituito dalla percezione dell’evidenza.

Se si possono distinguere con evidenza le vibrazioni di due corde che suonano contemporaneamente si
ha la sensazione di un piacere e il timbro [Klang] delle corde diviene piacevole. Se però non si
possono distinguere tra loro le vibrazioni il timbro è sgradevole. Le note che causano sensazioni
piacevoli quando le si ascolta contemporaneamente sono chiamate consonanze, le altre dissonanze. La
spiegazione che abbiamo appena dato è nettamente più verosimile di quella che propone Leibniz.
Leibniz crede che l’anima conti le vibrazioni e le compari poi l’una con l’altra. Ciò non è però
verosimile. Come potrebbe altrimenti un uomo che non è in grado di contare distinguere le note
armoniche da quelle disarmoniche? La spiegazione che abbiamo addotto ha invece il suo fondamento
nell’esperienza universale che tutto ciò che è evidente causa in noi piacere mentre ciò che non è
evidente causa dispiacere (cfr. Eberhard 1759, pp. 286-287).

La teoria di Euler è esposta fedelmente nel Großes Vollständiges Universal-Lexikon aller
Wissenschaften und Künste [Grande lessico universale completo di tutte le scienze ed arti] edito a
Leipzig fra il 1731 e il 1750 in 64 volumi da Johann Heinrich Zedler, cui seguirono fino al 1754
quattro volumi di supplementi. I suoni possono trovarsi in un rapporto di contiguità temporale
oppure di successione; simultaneità e successione rendono possibile l’ordine poiché, grazie ad essi,
si distinguono sia suoni gravi da suoni acuti sia la durata di entrambi. L’ordine è una connessione
delle parti secondo una certa regola e colui il quale ha la facoltà di cogliere questa regola è in
grado al tempo stesso di provare piacere. La piacevolezza dell’arte musicale non può sorgere se non
dalla percezione di rapporti costanti fra grandezze così diverse tra loro. Percepiamo il rapporto
fra due suoni quando sentiamo il rapporto fra i numeri delle vibrazioni che si verificano
contemporaneamente e percepiamo che un suono compie tre vibrazioni nel medesimo tempo in cui un
altro suono ne compie due; riconosciamo il loro rapporto e quindi anche il loro ordine, in quanto
percepiamo che sono fra loro in una relazione costante di 3 a 2; ricaviamo piacere, inoltre, dai
rapporti relativi alla diversa durata dei suoni (cfr. Zedler 1745, 44. Band, Sp. 1190-1191).

Kant intrattiene per un lungo periodo uno scambio epistolare con Markus Herz, autore nelle
“Königsbergsche Gelehrte und Politische Zeitungen” del 1769 di una recensione alle Lettere di Euler.
Nelle Betrachtungen über die spekulative Weltweisheit [Considerazioni dal punto di vista della
filosofia speculativa], pubblicate a Königsberg nel 1771, muovendo dalla convinzione che la
rappresentazione di un oggetto sensibile sia sottoposta alle forme dello spazio e del tempo e
coincida con l’idea di una localizzazione spazio-temporale, Herz sostiene che, analogamente, la
rappresentazione di un edificio o di una musica non è possibile senza assumere leggi universali
della bellezza. Negare la bellezza ad un edificio o a una melodia conformi a leggi è altrettanto
impossibile quanto è assurdo rappresentarsi un oggetto sensibile senza pensarlo in qualche luogo e
in qualche tempo (trad. it. Herz 2000, pp. 307-308, qui p. 308). La causa della grande diversità dei
giudizi sui singoli oggetti del bello risiede solo nel fatto che le loro determinate impressioni, e
dunque anche il loro rapporto con le leggi generali, vengono avvertite in modo diverso dai singoli
individui. Così Herz sottopone a critica le teorie che, ponendo sullo stesso piano il senso
dell’udito, il tatto e l’olfatto, ritengono che tutti i sensi siano esatti; e polemizza con la
Lettre sur la sculpture, à Mons. Theod. de Smeth di Hemsterhuis il quale sostiene che la bellezza
non è realmente negli oggetti dal momento che tanto il piacere per una forma bella quanto il
dispiacere per una forma brutta svaniscono gradualmente quando li contempliamo a lungo (Herz 1771,
p. 22 nota). I sensi sono contraddistinti da arbitrarietà e casualità; se si accettassero le
conclusioni di Hemsterhuis, nota Herz, colui che dà a conoscere il suo dispiacimento circa la più
grande simmetria in un edificio o la più regolare armonia in una melodia non sarebbe meno corretto
nella sua pretesa di quello la cui sensazione tattile o olfattiva non concorda con il giudizio che
altri formulano sugli oggetti di questi sensi (Herz 1771, trad. it. Herz 2000, p. 307).

