La pace della mente 1

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La pace della mente 1

a cura del Dr. Mario Rizzi

“LA PACE DELLA MENTE”

21 LETTERE PER CONOSCERE LA MENTE
E COME CONTROLLARLA

Note per il lettore

Ringraziamo tutti gli autori, antichi e moderni che, con il loro lavoro
hanno permesso questa rac­colta e ci scusiamo qualora, per impossibilità,
errore o distrazione, non abbiamo citato la fonte originale del materiale
presentato.

I brani nel cui titolo compare un numero, così come quelli usati come
citazione e seguiti da un nu­mero tra parentesi, rappresentano un testo
originale, tratto dal volume il cui titolo è riportato nei Rife­rimenti
bibliografici.

Ricordiamo anche che la nostra mente razionale, essendo stata concepita per
risolvere i problemi, lette­ralmente “perde degli impiegati” qualora si
trova di fronte ad una parola mal compresa; impie­gati che si “siedono
intorno ad un tavolo” per cercarne la giusta definizione e non sono più
dispo­nibili per il la­voro di apprendimento.

Pertanto non superate mai una parola di cui non conoscete bene il
significato. Se incontrate una parola di cui non conoscete il significato o
non siete sicuri di ciò che essa vuol dire, cercatene la spiegazione in un
vocabolario o un’enciclopedia.

(Realizzazione: Dr. Mario Rizzi)

La Pace della Mente – 1

Presentazione

Queste “lettere”, sono state realizzate utilizzando brani di autori diversi
al fine di offrire del mate­riale scelto che presenti una facile
consultazione e, nel contempo, un’ampia panoramica riguardante la mente ed i
processi mentali.

Inizieremo il nostro studio con una breve introduzione necessaria per poter
capire la mente e le sue origini, quindi proseguiremo con gli strumenti che
essa utilizza ed uno studio sul cervello e gli stati della coscienza. Poi
prenderemo in considerazione il potere del pensiero ed i vari modi in cui,
dalla nascita in poi, siamo stati “strutturati” nel nostro modo di pensare e
di agire. Tutte queste informa­zioni ci permetteranno di intraprendere le
azioni più opportune per poter ottenere la “pace mentale”.

SOSTANZA, VITA E COSCIENZA

La sostanza universale (1)

Esiste una sostanza universale, fonte di tutto, così subli­mata e sottile da
superare qualsiasi possibile comprensione intellettiva. Al suo paragone, il
profumo più delicato, la radio­sità scintillante del sole, l’accesa gloria
del tramonto, sono cose grossolane e terrestri. E’ “un tessuto di luce”
assoluta­mente invisibile all’occhio umano.

La parola “sostanza” può trarre in inganno: è bene riportarla alle sue
radici latine: “sub”, sotto e “sto”, stare. Sostanza è dunque “ciò che sta
sotto”. Cosi inteso, il termine è molto più indicativo e chiarificatore.

Questa sostanza universale, benché così sottile e inaffer­rabile, in un
certo senso è perfino più densa della materia. Se potessimo concepire un
agente fuori della sostanza universale, ipotesi contraria a qualsiasi fatto
e possibilità, che cercasse di comprimerla o in qualche modo di agire su
essa dall’esterno, la sostanza risulterebbe più densa di qualsiasi altro
materiale conosciuto.

Inerente alla sostanza, sua perpetua controparte, è la vita. Vita e sostanza
sono la stessa cosa, aspetti diversi di una sola realtà e sempre
inseparabili. La vita è elettricità posi­tiva, la sostanza, negativa. La
vita è dinamismo, la sostanza statica. La vita è attività o spirito, la
sostanza è forma o ma­teria. La vita è il padre che genera, la sostanza la
madre che concepisce.

L’energia è vita (2)

L’intero mondo manifesto sorge dall’energia (e dai fat­tori concomitanti,
sostanza e coscienza). Tutto ciò che si vede, dal più piccolo granello di
sabbia all’immenso cielo stellato, dal selvaggio al Bud­dha o al Cristo,
deriva dall’energia. La materia è energia nella sua forma più densa; lo
spirito è la stessa energia nella sua forma più alta e sottile. Così la
materia è spirito discendente e degradato; lo spirito è materia ascen­dente
e glorificata.

Nell’acquistare densità, l’energia attraversa sette stati o piani. L’uomo
ne manifesta tre. Ha un corpo fisico, uno emotivo e uno mentale; funziona
quindi su tre livelli. E’ in procinto di conoscerne un quarto, più alto:
l’Anima o il Sé, pren­dendone coscienza. In questa esposizione elementare
non par­lerò dei tre piani superiori.

