La paura di Jiddu Krishnamurti

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La paura

di Jiddu Krishnamurti

Tratto da:

Jiddu Krishnamurti.
LA RICERCA DELLA FELICITA’.
Traduzione di VINCENZO VERGIANI.

LA PAURA

Che cos’è la paura? La paura può esistere solo in relazione a qualcosa, non
isolatamente. Come posso aver paura della morte, come posso aver paura di
qualcosa che non conosco? Solo ciò che mi è noto può farmi paura. Quando
dico che ho paura della morte, ho davvero paura dell’ignoto, che è la morte,
o invece ho paura di perdere ciò che ho conosciuto? La mia paura non ha per
oggetto la morte, ma l’idea di perdere i miei legami con le cose che mi
appartengono. La paura è sempre in relazione con ciò che è noto, non con
l’ignoto.

La mia indagine verterà ora sulle possibilità di essere liberi dalla paura
di ciò che conosciamo, la paura di perdere la propria famiglia, la
reputazione,
il carattere, il conto in banca, i desideri e così via. Potreste obiettare
che la paura nasce dalla coscienza; ma la coscienza è plasmata dai
condizionamenti, e dunque è ancora frutto di ciò che è conosciuto. Ma cos’è
che conosco?

La conoscenza consiste nell’avere idee, opinioni sulle cose,
avere un senso di continuità in rapporto a ciò che è conosciuto, e
nient’altro. Le idee sono ricordi, il risultato dell’esperienza, che è la
risposta a uno stimolo. Ho paura di ciò che conosco, il che significa che ho
paura di perdere certe persone, cose o idee, ho paura di scoprire ciò che
sono, paura di essere confuso, paura del dolore che potrebbe sopravvenire
qualora perdessi o non vincessi o non provassi più piacere.

Si ha paura del dolore. Il dolore fisico è una reazione nervosa, mentre la
sofferenza psicologica insorge quando mi aggrappo alle cose che mi danno
soddisfazione, perché allora ho paura di chiunque o di qualunque cosa possa
portarmele via. Fin tanto che non vengono turbate, le accumulazioni
psicologiche impediscono la sofferenza interiore; io sono un fascio di
accumulazioni, di esperienze, che impediscono qualunque forma grave di
turbamento – e non voglio essere turbato. Perciò ho paura di chiunque le
turbi.

Dunque la mia paura è paura di ciò che conosco; ho paura delle
accumulazioni, fisiche o psicologiche, che ho acquisito al fine di evitare
il dolore o prevenire la sofferenza. Ma la sofferenza è insita nel processo
stesso di accumulazione volto a evitare il dolore. Anche la conoscenza aiuta
a prevenire il dolore.

Come le conoscenze mediche aiutano a prevenire il
dolore fisico, così le credenze aiutano a impedire la sofferenza
psicologica. Ecco
perché ho paura di dover rinunciare alle mie credenze, sebbene non abbia né
una perfetta conoscenza, né una prova concreta della loro realtà. Posso
forse respingere alcune delle credenze tradizionali che mi sono state
inculcate
perché la mia esperienza personale mi dà forza, fiducia, comprensione; ma le
credenze e le conoscenze che ho acquisito sono fondamentalmente la stessa
cosa: un mezzo per evitare il dolore.

La paura esiste fin tanto che c’è accumulazione di cose conosciute, il che
dà origine alla paura di perderle. Dunque, la paura dell’ignoto è in realtà
paura di perdere le cose note accumulate. Nel momento stesso in cui dico,
“Non devo perdere ciò che ho”, ecco insorgere la paura. Benché io accumuli al
fine di evitare il dolore, quest’ultimo è inerente al processo di
accumulazione. Le
cose stesse che posseggo originano paura, che è dolore.

La difesa contiene in nuce l’offesa. Voglio la sicurezza fisica; dunque creo
uno Stato sovrano, che necessita di forze armate, il che significa guerra,
la quale distrugge la sicurezza. Dovunque ci sia desiderio di
autoprotezione, è
presente la paura. Quando percepisco la fallacia delle richieste di
sicurezza, smetto di accumulare. Se affermate di percepire tutto ciò, ma
di non poter fare a meno di accumulare, è perché non vi rendete` davvero
conto che nell’accumulazione è intrinsecamente presente il dolore.

La paura esiste nel processo di accumulazione e la credenza in qualcosa è
parte di tale processo. Mio figlio muore, e io credo nella reincarnazione
che mi impedisce, psicologicamente, di soffrire di più; ma nel processo
stesso del credere è insito il dubbio. Esternamente accumulo beni e
così scateno la
guerra; internamente accumulo credenze, e porto sofferenza. Fin quando avrò
questo bisogno di sicurezza, questo desiderio di avere conti in banca, di
assicurarmi il piacere e così via, questa volontà di diventare qualcosa,
fisiologicamente o psicologicamente, ci sarà inevitabilmente dolore. Le
medesime cose che faccio per evitare il dolore mi portano paura, sofferenza.

