La natura dell’uomo nuovo

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La natura dell’uomo nuovo

Le Chiavi Mistiche dello Yoga

di Guido Da Todi

Capitolo 16:

– LA NATURA DELL'”UOMO NUOVO”

Mentre il ricercatore segue le tracce dello spirito, lungo il sentiero, e si aggrega gradualmente ad altri , e prosegue nelle proprie dialettiche mentali il meditato rapporto con la nascente realtà; e si appassiona a quelle nuove pulsioni rigeneratrici che albeggiano nel suo mondo soggettivo, e continua ad affinare l’ascolto per quella eco di un mondo luminoso, le sui sirene di luce lo attraggono con sempre maggiore forza silenziosa qualcosa di indiscutibile avviene in lui.

Una sicura, lenta e costante mutazione della sua genesi spirituale.

Giunge il momento in cui si accorge di come l’involucro del proprio organismo interiore si sia, impercettibilmente, lacerato in più punti, ed in una dimensione sulle prime non afferrabile.

Non solo perviene ad una intuitiva identificazione con aspetti più ampi del proprio punto di vista esistenziale, ma la realtà assume dei valori e degli aspetti del tutto più definiti e precisi di quanto non fosse prima.

Egli dava dei matematici e geometrici confini al proprio io. Forse fisici, all’inizio, ed organici; poi, sottili e plastici, ma pur sempre personali.

Ora, realizza – ma in maniera categorica e sperimentale – che quella che chiamava la configurazione finale della propria individualità si rifiuta, oramai, di venire considerata tale, ma diviene un elemento guizzante, sfuggente. Tra sé e il resto della vita vi è lo stesso rapporto che esisteva tra una spanna della sua anima e l’altra. Tra colui che è e, ad esempio, le braccia fisiche che quello comanda vi è la stessa gradualità di valori e di intensità dello spazio che appare tra queste ultime ed il resto dell’universo.

Insomma, il ricercatore si accorge non già che i confini del proprio sé si sono dissolti; ma, che essi divengono costantemente, ad ogni suo successivo esame, un aspetto che lo salda ad una continuità d’essere con il resto delle cose.

Qual è il mio io, se non riesco a definirne le caratteristiche, i limiti; né a dire dove comincia e dove termina? E, in più, come faccio a dichiararmi singolo e individuale, se sperimento di essere composto – come un’idra dalle infinite teste solari – di ogni altro aspetto dell’essere, a cui sono saldato da un legame di sperimentato e ineffabile?

La vera radice della compassione universale, in definitiva, nasce da questa identificazione con ogni cosa che esiste, da parte del realizzato. Egli vede e vive intensamente ogni dolore che si manifesta nel proprio corpo infinito – il tutto; lo vede esprimersi nel prossimo, negli animali, nelle stelle, nella materia cosmica. E, ospitando in sé, nel suo vero sé, le lagrime dell’umanità non può fare a meno di lanciarsi verso di essa, come fa la madre che vede il proprio bimbo inciampare e ferirsi il ginocchio. Lei non soffre certamente di quel dolore fisico, ma si identifica totalmente nell’amore protettivo e infuocato per la sua creatura.

La grande comprensione metafisica di un maestro è legata sicuramente alla mutazione genetica di cui stiamo parlando. Egli può, grazie al fatto di essere se stesso, ma pure il proprio discepolo – in codesta immensa qualità di unità con tutte le cose – sapere e sperimentare l’intera gamma delle essenze di costui, esattamente come sperimenta la nota intima di ogni proprio pensiero. Difatti, che differenza passa tra il Maestro ed il suo discepolo, quando il primo ha raggiunto la sperimentale unità con tutto?

Ma tali esperienze, in sottotoni e sfumature sempre più definite, sicuramente sono un’eredità destinata ad apparire già molto prima che il ricercatore divenga maestro.

La realizzazione dell’uno-tutto è il capitale sommo che attende colui che ha rinunciato alla minuta ed illusoria difesa di un suo senso individuale, separato dalle cose universali. Un’esperienza che ne porta automaticamente e spontaneamente infinite altre.

Intanto, un senso dei valori molto più armonioso e finalmente legato alla natura dei principi cosmici.

Prima della si tendeva a dare una somma importanza al suono stridente che la banderuola del proprio sé provocava, girando veloce sulle proprie acquisizioni materiali, intellettuali e spirituali; ma, pure, quando si confrontava con l’illusione di altri sé e di altre dimensioni, oltre a quell’unica esistente.

Ora, l’implicito senso di infinita unità, mentre ha, grazie al cielo, limato ogni sovrastruttura personale del realizzato, lo ha pure ed implicitamente arricchito anche di una propria partecipazione vitale al tutto. Egli sa e realizza di seguire il flusso eterno di un ritmo che lo porta in un dualismo equilibrato di esperienze. Vive quella individuale – ma pur sempre saldata alle cose rimanenti tutte; ma, si esprime anche come esistenza impersonale, realizzandosi assoluto e universale.

Egli sa di essere sia il punto matematico radicale manifesto che quello immanifesto.

Sulle prime si è portati a credere che tali esperienze mistiche appartengano, o possano giungere, ad esseri dalla prestigiosa spiritualità superiore. Si tende ad assistere passivamente alla descrizione di esse; e si è portati a chiamare santi, yoghi, individualità liberate coloro che vivono, in pienezza, l’identificazione con il cosmico.

È come se questi uomini e donne fossero riusciti a creare, con le loro sovrumane capacità, quell’angolo di cielo in cui si trovano, piuttosto che essersi chinati a raccoglierne una manciata attorno a loro….attorno a noi! Ma, questo è uno degli errori a cui si riferisce la divina scrittura, quando parla di chi vendette la propria primogenitura, per un piatto di lenticchie.

Uno dei sogni di Vivekananda era quello di risvegliare ogni uomo ed ogni donna alla sua natura divina, e questo egli ripeteva incessantemente ai propri discepoli. “Andate a bussare ad ogni casa, e sostenete ad alta voce che tutti sono divini, ora, in questo momento!”.

Tuttavia, consola anche quanto affermava Ramakrishna, quando spiegava che ogni uomo, dal criminale al santo, è in continua corsa verso la visione perfetta delle cose. A volte, egli lasciava che un simpatizzante uscisse dall’ashram, per occuparsi di suoi desideri mondani. “Vai pure – diceva – …tanto, poi, la spinta ti riporterà verso Dio…”

Ed essa ci spinge sempre lì, costantemente. Verso quella mutazione che è già cominciata in tutti voi.

(Guido Da Todi)

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