La vita è unica

La vita, come intesa comunemente, altro non è che il manifestarsi di alcune
reazioni che un organi­smo offre quando sottoposto a qualche tipo di
stimolazione. La vita reagisce con la ricerca di cibo alle necessi­tà
alimentari, con la fuga ai pericoli, con la ricerca del sesso com­plementare
se il pe­riodo è propizio alla procreazione.
Se le reazioni offerte sono apprezzabili dai nostri sensi noi concludia­mo
che siamo di fronte a qual­cosa di “vivente”, in caso contrario assu­miamo
che sia privo di vita. Questo modo di interpretare le cose non è corretto
perché si basa su ciò che i nostri sensi sono in grado di percepire e non
sulla vera realtà dei fatti osservati.
La vita è unica e permea tutto il creato fino alla sua parte più
infinitesima. La signora Blavatsky, nella sua “Dottrina Segreta”, afferma
che ogni particella, sia che essa appartenga al regno minerale, vegetale o
animale, non è altro che una manifestazione della vita in azione.

L’evoluzione della vita e della Forma

Nell’universo che ci circonda è facile riconoscere l’esistenza della
materia, dello spazio e del tempo. Esse sono tangibili e nessuno ne metterà
mai in dubbio l’esistenza.

Vi è però qualcosa d’altro a cui nei secoli sono stati dati i nomi più
diversi. Questo qualcosa è la vita che è in grado di raccogliere ed
organizzare la materia per formare un organismo in cui vivere e fare delle
esperienze. Lo scopo principale della vita appare infatti come la necessità
di costruire forme materiali sempre più perfette in cui potersi esprimere ed
acquisire esperienze sempre più complesse.

La vita è continuamente al lavoro per modificare ed organizzare la materia.
Con essa la vita crea delle forme, le utilizza fintanto che esse sono
diventate inutilizzabili per vecchiaia, malattia o inci­dente, e quindi si
ritira. A questo punto la forma si distrugge e le sostan­ze che la
componevano ri­tornano nel loro stato primitivo.

Vi è pertanto una evoluzione della vita fatta a spese della forma la quale,
d’altro canto, diventa sempre più perfetta. Possiamo assi­stere a questa
continua ricerca di perfezione in tutti i regni della Natura. Anche le razze
umane, nel loro susseguirsi, ci dimostrano che il piano evolutivo è sempre
al lavoro.

L’evoluzione della vita a spese della forma è possibile soltanto perché
viene supportata dalla co­scienza. Senza tale supporto la vita non potrebbe
continuare perché le sue forme non sarebbero in grado di evitare le cose
nocive e di essere attratte da quelle necessarie o comun­que piacevoli.

Possiamo perciò definire la coscienza come la capacità di percepire
qualcosa. La coscienza, abbi­nata ad un meccanismo capace di reagire a
quanto percepito, crea i presupposti necessari perché una nuova forma di
vita possa iniziare e perpetuarsi.

La coscienza permea ogni cosa, il suo manifestarsi diventa però sempre più
evidente nel­la misura in cui è evoluta la forma che la ospita.
Nell’organismo umano la coscienza può sperimentare dei fe­nomeni esterni e
delle sensazioni interiori che sono assolutamente impossibili ai vegetali.
Questo fatto dipende dalla complessità e perfezione del sistema nervoso,
proprio della razza umana.

Nel nostro organismo, la coscienza compare in ogni singola cellula, questo
fatto viene dimostrato da come esse adem­piono in modo del tutto autonomo ai
molteplici compiti necessari per la sua so­pravvivenza. Ad un livello
superiore è la stessa coscienza che ci permette di riconoscere ed affer­mare
“io sono”.
La coscienza nel regno minerale (3)

Il Prof. Giagadisc Ciandra Bose di Cal­cutta, dopo una vita di ricerche, è
giunto a delle scoperte sen­sazionali. E’ infatti riuscito, con l’ausilio di
delicati strumenti elettronici, a dimostrare che anche i metalli sono in
grado di rispondere a determinati stimoli. Pertanto, visto che dimostrano
una loro specifica sensibilità devono anche avere un seppur basso livello di
coscienza.

Egli ha provato che è possibile “intossicare” i metalli esponendoli agli
effetti di sostan­ze chimiche oppure “stressarli” sottoponendoli a stimoli
che ne logorano la struttura. In questo modo si è potuto constatare come la
reazione fornita da un muscolo sia simile a quella data da un metallo; la
stan­chezza viene registrata da entrambi. A titolo di cronaca riferiamo che
lo stagno è il metallo che si dimostra più resistente allo sforzo.

La coscienza nel regno vegetale (4)

Il precursore delle ricerche sulla “coscienza” dei vegetali fu Cleve
Backster, un americano la cui spiccata ricettività gli consenti di
sospettare una certa sensibilità in una pianta che teneva nel suo ufficio.
Incuriosito dalla constatazione che le foglie della pianta, seppur con
minime variazioni, ri­specchiavano i suoi sentimenti o lo stato d’animo di
coloro che erano nella stanza, decise di iniziare una serie di esperienze
che ebbero risultati sorprendenti.