Anche nella Untersuchung über den Ursprung der angenehmen und unangenehmen Empfindungen [Ricerca
sull’origine delle sensazioni piacevoli e spiacevoli] del 1773 di Johann Georg Sulzer la presenza di
Euler è determinante; la definizione della perfetta armonia come vibrazione contemporanea di quattro
corde, che si possono chiamare “unisono”, “terza maggiore”, “quinta”, e “ottava” lascia trasparire
la conoscenza del Tentamen novae Theoriae musicae, espressamente nominato. Sulzer segue però,
nell’applicazione di questa teoria, la differenziazione fra spirito e senso in base ai gradi
dell’evidenza di provenienza leibniziana: i sensi percepiscono l’armonia come unità e successione di
oscillazioni e questa percezione dà luogo al piacere per la musica. L’armonia è qui, peraltro,
oggetto di una percezione oscura; solo in base a calcoli che determinano il rapporto della velocità
in conseguenza delle vibrazioni di un certo numero di corde si può comprendere con lo spirito la
bellezza dell’armonia; e ciò che piace all’anima nella rappresentazione oscura dei sensi le piace
anche quando lo si può esporre allo spirito in modo evidente. Da questa rappresentazione nasce nello
spirito una sensazione piacevole il cui oggetto è la bellezza; l’origine del piacere è sempre la
perfezione ed è indifferente se essa riguardi la conoscenza sensibile o la conoscenza intellettuale
(cfr. Sulzer 1773, pp. 1-99).

Sulzer passa poi a considerare sia gli oggetti che sono belli per i sensi sia gli oggetti che sono
rappresentati all’intelletto da concetti evidenti; fra i primi pone l’armonia, che si colloca sul
medesimo piano dei colori e della loro struttura, e i rapporti numerici dai quali essa risulta. La
piacevolezza delle sensazioni complesse deriva dal fatto che le diverse serie di impressioni
istantanee da cui è formata l’intera sensazione giungono a dar luogo a un intero dotato di
regolarità; la loro spiacevolezza, invece, è una conseguenza del fatto che le impressioni istantanee
non generano un intero dotato di regolarità. Facendo riferimento al § 13 del capitolo I del Tentamen
novae theoriae musicae di Euler, l’articolo “Klang” della Teoria generale delle arti belle afferma
che si può dimostrare, ricorrendo alla matematica, che ogni intervallo può essere espresso dal
rapporto fra le velocità delle vibrazioni in numeri; 1:2 indica l’ottava; 2:3 designa la quinta.
Sulzer riconosce nelle formule algebriche l’esempio di una bellezza puramente intellettuale la cui
origine risiede in particolari proprietà dei numeri; la bellezza di un teorema, ad esempio il
teorema di Newton sull’elevazione di una radice a una qualsivoglia potenza, nasce dall’avvertire
un’unità nella molteplicità ed è tanto maggiore quanto maggiore è la molteplicità (cfr. Sulzer
1771-74, Articolo “Klang”, p. 33).

Nell’undicesimo dei Briefe über die Empfindungen [Lettere sulle sensazioni] del 1771, Mendelssohn
concepisce la bellezza sensibile come un’unità del molteplice la quale presuppone la limitatezza
della facoltà dell’anima: il molteplice suscita piacere solo in quanto sia ricondotto all’unità e
sia in tal modo facile percepirlo; un molteplice che non si fondasse su alcuna unità avrebbe come
conseguenza un sentimento di dispiacere. Esempi di bellezza sensibile sono dati sia
dall’architettura sia dalla musica: il progetto di un edificio può essere chiamato bello solo se la
simmetria fra le parti e la loro varietà possono essere comprese facilmente (cfr. JA, I, p. 58);
proprio per questo motivo il gusto gotico non deve essere condiviso, perché la molteplicità non vi
si lascia ricondurre a una corrispondente unità. Anche i rapporti fra le vibrazioni dei suoni
rientrano nella bellezza sensibile e ne sono anzi fonte. “I rapporti semplici fra le vibrazioni: una
sorgente della bellezza!” (cfr. JA, I, p. 85), scrive Mendelssohn, che sembra riferirsi a Euler,
quando nota:

Quale sia il significato dei rapporti semplici fra le vibrazioni, lo comprenderà facilmente
chiunque; perché è noto che due corde danno luogo a una consonanza se sono in una tensione reciproca
derivante da un rapporto semplice; ovvero, se il numero delle vibrazioni dell’una si trova in uno
stesso momento di tempo in un rapporto di 1:2, 2:3, 3:5 o anche 5:8 con il numero delle vibrazioni
dell’altra. Le vibrazioni delle dissonanze stanno invece in un rapporto di 8:9, 8:15, 45:64, e
simili (JA, I, p. 115).