La paura insorge quando desidero essere parte di un determinato schema.
Vivere senza paura significa vivere senza uno schema determinato. Quando
aspiro a un particolare stile di vita, questo è già in sé fonte di paura. La mia
difficoltà consiste nel desiderio di vivere in un certo contesto. Non posso
spezzare tale contesto?

Posso farlo solo quando intuisco la verità: che il
contesto genera paura e che la paura rafforza il contesto. Se dico che devo
spezzare il contesto perché voglio essere libero dalla paura, allora mi
limito a seguire un altro schema che genererà ulteriore paura. Qualunque
azione io
intraprenda che sia motivata dal desiderio di spezzare il contesto, creerà
soltanto un altro schema, e perciò ancora paura. Come fare a spezzare il
contesto senza generare paura, ossia senza alcuna azione conscia o inconscia
da parte mia che abbia questo come obiettivo? Ciò significa che non devo
agire, non devo fare alcuna mossa per spezzare il contesto. Cosa mi accade
se mi limito a osservare il contesto senza fare niente per cambiarlo?
Capisco che la mente stessa è il contesto; essa vive secondo lo schema di
abitudini che si è costruita. Dunque, la mente stessa è paura. Qualunque cosa
la mente faccia
va nella direzione del rafforzamento di un vecchio schema o nella promozione
di uno nuovo. Ciò significa che qualunque cosa la mente faccia per
sbarazzarsi della
paura genera paura.

La paura trova varie scappatoie. Il tipo più comune è l’identificazione, non
è così? Identificazione con la nazione, con la società, con un’idea. Avete
mai fatto caso alle vostre reazioni alla vista di una processione religiosa o di
una parata militare, o quando il paese corre il rischio di essere invaso?
Allora vi identificate con il paese, o con un essere, oppure con
un’ideologia.

Ci sono altre occasioni in cui vi identificate con vostro figlio, con vostra
moglie, con una particolare forma di azione o di inazione. L’identificazione
è un processo di oblio di sé. Fin quando sono cosciente dell'”io”, so che
c’è dolore, c’è lotta, c’è costantemente paura. Ma se posso identificarmi con
qualcosa di più grande, con qualcosa che ne valga la pena, con la bellezza,
con la vita, con la verità, con la fede, con la conoscenza, almeno
temporaneamente, ecco una possibilità di fuga dall'”io”, non è così? Se
parlo del “mio paese”, temporaneamente dimentico me stesso, non è così? Se
posso affermare qualcosa a proposito di Dio, dimentico me stesso. Se posso
identificarmi con la mia famiglia, con un gruppo, con un certo partito, con
una determinata ideologia, ecco altrettante scappatoie temporanee.

L’identificazione è dunque una forma di fuga dal sé, anche se mascherata da
virtù è pur sempre una fuga dal sé. Colui che persegue la virtù fugge dal sé
e ha una mente ristretta, non virtuosa, poiché la virtù è qualcosa che non
si può perseguire. Quanto più ci si sforza di diventare virtuosi, tanta più
forza si dà al sé, all'”io”. La paura, che in forme diverse è comune a tutti
noi, deve sempre trovare un sostituto e, di conseguenza, deve
fomentare la nostra
lotta. Quanto più ci identifichiamo con un sostituto, tanto maggiore è la
forza con la quale ci aggrappiamo a ciò per cui siamo pronti a combattere e
a morire, perché dietro di esso si nasconde la paura.

Ma sappiamo cos’è la paura? Non è forse la non accettazione di ciò che è?
Dobbiamo capire il termine “accettazione”: non
lo utilizzo per indicare lo sforzo fatto per accettare. Quando percepisco
ciò che è, la questione dell’accettare non si pone affatto. Quando non vedo
con chiarezza ciò che è, allora introduco il processo di accettazione. Di
conseguenza, la paura è la non accettazione di ciò che è. Come posso io, che
sono un fascio di reazioni, risposte, ricordi, speranze, depressioni,
frustrazioni, io, che sono il risultato del movimento della coscienza
bloccata, andare oltre?

Può la mente, senza questi blocchi, questi ostacoli,
essere cosciente? Sappiamo quant’è straordinaria la gioia che si prova
quando non c’è alcun ostacolo. E’ noto a tutti che quando il corpo è in
perfetta
salute, c’è una certa gioia, un certo benessere; e sappiamo anche che quando
la mente è completamente libera, senza alcun blocco, quando il centro di
riconoscimento costituito dall'”io” non è presente, si ha esperienza di una
certa gioia. Non avete forse sperimentato questo stato di assenza del sé?
Certamente questa è un’esperienza comune a tutti.

C’è comprensione e libertà dal sé solo quando riesco a considerarlo
integralmente come un tutto; e posso riuscirci solo comprendendo il processo
globale di tutte le attività nate dal desiderio, che è l’espressione stessa
del pensiero – poiché il desiderio non diverso dal pensiero – , senza
giustificarle, senza condannarle, senza reprimerle; se riesco a comprendere
questo, allora saprò se c’è la possibilità di superare le limitazioni del sé.

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