Applicate delle lamine metalliche ad alcune foglie della pianta, le collegò
ad uno strumento in grado di registrare piccolissime variazioni di corrente
e di riportarle su un nastro di carta in conti­nuo movimento, fornendo così
una registrazione del fenomeno stesso. Con suo grande stupore con­statò come
la pianta emettesse debolissime correnti che, con il loro variare,
indicavano come essa fosse continuamente in “ascolto” e pronta a reagire ai
pensieri ed alle azioni delle persone presenti.

Lo stesso Backster compì in seguito due esperimenti rimasti famosi per i
risultati ottenuti. Nel primo esperimento tre piante opportunamente
preparate furono poste in stanze diverse pronte a re­cepire eventuali
fenomeni. Un congegno ad orologeria, posto in un’altra stanza, faceva
cadere, a tempi determinati, dei gamberetti vivi in acqua bollente in modo
da ottenerne la morte immediata.

Finita la preparazione Backster ed i suoi assistenti abbandonarono i locali.
Al loro ritorno, dopo di­verse ore, quale non fu la loro sorpresa nel
riscontrare come tutte e tre le piante avessero emesso un impulso in
corrispondenza delle ore e dei minuti in cui i gamberetti avevano incontrato
la morte.

Per il secondo esperimento furono scelti sei studenti universitari a cui fu
chiesto di entrare, uno dopo l’altro, in una stanza dove erano stati
collocati due filodendri. Ad uno studente fu pure chiesto di maltrattare
una delle due piante, togliendole gemme e foglie, strappandole rami ed
infine rom­pendola in pezzi da lasciare sparsi sul pavimento. Cosa che egli
fece così come gli era stato richie­sto.

Dopo qualche tempo fu chiesto ai sei studenti di passare davanti alla pianta
sopravvissuta. Essa ri­conobbe immediatamente l'”assassino” emettendo un
forte impulso di corrente che fece sobbalzare gli aghi dello strumento e che
venne interpretato come un vero grido di terrore.

La coscienza nell’uomo

Dal punto di vista psicologico essere coscienti significa essere consapevoli
dei nostri stati interni (fisici, emotivi e mentali) e di quelli esterni,
generalmente percepiti con i sensi. Comunque il fatto di avvertire le
modificazioni avvenute in noi e fuori di noi è solo un aspetto molto
limitato della co­scienza. Essa, infatti, si può espandere al punto di
percepire la distinzione tra chi che osserva e colui che è osservato, in
questo caso prende il nome di “autocoscienza”.

Pertanto, quando si parla di coscienza, si intende la capacità di percepire
impressioni e sensazioni. Nell’uomo spetta al sistema nervoso il lavoro di
forni­re le informazioni alla coscienza. Più il si­stema nervoso è
svi­luppato e maggiori saranno le informazioni che essa sarà in grado di
ricevere. Una sensazione non è altro che un’informazio­ne che i sensi
presentano alla coscienza.

La coscienza compare quando sono in gioco delle differenze. Senza qualche
differenza non si crea nulla che la coscienza possa percepire. Perché vi
possa essere coscienza vi devono essere almeno due elementi ben determinati:

UN PERCEPIENTE – ovvero un essere in grado di percepire e valutare

UNO STIMOLO – ovvero qualcosa che può essere percepito

Ed è proprio la coscienza che, ponendosi tra “colui che conosce” e “ciò che
è conosciu­to”, permette che il primo diventi consapevole del secondo. La
coscienza resta sempre quella, sia che “percepisca” il mondo esterno oppure
i movimenti interiori (emozioni, passioni, ecc.).

Se non avessimo la coscienza nessuno potrebbe rendersi conto di esistere e
tantomeno di possedere un corpo o di vivere in un mondo di oggetti e di
fenomeni. Possiamo perciò affermare, che fonda­mentalmente noi non siamo
altro che una “particella” di coscienza individualizzata e perciò in grado
di:

1) rendersi conto di esistere,

2) rendersi conto di essere qualcosa diverso dagli oggetti circostanti
(autocoscienza) e di poter prendere coscienza di “Sé”.

Chi sei? (5)

“Chi sei?” Che strana domanda! In verità non sappiamo da dove veniamo. Siamo
un ospite di pas­saggio in questa vita. Non sappiamo dove siamo diretti. Se
vi fermerete a riflettere scoprirete di co­noscere molto poco di ciò che
veramente siete; non contano il vostro nome e indirizzo, la vostra famiglia,
il vostro lavoro o i rapporti sociali: queste cose sono all’esterno di voi.
Ma se vi venissero tolte e non aveste più niente di esteriore con cui
descrivervi, allora chi sareste?