E ancora ad Euler si riferisce implicitamente Mendelssohn quando soggiunge che il piacere dell’anima
per la composizione deriva anche dalla possibilità di prevedere certe conseguenze, di avere
aspettative e di essere confermati e soddisfatti dal loro sviluppo. Nulla è più piacevole
dell’assistere alla soluzione dei problemi, cosa che contribuisce alla bellezza perché le facoltà
dello spirito possono essere in tal modo occupate senza incontrare difficoltà (JA, I, p. 315).

Si rivela anche interessante, in relazione alla genesi della teoria di Kant, la seconda parte dello
scritto di Mendelssohn Phädon, oder über die Unsterblichkeit der Seele [Fedone o sull’immortalità
dell’anima]: la musica e l’architettura sono strutture ordinate derivante l’una dalla coordinazione
di molteplici note, l’altra dalla coordinazione di numerose pietre; i singoli componenti sono parti
prive di vero ordine e vera simmetria; armonia e simmetria riguardano solo l’intero. Sebbene nessun
singolo suono sia dotato di armonia e nessuna singola pietra possieda simmetria né regolarità,
l’intero cui essi danno luogo può rivelare queste caratteristiche. Sorge però il problema di
chiarire come sia possibile che un intero armonico derivi da parti disarmoniche e che parti che non
sono dotate di regolarità possano dar luogo a una totalità dotata di regolarità. L’armonia nella
musica e la simmetria nell’architettura sono, in base alle definizioni che ne abbiamo dato, il
rapporto fra diverse impressioni; non possono, dunque, essere pensate se non a partire dalla
comparazione e dall’unificazione di singole impressioni. Armonia e proporzione si identificano,
quindi, con questo rapporto fra le note o le pietre isolate, e il loro fondamento ultimo si trova
nell’attività della facoltà di pensare. Ordinamento, simmetria, armonia, regolarità e, in generale,
tutti quei rapporti che richiedono un’unificazione o un rapporto di reciproco ordine del molteplice
sono effetti della facoltà di pensare. Né le singole note, né l’armonia sono esempi di un ordine già
esistente in natura; esse danno luogo a un concerto armonico solo grazie all’intervento della
facoltà di pensare dell’anima. L’argomentazione di Mendelssohn, che non assegna alle singole
sensazioni alcun significato autonomo, ma riconduce la loro unificazione in una totalità
all’attività dell’anima, si inserisce dunque nella tradizione platonica. Tradizione che viene
ripresa anche da Francis Hutcheson nella Ricerca sull’origine delle nostre idee di bellezza e di
virtù, in un contesto teorico peraltro diverso da quello elaborato da Mendelssohn. Le strutture
matematiche regolari operano immediatamente sul senso interno, indipendentemente dall’intervento
della mente; il senso interno anticipa l’intelletto in quanto percepisce tutte le idee fra le quali
sussistono regolarità; queste ultime sono già presenti implicitamente nella mente e riguardano le
configurazioni di idee esistenti. L’origine del piacere per l’armonia consiste in una uniformità, ma
nelle migliori composizioni all’uniformità si accompagna la varietà che è data dall’intervento delle
dissonanze. Il piacere sorge quindi dall’uniformità nella varietà; questa genesi non prevede
l’intervento della riflessione, né della conoscenza, ma solo quello di una sensazione piacevole (si
veda A. Lupoli, Introduzione a Hutcheson 2000, p. 39).

Quando le varie vibrazioni di una nota coincidono in maniera regolare con le vibrazioni di un’altra
danno luogo a una composizione gradevole, e tali note prendono il nome di accordi. Così le
vibrazioni di ogni nota coincidono nel tempo con due vibrazioni della sua ottava, e due vibrazioni
di ogni nota coincidono con tre della sua quinta; e così via per gli accordi restanti.

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