LA MUSICOTERAPIA ED IL SISTEMA CARDIOCIRCOLATORIO
(Dal libretto-guida di un farmaco per cardiopatici distribuito nel febbraio 2004)
Già nell’antica Alessandria alcuni medici si resero conto che la musica agiva sui ritmi del polso
periferico.
Queste esperienze vennero poi riprese da Galeno, che scrisse cinque trattati sullo studio del polso,
e da Erofilo di Calcedonia che costituì un sistema di sfigmologia correlando il polso con il ritmo
musicale, secondo le teorie di Aristosseno di Taranto.
Da allora furono numerosi gli studi e le osservazioni che cercarono di mettere in relazione i ritmi
corporei e quelli musicali, le pulsazioni e le battute musicali….. P.J. Buchoz, medico del XVIII
secolo, scrisse un’opera nella quale descriveva il suo metodo per sentire il polso del paziente
durante l’ascolto.
Nel 1880 Doghel studiò l’influenza della musica sulla pressione arteriosa e Bechterev nel 1907
descrisse gli effetti sulla respirazione e sul battito cardiaco.
Intorno al 1950 Podolsky, e poi Douglas Ellis e Gilbert Brighouse, pubblicarono le loro esperienze
sulle variazioni del battito cardiaco provocate dalla musica.
Più recentemente vennero fatti alcuni esperimenti per verificare quali fossero le variazioni del
ritmo cardiaco dei musicisti durante l’esecuzione dei brani musicali.
Si vide tra l’altro che il battito era piu’ rapido quando mantenevano a lungo un pianissimo
piuttosto che quando suonavano forte o molto forte.
Ancora qualche anno fa l’egiziano Youcef pubblicò alcuni lavori nei quali venivano valutate le
variazioni elettrocardiografiche indotte dalla musica.
Nel servizio di cardiologia dell’ospedale Saint-Joseph di New York hanno dimostrato che la
percentuale di mortalità dei cardiopatici si riduce notevolmente utilizzando la musicoterapia.
Usando il poligrafo, un apparecchio che non solo registra i tracciati ecografici ed
elettroencefalografici, ma anche tutta una serie di importanti parametri, sono state valutate le
variazioni della frequenza e dell’ampiezza del polso, le modificazioni pressorie, le alterazioni dei
movimenti respiratori, eccetera.
Pertanto la tonalità del MI bemolle è quella che si addice meglio alla programmazione di un
frammento musicale, nel caso di asistolia, mentre per l’ipotensione e l’ipertensione, palpitazioni e
tachicardie , sono indicati i brani con tonalità in FA, SOL, RE e DO Maggiore.
In questo modo alcuni autori, come ad esempio Harre, Revers e Simon hanno osservato che si può
parlare di “organotropismo musicale”, nel senso che a seconda del tipo di musica è possibile
influenzare il sistema respiratorio o quello vascolare, ecc.
Tutte queste osservazioni hanno permesso di dire che la musica agisce sulle amine
simpaticomimetiche, cioè sull’adrenalina e sulla noradrenalina, le quali concorrono a controllare,
fra l’altro, la portata cardiaca, le resistenze periferiche e la frequenza cardiaca.
Si è visto che le risposte cambiano a seconda dell’intensità e del tempo della musica: gli stimoli
“distensivi” provocano una diminuzione del tono muscolare, riducono la frequenza cardiaca e la
pressione arteriosa: i suoni che superano i 74 decibel danno vasocostrizione e quelli che superano i
90 possono peggiorare significativamente il tracciato elettrocardiografico dei cardiopatici.
Alla luce di tutte queste osservazioni ed esperienze si puo’ quindi sostenere che la musicoterapia,
o meglio, la musica in terapia, ha la possibilità di essere utilizzata razionalmente in quelle
situazioni patologiche nelle quali si verificano alterazioni dei neurotrasmettitori, in particolare
variazioni delle catecolamine.
Specie nello scompenso cardiaco cronico, dove al deficit contrattile miocardico ed alla ritenzione
idrosalina si associa la vasocostrizione periferica, l’azione di determinate musiche, in
associazione con farmaci, potrà dare buoni risultati.
Si presenta quindi di grande interesse e suggestione la possibilità di conciliare l’azione di
strumenti tradizionali, a torto ritenuti arcaici, con le terapie più moderne ed aggiornate.
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