“Conosci te stesso” è il classico consiglio filosofico offerto dai Mae­stri
occidentali e orientali di tutti i secoli, perché in questa cono­scenza si
trova la risposta completa al grande enigma della vita e della morte e di
conseguenza la pace della mente e dello spirito. Ma chi è questo te stesso?
Come si può andare alla sua ricerca? Dove si na­sconde? In quale direzione
bisogna andare per trovarlo, e se viene tro­vato, come possiamo imparare a
conoscerlo?

… noi usiamo in continuazione la parola “io”. Ma quanto conosciamo questo
“io” – quello che pensa, quello che crede, quello che gli piace e quello che
non può soffrire? Non potrebbe darsi che il vostro vero essere non abbia
assolutamente niente a che vedere con l’io, il quale invece decide che cosa
gli piace e che cosa non vuol fare, ecc.?

Certamente questo è un concetto insolito perché noi adoperia­mo generalmente
il nostro “io” e cer­chiamo di accontentarlo in ogni modo, dandogli quello
che vuole. coltivando le sue convinzioni, le sue preferenze, i suoi
pensieri. E’ un colpo per noi sentirci dire che l’io è effettivamente un
estraneo nella nostra casa, e che ha preso il coman­do delle nostre vite e
le gestisce a modo suo!

Con lo studio dello yoga ci possiamo rendere conto che siamo ben lontani da
quella comprensione dell’io che riteniamo di avere (“mi co­nosco molto
bene”) e che inoltre non abbiamo quasi nessun controllo su quello che l’io è
o su quello che probabilmente diventerà.

In altre parole, è l'”individuo” o l’io che controlla il nostro vero essere
e ci dice che cosa dobbiamo fare. Poiché non ci rendiamo conto di come
questo “individuo ” ci ha imbrogliati, obbediamo cie­camente ai suoi
comandi.

L’uomo cerca continuamente se stesso (6)

L’uomo, consapevolmente o no, cerca continuamente se stesso. Nel profondo
della sua coscienza sa che lo scopo della vita è trovare il suo vero io,
poiché solo dopo questo ritrovamento egli si risve­glierà alla realtà e
potrà “vivere” nel vero e completo senso della parola, esprimendo se stesso
e uti­lizzando tutte le sue capacità, tutte le sue qualità, tutte le sue
energie.

Ogni nostra aspirazione, ogni nostro desiderio, ogni nostra insoddisfazione,
ogni nostra ricerca sono in realtà sintomi di questa innata esigenza
dell’uomo di raggiun­gere l’autorealizzazione, e sono le manifestazioni
este­riori della lotta interna che stiamo combattendo, pur senza saperlo,
per metterci in sintonia con il punto centrale della nostra coscienza, che
rappresenta il fulcro della vita.

Dal “nosce te ipsum” di Socrate fino alla ricerca dell’individuazione degli
psicanalisti moderni, l’uomo ha dimostrato di aver intuito questa verità.

Tuttavia non è facile scoprire questo nostro io reale perché la nostra vera
individualità è latente nel profon­do di noi stessi, è come se fosse
“inconscia” per noi, e talvolta è addirittura dormiente per cui dobbiamo
lot­tare molto, commettendo numerosi errori, prendendo di­rezioni sbagliate,
soffrendo e penando, prima di trovare la via giusta che ci porterà
direttamente alla sorgente di noi stessi.

PRINCIPALI REGOLE PER AUTOMIGLIORARSI
1) – Rendersi conto di aver bisogno di migliorare.
2) – Decidere responsabilmente di far qualcosa.
3) – Cerca gli strumenti necessari.
4) – Utilizza gli strumenti con pazienza e perseveranza.
5) – Coltiva fiducia ed ottimismo.
6) – Gioisci di ogni piccolo miglioramento.
7) – Evita di condannarti nelle ricadute.
8) – Ricorda sempre:

“I problemi li crea l’uomo, non Dio. Se fossero creati da Dio sarebbero
eterni e invece, ben ve­diamo, che nell’arco di qualche anno o al massimo di
una vita, di tutti i problemi, anche i più gravi, non resta più nulla.”

Riferimenti bibliografici
1) Alice Bailey, L’anima e il suo meccanismo, pag. 54,
Edizione Nuova Era, Roma (1973).
2) Ibid.
3) Annie Besant, Studio sulla coscienza,
Edizioni Adyar, Settimo Vittone (TO).
4) Cleve Backster, Evidence of primary perception in plant
Journal of Parapsicology – Winter 1968.
5) Richard Hittleman, Guida allo yoga pratico, pag. 156,
Arnoldo Mondadori Editore, Milano (1976).
6) A. Maria La Sala Batà, Guida alla conoscenza di sé, pag. 5,
Editrice Nuova Era, Roma (1989).

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